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Perché von der Leyen ha incontrato Erdoğan, esecutore materiale della folle politica europea

Fa ancora discutere la sedia non concessa alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen mentre il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel invece si godeva il suo posto d’onore con il sultano turco Recep Tayyip Erdoğan. Quello sgarbo è stata anche l’occasione di ricordare al mondo come il leader turco stia progressivamente fiaccando i diritti delle donne nel suo Paese, partendo da quel 2016 in cui disse che le donne fossero “da considerarsi prima di tutto delle madri”, relegandole al loro medievale scopo riproduttivo e poi fino ai giorni scorsi in cui il suo governo ha annunciato tronfio il ritiro dalla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

In Turchia tra l’altro si contano in media circa due femminicidi al giorno e le donne, complice anche la pandemia, hanno sempre minor accesso al mondo del lavoro e alla politica. Insomma, quello sgarbo ha radici profonde e ben venga quella sedia che è mancata per ricordarcelo. Nella discussione generale però sembra scomparso il motivo per cui l’Ue ha scelto di incontrare Erdoğan e il fatto non è secondario perché il sultano turco evidentemente può permettersi certi atteggiamenti, forte del suo ruolo internazionale. Allora bisognerebbe avere il coraggio di dirlo, di scriverlo che Erdoğan altro non è che l’esecutore materiale della folle politica europea che ha delegato alla Turchia l’esternalizzazione delle frontiere europee per controllare il flusso migratorio in modi anche poco leciti.

Nel 2016, in piena crisi migratoria, Bruxelles, su spinta soprattutto della Germania, ha firmato un accordo che garantiva 6 miliardi di euro alla Turchia per trattenere i migranti nei propri confini (si stima che siano almeno 4 milioni di persone) e grazie a quell’accordo tutti i migranti irregolari che arrivavano sulle isole greche attraverso il confine turco sono stati riportati in Turchia. Quei soldi hanno lo stesso odore di quelli che arrivano alla cosiddetta Guardia costiera libica (sì, proprio quella che Draghi ha blandito pochi giorni fa) per fare da tappo in Africa. Soldi che rendono ancora più forti governi che non hanno nulla di democratico e che non hanno nulla da spartire con i valori europei eppure tornano utili per essere i sicari dell’Unione europea. C’è qualcosa di più di quella sedia che manca. Giusto un anno fa, a marzo del 2020, Erdoğan ha ricattato l’Europa sulla gestione dei flussi per alcune partite geopolitiche come quella siriana e per reclamare altri soldi.

La Grecia aveva denunciato la Turchia di “spingere” verso la sua frontiera i migranti e alla fine l’Ue per garantire la propria “fortezza” ha deciso di continuare a foraggiare la Turchia: la presidente garantisce «la continuità dei fondi. E se la Turchia rispetta gli impegni, previene le partenze, prevede i rientri dalla Grecia, i fondi Ue garantiranno ancor più opportunità», dice la nota ufficiale. Del resto già a settembre Bruxelles aveva inserito un passaggio significativo nella sua proposta su asilo e immigrazione scrivendo nero su bianco che lo stanziamento di fondi alla Turchia «continua a rispondere a bisogni essenziali. Essenziale sarà perciò che l’Ue dia alla Turchia un sostegno finanziario continuativo». Su quella stessa linea si è assestato anche Mario Draghi che fin dal suo primo discorso pubblico a febbraio disse che gli accordi per esternalizzare le frontiere (che tradotto significa pagare anche Erdoğan) erano fondamentali per controllare l’immigrazione.

Da tempo diverse organizzazioni umanitarie, tra cui anche Amnesty International, giudicano la politica europea sulle frontiere disumana oltre che totalmente fallimentare eppure nessuno è mai riuscito a mettere in discussione questo modello che si annuncia valido anche per il futuro. Ad Ankara l’Ue ha manifestato anzi la volontà di rafforzare i legami economici con la Turchia, ha concesso la revisione del sistema di visti in ingresso nell’Ue e un’unione doganale per favorire il passaggio delle merci. Quando a von der Leyen è stato chiesto dei diritti calpestati in Turchia la presidente ha risposto: «I diritti umani non sono negoziabili. Vorremmo che la Turchia rivedesse la decisione di uscire dalla convenzione di Istanbul e che rispettasse i diritti umani». Insomma, siamo alle raccomandazioni per quanto riguarda il rispetto dei diritti e ai soldi fumanti invece per contenere i disperati. Forse se Erdoğan fa il bullo non è solo colpa sua.

