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Conte massacrato perché “non si discuteva del Recovery”. Ma il piano di Draghi nessuno l’ha visto

Eravamo in ritardo già due mesi fa, quasi tre. Lo dicevano a gran voce tutti, lo ribattevano i giornali, lo dicevano quasi tutti i partiti e i renziani ci avevano detto che la mancata discussione del Pnrr “con un dibattito aperto e franco in Parlamento” era uno dei principali motivi della crisi di governo.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, lo strumento per rispondere alla crisi pandemica provocata dal Covid-19: il piano va presentato il prossimo 30 aprile, tra pochi giorni, ma non l’ha ancora visto nessuno.

I sindacati che hanno incontrato ieri Draghi hanno raccontato di non avere visto nulla di scritto, nonostante si siano presentati pieni di speranze. “Noi riconosciamo solo a Omero la possibilità di una descrizione orale” ha detto ieri Pierpaolo Bombardieri, segretario della Uil, ma qui tocca fidarsi delle buone intenzioni, visto che anche gli stessi partiti non hanno ancora visto nulla.

Ieri c’è stato l’ultimo incontro con le forze politiche, la delegazione di Leu, e anche in quel caso nulla di scritto. Perfino Carlo Bonomi, presidente di Confindustria sempre piuttosto tenero con Draghi, ha dovuto specificare che si riserva una valutazione “perché non è stato visto alcun documento”.

Ultima versione del piano? Quella del 12 gennaio, ritenuta “insufficiente” dagli stessi partiti che ora si sono meravigliosamente ammansiti. 34 associazioni tra cui Libera, Transparency International Italia, Lipu, Cittadinanzattiva, Cittadini reattivi, Re-Act, Fondazione Etica hanno scritto una lettera ai Ministri Franco, Giovannini, Colao, Cingolani e al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Garofoli per chiedere di pubblicare con urgenza le bozze del piano: “A pochi giorni dalla data che sancisce l’obbligo di consegna di Piano definitivo a Bruxelles e in previsione di una spesa pari a 220 miliardi di euro di risorse comunitarie e nazionali, ci è ancora impossibile pronunciarci sui contenuti del PNRR perché l’ultima bozza non è stata resa disponibile”, scrivono.

In Parlamento probabilmente verranno fatte delle “comunicazioni”, sottoposte al voto, che saranno molto generiche. E pensare che fino a qualche giorno fa si pensava semplicemente a delle “informative”. “Sarebbe utile leggere il piano” dicono tutti composti in Parlamento quelli che prima si strappavano i capelli e intanto sperano che non si colga l’incoerenza. Un altro punto nella lista delle urgenze che si sono spente.

Leggi anche: E anche Beppe Grillo scoprì cos’è il giustizialismo (di Giulio Cavalli)

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E anche Beppe Grillo scoprì cos’è il giustizialismo

Caro Beppe Grillo, ti do una notizia: tutti gli accusati, anche quelli dei crimini peggiori, anche quelli che subiscono processi che durano anni e che poi finiscono in niente, perfino quelli che vengono arrestati e subiscono detenzioni che poi si dimostrano ingiuste, tutti hanno un padre, molti sono padri, esattamente come accade a te con tuo figlio Ciro.

Caro Beppe Grillo, ti do un’altra notizia: in un Paese che avrebbe di che occuparsi per le malefatte compiute personalmente da politici e governano che (con sentenza definitiva) sono stati ritenuti colpevoli di deprecabili azioni che hanno danneggiato l’amministrazione pubblica e quindi il Paese e i cittadini, già da qualche anno si è presa l’abitudine di rovistare anche nelle colpe dei figli, dei genitori e perfino degli amici per reati che non hanno niente a che vedere con il loro ruolo.

Forse di questo te ne ricordi perché, mentre c’erano tutti gli elementi legittimi per costruire una critica (anche feroce) politica contro certi leader di partito, si è preferito invece rovistare nel casellario giudiziario dei loro congiunti.

E guarda, caro Grillo, te lo scrive uno che è tutt’altro che garantista peloso, di quel garantismo che viene troppo spesso sventolato per proteggere i colletti bianchi: eppure ho sempre creduto che ci siano evidenze giudiziarie talmente importanti su un Berlusconi (per dirne uno qualsiasi) che alla fine ho avuto la sensazione che occuparsi dei suoi presunti reati minori (come le sue abitudini sessuali) fosse un favore che gli abbiamo concesso mentre il suo braccio destro è condannato definitivo per mafia.

