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direzione nazionale antimafia

Di Matteo che resta

Nino Di Matteo ha rifiutato l’offerta del Consiglio superiore della magistratura di un trasferimento lontano da Palermo per motivi di sicurezza. Non andrà alla Direziona Nazionale Antimafia che gli è stata proposta per facilitare (secondo la discutibile decisione del Csm) la sua protezione.

«Non sono disponibile al trasferimento d’ufficio – ha detto il magistrato -. Accettare un trasferimento con una procedura straordinaria connessa solo a ragioni di sicurezza costituirebbe a mio avviso un segnale di resa personale ed istituzionale che non intendo dare».

Eppure Di Matteo aveva dalla sua parte parecchi buoni (e utili) motivi per accettare: la Direzione Nazionale Antimafia è il ruolo che ha cercato a lungo (una volta è stato bocciato e poi la sua domanda è stata respinta per un vizio di forma), il processo sulla trattativa continua a essere l’obiettivo degli strali di una parte politica folta e trasversale, i mascariatori professionisti lo accusano sottovoce di rischiare poco poiché non è ancora morto e la mafia si gode l’isolamento del magistrato che la rincorre.

Qui da noi funzioni solo se fai antimafia con le figurine dei boss da dare in pasto ai giornali e alla gente. Se solo provi a toccare la complessità di un fenomeno che (citando Gratteri) riesce a entrare nella politica con la stessa facilità di una lama nel burro allora diventi subito troppo intraprendente, antipatico, visionario o fissato. Chissà che ne dicono Falcone e Borsellino guardando un Paese che commemora senza memoria.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Operazione Aemilia: i nomi e i cognomi

I numeri saltano subito all’occhio: 160 arresti in tutta Italia e duecento indagati. 117 sono gli ordini d’arresto emessi della procura di Bologna, di cui sette al momento non sono stati eseguiti per l’irreperibilità di alcuni degli indagati. L’indagine è condotta dalla procura distrettuale antimafia di Bologna che ha ottenuto dal gip del Tribunale le 117 custodie cautelari in Emilia, ma anche Lombardia, Piemonte, Veneto, Sicilia. Contestualmente si stanno muovendo le procure di Catanzaro e Brescia che hanno emesso 46 provvedimenti.

L’operazione “Aemilia” ha coinvolto sia gli affiliati alle cosche della ‘ndrangheta, in particolare al clan Grande Aracri di Cutro, presente da decenni in regione, politici locali, un tecnico del comune di Finale Emilia, imprenditori e un giornalista. Finiti nell’ordinanza anche Ernesto e Domenico Grande Aracri, i fratelli del boss già detenuto Nicolino Grande Aracri, alias “Mano di gomma”. Domenico è un avvocato penalista, ed è stato arrestato su disposizione della direzione distrettuale antimafia di Bologna.

L’operazione si è concentrata soprattutto nelle province di Modena e Reggio Emilia. Tra gli arrestati l’imprenditore Augusto Bianchini, titolare dell’omonima Bianchini costruzioni oltre a un tecnico del Comune di Finale Emilia. Bianchini è uno degli imprenditori più impegnati nella ricostruzione nel cratere sismico a cavallo tra il 2012 e 2013. Proprio nel 2013 compare nelle cronache a causa di una interdicevi della Prefettura che escludeva la sua società dalle “White List”, le cosiddette liste pulite per gli appalti. Sotto la lente d’ingrandimento finirono i legami di alcuni dipendenti con figure malavitose riconducibili alla ‘ndrangheta, ma anche la gestione di alcuni appalti e lo smaltimento di rifiuti contenenti amianto.

Tra gli imprenditori del settore edile coinvolti nell’indagine Aemilia anche Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore Vincenzo, arrestato nel reggiano.

