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diritti

Libero libro

Lo dice il Guardian: Piccola ma significativa rivoluzione in alcune carceri di massima sicurezza brasiliane: quattro prigioni sono state selezionate come test di un nuovo programma del governo di Dilma Rousseff che permette ai detenuti di godere di quattro giorni di libertà per ogni libro letto (letteratura, filosofia e scienza sono gli argomenti al centro della proposta). Il recluso dovrà poi scrivere un saggio breve a partire dal testo e, previa valutazione di un comitato, otterrà il permesso di novantasei ore.

C’è un limite però: quarantotto giorni ogni anno, ovvero dodici libri. E il libro non va “consumato” in più di quattro settimane. Il programma si chiama “Expiação via leitura”, e l’obiettivo è quello di abbassare sensibilmente il numero di detenuti del più grande stato del Sud America, che raggiunge oggi circa 513 mila persone, il 70% delle quali, si calcola, non possiede nemmeno una licenza media.

#peraldro per ricordare a tutti quanto sia meraviglioso il respiro, il sorriso e l’abbraccio divino di ogni figlio, anche quello degli altri

Caro Federico, ieri 19 giugno, mamma è stata sottoposta ad un intervento chirurgico rapido e urgente al nuovo ospedale di Ferrara (l’ospedale di Cona). Ciò le impedirà di essere a Roma il 21 alla IV sezione della Corte di Cassazione. L’intervento è andato bene, grazie a dei bravi e competenti medici. Tutta la famiglia di Federico sarà a Roma per la giustizia definitiva, una piccolissima giustizia. Tutta la famiglia reale e quella acquisita in questi anni. Amnesty inclusa. Patrizia non può. Mamma Patrizia chiede di tenere per mano Federico… e ringraziando manda un suo bacio.

Io le dico di stare tranquilla e serena nonostante tutto, e come in questa dolce immagine di vita, Federico alla fine della sua corsa sarà abbracciato da tanti e tenuto per mano come dalla sua mamma e dal suo papà per ricordare a tutti quanto sia meraviglioso il respiro, il sorriso e l’abbraccio divino di ogni figlio, anche quello degli altri.

Per sempre, nei nostri cuori.

Lino Aldrovandi.

Oggi la Cassazione si pronuncia sulla morte di Federico Aldovrandi.

#save194 ora applichiamola

La Corte Costituzionale al termine della camera di consiglio svoltasi oggi, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge n. 194/1978 sull’aborto, sollevata dal Giudice Tutelare del Tribunale di Spoleto. La 194 regola da oltre trent’anni l’interruzione volontaria della gravidanza.

La questione di legittimità costituzionale della legge sull’aborto era stata sollevata in seguito alla richiesta di una ragazza minorenne di Spoleto di ricorrere all’aborto senza informare i suoi genitori. A parere del giudice a quo la norma contrastava con gli articoli 2 e 32 della Costituzione, rispettivamente sui diritti inviolabili dell’uomo e sulla tutela alla salute, e citava a sostegno della sua tesi una sentenza della Corte di Giustizia Ue sul tema dell’embrione umano.

Attese adesso le motivazioni della sentenza, che saranno scritte dal giudice Mario Rosario Morelli.

Ora applichiamola. Sarebbe questa la rivoluzione. Magari facendo in modo che anche gli uomini si prendano la responsabilità di non relegare la legge ad una “legge di genere” per delega di responsabilità. Grazie.

Al binario21 si scende dalla torre per costruire dignità

Oggi Stanislao è sceso dalla torre-faro del binario 21 ponendo fine all’occupazione di protesta per la soppressione dei treni notte (qui trovate tutte le puntate della storia).

E’ una vittoria dell’ostinazione e una lezione di lotta e dignità. Perché quando tutto questo era iniziato nessuna pensava che potesse finire così. Ed è anche una lezione di solidarietà sociale. E forse abbiamo le nostre colpe se le istituzioni non sono state in grado di “sentire” l’urgenza senza il gesto eclatante dei resistenti abbarbicati alla torre-faro.

Ora mancano trenta persone da ricollocare. E noi, certo, non mancheremo di arrivare fino in fondo.





Le due giustizie di Genova 2001

C’è una giustizia che assolve e addirittura promuove De Gennaro e una giustizia che condanna per devastazione e saccheggio. Ma il punto è politico e di memoria collettiva. Per questo ho firmato l’appello di 10×100 che ha un senso di memoria e libertà.

