Vai al contenuto

cittadinanza

In attesa del reddito ecco il crocifisso di cittadinanza

Non è una tattica nuova, no, nessuna novità: la boiata dell’imposizione del crocifisso la Lega (anche prima di essere Lega Noi con Salvini per evitare il disturbo di restituire 49 milioni di euro) l’ha usata diffusamente nelle Regioni, nei consigli comunali per spostare il dibattito da ciò che avrebbe dovuto fare un feticcio qualsiasi per abbeverare la pancia del suo popolo. Come l’ampolla del Po o l’iconologia vichinga anche il crocifisso di cui parla Matteo Salvini è solo un oggetto, una patacca da rifilare ai turisti sprovveduti (che tra l’altro in questo caso sono i cittadini del Paese che dovrebbe governare), un souvenir a basso costo per farci sapere che ci ha dedicato un pensiero durante il suo lungo viaggio di piacere sotto forma di campagna elettorale permanente.

Non cadete nel tranello: il crocifisso di Salvini non ha nulla a che vedere con i valori che i credenti gli attribuiscono. È una mazza ferrata antropomorfa da brandire ancora una volta contro qualcuno, è una paletta scaccia mosche per zittire le domande sulle promesse che non potrà mantenere, è un ventaglio utile per alzare fumo.

I valori che erroneamente vengono discussi ogni volta che la Lega ritira fuori il jolly del crocifisso sono traditi dall’operato del ministro dell’Interno in ogni tweet, in ogni intervista, in ogni proclama e nelle poche propagandistiche azioni che ha compiuto da quando è al governo. Parlare di valori cristiani in risposta a Salvini significa accreditare qualità umane (prima ancora che attinenti a qualsiasi religione) che non ha, significa legittimarlo nel suo insistere ad arruffare il popolo.

Il crocifisso è il paravento per le accise della benzina che avevano promesso di togliere e non toglieranno, è la sabbia sotto cui nascondere il Tav e Tap che si faranno nonostante le promesse in campagna elettorale, è il tappeto per coprire il reddito di cittadinanza che non ha coperture economiche, è l’incapacità di rispettare la laicità dello Stato per provare a rabbonire qualche cattolico.

Il crocifisso, laicissimo e umano, è comparso ieri sulla spiaggia di Crotone dove i bagnanti si sono indaffarati per tutta la giornata soccorrendo 54 profughi lasciati alla deriva, dove lo spirito Magno Greco che usava una sola parola per indicare lo straniero e l’ospite è ancora vivo.

Lasciate a Salvini il suo giocattolo. E segnatevi tutte le promesse non mantenute, piuttosto.

Buon mercoledì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/07/25/in-attesa-del-reddito-ecco-il-crocifisso-di-cittadinanza/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Un piccola storia ignobile

 

C’è un bambino. Chiamiamolo Andrea. Immaginatelo scuro o con i capelli più folti rispetto agli Andrea che avevate per nonni. I suoi, di nonni, come i suoi genitori sono di un Paese qualsiasi in giro per il mondo, non importa quale: anche Andrea non c’è mai stato, non l’ha mai visto, non conosce nessuno. Andrea è nato a Milano. Poi è cresciuto. Parla milanese, pensa milanese, si siede ad aspettare sugli scalini del Duomo, litiga con i ghisa, mangia nebbia tutti gli inverni, ha in camera il poster di Zanetti, frequenta con buoni risultati il Liceo Parini (anche se si impegna sempre troppo poco) e organizza barbecue di nascosto all’Idroscalo.

Andrea ha 16 anni. Ed è apolide. Senza nazionalità. Non può avere la cittadinanza fino all’età di 18 anni. Per la legge italiana (lo “ius sanguinis” della legge 92 del 1991) deve avere un genitore italiano e invece i suoi sono di qualsiasi altro Paese del mondo. Se non avesse avuto i genitori invece (abbandonato) sarebbe italiano. Deve aspettare la maggiore età. La maturità, la chiamano. E fa niente che il disagio maturi molto prima.

Ora immaginate una legge fin troppo tiepida che dica ad Andrea che può acquisire la cittadinanza se almeno uno dei suoi genitori ha un diritto di soggiorno permanente, quindi con un periodo di residenza di almeno 5 anni, un alloggio adeguato e dopo aver superato un test di lingua. Il genitore va all’anagrafe e chiede la cittadinanza per il figlio, visto che la norma si applica per i minorenni (la novità per i maggiorenni è che avranno due anni e non uno per scegliere la cittadinanza italiana).

