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Diciotti: gli ultimi contro i penultimi. A bollire in mezzo al mare

Signore e signori accorrete perché le ultime novità sulla nave della Guardia Costiera italiana Diciotti sono uno spasso imperdibile, una sindone del disgoverno che finge di governare, un conato delle minacce contro il diritto internazionale, una farsa di bulletti che alzano la voce in cambio di un pugno di voti, l’ennesimo annuncio pronto a frantumarsi di fronte alla realtà dei fatti e alla vigliaccheria dell’uomo forte che aizza i penultimi contro gli ultimi per un po’ di consenso.

I fatti, intanto. Perché i fatti contano e anche se sono andati fuori moda vale sempre la pena ripeterli ostinatamente; una nave italiana della Guardia Costiera italiana viene lasciata alla deriva per cinque giorni in acque italiane, poi fatta attraccare a un porto italiano (quello di Catania) e infine lasciata bollire attendendo che i ministri Toninelli e Salvini smettano di twittare e si concedano una telefonata. O forse, ma questa è un’utopia, in attesa che il Presidente del Consiglio eserciti la sua funziona anche senza essere sculacciato dal Presidente della Repubblica.

Il 14 agosto un barcone che trasporta 190 migranti viene avvistato in acque maltesi dalle autorità locali. Quelli però decidono di non intervenire lasciandoli tranquillamente navigare verso l’Italia monitorandone il passaggio e offrendo assistenza (rifiutata, tra l’altro). In pratica Malta si vede passare sotto il naso una barca di migranti (considerata per convenzione internazionale inadatta alla navigazione) e se ne frega “esercitando il loro diritto di navigazione in mare aperto”, ha detto il ministro maltese, raccontando una castroneria raccapricciante.

Il barcone viene intercettato in acque italiane dalla Guardia Costiera italiana che, secondo le regole, interviene: 13 migranti in cattive condizioni vengono trasferiti d’urgenza a Lampedusa mentre gli altri 177 aspettano di sapere dove devono attraccare. Qui accade il primo comico (e tragico) intermezzo: il ministro dell’inferno Salvini minaccia di rispedire tutti in Libia nel caso in cui l’Europa non si faccia carico dello sbarco, il ministro Toninelli accusa Malta. Cosa c’entrino quei disperati lasciati a bagnomaria nel Mediterraneo con Malta e l’Europa non ci è dato di sapere: di certo la vigliaccheria di prendersela con loro è la strada più facile e disonesta per alzare la voce. Come al solito. Eroi, questi ministri del cambiamento.

L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra (di cui il governo forse dovrebbe avere contezza) dice chiaramente: “Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”. In pratica le minacce di Salvini valgono come il due di bastoni quando briscola è denari. Al solito.

Toninelli poi interviene informandoci che la nave è diretta verso Catania e che «i valorosi uomini della Guardia Costiera hanno compiuto il proprio dovere salvando vite umane»: peccato che per 5 giorni si siano presi tutto il fango (da “scafisti” a insulti peggiori) da tutti i salvinisti. Un po’ in ritardo.

Poi il ministro Salvini lo smentisce: non dar ordine di sbarcare, dice, finché l’Europa non si occuperà di distribuire i migranti. Fa niente che la ridistribuzione sia il punto centrale della revisione del trattato di Dublino a cui il ministro non ha mai partecipato (a nessuna delle riunioni) a Bruxelles: l’importante è fare rumore. Poi, al solito, verrà smentito dai fatti ma troverà una nuova provocazione su cui spostare l’attenzione.

Intanto una nave italiana della Guardia Costiera italiana viene lasciata alla deriva per cinque giorni in acque italiane, poi fatta attraccare a un porto italiano (quello di Catania) e infine lasciata bollire attendendo che i ministri Toninelli e Salvini smettano di twittare e si concedano una telefonata.

Ah, a proposito, per quelli che scrivono dappertutto  “destituite il comandante, c’è sempre di mezzo la Diciotti”: il salvataggio è stato effettuato da due motovedette alle 3.40 di notte, e Diciotti ha semplicemente effettuato il trasbordo alle 8.20 del mattino. Per dire.

Bravi tutti. Avanti così.

Buon martedì.

 

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/08/21/diciotti-gli-ultimi-contro-i-penultimi-a-bollire-in-mezzo-al-mare/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Non credetegli. Mai. Il mare non uccide. Le persone uccidono.

Non credetegli. Mai. Il mare non uccide. Le persone uccidono. Anche l’indifferenza uccide, sì, anche quella: i morti per indifferenza li riconosci perché quando muoiono se gli apri gli occhi, con le dita, come si aprono due lembi, dentro ci trovi la pupilla di chi l’aveva capito da tempo che sarebbe finita così. Non sono mica come i morti improvvisi, quelli con lo sguardo interrotto che non ha nemmeno fatto in tempo di stringersi per il buio che gli veniva addosso: se avessero un minuto, un minuto ancora, un minuto di quelli che un minuto prima di andarsene uno torna e dice – ah! Scusa, un’ultima cosa – se avessero avuto quel minuto lì ve l’avrebbero raccontato anche loro che il mare, il mare non uccide. Uccide trascinarsi per il deserto come una mandria zoppa in balìa di pastori a forma di soldati; uccide farsi porto a forza di pregarne uno e provare a farsi legno per non bollire di sole e sale; uccide nascere dalla parte sbagliata del mondo, come una mela che casca dalla parte del dirupo; uccide l’indifferenza. Sì, l’indifferenza uccide, eccome se uccide. Ci sono più morti di indifferenza della somma di tutte le guerre mondiali, anche delle guerre dei tempi passati. Solo che i morti di indifferenza muoiono che non se ne accorge nessuno. Si spengono come lampadine di una strada deserta in cui non passa nessuno.
Il vicolo deserto in cui non passa nessuno, trattato come un sacco dell’umido da chiudere stretto senza nemmeno guardarci dentro, per non rovinarsi l’appetito, è la Libia di cui tutti parlano e nessuno legge, la Libia che è diventata la discarica dei nostri errori e dei nostri orrori. E invece lì dentro ci sono storie che vanno prese a piene mani e portate in giro. Con pazienza, cura. Come quando si cambia una lampadina, appunto.

(dal mio spettacolo “A casa loro”, scritto insieme a Nello Scavo, che è uno spettacolo teatrale ma forse sarebbe il caso che fosse un bigino da tenersi in tasca durante questa brutta campagna elettorale. Buon venerdì:)