Stanno vendendo in nostri dati clinici a IBM?
(Un articolo importante, perché sarà uno dei temi politici del futuro, e sarebbe il caso di occuparsene subito)
La sanità è uno dei settori maggiormente rivoluzionati dallo sfruttamento dei big data e del machine learning: aziende come Google ed IBM sono in grado, ad esempio, di riconoscere cellule tumorali grazie ai loro algoritmi di intelligenza artificiale, aiutando quindi i medici nelle loro attività di cura e prevenzione.
Il 31 marzo 2016, durante una visita dell’allora primo ministro Matteo Renzi alla nuova sede del centro Watson Health di IBM a Cambridge, MA, è stato firmato un accordo per creare un centro di eccellenza europeo Watson Health a Milano. Come si può leggere dal post ufficiale di IBM, “il Centro è parte di una collaborazione a lungo termine fra IBM ed il governo italiano. IBM intende investire fino a 150 milioni di dollari nei prossimi anni e raccogliere insieme esperti di data science, ingegneri, ricercatori e designer per sviluppare la prossima generazione di applicazioni e soluzioni per la salute, basate sui dati.”
Inoltre, prosegue il comunicato ufficiale, sarà offerta la possibilità di “lavorare in collaborazione con altre organizzazioni europee per creare una nuova tipologia di soluzioni che sfruttano il cloud, all’intersezione fra l’informatica cognitiva, le scienze biologiche e l’assistenza sanitaria.”
Ci troviamo di fronte alla formula magica del XXI secolo: soluzionismo tecnologico in soccorso dell’umanità. Purtroppo, però, ogni dettaglio di questo accordo è coperto da una fitta coltre di nebbia.
Lo scorso 15 febbraio, il Fatto Quotidiano ha rivelato che l’accordo prevede la fornitura ad IBM dei dati sanitari di tutti gli italiani, a partire da quelli che vivono in Lombardia. I documenti confidenziali che ne descrivono i termini — ottenuti dal giornalista Gianni Barbacetto — indicano anche la natura dei dati clinici: “si ritiene cruciale avere accesso a dati dei pazienti, ai dati farmacologici, ai dati del registro dei tumori, ai dati genomici, dati delle cure, dati regionali o Agenas, dati Aifa sui farmaci, sugli studi clinici attivi, dati di iscrizione e demografici, diagnosi mediche storiche, rimborsi e costi di utilizzo, condizioni e procedure mediche, prescrizioni ambulatoriali, trattamenti farmacologici con relativi costi, visite di pronto soccorso, schede di dimissioni ospedaliere (sdo), informazioni sugli appuntamenti, orari e presenze, e altri dati sanitari,” scrive Barbacetto nell’articolo de il Fatto Quotidiano.
Recentemente, lo stesso giornalista è entrato in possesso di un documento della Regione Lombardia che sancisce l’avvio del progetto entro la fine di luglio, nel quale si conferma la possibilità per IBM di avere accesso ai dati di circa 3 milioni di cittadini lombardi affetti da patologie croniche.
Le modalità di utilizzo di questi dati però non sono ancora state comunicate nemmeno al Garante per la protezione dei dati personali: i dati clinici sono altamente riservati e contengono sempre informazioni sensibili sullo stato psico-fisico di un soggetto e pertanto devono essere protetti con debite procedure di anonimizzazione per garantire la preservazione della privacy dei pazienti.
Sembra quindi che la scelta del governo — e della regione Lombardia — non abbia tenuto in considerazione tali ripercussioni sulla privacy dei cittadini e, nel frattempo, la richiesta di chiarimenti alle istituzioni non stia conducendo a risposte esaustive.
(continua qui)