Bene. In questa storia ora metteteci dentro “l’invasione”, “la sostituzione di razza”, “gli sbarchi” e un po’ di “terrorismo” che ci sta sempre bene. Provate a capirci cosa c’entri con Andrea. Spiegateglielo, anche.

E capite di cosa stiamo parlando. Capite su cosa stanno facendo baccano questi squallidi squadristi che si infervorano in Parlamento. Decidete voi chi sono gli ignobili in questa storia.

Buon venerdì.

(da Left)

Esclusi perché non italiani da un torneo di scacchi: succede a due bambini, a Ladispoli.

Ne scrive Il Post. Avanti così:

La scorsa settimana a Ladispoli, in provincia di Roma, si è svolto il campionato regionale giovanile di scacchi del Lazio. Due bambini della scuola elementare di Marina di S. Nicola però non si sono potuti iscrivere, scoprendo che non potevano farlo perché, nonostante siano nati in Italia, non sono italiani. Il caso è stato sollevato dalla pagina Facebook degli Italiani senza cittadinanza e la storia è stata confermata al Post da Valeria Viara, che durante l’anno, insieme a suo marito, ha tenuto un corso di scacchi gratuito nella quinta elementare frequentata da suo figlio e dai due bambini che poi sono stati esclusi dal torneo.

Viara ha raccontato che un gruppetto di bambini della scuola erano stati iscritti al torneo perché erano i più entusiasti tra quelli che avevano partecipato al corso (avevano iniziato a giocare a scacchi anche da soli durante l’intervallo, per esempio). I due bambini stranieri non si sono però potuti iscrivere per via di una clausola prevista dal regolamento della Federazione scacchistica italiana. I partecipanti dovevano avere meno di 16 anni e almeno uno di questi due requisiti: la cittadinanza italiana o, in mancanza di questa, essere stati tesserati alla Federazione Scacchistica italiana per almeno un anno nei cinque precedenti alla gara (presentando anche un certificato di frequenza scolastica per l’anno scolastico in corso).
L’ufficio stampa della federazione ha spiegato al Post che questa regola viene applicata a livello internazionale, ma non ha chiarito come mai esista. È stato anche precisato che questa limitazione è prevista solo nei tornei legati al campionato italiano, mentre per altri tornei open non è prevista alcuna clausola limitativa per la partecipazione degli stranieri.

Mi terrorizza la ferocia di questi, oltre al terrore

Questa mattina, se mi permettete, non scriverò il mio consueto buongiorno. Quindi non mi dedicherò alle notizia di oggi (da Londra alla bagarre sui vitalizi fino alla prossima celebrazione dei trattati europei) ma vi racconto una sensazione.

Nella casella di posta stamattina molto presto mi è arrivato un messaggio, ovviamente da un profilo Facebook che non è riconducibile a nessuna persona reale: la foto del profilo è un soldato ripreso di spalle e il “nome” una semplice sigla “Dem Ken”. Dice, il messaggio, letteralmente:

«cara zecca, prenditela con gli extracomunitari terroristi, volevi anche tu l’europa dell’accoglienza? eccoti servito!»

Mi sono sforzato di immaginare quale strana connessione possa scattare nell’animo di qualcuno per prendersi la briga di scrivere una frase del genere a un insignificante editorialista, quale sia quell’organo così peloso che possa vomitare in una frase del genere gli accadimenti di Londra.

Poi, per immergermi nella meglio nel cassonetto a toccare con mano il percolato della ferocia, mi sono fatto un giro sulle pagine dei fomentatori professionisti (niente nomi, oggi nessuna pubblicità), ancora:

“Ennesimo attentato terroristico islamico a Londra ci conferma che l’Europa è ormai una fabbrica del terrorismo islamico.
Continuiamo ad importare “arricchimento” culturale…i risultati sono questi”

“QUANDO C’ERA IL FASCISMO MIO PADRE DICEVA SEMPRE TUTTI AVEVANO UN LAVORO E NON C’ERA DELIQUENZA!”

“adesso ho capito perche’ la boldrini vuole dare la cittadinanza ha tutti quelli che arrivano nel nostro paese , cosi risultano italiani quando uccidono qualcuno”

“E adesso ?… I buonisti quale caxxata si inventeranno per l’ennesimo attentato facendo passare per un squilibrato un paranoico ecc. senza ragionare un attimino che questi signori perbene attentatori stanno dichiarando guerra ai fessi della UE fallimentare?”