Io non so se tuo figlio, caro Beppe Grillo, sia innocente o colpevole. Mi auguro che sia innocente e mi auguro che possa risolversi il dolore dei presunti assassini come quello della presunta vittima.

Comprendo anche il tuo dolore da genitore, ma vivo in un Paese in cui credere nella Giustizia è elemento fondante per la tenuta democratica: lo avete ripetuto anche voi per anni, lo scrivono tutti i giorni i giornalisti che ti sono più vicini.

Forse il tema vero su cui varrebbe la pena riflettere è che, prima o poi, nella vita potrebbe capitare di essere sotto accusa o terribilmente fragili e hai ragione quando dici che fa schifo usare tutto questo come clava per fare politica.

Il tuo sfogo è comprensibile, umanissimo ma sei sicuro di non avere contribuito al clima da bastonatori irridenti degli sfoghi degli altri? Non è un’accusa, sia chiaro: è una riflessione politica. Ah, hai ragione, questa speculazione fa schifo.

Leggi anche: Beppe Grillo: “Mio figlio non è uno stupratore. Allora arrestate me”

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Mamma schiava, cucina e lava

A Matera il Consiglio comunale ha deciso di tagliare pesantemente le risorse destinate ai servizi di mensa scolastica ed asili nido: una scelta in netta controtendenza con quello che accade nel resto d’Italia e un po’ dappertutto in giro per il mondo. Ma l’aspetto più inquietante della vicenda sta nelle parole del consigliere comunale Michele Paterino, promotore dell’emendamento di bilancio che è stato osteggiato perfino dalla presidente della Commissione Bilancio, Adriana Violetto: «La gran parte delle madri che fruiscono del servizio sono casalinghe», ha detto Paterino e quindi, a suo dire, possono occuparsi dei figli.

Come fa giustamente notare la segretaria di Filcams Cgil Matera, Marcella Conese: «A parte le svariate riflessioni sulle motivazioni che hanno determinato l’assise comunale a prendere questa decisione e sulla idea inquietante di società che traspare dalle dichiarazioni del consigliere che ha presentato l’emendamento, in cui le donne devono stare a casa a curare bambini e mariti, sfugge un fatto inequivocabile ed oggettivo: la riduzione delle risorse determinerà una riduzione di posti di lavoro (occupati prevalentemente da donne) sia nella mensa scolastica che negli asili nido».

Il consigliere Paterino è l’esempio perfetto di politici (più o meno importanti) che continuano a non rendersi conto (o che non vogliono rendersi conto) che occorre rendere universali servizi che troppo spesso vengono intesi come individuali e che si intrecciano con la condizione femminile: sono moltissime le donne costrette a rinunciare al lavoro proprio perché non esistono servizi di sostegno all’infanzia o perché sono troppo costosi. Poi, volendo, si potrebbe anche discutere del fatto che siano le donne a doversi occupare di questo per una gran parte del pensiero generale. Ma su questo c’è ancora molto da lavorare.

Poi c’è un trucco che viene spesso usato e che vale la pena notare: i servizi vengono rivenduti come “privilegi” concessi dalla politica, con la continua pretesa che i cittadini siano addirittura “grati” per ciò che invece gli spetta. Anzi: la politica è lì proprio per quello. Ed è un gioco sottile che trasforma i diritti in privilegi ed è pericolosissimo. Per questo va combattuto con forza.

Qualcuno dica al consigliere Paterino che è riuscito nella mirabile impresa di essere la sintesi di tutto quello che non ci piace. Bravissimo, complimenti.

Buon venerdì.

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Draghi dì qualcosa: ora abbiamo bisogno di una data (e di una soglia) per sapere quando ne usciremo

Se mancano i dati, se mancano i riscontri reali, se mancano le spiegazioni precise allora diventa facile governare e farsi governare dall’emozione. Al netto di chi in questi mesi continua a lucrare sulla disperazione della gente con vergognose operazioni di sciacallaggio si può dire che in questo anno di pandemia abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a comunicazioni contraddittorie, confuse e molto spesso lacunose.

