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Sulla Puglia e sulla democrazia

È una storia antichissima, che viene dalla notte dei tempi, quella del voto utile e di doversi presentare uniti alle elezioni. Su questo ogni volta ci si sfonda in contrapposte tifoserie: c’è chi dice che bisogna stare uniti per battere gli avversari e c’è chi dice che stare uniti se poi non si condividono gli stessi progetti e gli stessi ideali serve a ben poco anzi spesso serve proprio a fare votare gli avversari. Ognuno la pensi come vuole, è la democrazia, bellezza, e i pareri diversi e talvolta contrapposti sono il sale del dibattito politico, almeno su questo bisognerebbe essere d’accordo.

Certo le incongruenze dei comportamenti contano, andrebbero comunque ricordate per avere un quadro più chiaro della situazione: quelli che candidano Ivan Scalfarotto alla presidenza della Puglia sono gli stessi che quando stavano nel Pd contestavano addirittura l’esistenza di quelli che chiamavano partitini (li chiamavano proprio così) e condannavano le eventuali candidature al di fuori della coalizione di centrosinistra come personalismi e addirittura boicottaggi.

Sia chiaro: la democrazia consiste nella libertà di unirsi e di dividersi, per fortuna. E quindi da queste parti, dove spesso si è detto e scritto in difesa di quelli che rivendicano il diritto di non assomigliare a una coalizione si difende anche la libera scelta di correre da soli, come farà Scalfarotto in Puglia. Rimane però il dubbio che l’iniziativa politica di Renzi sia, per l’ennesima volta come è nella sua natura, una questione personale che assume connotati politici e a cui si appiccia una giustificazione che appaia come un’idea di governo regionale.

E allora facciamo un patto: i renziani, quelli che sono riusciti per anni a dirci che ogni iniziativa contro il capo Renzi fosse una questione di antipatia o una ricerca di un posto al sole ora ci chiedono scusa e ammettono che in politica capiti di non essere d’accordo, ci sia il diritto di non essere d’accordo.

Per il resto un grande in bocca al lupo a tutti i candidati delle prossime regionali. E un grande in bocca al lupo a questa politica che non riesce a dibattere se non scontrandosi e duellando, sempre pronta a contarsi piuttosto che a contare. Ne abbiamo bisogno, di fortuna, tutti.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Le secondarie in Lombardia

A-N-jEZCQAEoUfy.jpg-largeSono le elezioni che ci interessa vincere: le secondarie in Lombardia. Ieri hanno votato 150.000 persone (a pochi passi dal Natale, sotto la neve e poco dopo una chiamata ai seggi per le primarie nazionali): il dato è più alto delle aspettative e si assesta circa ad un terzo del dato delle primarie nazionali. Nonostante la milanocentricità che tutti prevedevano queste primarie (che siano state civiche, politiche o qualsiasi altra cosa) consegnano alla Lombardia un candidato costruito su un consenso reale e spesso nelle percentuali. Forse alla fine avevamo ragione a chiedere le primarie come passo indispensabile per una candidatura che fosse realmente riconosciuta.

Il risultato di Di Stefano non è una sorpresa, no: i temi dell’ambiente, dell’intollerabile privatizzazione di scuola e sanità, del reddito minimo garantito sono argomenti sentiti e veri anche qui dove il centrodestra (e il centrocentrocentrosinistra) ha finto di non sentirci ed è inevitabile che l’alternativa al formigonismo debba passare da politiche sociali, sanitarie, di infrastrutture e di lavoro che siano realmente diverse. L’augurio che ci possiamo fare per la prossima Lombardia è che i temi dei candidati rimangano tutti in campo (lo scrivevo ieri).

Ora è il caso di uscire dall’autismo di coalizione e ripartire da quei 150,000 voti e dai volontari sui territori: sono il capitale “sociale” su cui costruire la Lombardia.

Buon lavoro, Umberto e buon lavoro a noi.

(mi concedo un post scriptum polemico perché mi piaccio così: ho appoggiato Umberto con convinzione per l’amicizia che ci lega, per la discontinuità che può garantire in Lombardia e per quello che scrivevo qui,  e perché questa è la posizione nazionale del partito che mi onoro di rappresentare in Consiglio Regionale. Avete letto bene: posizione nazionale. Poi in queste ultime settimane ho visto di tutto: chi appoggiava Pizzul perché era vicino ai temi di SEL che è passato dal sostenere Ambrosoli al dichiarare il “liberi tutti” per poi tornare ad essere ambrosoliano e da ieri distefaniano innamorato. Insomma, vale tutto per ritagliarsi un posto al sole: l’accusa che “qualcuno” soffiava nelle orecchie riferendosi a me e Pippo Civati. Ora li vedrete tutti come cavallette nella postura del scendiletto per una manciata di voti in più.

Poi se vogliamo confrontarci sul ruolo che SEL può avere nel quadro che va delineandosi, ben venga. Perché la politica è dibattito pubblico e aperto e le piccole beghe di bottega smazzate tra pochi fanno sorridere. Ma davvero.)