Spicca tra i fermi il nome del consigliere comunale di Forza Italia Giuseppe Pagliani, consigliere comunale a Reggio Emilia, che, rivelano le indagini, con Nicolino Sarcone, «referente della cosca a Reggio Emilia e comuni limitrofi», si sedeva attorno a un tavolo proprio con alcuni esponenti dei Grande Aracri.

area 'ndrangheta emilia

Fonte: Direzione Nazionale Antimafia

Sulle elezioni, fanno sapere gli inquirenti, sono stati svolti accertamenti e si intersecano in qualche modo con le indagini le tornate elettorali di Parma (2012), Salsomaggiore (2006), Brescello e Bibbiano (2009), su cui sono ancora in corso le verifiche degli investigatori per alcune sospette condizionamenti dei clan. Tra gli indagati figura anche il sindaco di Mantova Nicola Sodano.

Nell’ambito dell’inchiesta, coordinata dallo stesso Procuratore Nazionale antimafia Franco Roberti, sono stati sequestrati beni per circa 100milioni di euro. Nel corso dell’inchiesta è stato sentito anche l’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia dal 2004 al 2013, tra i protagonisti di un “pellegrinaggio” che ha fatto rizzare le antenne alla procura antimafia di Bologna. Riportava l’Espresso lo scorso 2 dicembre: una festa religiosa che gli sta creando più di un imbarazzo politico: la processione del Santissimo crocifisso a Cutro, provincia di Crotone. Un rito avvenuto nel pieno della campagna elettorale del 2009 quando l’allora sindaco di Reggio Emilia correva per un nuovo mandato. In città e in tutto il circondario la comunità d’origine cutrese è talmente numerosa da pesare anche alle urne e quella spedizione in Calabria poteva avere un impatto nel voto. Delrio, all’epoca numero due dell’Anci, non è stato il solo a impegnarsi in questa trasferta: tutti gli altri candidati della zona hanno deciso di presentarsi al cospetto del Santissimo.

Ma in certe terre i simboli contano più delle parole: la processione dei primi cittadini emiliani è stata interpretata come un segno tangibile di riconoscenza da tutta la comunità calabrese. Anche da quelle persone che in Emilia alimentano i peggiori traffici. La questione è finita all’attenzione della procura antimafia di Bologna, che ha convocato come testimoni gli illustri partecipanti. Anche Delrio è stato sentito come “persona informata dei fatti”.

Ma la holding del crimine che risponde al nome di ‘ndrangheta non è una novità in terra emiliana. Tutt’altro: basti pensare che le indagini odierne si basano storicamente su risultanze di operazioni avvenute a cavallo tra il 2002 e il 2007, e che l’affondamento delle radici del clan Grande Aracri avviene nei primi anni ’80, quando in soggiorno obbligato da Cutro arriva Francesco Grande Aracri dalla città di Dragone.

Negli anni le cosche, non solo calabresi, ma anche il clan dei casalesi, sono entrate nel tessuto economico, sociale e politico, avvalendosi anche della vicinanza con San Marino. Roberto Pennisi, consigliere della Direzione Nazionale Antimafia, e presente nella conferenza stampa di oggi (28 gennaio), ha scritto nella sua relazione alla Direzione «in particolare le Province di Modena, Parma, Piacenza e Reggio Emilia si indicavano come contrassegnate dalla presenza di criminalità organizzata soprattutto di marca ‘ndranghetista, mentre la città di Bologna si definiva una terra di tutti e, pertanto, non catalogabile secondo nessun attributo criminale, non potendosene alcuna specifica organizzazione di tipo mafioso arrogare il dominio».

«Infiltrazione – spiegava Pennisi – che ha riguardato, più che il territorio in quanto tale con una occupazione “militare”, i cittadini e le loro menti;; con un condizionamento, quindi, ancor più grave. Sì che non inutile sarebbe una maggiore cautela nel disapprovare provvedimenti di organi amministrativi dello Stato, peraltro sottoposti ai controlli giurisdizionali previsti dalla legge, con censure che creano disorientamento nella collettività e che, certo, non concorrono alla formazione di un sentimento dei cittadini in termini di repulsione delle infiltrazioni mafiose anche quando queste appaiono dotate di appeal. In altre parole concorrendo a determinare la erosione della legalità a tutto favore della logica del profitto».

