Vai al contenuto

diritti

Morto precario. Precario morto.

La vera libertà individuale non può esistere senza sicurezza economica ed indipendenza. La gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature.
(Franklin Delano Roosevelt)

Angelo Di Carlo è morto. Non è un nome famoso. Non ha riempito le cronache estive: l’11 agosto si era dato fuoco davanti a Montecitorio. Non è sopravvissuto alla propria precarietà. Non ha trovato un senso alla disoccupazione e, probabilmente, non vedeva una possibilità. La disperazione come sta scritto nella parola, tutta nel non riuscire a sperare. E senza speranza e senza lavoro forse diventa difficile sentirsi persona. Compiuta.

C’è da chiedersi se questo è un uomo. Se qualcuno riuscirà a trovare un nome al genocidio della speranza e del lavoro. Se ci sarà qualcuno della nostra classe dirigente che oggi si dedica (proprio oggi) ai meeting delle corporazioni così vicine (dicono) alla pietà cristiana. Come si coniuga la pietà di chi si è bruciato prima di essere cucinato da un paese sordo alle difficoltà che chiama “esodati” quelli che dovrebbero mettersi in pausa dalla propria socialità e dalla propria famiglia per non disturbare gli equilibri economici scritti a forza di sottrazioni e addizioni a tavolino; se non è sordo alle difficoltà un paese che chiede di avere fiducia alla disperazione ma la fiducia non riesce nemmeno a immaginarla, non sa dirci che colore ha, quando arriva, che forme.

Angelo Di Carlo è morto per non farsi ammazzare dalla vergogna che l’ha ustionato prima dell’11 agosto.

Quest’estate la torcia italiana non è per niente olimpica. E finirà in qualche trafiletto.

Peccato. Condoglianze. E tutti ad ascoltare l’orchestrina. Via, che si balla: com’è elegante questo Titanic sotto la bandiera della sobrietà.

 

La pena utile

Parole come aria fresca. Finalmente. Quasi da paese civile. Le parole, per ora.

È, piuttosto, la capacità di rinnovarsi in relazione al modo di vedere il detenuto: non più come «peso morto» da tenere rinchiuso e guardare a vista 24 ore al giorno, non più come «zavorra inutile» per la società, ma piuttosto come risorsa. Risorsa che può e deve diventare concreta in tutti i casi – e non sono tutti i detenuti, ma non sono nemmeno pochi – si riesca a mettere a frutto le capacità e la buona volontà che molti detenuti non hanno perduto definitivamente. Sta all’ Amministrazione farle emergere per rendere le persone che scontano la pena del carcere utili per la società. Questo e niente altro, lo ripeto, significa rendere la pena utile per il condannato stesso. Come ottenere questo risultato, difficile, ma non impossibile rispetto a un notevole numero di detenuti? Non vi è altro modo che il richiamo alla responsabilità. Far crescere il senso di responsabilità, nella convinzione che non vi è altra strada per preparare il rientro nella società. È una visione comoda e rassicurante, ma del tutto arcaica quella che vede il detenuto come soggetto meramente passivo di interventi che piovono dall’ alto. Occorre certamente dirigerlo, reggerlo, orientarlo: ma alla fine tocca a lui assumere il peso del proprio destino attraverso la sua volontà di riscatto, se questa volontà è abbastanza seria e forte. Chi mai potrebbe farlo al suo posto? In questo percorso di crescita il lavoro è uno strumento potente ed insostituibile. Il lavoro crea relazioni sociali costruttive. Produce benessere a sé e agli altri. Fa crescere l’ autostima. Non è un caso che la Costituzione ponga il lavoro a pietra fondante. Vi è una stretta relazione tra lavoro e dignità sociale. In astratto ogni persona ha una dignità. In concreto la dignità può andare perduta e senza il lavoro questa perdita è facile che avvenga. Ecco perché iniziative come la «Giornata della Restituzione» sono positive. Non è ancora il risultato di dare al detenuto un lavoro, risultato che purtroppo manca spesso anche fuori dal carcere. Ma quella iniziativa ha dato a settanta detenuti la possibilità di offrire alcune ore di fatica per rendere un servizio alla città e riconoscere in tal modo di essere ancora parte costruttiva della società.