(continua su Left)

Finalmente che se ne parli

E ne parlano su Calibro 075 i ragazzi del Laboratorio Musicale Fuoritempo:

Finalmente anche a Ponte Felcino, abbiamo visto e sentito parlare dei cittadini che hanno espresso una vera e propria preoccupazione e attenzione, riguardo la possibilità che anche a Ponte Felcino come a Perugia, esistano delle connivenze tra quella ristrettissima cerchia di soggetti che detengono gran parte della ricchezza economica della città e chi ha il compito di dover  fare informazione in modo giusto e trasparente, come la stampa e tutti gli organi di informazione che a Perugia non godono certo di una vera indipendenza.

Ci ha fatto molto piacere sentire come la cittadinanza NON abbia associato la presenza del crimine organizzato in Umbria solo in funzione dello spaccio delle sostanze stupefacenti, della prostituzione o delle rapine che da tempo occupano, con estrema facilità le pagine dei giornali di tutta Italia.

Mentre questi sono ambiti che, essendo già di per sé illegali, facilitano una prima e più immediata lettura di infiltrazione mafiosa nel territorio, la costruzione di una palazzina, un residence, un centro commerciale, un supermercato, azioni per loro natura legali e spesso ben accolte dai più, possono in realtà rappresentare materialmente l’anello finale di una catena non propriamente trasparente e legale.

Finalmente non sono le associazioni che da tempo si occupano di tali problematiche a denunciare lo stato attuale, ma è parte della cittadinanza e soprattutto una parte della buona politica locale ad esigere il diffondersi della cultura dell’antimafia vera e propria.

Per una volta non ci siamo sentiti i soli all’interno della cittadinanza ad aver percepito il problema di una possibile infiltrazione da parte della criminalità organizzata anche all’interno della “res publica”, oltre all’osservare come nel nostro territorio siano state fatte scelte politiche che hanno favorito il dilagare di pratiche d’illegalità, tra queste la cementificazione forsennata e priva di adeguate forme di controllo e per questo facile preda di speculatori e malavitosi che di certo non hanno a cuore il destino della città.

Quanto affrontato durante l’assemblea pubblica a Ponte Felcino, ci ha fatto capire quanto sia importante continuare a credere in un progetto che ha il dovere di far innalzare il livello di conoscenza delle dinamiche malavitose e allo stesso tempo intraprendere adeguate misure di prevenzione, incalzando le istituzioni affinché attuino dei provvedimenti e dei piani d’azione chiari e incisivi contro il diffondersi dell’illegalità, avendo anche il coraggio, quando necessario di fare “pulizia” al proprio interno.

(il resto qui)

Ogni volta che una comunità si scuote e prende coscienza un pezzo di mafie si sbriciola anche senza bisogno del sole.

La qualità del dibattito pubblico

PSICOLOGIA-DELLE-FOLLEMi ostino a credere che la qualità del dibattito politico sia la misura della febbre della democrazia. Continuo a credere che ci sia una bellezza che è l’unica strada per arrivare all’etica nella politica come nelle professioni e nello stare insieme di questi tempi così bui e antisociali. Se dovessi scegliere un “corso” per una “scuola di politica” (che sarebbe nella forma dell’idea ateniese della scuola di cittadinanza) credo che l’uso etico della parola sarebbe una delle materie obbligatorie. E così oggi sarebbe obbligatorio avere dei contenuti di cui parlare prima di presentare qualsiasi lista e qualsiasi nome agli elettori e sarebbe pressante l’impegno di coltivare una chiave di lettura collettiva dei processi di decisione e gestione dei partiti, dei movimenti fino alla cosa pubblica. Una cosa seria, insomma, con la professionalità che sta nel senso più antico del termine: professare i propri valori in ciò che si fa.

Riprendendo la riflessione di Tommaso Pincio nella bella intervista di Carmine Saviano che gli chiede del dibattito politico come “fantascienza” e risponde:

Magari lo fosse. La fantascienza è quasi sempre una metafora del tempo presente, una narrazione che pone domande e impone scelte, costringendoci a stabilire in quale misura il mondo immaginato corrisponde alla realtà in cui viviamo. La realtà mi pare invece sempre più somigliante a una società dell’avanspettacolo. Pensi alla gag patetica e antiquata del politico settuagenario che pulisce col fazzoletto la poltrona su cui altri si sono seduti. Possiamo rivendicare una diversità, è vero; possiamo sostenere di essere altra cosa rispetto a un comico che non fa più ridere.

