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Carlo Giovanardi

Processo Aemilia, ecco il ruolo dell’ex senatore Carlo Giovanardi: “Pressioni su ufficiali dei carabinieri”

(Un altro miracolato: Giovanardi. Dal processo Aemilia sta emergendo un mare di immondizia eppure sembra non interessare a nessuno)

L’ex senatore della Repubblica Carlo Giovanardi, il Capo di Gabinetto della Prefettura di Modena Mario Ventura, il funzionario dell’Agenzia delle DoganeGiuseppe Marco De Stavola. Sono uomini dello Stato, il primo anche membro della commissione parlamentare antimafia all’epoca dei fatti, che la Procura di Bologna mette sotto accusa per aver cercato nel 2014, con mezzi illeciti, di ottenere la reiscrizione alla White List della Bianchini Costruzioni srl, impresa edile di San Felice sul Panaro colpita da interdittiva antimafia del Prefetto nel giugno 2013.

Sono accusati in concorso tra di loro e assieme ad altre cinque persone (compresi tre membri della famiglia Bianchini già imputati nel processo Aemilia) di minacce a corpo politico, amministrativo e giudiziario dello Stato e di rivelazione di segreti d’ufficio, con le aggravanti dell’abuso di potere, del metodo mafioso e della continuità nel reato.

Per tutti loro i procuratori Marco Mescolini e Beatrice Ronchi hanno chiesto in giugno il rinvio a giudizio al Gip di Bologna, con la sola esclusione dell’ex senatore Giovanardi, allora esponente del Nuovo Centrodestra, la cui posizione è processualmente sospesa in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale sull’utilizzabilità di alcune conversazioni telefoniche. Ma è proprio l’ex ministro del governo Berlusconi, secondo le indagini della Procura, il perno politico su cui ruotava il tentativo degli imprenditori edili Bianchini (Augusto, la moglie Bruna Braga e il figlio Alessandro) di restare nel grasso mercato degli appalti pubblici post terremoto, nonostante le accertate relazioni con esponenti della famiglia di ‘ndrangheta Grande Aracri per false fatturazioni e prestazioni di mano d’opera.

Il muro da incrinare era rappresentato dal GIRER, il Gruppo Interforze costituito all’indomani delle violente scosse del 2012 in Pianura Padana. Aveva l’obbiettivo di contrastare la criminalità organizzata nei suoi prevedibili tentativi di assalto agli appalti della ricostruzione e ne facevano parte esperti della Direzione Antimafia, di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza.

Fu il GIRER a spingere il Prefetto di Modena Benedetto Basile a firmare l’interdittiva contro la Bianchini Costruzioni srl e ad esprime parere contrario, quando l’impresa finì in liquidazione, all’ammissione alla White List della neonata ditta individuale IOS del figlio di Augusto, Alessandro Bianchini, ritenendola in continuità con la precedente. Fu contro il GIRER, in particolare contro il suo pilastro ritenuto più ostico, i Carabinieri, che secondo le indagini della Direzione Antimafia si scagliò Giovanardi.

Dice la richiesta di rinvio a giudizio che il 17 ottobre del 2014 il senatore chiese ed ottenne un incontro in un locale pubblico con il colonnello Stefano Savo, Comandante Provinciale, e con il tenente colonnello Domenico Cristaldi, Comandante del Reparto Operativo, “nel corso del quale apertamente minacciava i due ufficiali e ne offendeva il decoro” chiedendo i motivi della loro posizione contro i Bianchini e “chiaramente pretendendo un cambio della predetta posizione”.

I due non furono gli unici né i primi a subire le sue ire: è lo stesso Giovanardi a raccontare ad Augusto e Alessandro Bianchini (che ha la singolare abitudine di riprendere di nascosto le conversazioni) di avere parlato con il Prefetto e il Questore, definendo il colloquio “una rissa”. Giovanardi non sa di essere ripreso e richiama le proprie frasi più ad effetto: “Gli ho detto: à la guerre comme à la guerre. Io su questa roba faccio tutta una interrogazione con tutti i passaggi, eh? Con Bianchini… io se fossi in lui… verrei qua con la rivoltella e vi ammazzo tutti… vi rendete conto che state facendo delle robe… folli!… folli!!”

