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Democrazia

La dittatura e le sue lezioni

Ho voluto fortemente che Matteo Pascoletti fosse dei nostri per Non Mi Fermo. Perché Matteo non ha analisi mediate: scrive e sputa, alla De André. Il suo pezzo di oggi su dittature e i suoi figli ne è un esempio. La stagione berlusconiana ha imposto nel paese un leaderismo allergico al confronto, e quindi debolissimo sul versante della democraticità. Un leaderismo che ha sdoganato, nella comunicazione pubblica, l’insulto, la denigrazione, l’oscenità sfoggiata, indebolendo dunque ulteriormente gli anticorpi offerti dalla logica e dal pensiero critico. Indebolendosi quest’ultimi, la tendenza a delegare di volta in volta al leader la soluzione a un problema percepito soprattutto sul piano emotivo, e la cui complessità non si è in grado di sviscerare, è diventata prassi sociale. Non è un caso, sospetto, che sia alta la fiducia a Monti e bassissima la sfiducia nei partiti, come se il dato non tenesse conto che il Presidente del Consiglio, per far passare i provvedimenti, deve passare proprio per quei partiti. Del resto, come si può vedere in questo articolo di la Repubblica, la maggior parte degli italiani non percepisce il Governo Monti come governo di centrodestra o di centrosinistra. Quindi l’opinione pubblica italiana è culturalmente predisposta a un leader forte, ed è portata dallo stato di crisi e dai valori trasmessi dalla politica di questi ultimi anni ad essere emotivamente indisposta verso dialogo e confronto, o quanto meno disabituata. Ma questo leader forte non può essere Monti, perché la dipendenza dagli attuali partiti segna, a mio avviso, il limite invalicabile e la natura temporanea della narrazione dei “tecnici estranei alla politica”. Il resto qui.

F1: se a perdere è il Bahrain

Roberto scrive del Gran Premio di F1 in cui i diritti sono già fuori dalla griglia di partenza. L’anno scorso le forti proteste contro il regime al governo avevano portato alla cancellazione della corsa, le Wiliams avevano comunque fatto sapere che stavano valutando la possibilità di boicottare la gara. Ora, a distanza di un anno, la situazione politica non è molto cambiata, per avere un’idea basta leggere qualche post di Alaska: Con l’aperto controllo dell’Arabia Saudita e la tacita complicità degli Stati Uniti (che pagano al Bahrain un lauto affitto per alloggiarvi la loro Quinta Flotta e gli forniscono armi), nemmeno il rapporto della commissione internazionale sulle torture pubblicato a ottobre ha aperto la strada per le riforme. La divisione settaria cavalcata dal governo si è acuita, la giovane attivista Zeinab Alkhawaja (@angryarabiya) si trova per la terza volta in carcere (dopo che suo marito era stato appena liberato dopo dieci mesi di carcere, e mentre suo padre Abdulhadi Alkhawaja è in carcere da quasi un anno, sta facendo lo sciopero della fame, e ha scritto un appello alla Danimarca, paese dove ha a lungo vissuto da esule), e tutti i cortei notturni degli ultimi mesi sono stati repressi con gas lacrimogeni, proiettili di gomma e pallini da caccia. Negli ultimi giorni i manifestanti, che erano sempre rimasti pacifici e avevano inventato alcune proteste simboliche come quella dei clacson, hanno cominciato ad appiccare incendi e lanciare molotov. In previsione dell’anniversario, il re ha di nuovo bloccato tutti i visti per i giornalisti stranieri, nonché i visti turistici all’ingresso. Migliaia di persone ieri, e gruppetti di giovani stamattina all’alba che hanno cercato di raggiungere quella che un tempo era Lulu correndo con le bandiere sono stati ricacciati indietro dai lacrimogeni, e si registrano già diversi feriti. La Boudaiya Highway è stata bloccata dalla polizia, Sitra isolata. Come se non bastasse Amnesty International ha pubblicato un dossier sui diritti umani violati nel paese. Forse sarebbe significativo uscire dalla meccanica, entrare nel campo dei diritti (negati) e decidere che anche lo sport debba fare tappa dove la democrazia se lo merita. Ferrati e Toro Rosso per prime.