E in effetti è proprio così: siamo altro, siamo il pubblico che lancia pomodori, l’al di qua del teatrino senza il quale il teatrino non esisterebbe. Il vero male sono però gli infiltrati, i dissimulatori, i membri della compagnia di giro che scendono in platea spacciandosi per spettatori. E sono proprio loro a urlare di più, a lanciare i pomodori più grossi.

Le parole sono importanti. Le parole sono politica.

Immagina una città di abitanti senza casa

Come un incubo kafkiano in cui la città diventa un enorme lazzaretto e la malattia è la povertà. Ci siamo abituati a leggere le cifre e ci siamo allenati a fare i conti con le statistiche con l’anaffettività dei matematici, ci concediamo di spaventarsi solo davanti a cifre iperboleche e abbiamo perso tutti i gradi intermedi di sdegno e pietà. Un bianco o nero, giusto sbagliato, vero o falso sui dolori che non ammette eccezioni come una sicumera che ha bisogno di essere inumana per esistere.

Così succede che vengano pubblicati i risultati di una ricerca sui “senza dimora” in Italia e i numeri vengano snocciolati con piglio scientifico:

In tutto sono 47648 persone: una città come Mantova per i certificati di mancato “residente della Repubblica”. I dati sono tutti in un articolo di Vladimiro Polchi:

Molti gli italiani. Le persone senza dimora sono per lo più uomini (86,9%), hanno meno di 45 anni (57,9%), nei due terzi dei casi hanno al massimo la licenza media inferiore e il 72,9% dichiara di vivere da solo. Tanti gli italiani, anche se la maggioranza è costituita da stranieri (59,4%): le cittadinanze più diffuse sono la romena (l’11,5%), la marocchina (9,1%) e la tunisina (5,7%). In media, le persone senza dimora dichiarano di trovarsi in tale condizione da 2,5 anni; quasi i due terzi (il 63,9%), prima di diventare senza dimora, viveva nella propria casa, mentre gli altri si suddividono tra chi è passato per l’ospitalità di amici o parenti (15,8%) e chi ha vissuto in istituti, strutture di detenzione o case di cura (13,2%). Solo il 7,5% dichiara di non aver mai avuto una casa.

Dove vivono? Più della metà delle persone senza dimora (il 58,5%) vive nel Nord (il 38,8% nel Nord-ovest e il 19,7% nel Nord-est), poco più di un quinto (il 22,8%) al Centro e solo il 18,8% vive nel Mezzogiorno (8,7% nel Sud e 10,1% nelle isole). Milano e Roma accolgono ben il 71% dei senzatetto. Dopo Roma e Milano, tra i 12 comuni più grandi quello che accoglie più persone senza dimora è Palermo. 

C’è anche chi lavora. Il 28,3% delle persone senza dimora dichiara di lavorare: si tratta in gran parte di lavoro a termine, poco sicuro o saltuario. I lavori sono a bassa qualifica nel settore dei servizi (l’8,6% lavora come facchino, trasportatore, addetto alla raccolta dei rifiuti, giardiniere, lavavetri, lavapiatti), nel settore dell’edilizia (il 4% lavora come manovale o muratore), nel settore produttivo (il 3,4% come bracciante, falegname, fabbro, fornaio) o nel settore delle pulizie (il 3,8%). In media, quelli che hanno un lavoro guadagnano 347 euro mensili. E ancora: tra le persone senza dimora, ben il 61,9% ha perso un lavoro stabile, a seguito di un licenziamento o chiusura dell’azienda. 

Perché si finisce per strada? La perdita di un lavoro risulta tra gli eventi più rilevanti del percorso di emarginazione che conduce alla condizione di senza dimora, insieme alla separazione dal coniuge e alle cattive condizioni di salute. Ben il 61,9% dei senzatetto ha perso un lavoro stabile, il 59,5% si è separato dal coniuge e dai figli e il 16,2% dichiara di stare male.