È un tema tutto politico: se continuano a mancare informazioni precise sulle misure prese e sugli impatti attesi dalle limitazioni che vengono imposte, l’aspetto emozionale (e il lucrare sulla limitazione di libertà) riuscirà sempre a trovare terreno fertile. 

Per capirci: le scuole sono state riaperte con dati peggiori rispetto a quando erano state chiuse e il ministro Speranza ha dichiarato, riconoscendo la cosa, che la scelta è stata fatta in correlazione con le vaccinazioni fatte (vaccinazioni ad insegnanti che sono state sospese) e per “investire sui giovani”.

La risposta, legittima, però cozza con le iniziative che non sono mai state prese sui trasporti, sulla ventilazione meccanica in classe e soprattutto con un rischio in ambito scolastico che non è mai stato spiegato lucidamente. Abbiamo ascoltato tutto e il suo contrario e la scuola è solo uno dei tanti esempi possibili.

Chi per lavoro ha viaggiato in questi mesi di pandemia sa benissimo che le distanze che vengono imposte sui treni a lunga percorrenza sono molto diverse rispetto ai protocolli di un semplice volo aereo, per non parlare della drammatica situazione del trasporto locale. 

Qui non si discute, sia chiaro, dell’importanza di arginare il virus e di non mandare in tilt il sistema sanitario ma avere un chiaro e periodico flusso di dati a disposizione permette una lucida valutazione delle proporzioni delle restrizioni: se non c’è chiarezza e accesso ai dati viene difficile anche valutare la bontà delle decisioni prese dalla politica.

USA e Gran Bretagna hanno fissato date per le riaperture sulla base di dati chiari e sottoposti ai cittadini. Non si tratta di aprire tutto e subito come chiedono gli sconsiderati ma forse Draghi dovrebbe sentire il dovere di fissare un’asticella (di contagi, di pressione ospedaliera, di numero totale di infetti) sotto la quale allentare i divieti.

Non è solo una questione di virus, è questione di controllo della democrazia, di trasparenza e responsabilità: comunicare con chiarezza tiene in equilibrio il patto sociale, altrimenti diventa solo una questione di pancia.

Leggi anche: Italia, cinema chiusi: ma va bene se un parroco apre la sala per trasmettere in streaming la messa pasquale

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Diritti di Cristello

Mi sembra che si parli molto poco, troppo poco, con quel silenzio cortese che si crea di solito per inzerbinarsi a qualche potente, della storia di Riccardo Cristello, che da 21 anni lavora all’ex Ilva di Taranto, che è stato operaio in magazzino e poi tecnico controllo costi dell’acciaieria, che ha aiutato anche in amministrazione per le fatture e che dopo una vita vissuta all’interno dell’azienda senza mai nemmeno una virgola fuori posto ora si ritrova disoccupato, licenziato per “giusta causa” solo che a guardarla da fuori la causa sembra tutt’altro che giusta.

La colpa di Cristello sarebbe quella di avere condiviso sul suo Facebook (e ci potete scommettere che Riccardo non sia propriamente un influencer capace di raggiungere milioni di persone) una lettera non sua, arrivata da un gruppo watshapp, in cui si invitava a seguire in televisione la fiction Svegliati amore mio (un programma con Sabrina Ferilli, eh, mica un pericoloso documentario di giornalismo di inchiesta) in cui si denunciano i danni che il siderurgico provoca in termini di salute pubblica. Sia chiaro: la serie televisiva non è sull’ex Ilva e non ha riferimenti su niente.

Seduto sul divano Riccardo Cristello e sua moglie devono avere pensato che valesse la pena sprecare una serata per un argomento così vicino alla loro vita e alla vita dei loro concittadini, in quella Taranto dove quasi tutti hanno un amico o un parente ucciso dalla gestione criminale dell’acciaieria, ben prima che arrivasse ArcelorMittal a gestirla.

