Vai al contenuto

campagna elettorale

Il metodo Goebbels applicato alla campagna elettorale

(via Alberto)

Sia chiaro, nulla di cui scandalizzarsi: è la politica, una cosa sporca e cinica in cui ognuno deve fare l’interesse proprio e della propria parte. L’importante però è cercare di non cascarci.

1. Principio della semplificazione e del nemico unico.
E’ necessario adottare una sola idea, un unico simbolo. E, soprattutto, identificare l’avversario in un nemico, nell’unico responsabile di tutti i mali.

2. Principio del metodo del contagio.
Riunire diversi avversari in una sola categoria o in un solo individuo.

3. Principio della trasposizione.
Caricare sull’avversario i propri errori e difetti, rispondendo all’attacco con l’attacco. Se non puoi negare le cattive notizie, inventane di nuove per distrarre.

4. Principio dell’esagerazione e del travisamento.
Trasformare qualunque aneddoto, per piccolo che sia, in minaccia grave.

5. Principio della volgarizzazione.
Tutta la propaganda deve essere popolare, adattando il suo livello al meno intelligente degli individui ai quali va diretta. Quanto più è grande la massa da convincere, più piccolo deve essere lo sforzo mentale da realizzare. La capacità ricettiva delle masse è limitata e la loro comprensione media scarsa, così come la loro memoria.

6. Principio di orchestrazione.
La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentarle sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sempre sullo stesso concetto. Senza dubbi o incertezze. Da qui proviene anche la frase: “Una menzogna ripetuta all’infinito diventa la verità”.

7. Principio del continuo rinnovamento.
Occorre emettere costantemente informazioni e argomenti nuovi (anche non strettamente pertinenti) a un tale ritmo che, quando l’avversario risponda, il pubblico sia già interessato ad altre cose. Le risposte dell’avversario non devono mai avere la possibilità di fermare il livello crescente delle accuse.

8. Principio della verosimiglianza.
Costruire argomenti fittizi a partire da fonti diverse, attraverso i cosiddetti palloni sonda, o attraverso informazioni frammentarie.

9. Principio del silenziamento.
Passare sotto silenzio le domande sulle quali non ci sono argomenti e dissimulare le notizie che favoriscono l’avversario.

10. Principio della trasfusione.
Come regola generale, la propaganda opera sempre a partire da un substrato precedente, si tratti di una mitologia nazionale o un complesso di odi e pregiudizi tradizionali. Si tratta di diffondere argomenti che possano mettere le radici in atteggiamenti primitivi.

11. Principio dell’unanimità.
Portare la gente a credere che le opinioni espresse siano condivise da tutti, creando una falsa impressione di unanimità.

 

Elezioni 2018. Tre risposte a “Il Salto”

(fonte)

Elezioni 2018. Tre domande a… Giulio Cavalli, candidato con Liberi e uguali

«Per brevità chiamato artista», dice di sé. Giulio Cavalli in questi anni lo abbiamo letto e apprezzato sui palcoscenici di molti teatri. Alle prossime elezioni del 4 marzo è candidato alla Camera dei deputati al collegio di Monza-Brianza, come indipendente per Liberi e uguali, in quota “società civile”. Non è alla sua prima esperienza elettorale, è già stato consigliere regionale in Lombardia nel 2010, eletto con la lista di Italia dei valori e poi passato a Sel. Il suo collegio non ha un “big” da sfidare ma un intero sistema. «Un collegio in cui il centrodestra ha tradito più di tutti la retorica dell’essere anti mafioso», dice Giulio. «È il collegio in cui, tra Lega e Forza Italia, il big che ho contro è la criminalità organizzata o addirittura il fascismo».

Verso il 4 marzo faremo “Tre domande a…” candidate e candidati, cercheremo di tirar fuori qualcosa di buono e utile dall’ennesima peggiore campagna elettorale di sempre. Le tre domande del Salto a Giulio Cavalli.

Riunioni a porte chiuse, assemblee, parlamentarie… Qualunque lettrice o lettore ti chiederebbe: com’è stata decisa la tua candidatura?
Per competenza e non per appartenenza. Di preciso, per le competenze in materia di criminalità organizzata, il collegio in cui sono candidato è una delle zone della Lombardia con la più alta densità ‘ndranghetista. Uno dei Comuni nel mio collegio è stato sciolto per mafia.