Dentro i numeri c’è il lavoro così precario da non garantire l’accesso ad un luogo in cui stare, c’è la famiglia (sempre osannata) che si sfalda demolendo la cittadinanza di uno dei due, c’è il Nord che è più disabitato del sud nonostante la retorica delle proprie eccellenze, ci sono le cattive condizioni di salute che lo Stato certifica come non sostenibili: sono gli esodati dal diritto di cittadinanza, i nuovi invisibili.

Tutto questo mentre il rapporto ONU sulla fame nel mondo presentato oggi scrive a chiare lettere:

La crescita è necessaria e importante, ma non sempre sufficiente, o rapida. Da qui la necessità di sistemi di protezione sociale per assicurare che i più vulnerabili non siano lasciati da soli ma possano invece partecipare, contribuire e beneficiare della crescita.  Per i più deboli, coloro che spesso non possono trarre immediato beneficio dalle opportunità offerte dalla crescita economica, sono necessarie misure come il trasferimento di denaro, come i buoni pasto o assicurazioni sanitarie.  Le reti di protezione sociale possa far migliorare la nutrizione dei bambini – un investimento che ripagherà nel futuro con adulti più robusti, più in salute e con migliori livelli d’istruzione.  Con reti di protezione sociale a complemento della crescita economica, fame e malnutrizione possono essere eliminate.

Che poi è il cuore politico.

10 cose da fare

Per essere chiari:

Vogliamo contrastare tutte le mafie, reprimendone sia l’azione criminale che l’immensa forza economica. La presenza dei capitali mafiosi, a maggior ragione in un momento di crisi, è un elemento devastante per ogni prospettiva di rilancio del paese. Vanno sostenute le attività delle procure e degli amministratori locali, ma va soprattutto reciso ogni legame o sospetto di complicità di alcuni rappresentanti politici. L’adozione di un codice etico e il contrasto delle attività criminali mafiose è un’urgenza inderogabile.

Vogliamo proporre una legislazione che contrasti lo strapotere della finanza speculativa a partire dalla tassa sulle transazioni finanziarie, rendendo permanente il divieto di vendita allo scoperto e attaccando vigorosamente i paradisi fiscali.

Vogliamo richiedere una rinegoziazione dei trattati che non stanno salvando né l’euro né il modello di vita dei cittadini europei. In questo contesto vanno date nuove funzioni alla Bce, a partire dalla possibilità di intervenire senza condizioni in caso di attacco alla nostra moneta. La lealtà istituzionale e la necessità di trovare un consenso oltre i nostri confini non può impedirci di indicare quale sia la nostra direzione di marcia. Dobbiamo essere noi i primi protagonisti del cambiamento.

La sinistra combatte senza esitazione gli sprechi e la spesa pubblica improduttiva. Ma è una manipolazione della verità storica considerare la spesa sociale come sinonimo di dissipazione e di spreco. Il Welfare non è stato un cedimento ad un non meglio precisato “buonismo sociale” ma la più rilevante conquista del Novecento. Sappiamo che molto va cambiato nel modo di allocare le risorse e nel peso che ha la politica fiscale. Nel ridefinire priorità e gli strumenti di riforma del welfare va riconosciuto il valore economico e sociale del lavoro di cura svolto dalle donne. Dobbiamo dire con chiarezza da dove si prendono le risorse e dove invece vanno restituite. La politica fiscale deve ritornare ad essere, in linea con la Costituzione, basata sulla “capacità contributiva”. Le tasse sono troppo onerose per chi le paga, sia che sia un lavoratore dipendente che autonomo, ma è incredibile non rilevare che più dell’80% del gettito venga da lavoratori dipendenti e pensionati.

Proponiamo una lotta prioritaria all’evasione fiscale per ridurre l’imposizione fiscale in primo luogo ai lavoratori a basso reddito e proponiamo una tassazione sui grandi patrimoni che sostituisca l’ingiusta tassa sulla prima casa per i cittadini meno abbienti.

La riduzione del debito pubblico deve avvenire senza dogmi rigoristi, poiché sappiamo che dalla crescita della ricchezza possono venire benefici assai più fruttuosi che dalla mera riduzione dello stock del debito. Se cresce la disoccupazione e diminuisce il tenore di vita e il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi, l’aumento delle tasse e taglio dei servizi produrrà soltanto effetti recessivi.