«Dopo anni di rapporti umani vissuti nella fabbrica, mi hanno chiamato la domenica delle Palme dicendomi che c’era un problema di numero e che dovevo rimanere in cassa integrazione per una settimana. In verità mi stavano sospendendo per poi licenziarmi, senza nessun avvertimento, nessuna telefonata, se non la raccomandata col provvedimento», racconta in un’intervista a Repubblica Cristello. Licenziato così, su due piedi, per un post su Facebook che ha fatto rumore solo dopo il licenziamento. Una scelta di marketing tra l’altro che grida vendetta per stupidità e per cretineria.

Poi, volendo vedere, ci sarebbe anche quella vecchia questione dei diritti da rispettare, della politica che dovrebbe alzare la voce (almeno una parte) e di una violenza che ha distrutto la vita di una persona. «Ho l’impressione di essere il capro espiatorio. Lo spirito sembra sia quello di punirne uno per educarne cento. Non possiamo più parlare, non possiamo più commentare, dobbiamo stare zitti e basta», dice Cristello.

Viene da chiedersi se in questo periodo in cui alcuni vedono “dittatura” dappertutto non sia il caso di alzare la voce per una situazione del genere: c’è dentro il diritto al lavoro, il diritto alle proprie opinioni (che tra l’altro nulla c’entrano con l’azienda) e soprattutto c’è il diritto di dire forte che Taranto è stata devastata e sanguina ancora.

Aspettiamo con ansia.

Buon martedì.

Nella foto frame da una videointervista del Corriere della Sera

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Quante Malika ci sono in giro?

Sta facendo (per fortuna) molto rumore la storia di Malika, la ragazza di Castelfiorentino (Firenze) che nei giorni scorsi ha rilasciato la sua drammatica testimonianza a Fanpage.it in cui racconta di essere stata cacciata di casa, di essere stata umiliata e di essere minacciata di morte dalla sua famiglia dopo avere raccontato di essersi innamorata di una donna.

La storia ha tutti gli ingredienti della famosa “famiglia tradizionale” che si preoccupa molto più dell’orientamento sessuale dei propri figli che dei figli stessi. «Ti auguro un tumore», «Meglio una figlia drogata che lesbica», «Mi parli di altra gente? Son fortunati perché hanno figli normali, e solo noi s’ha uno schifo così», sono solo alcune delle frasi che la madre di Malika le ha rivolto con dei messaggi vocali. Il fratello da mesi – racconta Malika – la minaccia promettendole di tagliarle la gola. Lei è uscita con niente, solo quello che aveva addosso e da gennaio cerca di volta in volta una sistemazione di fortuna. Ha provato anche a ripresentarsi a casa della madre almeno per recuperare i suoi effetti personali ma la madre, di fronte agli agenti che accompagnavano la ragazza, l’ha addirittura disconosciuta.

Dopo l’uscita della notizia la mobilitazione è stata altissima: il sindaco della città si è subito attivato per aiutare la ragazza, molti cittadini si sono fatti avanti e Malika ha ricevuto anche qualche offerta di lavoro. Intanto la procura di Firenze, dopo 3 mesi e solo dopo l’enorme pubblicità che si è creata intorno all’evento, ha deciso di aprire un’inchiesta. La storia di Malika ha anche riacceso i fari sul Ddl Zan.

Insomma potrebbe sembrare una storia a lieto fine se non fosse che rimane addosso quella sensazione che c’è ogni volta che qualcosa si risolve dopo avere fatto rumore: quante Malika ci sono in giro? E la domanda giusta la pone proprio Malika intervistata da Fanpage quando dice: «Purtroppo ho dovuto sperimentare sulla mia pelle la lentezza della burocrazia italiana, che contribuisce a creare un clima di isolamento intorno a chi è vittima di odio omofobico, di bullismo, di stalking o di qualsiasi altro genere di violenza. Ho sporto denuncia contro i miei genitori il 18 gennaio 2021, ma fino a ieri l’altro non è stato fatto praticamente nulla di concreto. Ho dovuto ricorrere alla stampa per farmi sentire, sono felice che alla fine la mia richiesta di ascolto sia arrivata, ma mi chiedo: quante grida di aiuto si perdono nelle maglie della burocrazia italiana? Io ho dovuto urlare per vedere riconosciuto quello che è un mio diritto, se non l’avessi fatto sarei ancora invisibile».

Eccola, è questa la domanda.

Buon lunedì.