Nella vita scrivi e reciti. Perché hai accettato di candidarti?
Perché scrivere è un atto politico, e perché continuo a credere che gli editoriali scalfiscono molto poco – soprattutto in questo momento – una politica autoreferenziale. Perciò, un editorialista che riesce a tenere l’essere appuntito all’interno di una lista può far bene. Soprattutto perché, se ci pensi, a sinistra manca l’educazione all’autocritica. Probabilmente qualcuno pensa che candidare i giornalisti sia il modo migliore per smussarli… nel caso in cui l’avessero pensato di me approfitto per dire loro che non è così.

Se fossi un ministro ombra di Liberi e uguali, quale saresti e perché?
Il ministro alla solidarietà. È una parola che sembra improvvisamente diventata fuori moda, un Paese solidale è anche un Paese pronto a punire e fermare duramente le ingiustizie. Essere solidali non significa essere morbidi. Ma se devo dire la verità mi piacerebbe anche l’idea di un ministro all’antifascismo, e mi auguro che Liberi e uguali insieme a Potere al popolo possano essere i baluardi dell’antifascismo in questo Paese. Perché non si può essere moderatamente antifascisti, o lo si è o si è inequivocabilmente amici dei fascisti.

Una brigata di talenti e intelligenze verso #giornimigliori (e, ancora, sulla “sinistra unita”)

E ora? Assisto a scene indimenticabili. E ora? mi chiede qualcuno, altri me lo scrivono. E ora? Ora ci si arrampica sulla cima più bella e ossigenata della politica: il programma. Che, se ci pensate bene, il programma è andato fuori moda in contemporanea all’abitudine dell’uomo solo al comando. Si vota Grillo, si vota Renzi, si vota la Meloni, si vota Silvio; provate a sperimentare quanta gente conosce il nome del partito che rappresentano e rimarrete esterrefatti. Il programma invece va letto e soprattutto va scritto. E rimane. Nessuna delega in bianco all’uomo della provvidenza: è lo streaming definitivo, il programma politico.

E quindi a chi mi chiede “e ora?” posso raccontare cosa ci siamo messi in testa di fare noi che alla provvidenza ci crediamo davvero poco ma che siamo convinti che sia arrivato il tempo di prendere il biglietto verso #giornimigliori. Come abbiamo scritto qui:

«Scriverlo, sembra banale, ma i programmi di governo, con i numeri a fianco, non li scrive più nessuno. Sono riusciti a fare addirittura tre governi in una sola legislatura, senza esplicitare se non a grandi linee (e a larghe intese) cosa avrebbero fatto e come. Anche Gentiloni non si sottrae alla regola, in un racconto fumoso, in cui in tono gentile si dicono le stesse cose che prima si dicevano in tono monumentale.

Invece, come diceva quella canzone, «bisogna solo scrivere e lottare».

Possibile prosegue il proprio lavoro, alla ricerca del testo più preciso e condiviso possibile, appunto.

Lo farà a partire da un’anagrafe delle competenze, a cui potete partecipare immediatamente, segnalandoci la vostra qualifica (non solo il titolo di studio, ciò che avete imparato a fare) e segnalando soprattutto la vostra disponibilità a partecipare al nostro progetto

Una ricognizione di talenti e di intelligenze. Ecco. Una cosa così. E basta andare qui per rendersi disponibili.

E poi c’è la questione della sinistra unita. Insieme a quelli che chiedono “e ora?” ci sono quelli che insistono con il “con chi?”. Tra l’altro l’inverno sembra promettere un’ondata di convegnite senza pari (ne scrive Paolo qui). Lo continuiamo a dire (qui, qui, solo per fare un esempio): ci si allea con chi condivide la stessa idea di Paese possibile. Mi pare così semplice. E la nostra idea di Paese possibile è incompatibile con gli atti di questo governo (sul lavoro, sulla scuola, sulle disuguaglianze) e con chi aspira a esserne la stampella a sinistra. Questione di scelte: c’è chi (con tutto il nostro rispetto, eh) cerca di cambiare il PD e chi cerca di cambiare il Paese: in questo momento ci sono processi politici, anche a sinistra, che stanno sciogliendo questo nodo. E noi non abbiamo tempo di aspettare. È chiaro così?

#Left cosa ci abbiamo messo dentro

Schermata-04-2457508-alle-12.37.48

Left è in edicola. Il sommario del numero è qui.