Vogliamo investire le risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale, dal contrasto alla corruzione e dal taglio alle spese militari, in un piano per il lavoro, pubblico e privato, basato sugli investimenti per la messa in sicurezza del nostro territorio e delle città, nella erogazione di un reddito minimo garantito come c’è nel resto d’Europa e il recupero del potere d’acquisto perso dai salari negli ultimi vent’anni.

Ci sono alcuni punti che, simbolicamente e concretamente, possono segnare una svolta rispetto al passato: ridurre da 45 a 4 le tipologie contrattuali oggi previste, che hanno alimentato la spirale della precarietà; restituire ai lavoratori, anche quelli di aziende sotto i 15 dipendenti, la tutela del reintegro sul posto di lavoro a seguito di un licenziamento ingiustificato; differenziare, a seconda dell’effettiva vita lavorativa e dal diverso carico lavorativo che pesa sulle donne per le attività di cura, l’età pensionabile, poiché non possono essere trattati nello stesso modo una infermiera o una puericultrice o un operaio alla catena di montaggio e un professore universitario o un alto funzionario pubblico; introdurre dell’equo compenso per le lavoratrici e i lavoratori autonomi; estendere gli ammortizzatori sociali e i diritti per tutte le forme contrattuali, per un welfare universale, come per esempio nel caso del diritto alla maternità/paternità universale.

Abbiamo bisogno di rafforzare il welfare e la spesa pubblica in settori strategici. La salute, le pensioni, l’assistenza per i non autosufficienti, l’istruzione pubblica, i trasporti pubblici, il diritto ad una giustizia certa e celere, sono diritti inalienabili ma anche fattori di sviluppo essenziali per la tenuta della coesione economica e sociale del paese. La spesa per la formazione e la ricerca va aumentata e riqualificata. Oggi assistiamo ad una ingiusta penalizzazione, in particolare per i giovani che vogliono insegnare o fare ricerca e che spesso sono costretti ad emigrare, che sta impoverendo brutalmente il nostro paese. Non si tratta di “costi” ma di “risorse”.

È necessario ripensare all’intervento pubblico in economia, a partire dal valore strategico delle aziende partecipate come Eni, Enel, Rai, Finmeccanica e quelle relative al trasporto pubblico per affrontare le sfide che la crisi ci propone. Va fatta un’azione che agisca tanto sul versante dell’offerta di nuovi investimenti pubblici, tanto sullo stimolo alla domanda, per esempio nei settori della produzione di energia rinnovabile o nella infrastrutturazione digitale del paese.

Vogliamo la riconversione ecologica dell’economia e della società, che abbia al centro la sostenibilità ambientale, la piena valorizzazione dei beni comuni, la qualità e l’innovazione. Per noi sono beni comuni, sottratti al dominio del mercato, tanto i beni materiali come l’acqua e la terra, quanto quelli immateriali come la conoscenza e la cultura. Siamo consapevoli di quanto le grandi questioni globali, come i cambiamenti climatici, siano connessi con le scelte quotidiane, a partire da una nuova politica energetica basata sul risparmio energetico e le fonti rinnovabili, riducendo le emissioni e penalizzando chi inquina.

C’è urgente necessità di una nuova politica industriale basata sull’innovazione tecnologica ed ecologica, che possa mettere a valore non solo prodotti da vendere, ma vere e proprie produzioni complesse: dal “prodotto” mobilità sostenibile alla riconversione delle manifatture inquinanti o belliche, si può costruire un rilancio della produzione industriale in un paese che conserva grandi risorse sul versante manifatturiero.

È necessario dare centralità ad una politica agricola basata su qualità, istintività territoriale e sostenibilità ambientale e sociale. La buona politica si deve occupare di fare scelte che sappiano immaginare il mondo che dovremo lasciare alle future generazioni.

Per noi i diritti non sono un terreno di formule astruse ma un campo in cui far vivere il principio della laicità. Sappiamo che la società è più avanti nella richiesta di nuovi diritti di quanto lo sia spesso la politica.

Siamo sempre per il rispetto della libertà di scelta per il fine vita, per la regolamentazione della fecondazione assistita, per la rigorosa applicazione della legge 194. Siamo per i matrimoni omosessuali e per la piena cittadinanza delle unioni civili. Siamo per il diritto di cittadinanza ai migranti nati in Italia, per il riconoscimento del diritto di voto alle amministrative, per l’abolizione della legge Bossi-Fini a partire dal superamento dei CIE. Siamo per il recepimento delle convenzioni internazionali sull’introduzione del reato di tortura e per una legge che regoli il diritto d’asilo. Siamo per il rispetto della vita umana e quindi vogliamo che la condizione dei detenuti sia rispettosa della Costituzione. Siamo per una politica antiproibizionista a cominciare dalla abrogazione della legge Fini-Giovanardi per un nuovo approccio responsabile e socialmente inclusivo.