Il discorso di fine anno

Mi dispiace, ma io non voglio fare l’Imperatore: non è il mio mestiere; non voglio governare né conquistare nessuno. Vorrei aiutare tutti, se possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca, è sufficiente per tutti noi; la vita può essere felice e magnifica, ma noi lo abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotti a passo d’oca fra le cose più abbiette. Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà; la scienza ci ha trasformato in cinici; l’avidità ci ha resi duri e cattivi; pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari, ci serve umanità; più che abilità, ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è violenza e tutto è perduto. L’aviazione e la radio hanno riavvicinato le genti; la natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà nell’uomo, reclama la fratellanza universale, l’unione dell’umanità. Perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone nel mondo, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare e imprigionare gente innocente. A coloro che mi odono, io dico: non disperate! L’avidità che ci comanda è solamente un male passeggero, l’amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano. L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori e il potere che hanno tolto al popolo ritornerà al popolo e, qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa. Soldati! Non cedete a dei bruti, uomini che vi disprezzano e vi sfruttano, che vi dicono come vivere, cosa fare, cosa dire, cosa pensare, che vi irreggimentano, vi condizionano, vi trattano come bestie. Non vi consegnate a questa gente senza un’anima, uomini macchina, con macchine al posto del cervello e del cuore. Voi non siete macchine, voi non siete bestie: siete uomini!

Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore, voi non odiate, coloro che odiano sono quelli che non hanno l’amore altrui. Soldati! Non difendete la schiavitù, ma la libertà! Ricordate nel Vangelo di S. Luca è scritto: “Il Regno di Dio è nel cuore dell’uomo“. Non di un solo uomo o di un gruppo di uomini, ma di tutti gli uomini. Voi! Voi, il popolo, avete la forza di creare le macchine, la forza di creare la felicità. Voi, il popolo, avete la forza di fare che la vita sia bella e libera; di fare di questa vita una splendida avventura. Quindi, in nome della democrazia, usiamo questa forza. Uniamoci tutti! Combattiamo per un mondo nuovo che sia migliore! Che dia a tutti gli uomini lavoro; ai giovani un futuro; ai vecchi la sicurezza. Promettendovi queste cose dei bruti sono andati al potere, mentivano! Non hanno mantenuto quelle promesse, e mai lo faranno! I dittatori forse sono liberi perché rendono schiavo il popolo. Allora combattiamo per mantenere quelle promesse! Combattiamo per liberare il mondo, eliminando confini e barriere; eliminando l’avidità, l’odio e l’intolleranza. Combattiamo per un mondo ragionevole. Un mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati, nel nome della democrazia, siate tutti uniti!

Hannah, puoi sentirmi? Dovunque tu sia, abbi fiducia. Guarda in alto, Hannah! Le nuvole si diradano: comincia a splendere il Sole. Prima o poi usciremo dall’oscurità, verso la luce e vivremo in un mondo nuovo. Un mondo più buono in cui gli uomini si solleveranno al di sopra della loro avidità, del loro odio, della loro brutalità. Guarda in alto, Hannah! L’animo umano troverà le sue ali, e finalmente comincerà a volare, a volare sull’arcobaleno verso la luce della speranza, verso il futuro. Il glorioso futuro che appartiene a te, a me, a tutti noi. Guarda in alto Hannah, lassù. (Il grande dittatore (The Great Dictator) 1940)

La Democrazia. Di Giorgio Bocca

«La felicità della democrazia, la felicità di essere, di sentirsi uomini liberi. Tutti, liberi di vivere la vita nelle sue infinite forme, di manifestare, di realizzarsi come cittadini, di assumere diritti e doveri.