Io mi sono occupato di Milano, di Beppe Sala, di Parisi e di Basilio Rizzo. Qui l’incipit del mio pezzo:

«L’ultimo inciampo è accaduto in zona Giambellino-Lorenteggio, periferia milanese da sempre serbatoio di voti del Pd. Beppe Sala è arrivato indossando la sua maschera da campagna elettorale, sorriso responsabile gigioneggiando disponibilità, alla Casetta Verde, sede del comitato di quartiere, pronto a tessere la solita rete di promesse per le periferie. Mentre si intratteneva con una storica abitante del luogo è stato contestato da un gruppo di residenti. Meglio: secondo lo staff di Sala si sarebbe trattato di “antagonisti organizzati” mentre loro, i contestatori, dichiarano di essere «semplicemente cittadini della zona che non dimenticano gli sgomberi e le politiche sulle periferie, oltre al bilancio di Expo che non arriverà prima delle elezioni».

Comunque le accuse devono aver colto nel segno se è vero che Sala sarebbe stato “cinturato” dai suoi collaboratori per evitare lo scontro fisico ed è stato necessario l’intervento della polizia. «Ci piace pensarti così, di corsa che scappi da chi non si fa prendere in giro e oggi ti ha sputato la verità in faccia»: hanno scritto sui social alcuni esponenti del Comitato abitanti Giambellino-Lorenteggio.
Mister Expo che perde le staffe, comunque, è il sintomo di una campagna elettorale che vede contrapposti per la corsa alla poltrona da sindaco due manager – Beppe Sala per il centrosinistra e Stefano Parisi per il centrodestra – che sembrano poco avvezzi a una campagna elettorale che non si vincerà certo con le strette di mano o con l’altisonanza dei curricula.
I milanesi puntano sulla concretezza delle risposte chiare alle domande precise, nessun fumo, e se Beppe Sala ha pensato che bastasse la retorica di “Expo = grande successo” e la benedizione di Renzi per navigare tranquillamente verso la poltrona di Palazzo Marino, oggi si deve ricredere e cercare un cambio di passo. «Serve un Beppe più umano…», si ripete tra i suoi, «meno distante», e così la strategia del “manager vincente” oggi sembra avere esaurito la forza propulsiva.
Dall’altra parte, Stefano Parisi intanto guadagna punti e sorriso: secondo un sondaggio dell’Huffington Post avrebbe recuperato il gap iniziale e risulterebbe addirittura vittorioso al ballottaggio contro Sala. “I due candidati clone”, li chiamano i detrattori: anche Parisi, infatti, come Sala, viene dal mondo degli affari e della burocrazia senza “esperienza di partito”, eppure, se è vero che Sala è stato city manager di Milano con Letizia Moratti sindaco (così come Parisi lo fu con Gabriele Albertini prima di lui), il candidato del centrodestra ha una lunga frequentazione con la politica: a 28 anni era già consigliere del ministro del Lavoro socialista Gianni De Michelis (erano gli anni della “scala mobile”) che ha poi seguito agli Esteri. Siamo negli anni 80, nel pieno fulgore del craxismo in italia. Negli anni 90 invece, mentre tutto intorno crolla, Parisi avanza fino a Palazzo Chigi: capo del dipartimento Economia del premier Amato e poi del presidente del Consiglio “tecnico” Carlo Azeglio Ciampi: arriva Silvio Berlusconi e lui, il camaleonte Parisi, è sempre lì; poi arriva Prodi (e il governo dell’Ulivo) e Parisi rimane inamovibile. Solo nel 1997 approdò a Milano a seguito dell’allora sindaco Albertini, per diventare poi direttore generale della Confindustria con il presidente Antonio D’Amato. Una vita più di scontri che di mediazioni: a Milano aveva rotto con la Cgil sul patto del lavoro e fu uno dei collaboratori del giuslavorista Marco Biagi completandone il lavoro dopo l’omicidio: mentre Cofferati portava il sindacato in piazza, Parisi dialogava con Berlusconi e Maroni per inseguire tutt’altro modello economico. Ed è lì probabilmente che è scoccata la scintilla che ha convinto Berlusconi (ma anche Salvini) a puntare su di lui per la corsa a sindaco. Candidato di un centrodestra che, qui a Milano, è ben distante dal complicato scenario nazionale se è vero che alla presentazione della sua candidatura il parterre era composto da Salvini, l’ex ministro Lupi passando per La Russa e Gelmini: roba da fantascienza, in Parlamento.»