Senza dimenticare che tre anni fa il comune modenese di Serramazzoni, amministrato dal Pd, arrivò allo scioglimento con il provvedimento dell’allora ministro dell’Interno Cancellieri. Anche qui l’operazione “Parola d’Onore” portò a galla storie di appalti e contiguita con esponenti delle famiglie calabresi in particolare con Rocco Antonio Bagli, indicato nei rapporti dei carabinieri vicino alla ‘ndrina Longo Versace e referente delle cosche operanti nel modenese. Negli anni Novanta, Baglio fu arrestato per un arsenale sequestrato e poi ebbe guai per la bancarotta fraudolenta di una sua società, Mida’s. I finanzieri durante l’inchiesta ripresero alcuni incontri tra Baglio e l’ormai ex sindaco di Serramazzoni Luigi Ralenti, a giudizio per corruzione e turbativa d’asta.

i nomi degli indagati:

Giuseppe Aiello di Crotone
Lauro Alleluia di Afragola (Napoli)
Giuseppe Aloi di Schwerte (Germania)
Alfredo Amato di Palmi
Domenico Amato di Taurianova
Francesco Amato di Rosarno
Davide Arabia di Crotone
Rosario Arcuri di Cutro
Carmine Arena di Crotone
Karima Baachaoui nata in Tunisia
Moncef Baachaoui nato in Tunisia
Pasquale Battaglia di Crotone
Carmine Belfiore di Cutro
Francesco Belfiore di Cutro
Giuseppe Belfiore di Gioiosa Ionica
Giovanni Paolo Bernini di Parma
Erika Bertocco di Torino
Alessandro Bianchini di Mirandola
Augusto Biachini di San Felice Sul Panaro
Corrado Bidin di Latisana
Andrea Bighignoli di Negrar
Antonio Blasco nato in Germania
Gaetano Blaso di Crotone
Domenico Bolognino di Locri
Michele Bolognino di Locri
Sergio Bolognino di Locri
Andrea Bonazzi di Mantova
Maurizio Bosi di Livorno
Bruna Braga di Mirandola
Tiziano Braulli di Reggio Emilia
Pasquale Brescia di Crotone
Luigi Brugnano di Crotone
Marco Busia di Isola Capo Rizzuto
Salvatore Buttiglieri di Gioiosa Ionica
Salvatore Caccia di Cutro
Mario Calesse di Sant’Eufemia
Mario Cannizzo di Palagonia
Salvatore Cappa di Cutro
Gaetano Caputo di Melissa
Maurizio Cavedo di Cremona
Donato Agostino Clausi di Crotone
Michele Colacino di Crotone
Salvatore Colacino di Suzzara
Omar Costi di Reggio Emilia
Antonio Crivaro di Cutro
Deborah Croci di Castelnovo Nè Monti
Gianluca Grugliano di Varese
Domenico Curcio di Crotone
Giuseppe Curcio di Cutro
Maria Curcio di Crotone
Elvezio Dattoli di Rocca Di Neto
Giuliano Debbi di Sassuolo
Raffaele Della Bella di Afragola
Francesco Di Via di Trapani
Alfonso Diletto di Cutro
Billbill Elezaj di Kukes (Albania)
Francesco Falbo di Cutro
Rosario Falzetti di Cutro
Aldo Pietro Ferrari di Follo
Vincenzo Ferrari di Palmi
Gabriele Ferri Bernardini di Pietrasanta
Francesco Florio di Locri
Antonio Floro Vito di Crotone
Gianni Floro Vito di Crotone
Giuliano Floro Vito di Cutro
Giuseppina Floro Vito di Crotone
Selvino Floro Vito di Crotone
Francesco Formentini di Reggio Emilia
Antonio Frizzale di Manfredonia
Alfonso Frontera di Cutro
Francesco Frontera di Crotone
Giovanni Gangi di Crotone
Domenico Gentile di Milano
Gennaro Gerace di Dernbach (Germania)
Salvatore Gerace di Cutro
Gino Gibertini di Modena
Marco Gibertini di Modena
Antonio Giglio di Crotone
Giulio Giglio di Crotone
Giuseppe Giglio di Crotone
Nicolino Grande Aracri di Cutro
Domenico Grance Aracri di Cutro
Salvatore Grossetti di Cutro
Rita Gruzza di Vigatto
Antonio Gualtieri di Cutro
Francesco Gullà di Isola capo Rizzuto
Giuseppe Iaquinta di Cutro
Francesco Lamanna di Cutro
Francesco Lepera di Catanzaro