Nella foto un frame dell’intervista a Fanpage.it

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Diceva “prima gli italiani” ma ha preferito “prima la famiglia”: sindaco arrestato per migliaia di mascherine sottratte alle Rsa

“Prima gli italiani” ripete Matteo Salvini e tutti in coro i suoi fedelissimi. “Prima gli italiani” perché bisogna difendersi dagli interessi “altri”, quelli degli stranieri, che a detta dei leghisti depaupererebbero gli onesti. Poi accade che a Opera in provincia di Milano il sindaco leghista Antonino Nucera venga arrestato insieme alla sua compagna (capo dell’ufficio tecnico dello stesso comune di cui è sindaco) insieme a tre imprenditori.

Tra le accuse ci sono le mascherine che sarebbero servite agli anziani nelle Rsa, alla farmacia comunale per la distribuzioni ai suoi concittadini e che invece sono state tenute nascoste per l’ex moglie, gli amici, gli amici degli amici, i famigliari, i dipendenti comunali e gli agenti della polizia locale. Qualcosa come 2.800 dispositivi di protezione che il prode leghista, uno di quelli che dovrebbe difenderci dal pericolo “straniero”, ha deciso di intascarsi, secondo le accuse.

Eppure il sindaco Nucera è il prototipo del perfetto salviniano: sulla sua bacheca Facebook urlacciava contro il governo Conte scrivendo che “mentre loro concordano come spartire le poltrone” lui pensava a “lavorare per le nostre comunità, come abbiamo sempre fatto”. Poi ovviamente ci sono tutte le sue arrabbiature per “i criminali”: alcuni che hanno strappato i sigilli per attraversare un ponte in costruzione, complimenti ai carabinieri che hanno tolto la patente a un ubriaco al volante, indignazione per degli uccelli avvelenati, strali contro il reddito di cittadinanza, l’immancabile post sul presepe e sulla Sacra Famiglia e così via.

La retorica, la solita retorica, di chi usa il populismo per fottere gli elettori. Imperdibile il post in cui chiede ai cittadini di restare a casa: “In qualità di Sindaco e di padre di famiglia vi chiedo vivamente di uscire solo per motivi importanti! Stiamo attraversando un periodo molto particolare… è richiesto un comportamento responsabile ad ognuno di noi..”.

Del resto è proprio il manifesto del leghismo: quel “prima gli italiani” diventa un sovranismo in cui l’unica Patria è l’io e gli interessi personali. Fregarsene degli altri rivendicando l’egoismo come diritto. Se ci pensate bene il sindaco Nucera ha eseguito il suo manifesto politico alla lettera: si è occupato solo di quelli che lui considera “prima” degli altri solo che “gli altri” alla fine diventano anche i cittadini perché a forza di disinteressarsi di più gente possibile è inevitabile che finisca così. E chissà cosa ha da dirci il prode Salvini.

Leggi anche: Salvini cambia linea per placare i malumori della Lega: “Draghi non è Conte, non stacco la spina”

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Ora non c’entra più l’eredità di Conte: questo weekend è andato in scena il grande flop del piano vaccini

La gestione di una pandemia, la condivisione di limitazioni personali e la sopportazione delle difficoltà economiche e lavorative si regge su un patto sociale tra cittadini e governanti in cui le due parti riconoscono le proprie responsabilità e l’impegno di entrambi di assolverle con il massimo dell’impegno. Se quel patto si rompe (o comunque inizia a cigolare) si rischia la sfiducia, la disillusione, il lassismo e perfino la rabbia.

Per questo ogni volta che si sente dire di un “cambio di passo” nella campagna vaccinale o si ascolta qualcuno del governo promettere numeri e risultati nei prossimi mesi si nota in risposta una certa diffidenza e sempre meno reazioni positive: governare una pandemia non è certo facile ma in questi mesi la mancanza di cautela da parte di qualche esponente politico o amministratore ha alimentato promesse contraddette dalla realtà. Sarebbe il caso di averlo capito, dopo tutto questo tempo, eppure quelli insistono nell’errore senza riconoscere l’inefficacia di qualsiasi annuncio.

Cosa serve per rinsaldare la fiducia? Fare, fare, fare. Lo disse lo stesso Draghi nei giorni del suo insediamento: “niente annunci, solo fatti”. Non è andata proprio così.