(Giovanni Tamburino, capo del Dipartimento amministrazione penintenziaria Ministero della Giustizia)

L’antisemita ebreo e le storie minuscole

Si chiama Csanad Szegedi, è un europarlamentare, si è fatto eleggere per la propria fiera postura antisemita. E ha scoperto di essere ebreo. Ne scrive Il Post e ne scrivono in molti oggi. Ma la cosa che mi colpisce è come una personalità politica costruita sugli ideali inumani e amorali dell’antisemitismo (e sono in molti, tra Lega e ex AN, anche qui da noi) sia stato punito non dalla Storia ma dalla propria storia, minuscola e personale.

E ho pensato, sotto il torrido sole di agosto, che mi piacerebbe che la storia (minuscola e delle persone) costringesse questo Paese a riscoprire come la concentrazione di ricchezze, emotività, pregi, fantasia e voglia di fare sia diffusa: da nord a sud, da est a ovest. Rara, forse, solo in pezzi importanti della classe dirigente che è l’oligarchia che ha ottenuto da troppo tempo il condono per la secessione dai propri doveri morali.

20120816-142438.jpg

Il manuale per i piantagrane

“Per anni quando mi recavo a rinnovare la tessera d’ingresso annuale al Senato degli Stati Uniti, venivo invitato a compilare due moduli. Il primo richiedeva dettagli biografici, il secondo doveva certificare che avevo firmato il primo sotto giuramento. Ero ben felice per il secondo, perché dove si richiedeva di definire la mia “razza”, scrivevo sempre “umana” nell’apposita casella. Ogni volta si arrivava a un battibecco. “Metta bianca”, mi fu detto una volta – da un impiegato afroamericano, mi si consenta di aggiungere. Spiegai che il bianco non è neppure un colore, figurarsi una razza. Attirai anche la sua attenzione sulla clausola del giuramento che mi obbligava a dichiarare unicamente la verità. “Metta Caucasica”, mi fu suggerito in un’altra occasione. Risposi che non avevo legami col Caucaso e che non credevo affatto in quella antiquata categoria etnologica. Le cose andarono avanti così finché un anno nel modulo non compariva più lo spazio per la razza. Vorrei essere creduto, anche se non è facile. Ti faccio dono di questa storia anche come invito a fare il piantagrane tutte le volte che le probabilità sono favorevoli e talvolta anche quando non lo sono: è un buon esercizio”.

(Christopher Hitchens, Consigli a un giovane ribelle)
(grazie a Mante)

20120815-010707.jpg

Senza paura sui diritti

Senza perdersi in formule magiche: il manifesto “Laicità e Diritti” è uno stralcio di programma già pronto. A cui aderire. E sui cui fare politica. Per aderire laicitaediritti@gmail.com. Partiamo da qui. Anche per la nostra prossima Lombardia. (SEL ha aderito, tra l’altro. Per dire.)

Dopo 2 anni circa dalla prima stesura abbiamo deciso di modificare ed ampliare le tematiche contenute nel nostro manifesto “Chi ha paura dei diritti?”. Una revisione era d’obbligo, per aggiornare le nostre proposte al veloce cammino che i i diritti stanno facendo, almeno negli altri paesi europei. Auspicando che un simile percorso possa andare a buon fine anche nel nostro paese.

Vogliamo proporre queste battaglie, in modo assolutamente trasversale, alla politica, all’associazionismo ed alla società civile. Ci proponiamo di presentarle, di discuterle, confrontandoci con quante piu persone possibile. E voi, cosa ne pensate?

Chi ha paura dei diritti?

1) Sostegno scolastico per i bambini disabili.
L’integrazione della disabilità nella scuola italiana, e soprattutto nella primaria, è stata una vera eccellenza italiana. Purtroppo i successivi tagli alla spesa dell’istruzione, delle leggi finanziarie degli ultimi anni, la sta smantellando. Tante famiglie e classi scolastiche, si sono trovate ad affrontare da sole l’emergenza dei tagli imposti dalla riforma Gelmini, trovandosi nell’impossibilità di
vedere garantito per i propri figli quel diritto al sostegno che ne è la fondamenta. La Convenzione Onu del 2006, sui diritti dei disabili, ha stabilito che il sostegno va garantino nella misura in cui è necessario. Cosi come la Consulta con sentenza n.80 del 26/02/2010 ha dichiarato illegittime – sotto il profilo costituzionale – le norme che fissano un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno, e che vietano di assumerne in deroga, in presenza nelle classi di studenti con disabilità grave, stabilendo questo come diritto fondamentale (diritto all’istruzione). Nonostante tutto questo non si sono ancora presi provvedimenti consistenti, i tagli sono continuati e il numero degli insegnanti di sostegno costantemente ridotti e non selezionati, così molte famiglie si trovano nell’impossibilità di far seguire ai propri figli il normale percorso scolastico.
Chiediamo alla politica di attivarsi al piu’ presto.