APPELLO ALLA SOCIETÀ CIVILE E AL MONDO DELLA CULTURA

La gestione dell’ordine pubblico nei giorni del G8 genovese del luglio del 2001, rappresenta una ferita ancora oggi aperta nella storia recente della repubblica italiana.

Dieci anni dopo l’omicidio di Carlo Giuliani, la “macelleria messicana” avvenuta nella scuola Diaz, le torture nella caserma di Bolzaneto e dalle violenze e dai pestaggi nelle strade genovesi, non solo non sono stati individuati i responsabili, ma chi gestì l’ordine pubblico a Genova ha condotto una brillante carriera, come Gianni De Gennaro, da poco nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

Mentre lo Stato assolve se stesso da quella che Amnesty International ha definito “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, il prossimo 13 luglio dieci persone rischiano di diventare i capri espiatori e vedersi confermare, in Cassazione, una condanna a cento anni di carcere complessivi, in nome di un reato, “devastazione e saccheggio”, che rappresenta uno dei tanti detriti giuridici, figli del codice penale fascista, il cosiddetto Codice Rocco.

Un reato concepito nel chiaro intento, tutto politico, di perseguire chi si opponeva al regime fascista. Oggi viene utilizzato ipotizzando una “compartecipazione psichica”, anche quando non sussiste associazione vera e propria tra le persone imputate. In questo modo si lascia alla completa discrezionalità politica degli inquirenti e dei giudici il compito di decidere se applicarlo o meno.

E’ inaccettabile che, a ottant’anni di distanza, questa aberrazione giuridica rimanga nel nostro ordinamento e venga usata per condannare eventi di piazza così importanti, che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone, come le mobilitazioni contro il G8 a Genova nel 2001.

Non possiamo permettere che dopo dieci anni Genova finisca così, per questo facciamo appello al mondo della cultura, dello spettacolo, ai cittadini e alla società civile a far sentire la propria voce firmando questo appello che chiede l’annullamento della condanna per devastazione e saccheggio per tutti gli imputati e le imputate.

Per una battaglia che riguarda la libertà di tutte e tutti.

Firma l’appello.

La rivoluzione delle suore

Mi ispira una naturale simpatia.

Che l’attuale guardiano dell’ortodossia cattolica, amico e stretto collaboratore di Ratzinger, possa decidere per un’apertura di dibattito all’interno della chiesa, è un’ipotesi inesistente. Per ora si cercherà di ridurre al silenzio le suore femministe, poi si vedrà. Anche i dotti e anziani cardinali sanno che la storia non si ferma davanti a un portone, nemmeno a quello di San Pietro, per loro è sufficiente cercare di distrarla un po’, ci penseranno altri ad affrontarla.

Qui l’articolo di Aurelio Mancuso.

#SAVE194 i diritti conquistati vanno difesi in un Paese dalla memoria fragile

Leggo, aderisco e anche io copio e incollo:

“Sembra, ogni volta, di dover ricominciare da capo. Facciamolo, allora, e partiamo da una domanda. Questa: “tutte le donne italiane possono liberamente decidere di diventare madri?”. La risposta è no.
Non possono farlo, non liberamente, e non nelle condizioni ottimali, le donne che ricorrono alla fecondazione artificiale, drammaticamente limitata dalla legge 40.
Non possono farlo le donne che scelgono, o si trovano costrette a scegliere, di non essere madri: nonostante questo diritto venga loro garantito da una legge dello Stato, la 194.

Quella legge è, con crescente protervia, posta sotto accusa dai movimenti pro life, che hanno più volte preannunciato (anche durante l’ultima marcia per la vita), di volerla sottoporre (di nuovo) a referendum.

L’articolo 4 di quella legge sarà all’esame della Corte Costituzionale – il prossimo 20 giugno – che dovrà esaminarne la legittimità, in quanto violerebbe ” gli articoli 2, (diritti inviolabili dell’uomo), 32 I Comma (tutela della salute) e rappresenta una possibile lesione del diritto alla vita dell’embrione, in quanto uomo in fieri”.