Il resto in edicola o in digitale qui.

Se vedete scorrere troppi soldi fatevi delle domande prima che se le facciano i magistrati

Cristiana Alicata sul suo blog centra il punto su politica e soldi in modo semplice semplice. Come ci sarebbe bisogno di fare molto più spesso:

La pratica dei manifesti abusivi (ci chiedevamo dove arrivavano tutti questi soldi e ci lamentavamo dei lavoratori migranti in nero usati per attaccarli ovunque), le primarie cammellate messe più volte a verbale e molto prima delle primarie per il sindaco di Roma, le tessere false, le immense cene, le campagne elettorali costosissime, inaffrontabili da un normale cittadino, le volte che in alcuni comuni alle primarie votava più gente dei votanti al PD e, in ultimo, tutti quegli eletti (tanti) che non pagavano contributi ai partiti rendendo il partito e i suoi dipendenti deboli, troppo deboli rispetto ai comitati elettorali.

Tutto quello che sta accadendo sta intaccando tantissimo la città e i suoi cittadini in termini sociali prima che politici.

E’ un autentico disastro, anche culturale, perché sta gettando fango su tutti, anche sugli innocenti accusati di non avere vigilato a sufficienza o di non avere gridato abbastanza forte. Roma ci metterà anni per riprendersi da quello che sta accadendo e i prossimi anni saranno difficilissimi. Roma è una città dove non esiste più la fiducia, completamente rasa al suolo.

Io però questo lo devo dire a tutti. Non ai militanti del PD, ma a tutti i cittadini che militano in un partito da Canicattì a Bolzano: se vedete scorrere troppi soldi fatevi delle domande prima che se le facciano i magistrati.

Esultare un po’ meno per il nuovo 416 ter contro il voto di scambio mafioso

Sento tutto intorno un certo fremito vittorioso per il nuovo testo sul voto di scambio politico mafioso. E’ vero che in questi anni tutti abbiamo contestato la vecchia norma del 1992 che prevedeva lo scambio di denaro per configurare il reato; consapevoli che difficilmente un politico offre denaro liquido per acquistare pacchetti di voti dalla criminalità organizzata quanto piuttosto una serie di regalìe attraverso appalti e consulenze (rimane la storica prestazione dell’Assessore della Regione Lombardia Zambetti che invece stabilì un prezzo per ogni voto, incapace com’era anche di fare il paramafioso oltre che il buon politico).

Il superamento del solo elemento del denaro (in cambio dell’erogazione di denaro o di altra utilità, nel nuovo articolo di legge) è sicuramente un grande passo avanti ma lascerei perdere, per ora, le grandi manifestazioni di giubilo.

Hanno ragione i magistrati che si soffermano sull’avverbio “consapevolmente”:

Il perché è presto detto. Quel “consapevolmente” comporta che l’inchiesta giudiziaria debba dimostrare l’effettiva “consapevolezza” dello scambio. La parola “procacciare” sostituisce l’originaria “promessa” che rendeva assai meglio il momento iniziale dello scambio. Critico anche il riferimento alle modalità del 416-bis perché ciò comporta un’azione violenta che potrebbe non esserci. Infine la pena, quei 10 anni anziché i 12 del 416-bis, col rischio che processi in corso per reati associativi – come Cosentino, Ferraro e Fabozzi a Napoli – vedano gli avvocati chiedere la riqualificazione del reato con un ricasco negativo sulla prescrizione.

Ha ragione Roberto Saviano quando dice:

I boss non fanno mai (tranne in rarissimi casi) campagna elettorale in prima persona, ed è quasi impossibile dimostrare che un elettore si è venduto il voto o ha votato sotto pressione. I clan sanno benissimo che dimostrare un voto comprato, condizionato, scambiato è impresa quasi impossibile per gli inquirenti, i quali invece, grazie alle intercettazioni e alle dichiarazioni dei pentiti, spesso riescono a provare che un patto è stato realmente stipulato tra boss e politico. E questo è il punto attorno a cui deve fondarsi una norma antimafia sullo scambio dei voti.