L’attività di Giovanardi a sostegno dei Bianchini è intensa e accalorata. Il senatore presenta due interpellanze parlamentari, la prima il 22 luglio 2014 e la seconda il 21 ottobre. Conosce in anticipo movimenti e provvedimenti delle Forze dell’Ordine grazie al lavoro del Capo di Gabinetto della Prefettura e del funzionario dell’Agenzia delle Dogane. Partecipa con i Bianchini a una conferenza stampa che attacca il ricorso alle interdittive e contatta più volte le più alte autorità delle Forze di Polizia, pur senza titoli o mandato. Degenerando secondo la Direzione Distrettuale Antimafia in “pressioni e minacce anche esplicite nei confronti dei singoli componenti del Gruppo Interforze”, in “pressioni e dirette minacce al Prefetto pro-tempore di Modena Michele Di Bari, aggredendolo verbalmente”, e nelle “minacce dirette e gravi ai due Ufficiali Superiori dell’Arma dei Carabinieri”. Dice il ColonnelloStefano Savo richiamando il colloquio voluto da Giovanardi: “Il senatore ha detto espressamente che qualcuno avrebbe dovuto rispondere dei danni derivanti da questi interventi, facendo il parallelo con il tema della responsabilità dei magistrati e dicendo che era sua intenzione fare degli esposti alla magistratura. Ho avuto la percezione che potesse riferirsi direttamente anche alla mia persona”. Aggiunge il Tenente Colonnello Domenico Cristaldi: “Il senatore, in una sorta di crescendo, ha detto espressamente di sapere che era l’Arma ad essersi pronunciata in modo negativo in sede del Gruppo Interforze”.

Giovanardi nel suo ufficio il 18 ottobre lo racconta ai Bianchini che riprendono di nascosto anche questo incontro. Ha capito parlando con il Questore, con il Prefetto e con il Comandante del Girer, che non sono loro a porre ostacoli: “Sono i Carabinieri, si capisce benissimo! E con loro ho avuto un’ora e mezzo di discussione kafkiana, perché… è come parlare con il muro”.

Il Prefetto di Modena dott. Michele Di Bari accetta di riconvocare il Gruppo Interforze otto volte tra l’agosto 2014 e il gennaio 2015, pur senza elementi di novità, per valutare la riammissione dei Bianchini alla White List. Gli incontri non hanno esito e il 28 gennaio 2015 arrivano i 117 arresti disposti dalla DDA nell’ambito della operazione Aemilia che portano in galera, provvisoriamente, anche Augusto Bianchini, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. La moglie e il figlio finiscono agli arresti domiciliari.

La battaglia di Carlo Giovanardi può concludersi lì, ma i procuratori Mescolini e Ronchi attribuiscono al senatore il commento che si legge sulla stampa locale nell’ottobre 2014 dopo l’ennesimo rigetto della domanda di reiscrizione alla White List della Bianchini srl: “Chi può rimediare a tali ingiustizie? Chi dovrà riparare i danni incalcolabili di tali comportamenti? Non è certo questa l’antimafia che volevano i veri eroi antimafia come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”. Senza scomodare gli eroi, si attendono il pronunciamento della Corte Costituzionale e la decisione del GIP di Bologna.

(da Il Fatto Quotidiano)

Giovanardi indagato per mafia. E fa già ridere così.

(l’articolo è di Giovanni Tizian per l’Espresso)

L’ultima crociata del senatore Carlo Giovanardi sarà, forse, la più difficile da affrontare. Dovrà infatti difendersi dalle pesanti accuse che gli contestano i magistrati di Bologna. L’attuale membro della commissione antimafia – già ministro e sottosegretario berlusconiano – è indagato per rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e minaccia o violenza a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. Il tutto con l’aggravante di aver rafforzato l’associazione mafiosa, agevolandola. In questo caso specifico, l’associazione, risponde al nome di ‘ndrangheta emiliana.

Giovanardi, in pratica, avrebbe utilizzato notizie riservate e fatto pressioni indebite per salvare dall’interdittiva antimafia del prefetto una società di costruzioni modenese, esclusa dai lavori pubblici perché condizionata dalle cosche. Il titolare dell’azienda Bianchini costruzioni è sotto processo per concorso esterno alla mafia a Reggio Emilia, insieme ai capi bastone dell’organizzazione criminale. Ma il senatore, è l’ipotesi degli inquirenti, non si è fatto alcuno scrupolo nel montare una campagna contro prefetti, investigatori e magistratura, per tutelare un imprenditore che con gli uomini del padrino Nicolino Grande Aracri andava a braccetto.