Franmcesco Lerose di Cremona
Salvatore Lerose di Cutro
Francesco Lomonaco di Crotone
Sergio Lonetti di Melissa
Giuseppe Loprete di Mesoraca
Francesco Macrì di Crotone
Giuseppe Macrì di Crotone
Vincenzo Mancuso di Cutro
Francesco Manfreda di Fuerth (Germania)
Giuseppe Manica di Crotone
Giuseppe Manzoni di Roccanova
Alfonso Martinmo di Crotone
Domenico Mattace di Cutro
Alfonso Mendicino di Crotone
Luigi Mercadante di Cutro
Domenico Mesiano di Catanzaro
Vincenzo Migale di Cutro
Antonio Molinari di Mesoraca
Vittorio Mormile di Sant’Arpino
Antonio Muto di Crotone cl. 71
Antonio Muto di Crotone cl. 78
Antonio Muto di Cutro cl. 55
Cesare Muto di Crotone
Giulio Muto di Crotone
Luigi Muto di Crotone
Salvatore MUto di Crotone
Barbara Nigro di Scandiano
Salvatore Olivo di Crotone
Giuseppe Domenico Oppedisano di Gioiosa Ionica
Gaetano Oppido di Crotone
Raffaele Oppido di Cutro
Giuseppe Pagniani di Reggio Emilia
Alessandro Palermo di Roma
Giuseppe Pallone di Cutro
Alfonso Paolini di Cutro
Francesco Pio Passiatore di Taranto
Francesco Pelaggi di Crotone
Paolo Pelaggi di Crotone
Francesco Pellegri di Tizzano Val Parma
Sergio Pezzati di Wetzikom (Svizzera)
Giuseppe Pichierri di Matera
Anna Pieron nata in Polonia
Giovanni Procopio di Crotone
Salvatore Procopio di Crotone
Iana Rezepova nata in Russia
Giuseppe Richichi di Crotone
Francesco Riillo di Isola Capo Rizzuto
Pasquale Riillo di Isola Capo Rizzuto
Antonio Rocca di Virgilio
Luca Rossi di Gazoldo degli Ippoliti
Giuseppe Ruggero di Cutro
Mirco Salsi di Reggio Emilia
Michael Stanley Salwach nato in Pennsylvania (Usa)
Gianluigi Sarcone di Cutro
Nicolino Sarcone di Cutro
Graziano Schirone di Manduria
Domenico Scida di Crotone
Francesco Scida di Crotone
Giuseppe Scordo di Catania
Antonio Scozzafava di Catanzaro
Eugenio Sergio di Cutro
Luigi Serio di Isola Capo Rizzuto
Salvatore Sestito di Crotone
Giovanni Sicilia di Crotone
Antonio Silipo di Cutro
Francesco Silipo di Reggio Emilia
Luigi Silipo di Cutro
Salvatore Silipo di Cutro
Fulvio Stefanelli di Bologna
Giovanni Summo di Ostuni
Jianyao Tang nato a Zhejiang (Cina)
Roberta Tattini di Bologna
Rocco Tedesco di Palmi
Giovanni Tirotta di Cutro
Michele Tostoni di San Giovanni Rotondo
Roberto Turrà di Cutro
Mario Ursini di Gioiosa Ionica
olmes vaccari di Nonantola
Antonio Valerio di Cutro
Gabriele Valerioti di Cinquefrondi
Daniela Vecchi di Poviglio
Giuseppe Vertinelli di Cutro
Palmo vertinelli di Cutro
Pasquale Vetere di Cutro
Pierino vetere di Cutro
Rosario Vetere di Cutro
Giuseppe Villirillo di Cutro
Romolo Villirillo di Crotone
Francesco Viti di Messina
Mario Vulcano di Rocca Di Neto
Valter Zangari di Crotone
Jianyong Zhang nato in Cina
Salvatore Brugnano di Crotone
Gaetano Cavallo di Crotone
Antonio Cianflone di catanzaro
Giuseppe Codamo di Crotone
Debora Costa di Reggio Emilia
Salvatore D’Angelo di Wipperfurth (Germania)
Luigi Esposito di Nola
Elia Gaglione di Torino
Giulio Gerrini di Bologna
Stefano Laera di Isola Capo Rizzuto
Gennaro Lonetti di Cariati
Alessandro Lupezza di Pavia
Francesco Matacera di Santa Caterina dello Ionio
kostantinos Minelli nato a Golos (Grecia)
Massimo Muratori di Modena
Antonio Nicastro di Crotone
Francesco Procopio di Cariati
Alberto Maria Ranieri di Crotone
Domenico Salpietro di Messina
Quintino Sanarica di Grottaglie
Filippo sirianni di Isola Capo Rizzuto
Tatjana Tihamirova nata in Lettonia