Il populismo non si sconfigge per decreto, né tentando di esorcizzarne la forza devastante. Il populismo si contrasta lì dove esso attecchisce, tra il popolo che ha perso fiducia nella politica e nella democrazia. Abbiamo ancora importanti risorse, di idee e di uomini e di donne, ma abbiamo poco tempo. Chiediamo a tutti un contributo e dobbiamo saper trovare le strade affinché ciascuno sia messo nelle condizioni di poterlo dare. È in gioco la sopravvivenza a lungo termine dell’integrazione europea.

Solamente la solidarietà, la riconversione ecologica e sociale della società e la vitalità della democrazia ci faranno uscire dalla crisi’.

Il documento è qui.

Tre leggi per cambiare l’Italia

Le propone MoveOn Italia

COSTRUIRE uniti la realizzazione di un assetto democratico del nostro Paese da votare nel prossimo Parlamento per non subire mai più.

MoveOn Italia – Muoviti Italia, insieme ai cittadini, spinge perché il prossimo Parlamento approvi 3 Leggi per rendere più libera l’Italia:
– Riforma “La Rai ai cittadini”
– Legge Conflitto di Interessi
– Antitrust

La Riforma “La Rai ai cittadini” nasce perché la TV condiziona e manipola il mondo, la pubblicità muove le volontà della maggioranza dei cittadini e la loro apparente soddisfazione. Una ricerca Istituzionale ha dimostrato che, nonostante la diffusione di Internet,  il tg1 e il tg5 condizionano il voto del 60% della popolazione italiana.

L’impegno è di far aderire alla proposta i cittadini, i movimenti, le associazioni! Pierluigi Bersani, Antonio Di Pietro e Nichi Vendola hanno già aderito, facendo in modo di non trovarsi di nuovo nella follia dei progressisti divisi alle prossime elezioni. Noi cittadini possiamo dare un obiettivo unitario su una proposta che dia più senso alla politica del bene comune.
‎- Far partecipare i cittadini per avvicinare lo Stato e le Istituzioni alla vita sociale
– Impegnare la politica a rispondere con i fatti
– Rinnovare le idee e la politica

Incredibilmente in Italia si andrà alle prossime elezioni politiche, ancora una volta, con un’informazione da Paese semi democratico. L’unica condizione possibile per noi cittadini questa volta dovrà essere l’inderogabile impegno da prendere da parte della politica nel far approvare in tempi brevi, non appena sarà costituito il prossimo Parlamento, queste tre leggi basilari in un sistema democratico.

LIBERIAMO LA RAI DAL TOTALE CONTROLLO DEI PARTITI

“Gli utenti del servizio pubblico, in quanto veri proprietari di un’azienda che finanziano tramite il canone, eleggono direttamente alcuni componenti nel Consiglio per le Comunicazioni audiovisive”

Hanno aderito:
Giulio Cavalli, Tana De Zulueta, Moni Ovadia, Loris Mazzetti, Sabina Guzzanti, Ugo Mattei, Corrado Guzzanti, Francesca Fornario, Carlo Freccero, Lidia Ravera, Corradino Mineo, Lorella Zanardo, Giulia Innocenzi, Roberto Zaccaria, Udo Gumpel, Giovanni Anversa, Michele Gambino, Roberto Natale, Massimo Marnetto, Arturo Di Corinto, Santo Della Volpe, Silvia Bencivelli, Nicola D’Angelo, Maria Luisa Busi, Tiziana Ferrario, Wolfgang Achtner, Carmine Fotia, Vittoria Iacovella, Giuseppe De Marzo, Fabrizio Federici,Sergio Bellucci, Gianni Orlandi, Giulietto Chiesa, Simona Coppini, Federico Lunadei, Grazia Di Michele, Simona Sala, Giuliana Sgrena, Antonella Marrone, Giovanni Mangano, Lorenzo Marsili, Carlo Verna, Giuseppe Giulietti, Vincenzo Vita, Claudio Fava, Carlo Rognoni, Antonello Falomi, Fabio Granata, Giorgio Merlo, Niccolò Rinaldi,Angelo Bonelli, Nichi Vendola, Antonio Di Pietro