E trovo giusta la speranza (o l’ammonimento, forse) di Raffaele Cantone:

Siccome si è  atteso oltre vent’anni per modificare la norma – ed è difficile che una legge approvata possa poi essere di nuovo a breve modificata – quello che tutti auspichiamo è che non un qualsiasi nuovo testo dell’art. 416 ter sia varato ma che quello che sarà scelto sia davvero in grado di bloccare il turpe mercato del voto mafioso.

Io esulterei un po’ meno, in modo più composto per un’opportunità che andrebbe colta. Mica moderata.

Dove sono i voti degli italiani

Come saranno le campagne elettorali del futuro, nel lavoro di Dino Amenduni:

In questa analisi proviamo a fare un passo ulteriore e a provare a immaginare le campagne elettorali del futuro prossimo alla luce di alcuni dati che emergono dalla ricerca e che ridefiniscono alcune regole della comunicazione politica.

In particolare:

– i quotidiani hanno perso due milioni di copie vendute a livello nazionale negli ultimi 12 anni (-34.3%);
– Facebook è usato dal 41.3% della popolazione italiana, Twitter dal 5.4%;
– il 70% degli italiani pensa che “gli apparati dell’informazione” manipolino le notizie;
– quasi un italiano su due sceglie di votare non sulla base di ciò che ha appreso dai media (vecchi e nuovi), ma da ciò che ha ascoltato da amici, parenti e conoscenti (il 43.9% degli elettori, +25% in soli quattro anni);
–  il 35.3% degli italiani pensa che le tecnologie digitali abbiano peggiorato (e non migliorato) l’organizzazione dei movimenti politici.

In questa presentazione proviamo ad analizzare questi dati e a immaginare cinque idee operative per “aggiornare i partiti”, in modo che rispondano efficacemente a questo profondissimo cambiamento delle dinamiche di orientamento al voto degli italiani.

Beviti un caffè mafioso a Rho

A Rho il caffè è corretto ‘ndrangheta.

Gli arresti di questa mattina nei confronti di uomini appartenenti alla cosca di ‘ndrangheta “Acri-Morfò” disegnano un quadro (e le caratteristiche allarmanti) di cui spesso abbiamo voluto parlare.

Al solito c’è la politica: tra gli arrestati c’è anche il consigliere comunale Ivan Nicoletti, del Pdl, posto ai domiciliari. Tra i reati contestati ad alcuni degli arrestati c’è anche quello di violenza e minacce per costringere gli elettori ad esprimere il loro voto per uno specifico candidato. In particolare, secondo quanto ricostruiscono gli inquirenti, in occasione delle elezioni comunali del 2011 alcuni componenti della cosca di ‘ndrangheta avrebbero avvicinato numerosi elettori, raggiungendoli anche nelle loro abitazioni, costringendoli ad accordare la loro preferenza elettorale in favore di Ivan Nicoletti, avvocato e candidato al Consiglio comunale tra le fila del Pdl. Nicoletti è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Gli inquirenti ritengono che Nicoletti avesse stretti legami con esponenti della cosca, ed in particolare con Isidoro Morfò. Dalle indagini è emerso anche che un elettore di Rossano è stato picchiato per costringerlo a votare per Nicoletti. Quest’ultimo, secondo gli inquirenti, durante la campagna elettorale si sarebbe più volte informato con gli esponenti della cosca circa il procacciamento dei voti. Stamane la Dda di Catanzaro ha compiuto anche una perquisizione nei confronti di Nicoletti.

Poi c’è il calcio: con la società calcistica ‘Ssc Rossanese’ utilizzata per ripulire denaro sporco, con l’aiuto “liquido” del proprietario di un distributore di benzina non troppo lontano dallo stadio.

E poi ci sono le forniture ai bar: la cosca imponeva agli stabilimenti balneari, ai bar e ad altre attività commerciali di utilizzare principalmente il ‘Pellegrino Caffe« oppure, in sostituzione, il ‘Jamaican Caffe» o ‘Pi.gi Caffe«. In alcuni casi, in modo particolare per i distributori automatici, la cosca obbligava i gestori a mescolare le miscele di caffè. Attraverso una stretta alleanza tra la cosca Acri e quella Farao-Marincola di Cirò Marina (Crotone) la distribuzione del ‘Pellegrino Caffe» era stata estesa e ‘favorita’ anche ad alcuni esercizi commerciale del nord Italia, in particolare nella zona di Rho, dove ci sarebbe una forte influenza della famiglia di ‘ndrangheta del crotonese. Da numerose intercettazioni telefoniche è emerso anche che i componenti della cosca organizzavano il reinvestimento dei proventi della vendita del caffè predisponendo l’acquisto di attività commerciali, in particolare gelaterie, anche negli Stati Uniti.