 

#cosaseria e l’assemblea

Ho voluto aspettare qualche giorno dopo l’assemblea nazionale di SEL perché mi interessava leggere cosa sarebbe uscito sui giornali: già in altre occasioni ero rimasto stupito dalla differenza tra la sostanza ce ci ritrovavamo a discutere e la forma della notizia nei giorni successivi. E ho voluto aspettare che fossero pubblici i documenti perché finalmente si potesse discutere sulle parole scritte e votate e non sulle interviste: la politica fatta come un vespaio che rumoreggia di fondo alle interviste del leader mi sa sempre di fanatismo e il fanatismo, si sa, ama poco le votazioni.

Abbiamo chiesto che SEL (e non solo, ma noi siamo qui) si prendesse la responsabilità di Fare la Cosa Seria e diventare motore per un’alleanza che guardasse convintamente a sinistra e soprattutto ad un’agenda di riforme ben lontana da quella di Monti (sul lavoro, sulla politica economica, sui rapporti con l’Europa e tutto il resto). Abbiamo chiesto che IDV fosse coinvolto nella coalizione insieme alle forze di sinistra e ai tanti movimenti. Insomma che si andasse in mare aperto. Ma sul serio.

Nel documento finale (che potete leggere per intero qui) si legge:

Provare a costruire un’alleanza che competa realmente per il governo del paese ci pare lo strumento in questo momento più efficace per dare rappresentanza e forza a tante persone e soggetti sociali che non hanno voce né potere. Dobbiamo investire nella democrazia e nella partecipazione: tanto più riusciremo a realizzare una vera e propria “invasione democratica” dei soggetti del cambiamento , a partire dalle donne e dai giovani, italiani e migranti, tanto più potremo cambiare il paese. Per questo ci rivolgiamo all’Idv, poiché la sentiamo come parte importante di tante esperienze che già esistono nel nostro paese e, quindi, una risorsa fondamentale anche per il governo nazionale affinché condivida il percorso di costruzione del centrosinistra, e con lo stesso spirito alle forze della sinistra e dei movimenti politici e sociali.

Le nostre scelte politiche devono precedere l’esito della trattativa in corso sulla legge elettorale. In primo luogo ribadiamo la nostra preferenza per il sistema elettorale “mattarellum” che, solo un anno fa, raccolse oltre un milione di firme. Quanto alle voci sulla prossima legge, per noi è fondamentale

che i cittadini possano scegliere gli eletti e decidere la coalizione prima delle elezioni. Ne consegue la nostra ferma contrarietà alle ipotesi paventate che prevedono l’assegnazione del premio di maggioranza al primo partito. La valutazione compiuta della legge elettorale, anche per la peculiarietà di questa materia, si potrà fare solo, e se, una riforma verrà approvata dal Parlamento. 

Allora forse chi ci accusava di velleità potrà ricredersi almeno un poco: la discussione è stata riaperta, la posizione è stata scritta e sono arrivate (finalmente) anche le parole chiare sull’UDC:

Nel corso del mese di agosto si è alimentata una discussione che ha messo insieme legittime preoccupazioni, reazioni emotive e palesi strumentalità. Non faremo nessun accordo elettorale e di governo con l’Udc. Se non fossero bastati i chiarimenti forniti tanto da Vendola che da Bersani, riteniamo utile ribadire che l’Udc è un partito che non appartiene al campo del centrosinistra e che per motivi politici, e quindi non astrattamente pregiudiziali, non farà parte del progetto di governo che intendiamo portare alla guida del paese. L’Udc si è distinta in questi mesi per i suoi fallimenti, dal “terzo polo” alla “cosa bianca”, e per i suoi richiami a proseguire l’esperienza di Monti, magari anche riproponendo una grande coalizione.

E’ un passo in avanti, certo. Ma la discussione è solo all’inizio. Perché il documento di Fulvia Bandoli, Alfonso Gianni, Giorgio Parisi e Bia Sarasini apre una discussione che non si può ritenere chiusa: la capacità e la voglia di dichiarare la propria contrarietà e indisponibilità all’apertura della coalizione di centrosinistra alle forze moderate, che hanno condiviso interamente l’operato del governo Monti e ne predicano la continuità, sia prima che dopo l’esito elettorale, rifiutando con nettezza e in modo esplicito qualunque ipotesi, come quella emersa nelle dichiarazioni e nella carta di intenti del Pd, di un patto di legislatura con forze politiche, quali l’Udc, che porterebbe inevitabilmente a uno snaturamento del programma politico, sociale e economico di governo.

Insomma, il punto vero (non nascondiamocelo) è la legge elettorale e quanto si riesca a spostare l’asse e preoccuparsi di essere chiari, semplici, e attuali perché in grado di attuare i programmi.

E che diventi una questione di equilibri e non di equilibrismi.