Con i titolari di questa azienda di San Felice, paesone colpito pesantemente dal sisma del 2012, l’ex ministro si è incontrato varie volte. Anche nel suo studio. Per il politico modenese i Bianchini sono imprenditori seri, guai a chi lo mette in dubbio. E per questo vanno difesi senza remore, nonostante le pesanti accuse dell’antimafia e il primo pentito della cosca emiliana che ha riempito decine di verbali sugli affari portati avanti con la complicità dell’imprenditore modenese, che oltre a fare la parte del leone nella ricostruzione post terremoto aveva ottenuto lavori anche nei cantieri Expo di Milano.

A Giovanardi l’avviso è stato notificato lo scorso venerdì, alla vigilia del primo congresso provinciale del nuovo movimento politico, Idea popolo e libertà, di cui è fondatore insieme a Eugenia Roccella e Gaetano Quaglieriello. Tra gli indagati altre tre persone, che lo stesso giorno hanno ricevuto il medesimo avviso, tra questi c’è il capo di gabinetto della prefettura di Modena, Mario Ventura.

Oltre all’informazione di garanzia gli indagati hanno ricevuto la notifica della fissazione dell’udienza davanti al gip, chiesta dai pm Beatrice Ronchi e Marco Mescolini, a maggiore tutela del parlamentare. Infatti, in base all’articolo 6 della normativa sulle «disposizioni in materia di processi penali nei confronti di alte cariche dello Stato», per utilizzare le intercettazioni che riguardano deputati e senatori è necessario chiedere il via libera alla giunta per le autorizzazioni. Nel caso di Giovanardi i pm hanno preferito adottare una cautela ulteriore, e far decidere a un giudice terzo la rilevanza o meno di quelle telefonate “indirette” in cui spunta il senatore, membro peraltro della commissione antimafia. Solo se il gip dovesse ritenerle rilevanti verranno inviate al Senato.

Sempre lo stesso gip dovrà valutare anche i tabulati acquisiti durante i due anni di indagine riservatissima condotta dal nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Modena coordinati dai pm che hanno firmato la maxi inchiesta Aemilia, quella sulla ‘ndrangheta emiliana appunto. Non è un caso ovviamente che il filone “Giovanardi” scaturisca da questa indagine.

I sospetti sull’ex ministro iniziano a prendere forma proprio nei giorni immediatamente successivi alla retata “Aemilia”. Da quando cioè l’allora procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, si recò in gran segreto negli uffici della prefettura modenese per sentire quale persona informata dei fatti l’attuale capo di gabinetto del prefetto, Mario Ventura, indagato ora insieme al politico. Dopo di lui, tenendo sempre un bassissimo profilo, la procura ha ascoltato diversi testimoni: dagli ex prefetti di Modena fino ad arrivare al capo del Girer, il poliziotto Cono Incognito, che guida il gruppo di indagine creato ad hoc per vigilare sulla ricostruzione del dopo sisma.

Sotto i riflettori la strategia per far rientrare alcune aziende storiche del territorio sospettate di vicinanza ai clan negli elenchi “mafia free” della prefettura. Ventura, quando fu ascoltato dai magistrati, definì il suo amico senatore «un martello pneumatico» per le pressioni continue che esercitava con il fine di convincere a riabilitare l’impresa Bianchini. Società attivissima in regione e nella ricostruzione post terremoto, poi bloccata perché condizionata dal clan Grande Aracri, famiglia di ‘ndrangheta con cuore a Cutro, provincia di Crotone, ma testa e cassaforte tra Modena, Reggio Emilia e Parma, da ormai quasi 40 anni.

I video sequestrati
Tra il materiale acquisito dagli investigatori, in parte già mostrato durante il dibattimento in corso a Reggio Emilia contro la ‘ndrangheta emiliana, c’è un video registrato da Alessandro Bianchini, il figlio di Augusto. Entrambi sotto processo per complicità con la cosca, godono di un un ottimo rapporto con Giovanardi. Tuttavia è nella natura dei Bianchini non fidarsi di nessuno. Per questo Alessandro ha l’abitudine di registrare tutti gli incontri che organizza. Così tra i segreti archiviati custodisce nell’hard disk del pc anche i dialoghi con il senatore.