Questa felicità non è un bene astratto o uno stato ideale irrealizzabile, è qualcosa di estremamente concreto e cogente, qualcosa che ha spronato una generazione a volere e a fare la guerra partigiana, la guerra di liberazione dagli occupanti tedeschi. (…)

Siamo liberi ma la mediocrità della vita ci sta soffocando. Apro la televisione, i giornali, ascolto le radio: è una marea di falsità e di stupidità che non ci dà tregua. Seguo i dibattiti politici, un bla bla bla ripetitivo, parole elusive prive di senso, una recita che ha dell’osceno perché capisci benissimo che i buoni intenti sono una copertura, un diversivo, e che al contrario tutti pensano ai buoni affari. Da cui una sorta di nausea per la politica in generale, vissuta come un colossale inganno e presa in giro.

La democrazia è il modo migliore di vivere associati, le sue forme sono le migliori, le sue ragioni inoppugnabili, ma se lascia che gli interessi privati prevalgano sui generali può diventare oggetto di feroci critiche e di odio, come all’inizio del secolo scorso, quando l’odio per la democrazia divampava in tutta Europa e creava i mostri del fascismo».

(Giorgio Bocca, 1920-2011)

Le firme e la ribellione

Le firme per l’abolizione del Porcellum (dicono i bene informati) ci sono. Sono scesi in campo i partiti ma non solo: comitati, associazioni, aree di partito (quelle che fino a qualche anno fa si chiamavano correnti ma adesso soffiano venti molto più estesi) e cittadini. Perché alla fine i cittadini hanno capito che la legittimazione della politica conviene costruirsela in casa. E se i partiti seguono, tanto meglio. Ma nessuno si gira a controllare dove sono. E la ribellione democratica, in fondo, ha già eclissato per visioni e modi tutti coloro che fingono (male) di averla inventata e di esserne il padre unico. Si rinuncia alle ferie per sistemare moduli e banchetti (lo racconta Elisee per ValigiaBlu), a Casalpusterlengo (città tagliata in due da una via Emilia come una spada) il comitato di cittadini è quasi riuscito a scongiurare il pericolo inceneritore, si (ri)serrano le fila per la Legge Bavaglio: è una resistenza metodica e professionale come risulta inimmaginabile per gli eletti (nominati) professionisti.

I ragazzi di Casalpusterlengo li ricordo mentre in Commissione illustravano le ragioni del loro dissenso e fornivano valutazioni tecniche e giuridiche: avevano un rispetto per l’istituzione che li ascoltava che da solo è stato una lezione di dignità. Sono passati dalla piazza alle formule chimiche, dagli incontri istituzionali (con la cravatta buona) alle cantine per dividersi i volantini. Forse anche loro ce l’hanno fatta. Forse. E sui giornali la politica si prende a pugni per assumersene il merito. Anche la ribellione e l’indignazione ormai danno lezione (alla politica) di democrazia.

I Signori della libertà

Ali Ferzat, il celebre vignettista siriano noto per la sua satira contro il regime, a cui hanno spezzato le mani, sta meglio. Mentre lo picchiavano pare gli urlassero “questo è perché disegni per la libertà! E questo è perché disegni contro i tuoi signori”. Mettere accanto la parola ‘libertà’ alle parole ‘i tuoi signori’ è la millenaria barzelletta padronale della democrazia con la condizionale. Solo che la tollerano tutti, anche se non ride nessuno. E infatti gli hanno spezzato il dito senza riuscire a vedere la luna. Buona ripresa, Ali.

Smascherare i partiti

Il nostro obiettivo è abolire la “porcata” (così definita dallo stesso ideatore della legge, il ministro Calderoli): l’aspetto più odioso di questa legge è il suo togliere ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Ma è da rigettare anche quel premio di maggioranza, che così com’è appare una vera e propria truffa, e che senza una soglia minima è tra l’altro ai limiti di costituzionalità. Arianna Ciccone e gli amici di Valigia Blu sono chiari: rivolgerci ai partiti, tutti, e prima di tutto certificare le loro intenzioni di cambiare questa legge (sarebbe già un primo passo, e in questo senso il PD ha dato chiare indicazioni). Il passo più importante sarà chiedere ai partiti, qualora fossimo costretti a votare con la legge porcata, di coinvolgere i cittadini nella composizione delle liste elettorali. Fare scegliere agli iscritti attraverso primarie a tutti i livelli. E io sono molto curioso. Non perdeteli di vista.