2) Biotestamento.
riteniamo che ogni cittadino debba avere la possibilità di scegliere quali terapie accettare e quali rifiutare per la propria persona, comprese alimentazione e idratazione artificiali, stipulando un documento che abbia un riconosciuto valore legale e che renda possibile lasciare scritte le proprie volontà in caso che, un incidente o una malattia determinino la perdita della coscienza e quindi l’incapacità di far rispettare le proprie decisioni. Vogliamo stimolare la politica all’approvazione di una buona legge ed i Comuni all’istituzione in tempi brevi di un registro che raccolga i testamenti biologici dei cittadini.

3)Matrimonio civile per tutti i cittadini ed omogenitorialità.
Chiediamo il riconoscimento e l’estensione dei diritti a tutte le famiglie italiane. Vorremmo un paese in grado di stare al passo con la società e con la stragrande maggioranza dei paesi europei. Si è parlato di Pacs, Dico, Didore, abbassando ogni volta l’asticella e lasciando migliaia di famiglie prive della possibilità di tutelare i propri figli ed il proprio futuro. Si verificano ogni giorno situazioni incresciose e lesive della dignità e dei diritti di tanti cittadini, l’Italia è tra gli ultimi paesi in Europa a non essersi dotata di una legge in proposito. Con quanto è accaduto nei maggiori paesi europei, con le dichiarazioni (e le conseguenti azioni) dei leader Obama, Cameron ed Hollande riteniamo sia giunto il momento di chiedere, insieme, che tutti i cittadini italiani abbiano la possibilità di contrarre un matrimonio civile. Le unioni civili devono essere un istituto meno oneroso, aperto a tutti quei cittadini (etero od omosessuali) che ritengono di formare una famiglia, ma con meno doveri (e conseguentemente meno diritti). Per questo chiediamo alla politica di attivarsi ed estendere finalmente il matrimonio civile a tutti i cittadini.

Altra questione sono le adozioni In Italia vi sono oltre centomila bambini, figli delle cosiddette “famiglie arcobaleno”. Questi bambini devono essere tutelati come tutti gli altri, per questo chiediamo, per salvaguardare il nucleo familiare e soprattutto il minore, la possibilità che il genitore non biologico possa adottare legalmente il figlio del proprio partner, come avviene negli altri paesi europei.

Ci rendiamo conto che in un Paese dove non si è riusciti ancora nemmeno a votare una legge contro omo e transfobia tutto questo non sia di facile realizzazione, ma riteniamo che sia dovere della società civile, dell’associazionismo e della politica impegnarsi per far crescere anche culturalmente, oltre che legislativamente, le persone. Le battaglie per i diritti si vincono solo senza la paura di chiedere quello che è dovuto. Senza ipocrisie, senza “baratti” per tornaconti personali o alleanze elettorali. Con il coraggio di chiedere quello che è GIUSTO. Nell’ottica di questa visione la nostra posizione è anche favorevole alle adozioni di entrambi i partner, di un bambino che non sia biologicamente legato ai genitori, qualora la coppia richiedente superi positivamente il lungo e tortuoso percorso previsto dalla legge per le coppie eterossessuali. Non devono essere i nostri pregiudizi a sostituire il lavoro di giudici, psicologi, assistenti sociali e nessun cittadino dovrebbe essere escluso A priori da tale percorso.

Chiediamo anche attenzione verso le persone transessuali, in modo che la loro vita non sia una gara ad ostacoli, non solo contro il pregiudizio, ma anche contro la carenza di leggi: stiamo pensando in primis a provvedimenti come l’anticipata riassegnazione anagrafica e una seria tutela al momento dell’inserimento lavorativo.