(fonte)

‘Ndrangheta e i suoi refusi al nord

Facciamo un patto. Ma facciamolo sul serio: decidiamo che non ci sia concesso di dimenticarci le parole già dette su mafie, cittadinanze e socialità giù al nord. Che non ci sia bisogno ogni volta di un ripasso generale prima di ricominciare, che non è opportuno avere bisogno ad ogni giro di un riassunto delle puntate precedenti. Non per cominciare a dare qualcosa di scontato (non sia mai in questo tempo di concimazione dell’ignoranza per rendere malleabile il consenso) ma perché almeno non isoliamo i professori (cioè, quelli che professano valore), gli studiosi (quelli che analizzano prima di avventurarsi nelle più disparate tesi) e i cittadini per vocazione (quelli che non sopravvivono, ma vivono a costo di farsi male per tutti gli spigoli che ci sono intorno).

Ogni giorno che si sfoglia un giornale (o un sito o un blog: sono lo stesso affacciarsi su finestre diverse della stessa stanza) c’è un abbondanza di ridondandismi (non esiste ma rende bene l’idea) che distolgono dal punto e banalizzano per vanificare: le “infiltrazioni che stanno arrivando al Nord”, gli imprenditori che “finiscono per essere vittime senza accorgersene” o i politici “che non sapevano”. E allora ecco il perché del cappello obbligatorio a qualsiasi discorso o pezzo per riprendere le fila cominciando a smontare prima di avere il tempo e il terreno per montare un discorso che provi a guardare al presente e al futuro. La relazione annuale della DNA sul fenomeno della ‘ndrangheta è un pennarello blu sugli errori da non ripetere, una bacchettata sulle dita.

Soldi, radicamento e strutturaIl quadro investigativo e processuale complessivamente considerato evidenzia inequivocabilmente che la ‘ndrangheta è caratterizzata non solo da una illimitata disponibilità finanziaria (derivante principalmente dal traffico di stupefacenti e dai lucrosi investimenti immobiliari e di imprese già rilevati ed evidenziati nella precedente relazione, ma anche da una allarmante e provata diffusione territoriale che non conosce confini; le indagini dispiegate negli ultimi anni denunciano una “presenza massiccia” nel territorio che non trova riscontro (rectius: possibilità di comparazione) nelle altre organizzazioni mafiose. L’organizzazione si avvale di migliaia di affiliati che costituiscono presenze militari diffuse e capillari ed, al contempo, strumento di acquisizione di consenso, radicamento e controllo sociale. Quindi basta con le ipotesi di brigantaggio evoluto. Per favore, basta con le proiezioni di qualche rurale malfattore. A Milano Dalla Chiesa, Barbacetto, Portanova e tanti altri lo dicono da qualche decennio. Diamolo come concetto digerito e inamovibile.