Acqua pubblica: Formigoni prepara il blitz di ferragosto

Agosto non è mese per stare tranquilli. E’ la politica che vive sulla distrazione del popolo per infilarsi in legiferazioni che altrimenti rischierebbero di alzare un polverone, o perlomeno quella che in democrazia si chiamerebbe discussione. Sull’onda (è il caso di dirlo) di una straordinaria mobilitazione popolare che ha visto un milione e quattrocento mila firme del Forum italiano dei movimenti per l’acqua e settecentocinquantamila dell’Italia dei Valori, oggi una politica responsabile dovrebbe fermarsi e costruire le basi di un serio dibattito sulla gestione dell’acqua come prezioso bene comune da sottrarre ad affaristi e grumi di potere.  Proprio ieri (il 28 luglio) è stata approvata (122 a favore; 41 astenuti; 0 contrari) all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite una risoluzione intitolata “Il Diritto Umano all’Acqua e all’igiene”.

Il “celeste” Formigoni invece, dalle segrete stanze della Giunta lombarda, prepara la liberalizzazione secondo i dettami del decreto Ronchi (con il servizio di erogazione dell’acqua nelle mani di tante società miste controllate al 60% dalle Province e per il restante 40% in mano ai privati con appetiti per il business dell’acqua pubblica) proprio in questi ultimi scampoli prevacanzieri. Con l’Aula del Consiglio Regionale “dimenticata” nella discussione e impegnata a discorrere di merli e richiami vivi. Tutto secondo copione, con i luoghi di discussione e i canali di informazione narcotizzati mentre una delicata fase politica decide di assoggettare un diritto universale alle regole della domanda e dell’offerta. Come merce o privilegio piuttosto che un diritto. In una politica per accordicchi o decreti sulla fiducia che svuota, ogni giorno di più, le istituzioni dal proprio senso di luogo di dibattito e democrazia e, in Lombardia, si prepara a svuotare anche il bicchiere.

E allora bisogna parlarne, scriverne, farne parlare. Perchè almeno sappiano che sappiamo. E che faremo tutte le domande e le azioni alla riapertura delle attività. Per una responsabilità che, in questo momento di desolazione politica, non va proprio in vacanza.

Inceneritori di Sicilia. Le oscurità di una società milanese e i danni possibili di un subappalto da record

carlo_rutaBerlusconi li chiama “termovalorizzatori verdi”. In realtà i mega-inceneritori previsti per la Sicilia dai bandi di gara del 2009 saranno i più pericolosi per la salute e l’ambiente. A dispetto dei diritti delle popolazioni dell’isola, così vengono tutelati gli interessi del gruppo Falck e della Pianimpianti, impresa fra le più discusse, amministrata dal calabrese Roberto Mercuri.

di Carlo Ruta

In un discorso recente ad Acerra, Silvio Berlusconi è stato chiaro nel dire che gli inceneritori destinati alla Sicilia dovranno essere dello stesso tipo di quello esistente nei pressi della città campana, battezzato dal medesimo il “termovalorizzatore verde”. Nei bandi siciliani del 2003 venivano richiesti in effetti inceneritori di tale tipo, a griglia mobile, con sistema di depurazione a secco. Con tali caratteristiche quindi, nel 2005, il gruppo Falck, capofila delle compagini vincitrici di tre gare su quattro, li ha ordinati in subappalto alla società milanese Pianimpianti, per mezzo miliardo di euro. Gli stessi sistemi recano altresì quelli richiesti dai nuovi bandi di gara, dell’aprile 2009. Il capo del governo, evidentemente, a tutto ciò si è riferito. I conti però tornano poco, anzitutto sotto il profilo tecnologico, se si considera che il modello richiesto dai bandi di sette anni fa oggi viene riconosciuto come il più pericoloso. Meno inquinanti risultano infatti gli inceneritori con sistema di depurazione ad umido, perché più idonei a rimuovere i gas acidi, i metalli pesanti, le polveri, i microinquinanti organici, incluse le diossine. Perché i nuovi bandi siciliani, con l’impegno forte del governo, ripropongono allora la realizzazione di impianti obsoleti? È un quesito ovvio, la cui risposta richiede comunque delle ricognizioni, a partire dalla società che ha beneficiato del favoloso subappalto, di cui sono stati evidenziati nella precedente inchiesta sul tema alcuni trascorsi.

