Renzi in internet’s wonderland
Sto studiando le proposte di Matteo Renzi (quel pdf che non si capisce perché dovrebbe essere wiki) e tra i primi punti che mi sono saltati all’occhio ho trovato “Con Internet, chiunque può produrre a costo zero il suo bollettino o il suo house organ. I contributi alla stampa di partito vanno aboliti”.
Questa favola di internet gratuito e patria del dilettantismo è una voce che di solito sento nel bar sotto casa mentre giocano duro a scala quaranta o quando sento qualche commesso che cerca di rifilare in offerta un pc ormai fuori produzione. Conosco giornalisti in rete che lavorano al proprio sito con più cura di un Lavitola qualsiasi con il proprio quotidiano e con la barra più dritta di tante testate considerate dure e pure anche dalle nostre parti del centrosinistra (byoblu, mi viene in mente, Francesco Piccinini con il suo agoravox o i giornalisti de Il Post). Senza dimenticare il digital divide che sembra non riuscire ad entrare nell’agenda politica (mentre è analizzato e farcito di proposte su Agendadigitale): basta consultare wikipedia (quella veramente wiki) per scoprire che al 2010, una famiglia italiana su 2 non ha un collegamento e solo una su 3 possiede Internet in banda larga. Il numero di italiani del tutto privi di copertura on line è di 2,3 milioni. Un numero che raggiunge quota 23 milioni (il 38% della popolazione), se si considerano i servizi d’accesso più tecnologici in grado di consentire fino a 100 Megabit al secondo. Nonostante la programmazione di investimenti pubblici per la banda larga, fermatisi però al Cipe come nel caso del “Piano Romani”, la riduzione del divario digitale all’interno del Paese ha coperto solo un ulteriore 5% della popolazione fra il 2004 e il 2009, di cui l’1,5% tramite Infratel, e si stima che nel 2011 ancora il 2% della popolazione sia in digital divide. La situazione territoriale è a macchia di leopardo, soprattutto per quanto riguarda la copertura di “seconda generazione” (20 Mbps), che arriva solo al 62% degli italiani. Basilicata, Calabria eValle d’Aosta superano il 60% in termini di digital divide, mentre Lazio e Liguria sono al di sotto del 25 per cento. La tecnologia WiMAX, per la quale il Ministero delle Comunicazioni ha assegnato le Frequenze con un bando pubblico nel 2008, grazie alle sue caratteristiche permette prestazioni comparabili a quelle dell’ADSL ordinaria, mitigando il problema del Digital Divide specialmente nelle aree a media densità abitativa e affette da carenza di infrastrutture. Anche con collegamenti via wireless sarebbe possibile una copertura totale del territorio, con l’onere di installare un DSLAM in ognuna delle 10800 centrali telefoniche italiane. Associazioni “Anti Digital Divide” si battono da anni per abbattere tale fenomeno negativo, per diffondere la banda larga in Italia e per la diminuzione delle tariffe ADSL.
Quello che avrei voluto dire lo scrive bene mazzetta nel suo articolo che, mica per niente, si conclude così: Per quanto possa risultare efficace è comunque populismo visto e stravisto, disonesto e ipocrita quando si presenta come ansioso di servire chi invece sta ingannando. Tutta gente che dovrebbe lavorare gratis o per un tozzo di pane e fare “i sacrifici”, per la maggior gloria del paese tutto e dei Marchionne e dei Renzi in particolare, quelli che sminuiscono il valore del lavoro degli altri e innalzano alle stelle quello del proprio. Loro che sono bravi a comunicare, a prendere decisioni e preoccupati per la collettività.
Il problema rappresentato dalla diffusione di convinzioni del genere ovviamente eccede le sciocchezze le autocandidature di Renzi e deborda ben oltre il settore dell’editoria. Tanto che è diventato una piaga per tutti quanti lavorano in rete e con la rete (ma anche fuori), che hanno grandi difficoltà a ricevere un’equa retribuzione e persino ad avere il riconoscimento della loro dignità professionale. La distruzione della dignità del lavoro e dei lavoratori gioca a favore di pochi privilegiati, non può portare alcun vantaggio alle collettività.
Casi del genere ribadiscono la necessità di una rivoluzione culturale, ben diversa da quella promessa dai Renzi e dalle loro moine, anche se il loro incessante ripetersi suggerisce che forse nel paese non esistono le forze e la volontà di resistere all’avanzare della dittatura dell’ignoranza.