Ad esempio la risposta migliore agli “aperturisti” (alcuni addirittura irresponsabili nel voler solleticare gli intestini dei complottisti peggiori) sarebbe quella di accelerare con le vaccinazioni. Missione fallita: 211mila sabato,  92mila domenica e ieri  124mila (dato ancora parziale): il grande flop del piano di vaccinazione di massa del governo Draghi tra Pasqua e Pasquetta 2021.

Sono circa 500mila dosi in tre giorni, esattamente la cifra che il commissario Figliuolo promette ma come cifra giornaliera. Che durante i festivi si assista a un drastico calo di tamponi e di vaccini è una situazione che molti da più parti continuano a sottolineare. Si sperava però nel promesso “cambio di passo” visto come soluzione anche da chi sosteneva che il problema fosse legato esclusivamente al governo Conte. E invece niente.

Le Regioni dicono di non avere più vaccini eppure lo Stato risponde che ci sono ancora tra i 2,3 e i 2,9 milioni di dosi ancora da somministrare nei frigoriferi. “Ho dato per scontato – sbagliandomi di grosso – che tutti sapessero che il virus non osserva le feste comandate”, scriveva ieri il virologo Roberto Burioni.

La campagna di massa cerca di alzare il livello oltre le 240mila dosi somministrate in media al giorno ma non si riesce a toccare le 300mila iniezioni in 24 ore e l’obiettivo delle 500mila entro fine mese ormai è piuttosto incerto. E il patto tra Stato e cittadini traballa.

Leggi anche: 1. Le Regioni in ritardo sui vaccini sono tutte guidate dalla Lega (di G. Cavalli) / 2. Cassieri, commessi e altri eroi dimenticati: l’insopportabile classismo nella corsa delle categorie ai vaccini (di G. Cavalli) / 3. Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene (di. G. Cavalli)

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Luigi de Magistris: «La Calabria non sarà più la periferia d’Europa»

Luigi de Magistris, a pochi mesi dalla fine del suo doppio mandato come sindaco di Napoli, è pronto a ributtarsi in un’altra sfida politica che appare impossibile: diventare presidente della Calabria così sempre uguale a se stessa e farlo da ex magistrato che proprio lì, in Calabria, ha vissuto i suoi momenti più difficili. Gli abbiamo chiesto sensazioni e prospettive.
De Magistris, perché questa decisione di candidarsi come presidente proprio in Calabria?
È stata una scelta imprevedibile e imprevista. Non era nei programmi. Poi, a dicembre dell’anno scorso, sono arrivate una serie di sollecitazioni da persone che conosco e che mi hanno conosciuto nel corso degli anni, da amici, e hanno cominciato a chiedermi se fossi disponibile. Devo ammettere che all’inizio non ci pensavo molto, poi ho cominciato a rifletterci. La condizione vera è il mio amore per la Calabria: una terra a cui sono legato fin da bambino, in cui ho vissuto dieci anni e in cui per nove anni ho lavorato come pubblico ministero. È una scelta di passione e di amore legata a un progetto politico, all’idea di un laboratorio che possa realizzare la rottura di un sistema e la costruzione di un buon governo credibile attraverso storie e persone con le quali ci stiamo connettendo giorno dopo giorno. La definirei una scelta di profondo amore legato alla Calabria.
Però vista anche la sua vicenda personale, ciò che la Calabria le ha portato in passato, vedendo anche i risultati delle tornate regionali, non le viene il dubbio, come dicono alcuni, che sia una terra irredimibile?
No. È una terra fertile che una certa politica ha voluto desertificare rendendola arida e incoltivabile. Io credo che la Calabria – l’ho visto con i miei occhi e quindi ne sono testimone – sia ricca di storie personali e collettive straordinarie; penso al mondo della cultura, dell’impresa, dell’agricoltura, dell’artigianato. Penso all’impegno forte nel campo dell’ambientalismo e della lotta alle mafie. È una ricchezza che non ha mai trovato, soprattutto a livello regionale, un’adeguata rappresentanza politica.
A proposito di lotta alle mafie, c’è in corso in Calabria un processo storico come Rinascita-Scott e la sensazione è che ci sia intorno un evidente calo di attenzione non solo da parte dei media ma anche da parte dei cittadini. L’antimafia è passata di moda?
Che ci sia un calo di attenzione lo registro soprattutto a livello politico nazionale, il tema non fa parte più di un’agenda prioritaria. Rinascita-Scott è un processo molto importante. Che per tanti anni si sia abbassata l’attenzione, lo dimostra il fatto che uno dei principali imputati di quel processo, l’avvocato Pittelli, fu da me coinvolto in maniera forte nelle due indagini che mi furono sottratte illegittimamente, Poseidone e Why not, e anche all’epoca avevamo ricostruito il suo ruolo di anello di collegamento tra settori della criminalità e settori delle professioni, delle istituzioni, della politica e della magistratura. Ora siamo a 13 anni dopo. Pensate quanto questo personaggio avrà fatto in questi 13 anni. Se 13 anni fa ci fu un potere che ci fermò significa che c’è stato un clima…