L’articolo Perché von der Leyen ha incontrato Erdoğan, esecutore materiale della folle politica europea proviene da Il Riformista.

Fonte

Liliana Segre è una farfalla appoggiata sul filo spinato

(Ho avuto l’onore di scrivere la prefazione di un libro di Liliana Segre, “Scegliete sempre la vita – La mia storia raccontata ai ragazzi”, Edizioni Casagrande, e oggi ho pensato che forse fosse il caso di appoggiarne l’inizio qui, perché Liliana Segre è una persona che dobbiamo coltivare con cura, perché ieri ha festeggiato il suo compleanno sotto scorta e perché la memoria è un muscolo che va allenato con cura)

Liliana Segre è una farfalla appoggiata sul filo spinato e per questo è preziosa, è un fiore da preservare con cura e dovrebbe essere un gioiello non solo per i contenuti ma anche per i modi, per la visione d’insieme e per l’insegnamento di “cura del nostro tempo” che da anni impartisce in mezzo ai ragazzi. È anche un personaggio pubblico profondamente normale che ci costringe a riflettere sul ruolo dei testimoni in un tempo in cui tutto si fa spettacolo, tutto diventa tifo organizzato e tutto viene smisuratamente impugnato come clava per diventare arma bianca contro l’avversario politico di turno. Leggendo queste sue parole ai ragazzi, parole talmente lucide e misurate da sembrare un testo scritto recitato a memoria e non il contrario, ci si accorge di un’ecologia lessicale oltre che intellettuale a cui siamo completamente disabituati e che è il modus da cui ripartire per fronteggiare lo sbiadimento di un periodo storico che non ha a che vedere solo con il passato ma è l’antidoto a un presente che si ripresenta con altre facce, con un’alta capacità di simulazione e con punte ammorbidite degli stessi becchi che hanno portato una bambina, che era Liliana ma erano milioni di persone allo stesso modo, ad essere colpevole di essere nata.

Ciò che colpisce, innanzitutto, di Liliana Segre è la delicatezza che non si è fatta inquinare da ciò che ha vissuto: è la sua lezione più grande, quella che sarebbe da smontare per osservarne i meccanismi e i bulloni e capire come sia possibile rimanere ferocemente umani in questo tempo in cui riflettere sulla sentimentalità della vita (ovvero di come la vita sia spesso una questione di pressioni che la Storia sembra volere mettere nel cassetto delle cose passate e concluse) viene considerato un segno di debolezza. Liliana Segre è la prova vivente che ci sono purezze di sguardo e saldezza di valori (che ultimamente vengono chiamati in senso dispregiativo “buonismo”) che riescono ancora a essere le fondamenta su cui costruire uno sguardo diverso del presente e del futuro. Lei bambina, lei separata dal padre, la sua speranza di fuga che si infrange contro i calcoli sbagliati di chi sperava di salvarsi sono la metafora di un mondo in cui il “diritto a salvarsi” sembra ormai essere solo una concessione da dare a determinate categorie umane come se non esistesse un’unica razza umana.

Buon venerdì.

*-*

Per approfondire:

Liliana Segre, il futuro della memoria, Left dell’11 settembre 2020

La forza di Liliana Segre, Left del 15 novembre 2019

Liliana for President, Left del 7 giugno 2019

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La questione immorale

Salvini che nega la pericolosità del Covid e sdogana idee mostruose e lesive contro i migranti. Meloni e la collusione di dirigenti di Fratelli d’Italia con la criminalità organizzata. Il trasformismo del M5s e il Pd che non mantiene le promesse. Nei partiti più grandi c’è un grave problema di etica, di coerenza e di senso civico