Quante volte abbiamo ripetuto che le forniture ai bar (che siano caffè o videopoker) che rispondono a logiche territoriali e non di mercato sono il sintomo più evidente di un controllo mafioso di quel mercato nel territorio?

Ecco. Appunto.

– Gli arresti –

  1. Nicola Acri, 34 anni, nato a Sondrio ma residente a Rossano, già detenuto, considerato uno dei capi del gruppo criminale;
  2. Maurizio Barilari, 44 anni, di Corigliano, già detenuto;
  3. Sergio Esposito, 43 anni, di Rossano, già detenuto;
  4. Giuseppe Ferrante, 30 anni, di Rossano, già detenuto;
  5. Salvatore Galluzzi, 37 anni, già detenuto;
  6. Gennarino Acri, 31 anni, fratello del presunto boss Nicola, di Rossano;
  7. Gianluca Fantasia, 38 anni, di Cosenza;
  8. Roberto Feratti, nato a Vittoria (Rg) ma residente a Vigevano (Pv), 56 anni;
  9. Massimo Graziano, 34 anni, di Rossano;
  10. Isidro Morfò, 32 anni, di Rossano;
  11. Salvatore Morfò, 56 anni, nato a San Demetrio corone ma residente a Rossano, considerato il presunto capo del gruppo assieme a Nicola Acri;
  12. Luigi Polillo, 31 anni, di Rossano;
  13. Sergio Sapia, 53 anni, di Rossano;
  14. Gaetano Solferino, 34 anni, di Rossano;
  15. Orazio Acri, 48 anni, di Rossano;
  16. Arianna Calarota, 34 anni, nata a Castrovillari ma residente a Rossano;
  17. Salvatore Cropanise, 35 anni, nato a Corigliano Calabro ma residente a Rossano;
  18. Espedito Donato, 47 anni, nato a Rossano ma residente a Gambolò (Pv);
  19. Vincenzo Interlandi, 54 anni, nato a Ragusa ma residente a Gambolò (Pv);
  20. Domenico Morfò, 28 anni, di Rossano;
  21. Lucia Morfò, 34 anni, di Rossano,
  22. Ivan Nicoletti, 37 anni, nato a Corigliano ma residente a Rossano, avvocato e consigliere comunale;
  23. Antonio Ruffo, 40 anni, di Rossano.

Nel corso dell’operazione i militari hanno pure eseguito il sequestro preventivo di 25 beni beni mobili, 17 società, 45 rapporti bancari, 45 autovetture e 7 polizze assicurative, per un totale di cita 40 milioni di euro.

La Cosa Giusta, la Cosa Seria e tutte le cose di questo tempo di mezzo

Qualcuno mi chiede cosa ho intenzione di fare. Io rispondo del libro che sto scrivendo, di RadioMafiopoli che stiamo preparando, dei soggetti che stiamo proponendo, del nuovo spettacolo con Gianluigi Nuzzi e tutti i progetti in cantiere. Lo racconto spesso con un sorriso soddisfatto perché sì, sono contento di quello che potrebbe essere nei prossimi mesi. Ma non basta, mi dicono: la politica? Il cantiere della sinistra di maggio? Civati e il PD? Barca? La Lombardia? Appunto.

Io non credo sia necessario scrivere altro su un governo che non ha nulla per piacermi, nulla: il tradimento del programma sottoscritto con gli elettori (sarebbe una bella cosa restituire i soldi delle primarie agli elettori perché vista così sembra proprio una truffa come i pacchisti fuori dall’autogrill), la spartizione dei ruoli di governo secondo la più democristiana interpretazione del manuale Cencelli, i passaggi politici che non ci sono mai stati spiegati e gli impresentabili riabilitati (ne avevo scritto qui del rivoltante ed euforico Micciché). Insomma: questo governo è la peggiore soluzione impossibile nato con i peggiori meccanismi possibili.

Su Civati ho scritto e riscritto, non vorrei essere noioso, ma credo che interpretare la discussione interna al Pd come manifesto della “sinistra” sia un errore di calcolo e di sopravvalutazione che sarebbe il caso di smettere di fare.