Qui, lì, dappertutto. Le indagini dell’operazione Crimine 1 e Crimine 2 consentono di radicare, altresì, il fermo convincimento che il processo di internazionalizzazione dell’organizzazione in parola è vieppiù progressivamente avanzato: alla presenza in terra straniera di immigrati calabresi “fedeli alla casa madre” ed operativi (sul piano degli investimenti e del riciclaggio di profitti illeciti) si è aggiunta una strutturale presenza (militare e strategica) di soggetti affiliati a “locali” formati ed operanti stabilmente in terra straniera che, fermo restando il doveroso ossequio alla “casa madre”, agiscono autonomamente secondo i modelli propri dei locali calabresi autoctoni. Il disvelamento di organizzati locali in Germania, Svizzera, Canada ed Australia (si vedano gli arresti colà eseguiti in esecuzione delle ordinanze Crimine) conclama vieppiù detto processo di progressiva globalizzazione della ‘ndrangheta che, da fenomeno disconosciuto (o, per meglio dire sottovalutato), può oggi essere considerata una vera e propria “holding mondiale del crimine”. Siffatti mutamenti ontologici dell’organizzazione in esame sono stati, indubbiamente, favoriti ed accelerati dalla “nuova generazione” di ndranghetisti che, pur conservando il formale rispetto per le arcaiche regole di affiliazione, oggi non sono solo in grado di interloquire con altre ed altre categorie sociali, ma anche di mettere a frutto le loro conoscenze informatiche, finanziarie e gli studi intrapresi. Basta con il federalismo antimafia. Le regioni non esistono più sullo scacchiere delle ‘ndrine. E’ un federazione di luoghi oliata e perfetta. Il provincialismo (che è enormemente diverso dall’attenzione per i territori) antimafioso è un condono morale che lasciamo ai barbari sognanti.

Politica mafiosa, mafia politica, imprenditoria mafiosa, mafia imprenditrice. E’ bene, quindi, rilevare ed evidenziare che gli allarmanti (rectius: inquietanti) rapporti intrattenuti con rappresentanti delle istituzioni, con politici di alto rango, con imprenditori di rilevanza nazionale (disvelati da numerose indagini dispiegate in varie regioni nel corso del periodo in esame) non sono soltanto frutto esclusivo del clima di intimidazione e della forza intrinseca del consorzio associativo, bensì il risultato di una progettualità strategica di espansione e di occupazione economico-territoriale, che, oramai, si svolge su un piano assolutamente paritario; rapporti con istituzioni ed imprese volto ad intercettare flussi di denaro pubblico, opportunità di profitti e, contestualmente, ad innestare nel libero mercato fattori esterni devianti (di nitida derivazione criminale e di inquinamento economico), ma tendenti verso una nuova fase di legittimazione imprenditoriale e sociale idonea a conferire un grado di “mimetismo imprenditoriale” e ciò allo scopo evidente di eludere le indagini patrimoniali ed assicurare, nel tempo, stabilità economica alle attività imprenditoriali. Detto fenomeno è ancor più evidente nel nord-Italia ove la ‘ndrangheta opera in sinergia con imprese autoctone o, in talune occasioni, dietro lo schermo di esse. Esiste, a ben vedere, una nuova generazione di criminali calabresi che “si muovono a una velocità diversa rispetto alla tradizione dei giuramenti, dei riti e delle formule di affiliazione”. L’intensa e straordinaria attività di indagine dispiegata dalla DDA di Reggio Calabria, Catanzaro, Milano, Roma e Torino ha, vieppiù, evidenziato le “due nature” della ‘ndrangheta: l’una, quella militare, volta all’acquisizione di poteri di controllo territoriale e sociale e, l’altra legata in modo indissolubile alla prima, la ‘ndrangheta “politica” ed imprenditrice che intesse rapporti con uomini politici, favorisce ed agevola in modo interessato, “cariche politiche” ovvero instaura rapporti economici con realtà imprenditoriali esistenti sul territorio al fine di fagocitarle e/o inglobarle. ‘Ndrangheta, politica e imprenditoria non si incrociano per caso e non sono vittime una dell’altra: convergono (c’è un bel libro di Nando Dalla Chiesa che si intitola, indovina un po’, ‘La Convergenza’).