Nel sito web che ne definisce profilo e attività, la Pianimpianti, amministrata da circa un decennio dal calabrese Roberto Mercuri, presenta sé stessa come una società di engineering & contracting, che cura la realizzazione di impianti dedicati alla salvaguardia dell’ambiente. In realtà, manifesta un profilo piuttosto vago. Dispone beninteso di uffici, manager, uno staff di funzionari. Non realizza tuttavia con tecnologie proprie gli impianti che s’impegna a consegnare “chiavi in mano”. Si avvale bensì dei mezzi materiali e logistici di una società non Italiana: la Lurgi di Francoforte, che è invece una presenza di rilievo nelle costruzioni per la siderurgia, la chimica e l’energia, con stabilimenti in Polonia, negli Stati Uniti, in India, nel Sud Africa. La società di Mercuri, non esente fra l’altro di connessioni con il Lussemburgo, è in sostanza una società di intermediazione, che, nelle logiche del terziario più mosso, fonda i propri guadagni sulla forza di contatto di cui dispone, da un lato con il partner tedesco, dall’altro con i committenti, pubblici e privati. E su tale facoltà di contatto dell’impresa, che è stata ritenuta non priva di diramazioni politiche, essendone stato vice presidente un noto ex parlamentare, si sono accentrate le attenzioni di diverse magistrature. A partire comunque da quella calabrese, che nello scorso marzo ancora una volta ha chiamato in causa Mercuri e un altro esponente della società di Milano, Aldo Bonaldi, nell’ambito di una inchiesta su finanziamenti e appalti nell’area crotonese.

Il rapporto Pianimpianti-Lurgi, maturato nell’ultimo decennio, reca delle ragioni solide, da ambedue le parti. La prima ha motivo di appoggiarsi a una potente realtà industriale off-shore, per la qualità e la competitività tipiche del prodotto tedesco, per le occasioni che possono venirne sui mercati esteri, ma non solo. Dal canto suo, la Lurgi ha avuto buoni motivi per collegarsi con Pianimpianti, pure con partecipazioni societarie, ravvisando nella medesima una testa d’ariete, ai fini della conquista di tessere di mercato in Italia: un terreno difficile, dominato da gruppi del calibro di Enel, Falck e Impregilo, ma condizionato pure da un ridotto club di multinazionali europee, come la francese Veolia e l’inglese International Power. Pur d’indole distante, entrambe le parti hanno tratto quindi guadagno dall’accordo, malgrado gli inconvenienti giudiziari che, in alcuni casi almeno, hanno dovuto condividere. Sono riuscite a incassare commesse importanti, a partire da quella dell’Api per la realizzazione in Calabria della più grande centrale a biomasse d’Europa. La società di Mercuri ha potuto portare il proprio fatturato dai 20 milioni di euro del 1999 alle centinaia di milioni degli anni più recenti.

A questo punto s’impongono delle riflessioni. Il gruppo Falck, presente nel top europeo dell’energia, avrebbe potuto realizzare da sé, o quasi, i tre impianti, ponendo in campo l’esperienza e i supporti di Actelios ed Elettroambiente. Non lo ha fatto. In subordine avrebbe potuto richiedere mezzi e supporti ad Enel Produzione, Amia e Catanzaro Costruzioni, presenti nelle compagini con quote non indifferenti. Ma anche questo non è avvenuto. Ha affidato invece la parte più imponente dell’affare siciliano a una società nota per le sue disinvolture, quella di Mercuri appunto, collegata per di più con una impresa di Francoforte che dal gruppo medesimo avrebbe potuto essere considerata, con buone ragioni, una possibile concorrente sugli scenari europei. È il caso di aggiungere che prima della firma del contratto le società aggiudicatarie non avevano mai avuto rapporti di un tale rilievo con Pianimpianti, né, fatta salva la forzata continuità della vicenda, ne hanno avuto dopo. L’accordo, distante da ogni garanzia pubblica, come è nelle logiche dei subappalti, è avvenuto allora in modo regolare o condizionato? Una risposta non può essere data, ma gli scenari che fanno da sfondo appaiono significativi.