4) Altro punto è una battaglia che stiamo portando avanti già da diverso tempo, l’approvazione della mozione contro Omo e Transfobia, proposta, ormai giù due anni fa, dai tavoli lgbt del PD e di SEL in modo congiunto. Dato che è stato impossibile approvare una legge nazionale contro omo e transfobia e che la proposta di cui è stata relatrice l’On Paola Concia è stata bocciata e tacciata di incostituzionalità, si è deciso di attivare una maratona del buon governo che coinvolga Comuni, Province e Regioni nell’approvazione di una mozione che impegni le istituzioni di riferimento in questa importante battaglia, lanciando un segnale alla politica. Ci auguriamo che continuino ad arrivare ancora numerosissime adesioni e che sia solo l’inizio di una battaglia seria contro la discriminazione di cui sono oggetto tanti cittadini di questo paese.

5) Chi nasce in Italia è italiano.
Sembrerebbe semplice. Ma non lo è affatto. Sono tantissimi i bambini ed i ragazzi nati o cresciuti nel nostro Paese, che frequentano le nostre scuole, che parlano i nostri dialetti, che per cultura e formazione si sentono Italiani, ma che per legge, di fatto, non lo sono. Non è consentito loro di esserlo. Con tutto quello che questo comporta. “In Italia è ancora un percorso a ostacoli – scrive sull’Unità Marco Pacciotti, Responsabile del Forum Nazionale Immigrazione del PD – che rende difficile ed estraniante il sentirsi pienamente cittadini a quasi un milione di ragazze e ragazzi che invece si sentono intimamente italiani. Aveva ragione ieri Livia Turco nel dire che nel nostro Paese vivono un milione di Balotelli, ma non tutti purtroppo sono in nazionale“.
Chiediamo alla politica di approvare una legge che introducendo un piu’ corretto e moderno Jus Soli, per permettere a questi ragazzi di essere finalmente e definitivamente Italiani, anche sulla carta. Nel frattempo proponiamo a tutti i Consigli Comunali del Paese di approvare una mozione per concedere a questi ragazzi una simbolica cittadinanza onoraria.

6) Tutela della donna: piena applicazione della legge 194, contrasto ad una indiscriminata obiezione di coscienza, revisione della legge 40.

Sono tante le tematiche che riguardano la salute della donna e l’impegno per una maternità consapevole, abbiamo scelto queste, senza dimenticare l’importanza di tutte le altre. Sono troppe le storie di malasanità, troppe le regioni con un numero di obiettori talmente elevato che non consente l’applicazione della legge 194, troppi i pellegrinaggi all’estero per una legge 40 piu volte già modificata dai tribunali.

Chiediamo alla politica di intervenire in favore della 194, in modo che la percentuale di obiettori non superi la cifra necessaria ad una corretta applicazione della legge e che la legge 40 sia finalmente rivista, cosi come suggerito dalla giurisprudenza, in modo che sia rispettata la salute e la dignità della donna.

20120809-023121.jpg

Tra ILVA e guerra dell’ambiente contro il lavoro

Una delle osservazioni da cui partire potrebbe essere nelle parole di Asor Rosa su Il Manifesto:

Ora, un diverso modello di sviluppo non è affare dei capitalisti, i quali vedono e credono possibile solo quello che c’è: è affare dei governi, ed è questo ciò di cui noi parliamo, quando ipotizziamo che possa esserci un ragionevole tasso di sviluppo economico e produttivo senza provocare la distruzione dell’ambiente, del territorio e della salute, per noi e soprattutto per le prossime generazioni. Hic Rhodus, hic salta . La mia impressione è che il caso Ilva, con tutto il suo carico drammatico di conflitti, paure e tensioni, rappresenti tutto sommato un punto di svolta rispetto alle questioni di cui stiamo parlando, a patto, naturalmente, che nessuno pensi di fare un passo indietro dalla giusta e clamorosa denuncia che ne è stata fatta. Per esempio, per la formazione di una coscienza ambientalista, specifica e peculiare, della classe operaia italiana; ma forse anche per una visione più ampia e dialettica dell’ambientalismo, italiano, che spesso stenta a vedere la propria missione come un affare che riguarda la società nel suo complesso, e non solo alcuni suoi episodici e marginali aspetti. Neo-operaismo e neo-ambientalismo sono le categorie nelle quali collocherei, per farmi capire, il senso del mio discorso: stanno benissimo insieme.

20120805-141011.jpg

Morto a 14 anni. Ma sul lavoro.