Milano è la capitale della ‘ndrangheta. Lo diceva già Vincenzo Macrì, sostituto procuratore della Direzione Nazionale Antimafia e lo ripete l’ultima relazione della Direzione Nazionale Antimafia: I dati di un recente studio del Centro di ricerca della Università Cattolica individuano nella città di Milano la “capitale economica del crimine organizzato”, la città ove operano “i manager delle cosche”: il numero di beni immobili e mobili confiscati nonché di imprese mafiose operanti in vari settori (appalti pubblici, edilizia, movimento terra, turistico-alberghiero e ristorazione) in Lombardia conclamano l’importanza della regione quale luogo eletto di reinvestimento di profitti illeciti delle organizzazioni criminali italiane ed il ruolo assolutamente egemone della ‘ndrangheta. Chi nega o non ne vuole parlare è ignorante e cretino.

L’antimafia si fa ovunque. Dice la Relazione della DNA che il grado di attenzione ed informazione sull’evoluzione del fenomeno ‘ndrangheta, sulla pericolosità di essa, sulla sua potenza economica nonché sulla pervasiva presenza su tutto il territorio nazionale ha raggiunto, nel periodo in esame, livelli insperati e comunque idonei a rendere partecipe l’opinione pubblica della gravità sociale ed economica dell’agire criminale dell’organizzazione. Orbene siffatto mutamento di rotta informativa non è da ricondurre soltanto all’eclatanza dei gesti intimidatori commessi in danno di magistrati, professionisti, giornalisti (di cui si è detto sopra), ma anche, e soprattutto, a due diversi fattori: da un lato l’intensità del contrasto ed i “successi investigativi” e processuali che hanno dato corpo ad una palpabile presenza dello Stato e delle sue Istituzioni e, dall’altro lato, ad una “sorta di risveglio della coscienza civile”, ossia una marcata e consapevole presa di posizione civica che lascia intravedere l’inizio di una strenua lotta culturale ed etica volta al riscatto ed alla progressiva emarginazione del “cancro sociale” che ha attanagliato da decenni la Calabria. Le numerose manifestazioni di solidarietà a Magistrati ed alle instancabili Forze di Polizia, le iniziative culturali, i dibattiti di cui la stampa nazionale ha dato contezza e rilievo fanno intravedere la concreta possibilità di una presa di coscienza collettiva che fa ben sperare per il futuro e, comunque, fanno intravedere un percorso di contrasto più articolato che si congiunge con quello tracciato dalla Magistratura che non può essere delegata in modo esclusivo. Ognuno fa la sua parte. Ognuno gioca il proprio ruolo senza timidezze e fanatismi.

Queste le righe in blu e gli errori in rosso che ci vengono riconsegnate. Così almeno con più memoria si scrivono i prossimi capitoli. Non tanto perché sia un “compito in classe”, almeno per non perdere troppo tempo a smentire le bugie e perché la ‘ndrangheta su al nord è già più nazionalpopolare nell’instillare la distrazione di un comizio leghista ben detto, ma se si rimane fermi sulla grammatica della memoria viene tutto più semplice. E perché come dice Piercamillo Davigo “è l’oblio dei misfatti che lentamente consuma la libertà delle istituzioni”.

Scritto per I SICILIANI