L’articolo prosegue su Left del 26 marzo – 1 aprile 2021

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Errare è umano, perseverare è Bertolaso

Come va in Lombardia? Va molto Bertolaso, purtroppo. Va Bertolaso perché non passa un giorno che non accada un vergognoso malfunzionamento che se la Lombardia non fosse la Lombardia (e se Bertolaso non fosse così tanto Bertolaso) sarebbe su tutti i giornali, sentiremmo Giletti urlare come un ossesso, vedremmo decine di speciali televisivi con giornalisti indignati che ficcano il microfono sotto la bocca di Fontana, di Moratti e del Bertolaso così tanto Bertolaso.

Negli ultimi giorni è accaduto che Letizia Moratti si è perfino spettinata urlando tutta la sua vergogna contro «l’inaccettabile» inadeguatezza di Aria, la società della Regione titolare della piattaforma degli appuntamenti per i vaccini. Avete letto bene: Letizia Moratti se l’è presa con una società di Regione Lombardia di cui lei è vicepresidente, in pratica è il tennista che incolpa il suo gomito per la sconfitta. Ha ragione il dem Pierfrancesco Majorino quando dice che ormai non rimane che stare in attesa del comunicato in cui Letizia Moratti si indigna contro Letizia Moratti, così poi il quadro è completo, il cerchio è chiuso.

Ma in Lombardia continua ad andare tutto molto Bertolaso perché nei giorni scorsi Fontana e la sua allegra combriccola sono riusciti addirittura a superarsi per il caos che sono riusciti a produrre: sabato l’hub vaccinale di Cremona al mattino si è apparecchiato con vaccini, medici e infermieri e si è ritrovato 80 cittadini invece dei 600 previsti per un errore sulle comunicazioni della piattaforma. L’Asst si è messa a telefonare ai sindaci della zona per chiedere di recuperare in fretta e furia gente disposta a correre per farsi vaccinare e non buttare via le fiale inutilizzate. Deve essere stata una scena in cui il caos è esploso in modo inaudito se l’azienda sanitaria è stata costretta a un certo punto a lanciare un appello del genere: «Non venite qui, aspettate di essere chiamati. Continueremo a vaccinare le persone nelle categorie previste da questa fase del Piano vaccinale e quindi over 80, insegnanti, forze dell’ordine, personale sanitario ed extraospedaliero. Presentandosi di propria volontà si contribuisce alla creazione di file e di affollamento».

È andata molto Bertolaso anche a Como e Monza dove di persone ne sono arrivate meno di 20 e invece il personale sanitario ne aspettava 700. Via ancora con le telefonate. Per garantire il massimo dell’erogazione possibile, ha spiegato la direzione ospedaliera, sono state utilizzate liste interne di asili, Protezione Civile, volontari Auser fornite da Ats Brianza, e vaccinato personale scolastico che si è autopresentato, d’intesa con l’Ats e la Dg Welfare che è stata avvisata della problematica.

Qualcuno potrebbe immaginare che domenica almeno sia andata meglio e invece domenica a Cremona a mezzogiorno non si era presentato nessuno. Avete letto bene: nessuno. Zero. Nisba. Il “piano vaccinale” ancora una volta si è risolto in un convulso giro di telefonate per riuscire a svuotare i frigoriferi.

Errare è umano, perseverare è Bertolaso.

Buon lunedì.

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