Io non so se forse la cosa è troppo poco importante per un dibattito politico così nazionale e perso nelle sue alchimie. Non so se ormai con questo mito dei tecnici tutto ciò che non è analisi europea o secolare non è degno di essere raccontato.
Ma un bambino di 14 anni nel leccese è morto in un cantiere schiacciato da un sasso.
Negli ultimi 5 anni sono morti almeno 29 ragazzini sui cantieri.
Una legge seria sul tema non è mai stata scritta.
Qui parlano di grandi opere, di Expo e non riusciamo a difendere i tempi dei nostri figli: quelli per giocare a pallone e studiare.
Restiamo umani, avrebbe detto Vik.

20120804-152807.jpg

La città di A.

Mi scrive Giuseppe:

A Milano, il 14 Settembre 2008 un giovane ragazzino con gli occhi a forma di coriandoli venne ucciso a sprangate per aver rubato un paio di biscotti. Era Abba e aveva la pelle nera, ma il cuore chiaro come una lacrima.
Questo video, di cui io sono esploratore e non regista, è per lui, che ora salta tra mille pozzanghere.

Le quote mamme

Conciliare lavoro e famiglia per le donne italiane è una pratica funambolica. Lo confermano gli ultimi dati Istat che disegnano uno scenario ormai noto. C’è uno scarto di 11 punti tra occupazione maschile e femminile in mancanza di figli (76% maschi, 65% femmine) e uno di ben 32 punti con l’arrivo del primo pupo (90% i papà, 58% le mamme occupate). La forbice tra maschi e femmine si allarga con il secondo bambino con solo il 51% delle donne che restano al lavoro (mentre il tasso di occupazione dei papà resta invariato) fino ad aprirsi sguaiatamente con l’arrivo del terzo o quarto bambino (in tal caso è il 34% delle donne a restare al lavoro contro l’85% degli uomini). Il congedo parentale obbligatorio per i papà di tre giorni, un altro degli atti simbolici del Governo attuale, resta un inutile ago nel pagliaio dell’inadeguatezza e totale insensibilità dell’esecutivo davanti alla questione. Perché se è vero che c’è un elemento culturale che vuole la donna italiana relegata nello stilema dell’angelo del focolare, c’è da dire che il tema è tutto fuorché una mera questione familiare. Un ruolo rilevante lo giocano in primis istituzioni – che hanno scaricato totalmente sulle donne la cura di bambini e anziani, e che con la chiusura dei rubinetti alle politiche sociali renderanno la pratica di sostituzione del sistema di welfare a carico delle donne insostenibile – e impresa dove, come afferma la giuslavorista Roberta Bortone sul Fatto quotidiano, “il lavoro è ancora apprezzato in termini tayloriani” e “vige la presunzione per cui un figlio finisce a carico delle cure femminili”.

Un articolo sulla genitorialità per ripensare l’organizzazione sociale. Perché tra questo chiasso di riformismo e riformisti un po’ di modernità, su questo punto, sarebbe una bella notizia.

Sapeva che era pericoloso essere un uomo onesto; e alla fine gli mancò il coraggio

Gore Vidal è morto. Oggi.

Io sono Myra Breckinridge, che nessun uomo possederà mai. Cinta d’un reggicalze e d’un solo sottascella, ho tenuto a bada l’intera congrega degli isolani di Trobiand, una razza che non ha parole per chiedere o rispondere “perché”. Brandendo un’ascia di pietra, ho fiaccato le braccia, le membra, le palle dei loro più splendidi guerrieri, accecandoli con la mia bellezza, come faccio con tutti gli uomini, svirilizzandoli come King Kong, ridotto a un mero, scimmiesco uggiolio dalla vaga Fay Wray, alla quale somiglio, di tre quarti dal lato sinistro, se durante la ripresa in primo piano la luce principale non è un’altezza superiore al metro e mezzo. (Gore Vidal, Myra Breckinridge)

Era infastidito dalle sue bugie necessarie. Come desiderava dire a tutti esattamente quello che era! A un tratto si domandò cosa sarebbe successo se ogni uomo come lui fosse stato naturale e onesto. La vita sarebbe stata senz’altro migliore in un mondo dove il sesso venisse considerato come quelcosa di naturale e non spaventoso, e gli uomini potessero amare gli uomini naturalmente, secondo la loro inclinazione, proprio con la stessa naturalezza con cui amavano le donne. Ma anche mentre era seduto a tavola, meditando sulla libertà, sapeva che era pericoloso essere un uomo onesto; e alla fine gli mancò il coraggio. (Gore Vidal, La statua di sale, p. 190)