Per i pm un video più degli altri ha un’importanza fondamentale. Porta la data del 18 ottobre 2014: I Bianchni ammettono davanti a Giovanardi di avere fatto fatture false con il gruppo dei “cutresi” e non nascondono il rapporto con Bolognino, il braccio operativo del grande capo don Nicolino Grande Aracri. Confermano in pratica quanto gli contesta la procura. Da questo momento in poi Giovanardi è, secondo i pm, consapevole del ruolo di Bianchini. Ma nonostante ciò ha proseguito nella sua opera di pressing sulle istituzioni. Il pressing, è bene sottolinearlo, secondo Giovanardi rientrava nelle prerogative di un parlamentare, a tutela dell’economia del territorio e per cambiare una legge, quella sulle interdittive antimafia, secondo lui inefficiente e pericolosa.

C’è poi un secondo audio ritenuto di grande interesse. Perché qui il senatore usa parole molto forti. Arrivando persino a dire davanti agli imprenditori che: «A quelli ho detto che se fossi in Bianchini verrei qua con una rivoltella e ammazzo tutti, creando un precedente… folli…folli…».

Le minacce
L’altro capitolo riguarda le minacce di Giovanardi nei confronti di chi non sottostava alle sue richieste. Su sollecitazione di Bianchini, Giovanardi prendeva contatti con tutte le autorità coinvolte: prefetto, capo di gabinetto, questore, comandanti provinciali di carabinieri e finanza, con i loro superiori gerarchici anche a Roma, con stretti collaboratori del ministero interni, e con Bruno Frattasi, direttore ufficio legislativo e relazioni parlamentari.

Tutto con il fine di condizionare l’attività della prefettura, per indirizzare future decisioni e ottenere la revisione del provvedimento su Bianchini. Il senatore ha proseguito la battaglia per mesi. Con modalità tali, sostengono gli inquirenti, da generare preoccupazione in chi riceveva le richieste. Soprattutto in relazione alle ripercussioni cui sarebbero andati incontro qualora non avessero aderito ai desiderata di Giovanardi in merito alla revisione del provvedimento.

Ecco qualche esempio in mano a chi indaga: agli ultimi due prefetti di Modena, il prefetto Benedetto Basile e Michele Di Bari, gli sarebbe stata prospettata l’adozione di un trasferimento ad altra sede o incarico attraverso interventi diretti presso il ministero dell’Interno; agli ufficiali dei Carabinieri è stata paventata la presentazione di esposti all’autorità giudiziaria, e l’avvio di un’incisiva azione parlamentare nel tentativo di influenzare le decisioni di chi avrebbe poi dovuto decidere delle sorti di Bianchini.

Un clima di tensione
Il comportamento e l’atteggiamento di Giovanardi hanno creato un clima di forte tensione all’interno della Prefettura. Tensione soprattuto attorno al prefetto dell’epoca Michele di Bari. Che ha resistito alla richieste continue del senatore, più che certo di centrare l’obiettivo e regalare a Bianchini la nuova iscrizione nelle white list prefettizie.

L’ex ministro berlusconiano non poteva imbarcasi in questa avventura tutto solo. Così all’interno di questo quadro è emerso il ruolo di altri personaggi che a vario titolo si sono spesi per vincere la partita. Un quadro, sostengono i magistrati, in cui la prefettura appare vulnerabile alle interferenze esterne. E in cui l’allora prefetto si è trovato stretto tra l’ ingerenza di Giovanardi, l’intransigenza degli investigatori e un funzionario disponibile ad ascoltare le pretese del politico, che solo tre giorni fa lanciava l’allarme su sicurezza e immigrazione dal palco del congresso provinciale del suo nuovo partito “Idea”.

Quando la gentilezza di una madre senza più il figlio schianta il Giovanardi di turno

patrizia-moretti-aldrovandiGià stamattina mi era capitato di scrivere quanto mi avesse colpito la decisione di Patrizia Aldrovandi (madre di Federico, ucciso dalle botte a 18 anni da alcuni genti di Polizia) di ritirare le querele contro gli avvoltoi che avevano nidificato sulla sua vicenda. E credo che sia nostro dovere custodire questi gesti di gentilezza esplosiva in questi tempi di urlacci. Allora ho voluto parlarle e ne è nata un’intervista che penso mi terrò in tasca a lungo. Che grande madre, Patrizia. L’intervista la potete leggere qui.

(Ah: nella bontà le è scappato solo un vaffanculo. Ma detto di cuore)