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Che affare, la pandemia

La pandemia no non ci ha reso tutti uguali e secondo il premio Nobel Joseph Stiglitz e l’economista francese Thomas Piketty «ha esacerbato le diseguaglianze». «Le stesse grandi compagnie di Internet, fino a ieri impegnate in pratiche di elusione fiscale, sono state le principali beneficiarie del coronavirus», ha detto Stiglitz durante la conferenza stampa virtuale convocata dalla Commissione indipendente per la riforma della fiscalità internazionale d’impresa (Icrict) e dall’Ong Oxfam.

Facebook, Amazon, Apple, Alphabet, Google nel cuore dell’Europa, in Irlanda, «pagano tasse su una frazione del loro fatturato», dicono i due economisti che propongono anche un soluzione: un regime fiscale minimo. «Sarà molto difficile», ha detto Piketty, ma il fatto che tutta l’Europa stia riflettendo sul debito e stia muovendo somme impensabili potrebbe fare ritrovare il coraggio di parlarne una volta per tutte.

Eppure se ci pensate sono molte le disuguaglianze di cui si è discusso durante l’epidemia, quando davvero si credeva che potesse essere messo in discussione almeno un pezzo di sistema e invece è tornato già tutto nei binari normali. Anche gli eroi si sono già normalizzati, rientrati nei ranghi. Infermieri, insegnanti e perfino i rider, quelli che ringraziavamo ogni giorno su tutte le prime pagine dei giornali, sono finiti ancora nelle retrovie. La scuola è rimasta l’ultima preoccupazione del governo che non ha riaperto le aule e che non sa ancora quando e come si riapriranno mentre ci si assembra sui campi da calcio e nelle manifestazioni politiche. Gli artisti che hanno addolcito la quarantena sono lasciati a inventarsi qualcosa. Lo spettacolo dal vivo è ripartito claudicante.

Tutto bene, tutto normale. Che affare, la pandemia, per i ricchi che sono rimasti ricchi e non sono nemmeno stati messi in discussione. Che affare, la pandemia, per gli eroi che hanno avuto i loro 5 minuti di notorietà e ora devono tornare ai loro posti.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Il bullismo fiscale di Apple, Facebook, Google e compagnia bella

Niente crea più disuguaglianza che aiutare tutti nello stesso modo. Eppure non accade nemmeno questo: i forti con i deboli tendono a essere poi deboli con i forti per una legge del contrappasso che gli è favorevole. E così succede che in quest’Italia di professionisti digrignatori di denti (di fronte ai fragili demonizzati, preferibilmente profughi e stranieri) si apparecchi un’accoglienza barzotta a Mark Zuckerberg con il sorriso servile di chi ha intravisto uno sceicco e a nessuno venga in mente di chiedere al fondatore di Facebook (che ha dispensato slogan motivazionali da baci Perugina) se ritenga giusto pagare all’Italia 200.000 euro di tasse di fronte a un incasso di 350 milioni di euro.

Niente. Renzi era troppo preso a postare (su Facebook, appunto) la foto di lui e Mark; il Papa sempre intento a simulare giovanilismo e gli studenti universitari si sono scordati di chiederglielo. Avrebbero potuto farlo i giornalisti ma, ahinoi, i giornalisti non potevano fare domande. Succede. Cosa ne pensa un lavoratore italiano qualsiasi della differenza tra la propria pressione fiscale e quella del proprietario di Facebook invece è facile immaginarlo. Anche senza domande.

E mentre l’Italia si inzerbinava per Zuck (che apre la strada alla beneficienza con i buoni sconto, come al supermercato) l’Europa per la prima volta ha deciso invece di alzare la voce contro il bullismo fiscale di Apple che con la sua sede irlandese (finta) ha goduto di un’aliquota fiscale dello 0,005%. Sì, avete letto bene: al fisco europeo mancano qualcosa come 13 miliardi. E la Commissione Europea (senza bisogno di portaerei, passerelle e necrofilia storica) ha deciso di alzare la voce.

Insomma, l’Europa si arrabbia con le multinazionali e, per una volta, insegna a far politica ai Paesi membri. Proviamo ad applicare le regole, magari? E fuori succede un finimondo: Apple si indigna, l’Irlanda (la mangiatoia di Apple ma anche di Facebook e di Google) reclama il diritto di esercitare la propria prostituzione fiscale e i soliti noti balbettano qualcosa.

(il mio buongiorno per Left continua qui)