Ma come siamo messi con la questione morale in Italia in questo momento? Meglio: cosa ci dicono i partiti italiani, come svolgono il loro ruolo propedeutico e pedagogico, come era pensato nella politica alta, quella che si prometteva di essere anche un esempio oltre che semplicemente un mezzo di governo. Come siamo messi con l’etica degli organi di rappresentanza, quelli che dovrebbero convincerci a essere migliori, a seguire le regole, a rispettarle, a chiederne la modifica se non risultano abbastanza contemporanee e rappresentative… Siamo messi male, malissimo. E siamo messi male dappertutto, a destra, a sinistra e anche nel famoso terzo polo che era quello che nelle intenzioni avrebbe dovuto spaccare tutto e invece ora come una pianta rampicante si è attaccato ai posti di comando e sembra disposto perfino a rinnegarsi pur di lasciare attaccati alcuni dei suoi. È immorale Matteo Salvini, certo, ne abbiamo parlato spesso su queste nostre pagine e non finiremo di parlarne. È immorale perfino venirci a dire che dovremmo smettere, che attaccarlo di continuo fa il suo gioco: se per un trucco di propaganda fingiamo di non vedere l’orrore che ci circonda sperando che sparisca significa che anche noi ci sdraiamo sulla strategia piuttosto che sull’etica.

L’immoralità di Salvini è un marchio di fabbrica, ce n’è una parte addirittura esibita come se fosse qualcosa di cui andare fieri. Guardate per esempio la sua ultima foto mentre visita un caseificio nel suo lungo tour da food blogger: non ha mascherina, non ha guanti, si butta su una forma di formaggio come un topo, i proprietari dell’azienda lo guardano compiaciuto e probabilmente godono nel pensare alla visibilità inaspettata che potranno avere. Là dentro c’è tutto: l’atteggiamento è quello di chi dice “me ne fotto delle regole perché sono un bullo, voi votate un bullo perché così vi sentite protetti e io raccatto i vostri voti di servi che hanno bisogno di eleggere un padrone”. Messa così sarebbe anche abbastanza ridicola se non fosse che l’immoralità della Lega, quella che Salvini invece non vuole farci vedere e di cui non vuole che si parli, sta tutta nella gestione economica rapace dei fondi pubblici di partito (c’è una condanna, definitiva, che sembra non avere colpevoli), l’immoralità della Lega è nell’avere slacciato le…

L’articolo prosegue su Left del 21-27 agosto 2020

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Un bullo di quartiere al citofono

Oggi di buongiorno tocca farne due perché l’ex ministro dell’Interno Salvini, probabilmente obnubilato dal digiuno, è riuscito a toccare il fondo ancora più in fondo del solito superando ogni potabile decenza mentre suonava al citofono di un privato cittadino colpevole, secondo le voci di quartiere, di essere uno spacciatore.

Un processo sommario e per direttissima in cui l’uomo dei pieni poteri si è attaccato al citofono come un venditore di scope elettriche accompagnato da una selva di telecamere e giornalisti plaudenti.

Qualche considerazione, veloce veloce: quanta vigliaccheria ci può essere nell’accusare in diretta di fronte a milioni di persone un uomo, dando nome e cognome, per sentito dire, accompagnato dalla scorta senza la quale Salvini non ha nemmeno il coraggio di lavarsi i denti (cit. il premio Campiello Andrea Tarabbia)?

Perché Salvini si attacca alla gola solo dei disperati e non citofona mai a un ‘ndranghetista (ce ne sono migliaia con sentenze passate in giudicato senza bisogno delle voci del condominio) chiedendogli «scusi lei è un mafioso?»

Perché Salvini non citofona ai poteri forti davvero forti come una multinazionale qualsiasi che devasta la nostra economia chiedendo «scusi, lei è un evasore?»

Perché Salvini teme i suoi processi, si inventa nuovo Silvio Pellico, e intanto sputa addosso agli altri addirittura le sentenze?

Perché le forze dell’ordine si prestano a insozzare la divisa seguendolo nelle sue scorribande?

Perché i giornalisti non si rendono conto che tutto questo orrore è ingrassato dalla nostra indignazione ma è tenuto in vita dal loro servilismo? Perché nessun giornalista ha messo Salvini di fronte alla brutalità del suo gesto piuttosto che farne la corte?