Condividono il precorso:
Articolo 21, Usigrai, Libertà e Giustizia, A Sud, Rete Viola, Liberacittadinanza,IndigneRai, Il Popolo Viola, TILT, Alternativa, Il Teatro Valle Occupato, Errori di Stampa, Il Comitato del Sole, Libertà e partecipazione, European Alternatives, Slow Music

Sostiene l’iniziativa:
Stefano Rodotà

QUI TUTTE LE INFORMAZIONI
La Riforma “La Rai ai Cittadini” da spingere nel prossimo Parlamento

http://www.facebook.com/events/410098389007354/

LA RAI AI CITTADINI
5 punti per garantire un bene pubblico

Prendendo ad esempio i modelli di gestione più avanzati in Europa, ma anche le proposte di riforma della Rai tendenti a garantire qualità e autonomia proponiamo in 5 punti una riforma che assicuri non solo la necessaria efficienza aziendale, ma anche l’assoluta indipendenza editoriale del servizio pubblico.

1. Chiediamo il superamento dell’anomalia per la quale l’azionista del servizio pubblico è il Ministero dell’Economia.

2. Al posto della Commissione parlamentare di Vigilanza, chiediamo la costituzione di un Consiglio per le Comunicazioni audiovisive, i cui membri dovrebbero essere in maggioranza nominati dalla società civile (11 su 20). Gli utenti del servizio pubblico, in quanto veri proprietari di un’azienda che finanziano tramite il canone, eleggono direttamente 6 componenti (*). Cinque sono nominati da rappresentanti di settore (sindacati, artisti, autori, accademici, fornitori di contenuti). Dei rimanenti 9 membri, 3 verrebbero eletti dagli enti locali (Regioni-conferenza permanente stati regioni, Province-l’Upi e Comuni-Anci) e 6 nominati dal Parlamento (**).

3. Il Consiglio nomina i vertici della concessionaria del servizio pubblico (il CdA Rai), selezionati mediante concorsi pubblici in base a criteri di professionalità, competenza nel campo radiotelevisivo ed indipendenza. Ad esso sono attribuite competenze di indirizzo e vigilanza.

4. Il Consiglio nomina altresì i componenti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, assicurando, anche in questo caso, i criteri della selezione trasparente, dell’indipendenza e del massimo di qualificazione.

5. Il Consiglio si pone al servizio degli utenti Rai, facilitando modalità interattive di controllo e di valutazione e garantendo ai cittadini un uso consapevole e attivo di tutti i media gestiti dal servizio pubblico.

* (Secondo le modalità proposte da Zaccaria, AC 4559)
** (Ipotesi de Zulueta-Giulietti, AC 1460)

Conflitto di Interessi e Antitrust
Congiuntamente e in continuità con la proposta “La RAI ai cittadini”, MoveOn Italia è impegnata nella definizione delle linee guida per iniziative che incidano su due ulteriori temi di vitale importanza democratica:  il conflitto di interessi e l’antitrust. Per garantire la libertà e il pluralismo dell’informazione questa riforma non può infatti prescindere da una netta e chiara separazione, definita per legge, tra l’esercizio del potere politico e la proprietà o la capacità di influenzare i media. E’ altresì necessario fissare limiti di concentrazione che un’unica società dei media sia autorizzata a controllare in uno o più mercati rilevanti.

Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone oppresse e amare quelle che opprimono” Malcom X”

Cambiamo tutti il modo di pensare, proponiamo dal basso con grande entusiasmo e senza interessi personali. I cittadini propongono, le Istituzioni possono diventare aperte. Trasformiamo anche la Tv in un bene comune di tutti. Stiamo invitando i cittadini, i movimenti, le associazioni, i giornalisti e i Parlamentari a confrontarsi e a partecipare.
Inviteremo a seguire e ad impegnarsi in questo percorso riformatore dei cittadini anche dopo l‘incontro del 23 Marzo anche Bersani, Vendola, Di Pietro e i diversi leader.
Ci rivolgeremo anche a Monti e al suo Governo provando inoltre a fare una proposta agli organismi europei sul coinvolgimento degli utenti nel servizio pubblico.

Il MoveOn americano spinse e fece approvare in parlamento la Riforma Sanitaria Pubblica, noi spingiamo la Riforma della Tv Pubblica