Il PD non ha mantenuto le promesse in campagna elettorale e questo è un fatto. SEL si era presa la responsabilità di garantire un PD che non scivolasse nelle sue antiche e perverse pulsioni centriste e inciuciste e non c’è riuscita: questo è un altro fatto (che in pochi stanno analizzando). Senza remore, inibizioni o balbettamenti dovremmo raccontare che comunque il voto dato a SEL era un voto di “condizionamento” di sinistra di governo che non è accadutoI voti per una sinistra radicale di opposizione non sono qui, per dire. E la bella notizia della Boldrini Presidente della Camera oggi è una nota sbilenca di rappresentanza dal punto squisitamente politico.

Poi c’è la Cosa Giusta dell’11 maggio (che fa un po’ sorridere nel titolo pensando alla Cosa Seria che in tanti non abbiamo mica abbandonato) e la domanda (è sempre quella, sempre) è capire quali sono i passaggi, le discussioni e le opinioni che ci porteranno lì. Perché  non c’è bisogno di piazza ma di politica.

C’è la sinistra nella Cosa Giusta o c’è l’attesa (ormai diventata beckettiana) che si rompa il PD (che non si romperà a breve)? Chi sono i soggetti del cantiere (a parte lo sventolio di Rodotà)? I soggetti che componevano Rivoluzione Civile ci fanno tutti schifo? Peggio sempre Ferrero di Fioroni, come mi disse una volta qualcuno?

Scrivevamo qualche mese fa:

Nella Cosa Seria sappiamo che la parola “sinistra” nel Paese ha ancora un senso diffuso che non appartiene a ceti politici né a gruppi dirigenti. È un sentimento, un modo di stare al mondo, un’appartenenza ideale e concreta che richiede coerenza e che non può ridursi in piccoli e particolari interessi di bottega, antiche inimicizie e gelosie d’appartenenza.

Per questo chiediamo che Sinistra Ecologia e Libertà e una parte consistente del Partito Democratico siano il motore di una coalizione che sia una Cosa Seria. Che guardi a Italia dei Valori, Federazione della Sinistra, ALBA, Verdi e tutti coloro che si riconoscono in un manifesto di posizioni chiare e realmente governabili, oltre che di governo. Perché non ci piace la strategia dell’inerzia per capitalizzare il consenso trascinandosi alle prossime elezioni, ma preferiamo la semplicità e la chiarezza delle idee da valorizzare insieme. Soluzioni collettive per risolvere i problemi, insieme: politica presa come una Cosa Seria.

Basta mediazioni. Per chi mi chiede: io sono qui.

Scambiare il futuro per presente

twSuccede. Ed è un errore che ogni tanto paghi anche caro. Ieri discutevo nella cucina di un amico (le analisi politiche fatte nelle cucine degli amici mi appassionano molto di più delle liturgie da direttivi, ultimamente) di quanto sia facile credere che gli altri siano noi. Lo so, sembra una banalità detta così, a gli stessi risultati di Ambrosoli (vincente nelle città e sconfitto nelle valli e nelle periferie della Lombardia) dimostra come in fondo siamo caduti (tutti, io compreso, eh) nell’omologazione di credere che siano interessanti le cose che noi troviamo interessanti, che siano bisogni comuni i nostri bisogni personali, che il giusto linguaggio sia il nostro linguaggio. E così accade che ci immaginiamo l’elettore degli elettori (quella strana persona che è la gente) informato in rete, appassionato su twitter e accurato ricevitore di newsletter. Crediamo noi di essere tutti e che il futuro sia già presente e collettivo. Ed ho sbagliato anch’io.

E’ interessante l’analisi su rete e retorica fatta da Valigia Blu:

In definitiva, ci siamo innamorati di una retorica nuovista e dipendente da una presunzione di efficacia nei confronti della tecnologia che ha inficiato le nostre capacità analitiche rispetto al quadro complessivo di ciò che stava sedimentando nel corpo e nella testa dei cittadini. Non l’unico fattore, ma certo uno tra quelli di cui prendere nota per evitare che la prossima volta il risveglio dalle urne sia un incubo di irrilevanza dei media da cui non vediamo la via d’uscita. E che non eravamo stati in grado di anticipare in nessun modo, non certo calcolando la traiettoria di qualunque foglia si fosse mossa su Twitter.

L’articolo completo di Fabio Chiusi è qui.