E soprattutto perché Salvini se la prende solo con i disperati, meglio se stranieri?

Perché quella è la sua dimensione, solo quella: il pubblico ubriaco di cattivismo, le telecamere, il condominio. La sua dimensione è quella del bulletto di periferia. Che vorrebbe essere Presidente del Consiglio.

Buon mercoledì. Ancora.

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Mentre quelli trattano, Salvini continua a fare il bullo coi deboli. E i 5 Stelle sono complici


Toninelli e Tra controfirmano l’ordine di Salvini di tenere lontano dalle acque territoriali italiane. Come giustamente twitta il dem Pierfrancesco Majorino: «Ma i ministri #5stelle che ostacolano le #ong e i soccorsi son quelli per cui e con cui dobbiamo fare l’accordo di governo? O fan così finchè stanno con #Salvini e poi cambiano musica? E #Conte?».
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Salvini chiaccherone e bullo: ora tocca alla Raggi


La pancia onnivora del salvinismo non è disposta a risparmiare nessuno tranne che se stesso ed è proprio questo che lo indica come il politico più inaffidabile di questi ultimi anni: questo suo essere disposto a tutto indica chiaramente che chiunque potrebbe essere la sua vittima di turno e che non esiste nessun patto e nessun contratto che possa limitarlo.
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Salva tutti dal terrorista e poi incontra un bullo

«Ciao, Giulio. Giorni fa io ed una collega abbiamo introdotto, in una terza elementare, l’argomento “bullismo”. Misurando parole, respiri e gestualità, abbiamo cercato di spiegare come si riconosce un bullo, come lo si affronta, cosa si deve fare dinanzi ad un atto di prevaricazione, anche solo verbale. E, come noi, migliaia di altri insegnanti, educatori, tutti professionisti che si dedicano, anima e corpo, ad istruire le nuove generazioni. E a proteggerle. Poi arriva lui e vanifica tutto. Sono davvero avvilito, quand’è che ci siamo ridotti così male? Perdona lo sfogo, un grande abbraccio e grazie per le tue idee».

Mi scrive su Facebook un’insegnante linkandomi l’ultima grande azione di forza del ministro dell’Interno Salvini che in risposta alla legittima opinione di Ramy (il giovane “eroe” che ha contribuito alla liberazione dei suoi compagni dal dirottatore del bus a San Donato Milanese) ha pensato bene di rispondere con un atto di bullismo degno di quelli che bucano il pallone per non fare giocare i più piccoli.

È colpevole, Ramy, come qualche milione di italiani, perché dovrebbe ottenere la cittadinanza premio lui e non i suoi amici che sono nella stessa situazione. Il giovane chiede, in pratica, che venga finalmente riconosciuto lo ius soli che il centrosinistra ha pensato bene di farsi scappare quando si trovava al governo. E cosa fa Salvini? Risponde dicendo «si faccia eleggere e potrà cambiare legge» come se avesse a che fare con un adulto e non con un ragazzino scioccato da un matto che voleva dargli fuoco.

C’è dentro tutto: l’ironia nera, la macabra mancanza di consapevolezza di avere a che fare con una persona evidentemente più fragile di un ministro dell’Interno e di esporlo alla carneficina dei commenti social. E, soprattutto, c’è una risposta che, con la solita immaturità del ministro, risponde scaricando sugli altri: non dice “non sono d’accordo e non farò questa legge” ma gioca di sponda con chi ha davanti.

Insomma, uno schifo. Bullismo. Appunto.

Buon lunedì.

L’articolo Salva tutti dal terrorista e poi incontra un bullo proviene da Left.

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Salva tutti dal matto e poi incontra un bullo

C’è dentro tutto: l’ironia nera, la macabra mancanza di consapevolezza di avere a che fare con una persona evidentemente più fragile di un ministro dell’interno e di esporlo alla carneficina dei commenti social. E, soprattutto, c’è una risposta che, con la solita immaturità del ministro, risponde scaricando sugli altri: non dice “non sono d’accordo e non farò questa legge” ma gioca di sponda con chi ha davanti.

Insomma, uno schifo. Bullismo. Appunto.