Sulle energie dette rinnovabili si scommette da tempo. Il business che si erge su di esse, andato coniugandosi con quello dell’acqua e dei rifiuti, è tuttavia relativamente recente, con forti rilanci negli anni novanta, ma soprattutto nell’ultimo decennio, in virtù pure dell’azione dei governi che hanno sottoscritto, nel 1998, il protocollo di Kyoto. Sul fotovoltaico, sull’eolico, sulle energie idroelettrica e da biomasse, si sono esposte in effetti, con investimenti importanti, le maggiori società italiane operanti nell’energia, come Eni, Enel, Falck, Edison, Ansaldo, Helios Tecnology, Artemide, oltre che l’ente di ricerca Enea. Un’attrazione del tutto particolare ha suscitato altresì, nell’ambito della produzione da biomasse, la termovalorizzazione dei rifiuti, cui è riservata la parte maggiore degli incentivi “Cip6”, garantiti dal governo. Ne è scaturito quindi un sistema che, pur fortemente differenziato al proprio interno, tende a prescindere dai canovacci e dai retaggi di un paese economicamente diviso, ritrovando un terreno strategico proprio nelle regioni del sud, Sicilia inclusa. E qui è il punto. Nel sud sono state ravvisate le migliori condizioni climatiche e ambientali per lo sviluppo del fotovoltaico e dell’eolico. Vi risiedono altresì le maggiori emergenze da risolvere in tema di rifiuti e acqua. Vi resistono infine deficit strutturali e distanze da colmare, tali da poter animare disegni economici di lungo respiro. Ma le regioni del sud non sono solo questo. Sono sede di consorterie economiche, di mafie che non usano rimanere a guardare. La “scoperta” di tali aree, dal versante appunto delle energie rinnovabili e dei bisogni primari, ha implicato quindi delle prese di contatto, che, come testimoniano numerosi dati, anche di tipo giudiziario, si sono avute a vari livelli.

La Sicilia degli anni di Cuffaro ha costituito, sotto tale profilo, una sorta di laboratorio. Ne danno uno scorcio le esposizioni di un reo confesso di rango, Francesco Campanella, circa le attività meno visibili del consorzio di Metropolis Est, le gestioni anomale di fondi Ue, gli interessi legati alle acque, i giri di tangenti, i nessi fra imprenditoria e politica. È quanto emerge altresì, nell’ambito del processo “Talpe in Procura”, dalle deposizioni del boss agrigentino Maurizio Di Gati, circa l’interesse che le cosche avrebbero avuto per gli inceneritori sin dal 2001, quando ancora non era in progetto la loro realizzazione in Sicilia. Che il seguito non sia da meno lo si rileva comunque dai fatti: dalle trame che si avvertono nei territori in cui sono destinati a sorgere i termovalorizzatori, ma pure i gassificatori; dalle oscurità della politica; dai vuoti di democrazia che insistono, mentre si fa il possibile per espellere le realtà che non scendono a patti con le economie e le politiche più opache, come testimonia la vicenda, esemplare sul piano civile, della società Moncada Costruzioni, che in provincia di Agrigento ha inaugurato nel 2005 il parco eolico di Monte Mele. D’altra parte, anche il vento promette affari di un certo tipo. Dall’inchiesta “Eolo”, condotta di recente dal pm Roberto Scarpinato, della Dda di Palermo, si apprende infatti di rapporti che malavitosi di Trapani avrebbero intrecciato con imprenditori di diverse aree della penisola per lo sfruttamento l’energia eolica. E oltre lo stretto, in Calabria, in Campania, in Puglia, vige, naturalmente, dimostrato da sequenze di fatti, lo stesso paradigma.

