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San Raffaele, visite Covid a pagamento? Peggio di come sembra

Ha fatto molto discutere ieri la notizia che il San Raffaele di Milano ha un vero e proprio servizio, a pagamento, per i pazienti positivi al Covid-19 in isolamento a casa. Il costo di una visita specialistica a domicilio è di 450 euro, mentre per un più semplice e immediato consulto video o telefonico da parte del medico il costo è di 90 euro. 90 euro per un consulto telefonico, avete letto bene.

Ha centrato il punto il consigliere regionale Matteo Piloni che dice: «Sei positivo al Covid e in isolamento? Le Usca non funzionano come dovrebbero? Tranquilli, ci pensa il privato. Se Ats o il vostro medico non vi chiamano o non rispondono, ci pensa il San Raffaele. Con un consulto video o telefonico a 90 euro e, se il medico lo riterrà, con 450 euro per un servizio di diagnostica a domicilio. Il pubblico arranca e il privato ingrassa».

Vale la pena rileggere anche quello che disse Alberto Zangrillo, primario guarda caso proprio al San Raffaele: «È indubbio che la diga del terrorismo ha ceduto e le persone sono disorientate e spaventate. Il malato va seguito a domicilio dall’esordio della prima sintomatologia». La frase, di per sé giusta, risulta un po’ risibile se detta da chi il Covid questa estate lo giudicava “clinicamente morto”, da quello del “sono tutti asintomatici” e dallo stesso che lavora nell’ospedale che lucra proprio sulla paura.

Per inciso l’Ospedale San Raffaele fa parte del Gruppo San Donato, sì sì proprio quello dove lavora Angelino Alfano e dove lavora Roberto Maroni. Incredibile, vero?

Per capire sempre del Gruppo San Donato conviene anche rileggersi una nota del consigliere regionale in Lombardia del M5S Fumagalli che l’8 agosto scrisse: «In data 5 agosto, la Giunta Regionale (con la delibera 3518 dall’anonimo oggetto: (‘Determinazioni in ordine alla gestione del servizio sanitario e sociosanitario per l’esercizio 2020-1°provvedimento’) stabilisce di farsi carico del 50% dei costi del rinnovo contrattuale della sanità privata con interventi relativi alle tariffe e ai budget nei limiti delle risorse disponibili. Questo significa (come già segnalato sul sito di Business Insider Italia) che, ad esempio, un ospedale come il San Donato che nel 2019 ha fatto un fatturato di 170 milioni di euro con un utile netto di quasi 34 milioni di euro, riceverà dei fondi extra per pagare i propri dipendenti. 5 milioni di euro solo per i mesi restanti del 2020. Se Regione Lombardia ha così a cuore i dipendenti degli Ospedali privati, perché non impone a questi imprenditori (il San Donato è guidato da Angelino Alfano) di applicare il Ccnl della sanità pubblica? Perché non impone di assumere i medici anziché tenerli a partita Iva? Il San Donato ha solo un medico assunto. Perché impegnarsi ad aumenti di tariffa e di budget nei confronti di chi fa già enormi utili per pagare i dipendenti? Non possono usare i margini che hanno per pagare i dipendenti e diminuire gli utili? Ma ai lavoratori delle cooperative che stanno nella sanità con uno sfruttamento enorme, i soldi dell’aumento di stipendio lo passa Regione Lombardia? No, perché in queste cooperative, non ci sono Alfano e Maroni a fare i presidenti».

Insomma, è molto peggio di come sembra.

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Beni confiscati, l’impegno non si brucia

scritto per IL FATTO QUOTIDIANO 

Dieci giorni fa incendio oliveto – denuncia Libera – a Castelvetrano, poi duemila piante di arance a Belpasso nel catanese, ieri due quintali di grano andati in fumo a Mesagne per non citare le varie intimidazioni subite a Borgo Sabatino e nella piana di Gioia Tauro in Calabria. Non possiamo più pensare a delle coincidenza, sono colpiti beni confiscati restituiti alla collettività, sono un attacco al lavoro quotidiano di chi si impegna quotidianamente contro il potere criminale. Nessuno pensi che con le fiamme di vandalizzare e fermare questo impegno. Contro queste fiamme il “noi” del nostro paese è chiamato in gioco e deve sentire forte questo impegno nella lotta alla criminalità”.  

Gli incendi sui terreni confiscati alle mafie sono stati all’ordine del giorno. Ho incrociato gli occhi dei ragazzi che lavorano nelle cooperative mentre si fanno umidi guardando un muro o una vigna tutti neri con la cenere che si infila nel colletto della camicia. E sempre, sempre, ho guardato la voglia di continuare. Mica ricominciare. Continuare come se quel fuoco fosse un imprevisto che stava nel preventivo delle cose che succedono in un percorso incidentato, più che accidentale. Sfregiare il bene che è stato tolto è il modo per le mafie di esibire il colpo di coda. Banale, arrogante, vigliacco:mafioso con tutti i suoi stili e le bassezze che comunque ci aspettiamo.

Eppure il punto che mi colpisce degli ultimi incendi in sequenza sui terreni confiscati è un altro: lastrategia. Questo riuscire così bene delle mafie a guardare la mappa dei propri problemi e delle proprie sconfitte dall’alto per convenire sui tempi, sui luoghi, sui modi e sulle modalità affinché la puzza di bruciato si attacchi alla gola in modo sistematico. Una codardia spalmata con metodo.

E allora mi chiedo se siamo riusciti mai a guardare lontano (e da lontano) cosa sta succedendo neiterreni confiscati. Se abbiamo fatto un passo in più rispetto all’etichetta di Libera messa in bella mostra nella presentazione di uno dei soliti libri o nella corsa campestre contro le mafie e quelle altre cose lì. Se abbiamo mai alzato davvero la voce con il governo (qualsiasi di quelli che sono stati in questi ultimi anni) per rivendicare l’impegno. Perché l’impegno va rivendicato, sì. In un Paese che partorisce un negazionista o un minimizzatore al giorno nei sui quadri dirigenti l’impegno va urlato. E andrebbe esposto (e imposto) nello stesso modo sistematico e con la stessa capacità di raccontare tutto e tutti tenendo tutto insieme. Come fanno loro. Sorprenderli per una volta con un accerchiamento simile a quello che stiamo subendo con uno sdegno organizzato tra i lavoratori di quei beni, i consumatori, la politica, gli atti amministrativi, i ministeri e le forze dell’ordine. Senza rimanere sfilacciati aspettando che qualcuno racconti con lirismo il prossimo incendio per sollevare una solidarietà di qualche ora.

Si pensi a risolvere il problema delle ipoteche che frenano l’assegnazione di beni confiscati e incagliati da anni chiedendo un’assunzione di responsabilità alle banche, si rinforzi lo strumento dellaconfisca, si custodiscano le arance non solo come arance ma come simbolo di una rivincita civile, si pensi ad una legge di confisca anche per i reati di corruzione, si pensi ad inserire i prodotti nelle mense scolastiche, si recepisca la legge dell’autoriciclaggio come ci chiede l’Europa (da cui prendiamo solo i moniti antisociali) e dica forte lo Stato che quel terreno confiscato è suo e lo difende.

Poi la cenere sarà solo un problema passeggero. Sicuro.