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Vi si è bucato il luna park

Quello che avviene a Venezia ha dei responsabili, nomi e cognomi. No, non è l’acqua, no. L’acqua fa l’acqua come avviene da sempre e come continuerà ad avvenire. Dare la colpa all’acqua per l’allagamento di una città che galleggia sul mare significa voler giocare al dito e la luna. Un gioco penoso, irresponsabile, pericoloso e che erode Venezia. E mica solo Venezia. Venezia sott’acqua porta la firma del Mose. Di tutti quelli che l’hanno usato come cuscino per nascondere tangenti che poi hanno esportato in giro. Galan (sì, sì,  Galan e i suoi amici leghisti) le sue mazzette le ha esportate allegramente in Montenegro. C’è una sentenza. Ma a Venezia le sentenze non galleggiano, vanno in fondo alla memoria.

Il Mose è costato 7 miliardi di euro. 7 miliardi di euro per costruire un’opera che il cambiamento climatico renderà ogni mese più inutile. 7 miliardi di euro che sarebbero serviti per occuparsi di una manutenzione ordinaria che continua a mancare. Nomi e cognomi: sul Mose non è difficile, basta tornare al governo Berlusconi che lo pensò e basta vedere chi oggi ancora lo invoca (sindaco e presidente di Regione in testa). Venezia sott’acqua porta la firma di tutti quelli che l’hanno abusata come luna park. Sono quelli che pensano a canali più grandi per permettere il passaggio di navi ancora più grandi. Sono quelli che la trattano come se fosse un parco divertimenti che hanno trovato già pronto: per loro non è una città, bellissima e fragile, no, Venezia è una slot machine da fare ingrassare. Nomi e cognomi.

Venezia sott’acqua porta la firma di tutti quelli che negano i cambiamenti climatici. Sono gli stessi che deridono Greta e che pensano che il clima sia un problema sempre degli altri. Sono quelli che adorano la produttività a tutti i costi e se ne fottono se la produttività erode le fondamenta e la vivibilità dei posti in cui vivono. Quelli, di solito, pensano comunque di potersi comprare i posti più alti se si allaga o si asciuga tutta là in basso. Venezia sott’acqua porta la firma di chi considera il patrimonio artistico qualcosa di eterno e si illude di non doversene prendere cura. Sono gli stessi che in piazza San Marco ci vedono i ristoranti o gi hotel che si potrebbero aprire, dove si potrebbe investire. Una generazione che ha ricevuto in eredità un inestimabile valore in arte e cultura e che non sente il dovere di preservarlo e prendersene cura. Cari, vi si è bucato il luna park. Ma scommetto che già ci vedete il sequel di Atlantide, nevvero?

Buon giovedì.

L’articolo Vi si è bucato il luna park proviene da Left.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2019/11/14/vi-si-e-bucato-il-luna-park/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Sì, lo voglio

Lui avrà avuto forse trent’anni, quasi quaranta, sicuramente non più di quarantacinque. Portati male, comunque. Di troppo o troppo poco.

Stavano a Roma in un ristorante troppo imbucato per non essere scientificamente un ristorante costruito apposta con quella forma lì per inghiottirsi tutti i viaggiatori con una predisposizione all’imbuco. Tavolini fuori, sì, ma con siepi altissime, come un cubo di edera. Camerieri riservati da sembrare timidi da almeno un paio di secoli. Nessun orario di apertura o chiusura: se apri un ristorante così introvabile soffri l’orario dei mondi paralleli, degli alieni per salvarsi, dei non-luoghi senza bisogno di aerei o centri commerciali. Insomma un ristorante che esiste solo se si incrociano perfettamente gli appuntamenti: luogo, ora, imprevisti e tutto quel cumulo delle probabilità.

Lei deve essere stata accondiscendente tutto il pranzo. Lo scalino più irto era stata la scelta del vino. Cosa da poco. Hanno finto di metterci la testa per quell’abitudine alle complicazioni come una malattia.

Poi lei deve avere fatto una di quelle domande definitive. Perché lui si è guardato in giro. Per sbaglio ha incrociato anche uno dei riservatissimi camerieri dalla riservatissima postura. Che per poco non ha rischiato il lavoro per quell’errore di mira di sguardi.

Poi si è bloccato. Ha pagato il conto come se dovesse morire ogni secondo e lasciare le cose a posto. Lei ha sorriso prima. Poi si è indispettita. E alla fine si è alzata mentre il rumore di elettrocardiogramma sputava lo scontrino. Dietro l’angolo della strada si sono incrociati di nuovo. Ciechi a tutti. Un sciogliersi di ombre a forma di macchia sul marciapiede per quel sole così matematicamente verticale.

Sono giovani, mi ha detto un carabiniere. Non hanno ancora imparato a non pensare al domani. Un ‘sì, lo voglio’ come il rosario prima di andare a dormire.