Fin qui il clima appunto, che è stato e rimane quello di un mondo convulso, capace di subordinare tutto a degli scopi: dalla complessa macchina regionale alla stessa Unione europea, che, pur distante ed estranea, è stata resa una agenzia di servizio, una fonte cui poter attingere senza misura, come lo è stato a lungo la Cassa per il Mezzogiorno. Le distanze e le estraneità, proprio perché tali, possono essere tuttavia motivo di sorprese. Riprendendo il filo del rapporto Falck-Pianimpianti, proprio la Corte di Giustizia della Ue, con l’annullamento delle aggiudicazione dei quattro inceneritori, ha finito infatti per sparigliare le carte, nel 2007. E tutto questo proprio sul mega-affare dei 500 miliardi di euro ha avuto gli effetti più dirompenti.

Dopo la firma del contratto con il gruppo Falck, la Lurgi ha perso poco tempo. Come da impegni, due anni dopo ha realizzato infatti gli impianti per la Sicilia. Non potendone effettuare tuttavia la consegna, a causa dell’intervento della Ue, ha dovuto parcheggiarli nei propri stabilimenti di Francoforte, dove sono divenuti anno dopo anno obsoleti. Proprio di recente ne è nato allora un contenzioso, mosso dalla società tedesca, acquisita intanto dalla multinazionale francese Air Liquide, leader mondiale nei gas per l’industria e l’ambiente. In sostanza, trovatasi a distanza di quattro anni dalla firma con i tre impianti fermi in Germania e tecnologicamente obsoleti, la Lurgi ha deciso di adire le vie legali contro Pianimpianti e Falck, rivendicando il diritto di recedere dal’accordo del 2005 e di essere pienamente risarcita. Per tutta risposta la società di Mercuri, avvalendosi della clausola che fissava il termine del diritto di recesso in due anni, ha fatto ricorso contro l’impresa tedesca per “frustrazione di contratto”.

Evidentemente, tenuto conto che sono in gioco mezzo miliardo di euro e che la Lurgi ha sufficienti ragioni per vincere, si è aperta per le due società italiane una partita pericolosissima, per differenti motivi. L’impero Falck rischia di essere messo in ginocchio, nell’economia reale, con contraccolpi ipotizzabili pure a Piazza Affari e in altre Borse. La società di Mercuri rischia di essere travolta, e non solo: nel caso di dissoluzione, rischia di dover rendere conto, come non è avvenuto ancora a sufficienza, del suo passato economico, delle sue reali consistenze, delle sue diramazioni, in Italia e all’estero. Le due contraenti italiane recano insomma sufficienti motivi per mettere in campo tutte le loro facoltà per evitare il baratro. E le parole di Berlusconi ad Acerra ne marcano per certi versi un riscontro, non si sa quanto misurato, concordato, calcolato. Le popolazioni siciliane come ne usciranno allora? Probabilmente, per il bene del capitalismo italiano di buon nome, e di quello di altra reputazione, non avranno solo gli inceneritori più grandi d’Europa, ma pure i più inquinanti, i più grondanti di gas e diossine.

Fonti: Domani.arcoiris.tv  –  “L’Isola Possibile” Rivista mensile allegata a “Il Manifesto”

Sandro Pertini: onestà e coraggio

Discorso di Sandro Pertini

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Oggi la nuova Resistenza in cosa consiste… ecco l’appello ai giovani: di difendere queste posizioni che noi abbiamo conquistato, di difendere la Repubblica e la Democrazia.

E cioè oggi ci vuole due qualità a mio avviso, cara amica, l’onestà e il coraggio…l’onestà…l’onestà…l’onestà.

E quindi l’appello che io faccio ai giovani è questo: di cercare di essere onesti, prima di tutto la politica deve essere fatta CON LE MANI PULITE! Non ci possono essere… se c’è qualche scandalo…se c’è…se c’è qualcheduno che da scandalo…se c’è qualche uomo politico che approfitta della politica per fare i propri sporchi interessi DEVE ESSERE DENUNCIATO SENZA ALCUN TIMORE!”

Sandro Pertini
(1896 – 1990)