Inoltre,  quella legge è svuotata dal suo interno da anni. Secondo il Ministero della Salute sono obiettori sette medici su dieci (per inciso, i cattolici praticanti in Italia, secondo i dati Eurispes 2006, sono il 36,8%): in pratica, si è passati dal 58,7 per cento del 2005 al 70,7 per cento del 2009 per quanto riguarda i ginecologi, per gli anestesisti dal 45,7 per cento al 51,7 per cento e per il personale non medico dal 38,6 per cento al 44,4 per cento. Secondo la Laiga, l’associazione che riunisce i ginecologi a difesa della 194, i “no” dei medici arriverebbero quasi al 90% del totale, specie se ci si riferisce agli aborti dopo la dodicesima settimana. Nei sette ospedali romani che eseguono aborti terapeutici, i medici disponibili sono due; tre (su 60) al Secondo Policlinico di Napoli. Al Sud ci sono ospedali totalmente “obiettanti”. In altre zone la percentuale di chi rifiuta di interrompere la gravidanza sfiora l’80 per cento, come in Molise, Campania, Sicilia, Bolzano. Siamo sopra l’85% in Basilicata. Da un’inchiesta dell’Espresso di fine 2011, risulta che i 1.655, non obiettori hanno effettuato nel solo 2009, con le loro scarse forze, 118.579 interruzioni di gravidanza, con il risultato che più del 40% delle donne aspetta dalle due settimane a un mese per accedere all’intervento, e non è raro che si torni all’estero, alla clinica privata (o, per le immigrate soprattutto, alle mammane). Oppure, al mercato nero delle pillole abortive.
Dunque, è importante agire. Vediamo come.

Intanto, queste sono alcune delle iniziative che sono state prese:
1) Lo scorso 8 giugno, Aied e Associazione Luca Coscioni hanno inviato a tutti i Presidenti e assessori alla sanità delle Regioni un documento sulle soluzioni da adottare per garantire la piena efficienza del servizio pubblico di IVG come previsto dalla legge. “Siamo altresì pronti a monitorare con attenzione l’applicazione corretta della legge e, se necessario, a denunciare per interruzione di pubblico servizio chi non ottempera a quanto prevede la legge”, hanno detto.
Le proposte sono:
Creazione di un albo pubblico dei medici obiettori di coscienza;
Elaborazione di una legge quadro che definisca e regolamenti l’obiezione di coscienza;
Concorsi pubblici riservati a medici non obiettori per la gestione dei servizi di IVG;
Utilizzo dei medici “gettonati” per sopperire urgentemente alle carenze dei medici non obiettori;
Deroga al blocco dei turnover nelle Regioni dove i servizi di IVG sono scoperti. 

2) La scorsa settimana ha preso il via la campagna contro l’obiezione della Consulta di Bioetica Onlus: qui trovate le informazioni e qui il video.

Diffondere queste informazioni è un primo passo. Ce ne possono essere altri. Fra quelli a cui, discutendo insieme, abbiamo pensato, ci sono:

1) Raccogliere testimonianze. Regione per regione, città per città, ospedale per ospedale, segnalateci gli ostacoli nell’accesso all’IVG e alla contraccezione d’emergenza. Potete farlo anche in forma anonima, nei commenti al blog. Ma è importante: perché solo creando una mappa dello svuotamento della legge è possibile informare su quanto sta avvenendo ed eventualmente pensare ad azioni anche legali.

2) Tenere alta l’attenzione in prossimità del 20 giugno. Lanciate su Twitter l’hashtag #save194, fin da ora.
L’intenzione di questo post è quella di informare. Non è che il primo passo: perché la libertà di scelta continui a essere tale, per tutte le donne italiane”.

#nonmifermo il programma che stiamo costruendo: integrazione, cooperazione e diritti degli immigrati

Sarà che siamo ostinati e contrari ma alla fine l’agorà di Non Mi Fermo a Bergamo è diventata anima, spunti e programma. Forse perché è giovanile e giovanilistico occuparsi dei comunicati stampa che rilanciano un hashtag su twitter e invece le proposte costano curiosità e la curiosità, si sa, costa fatica. Claudio mette in fila le parole della giornata e le condensa in un programma politico dei punti che vogliamo sostenere. Non è una lista ma è civica lo stesso, forse. Intanto noi stiamo già chiudendo il programma della prossimo incontro. A Brescia.

Molte idee e proposte hanno caratterizzato la nostra recente agorà (Bergamo, 12 maggio) dedicata a “inte(g)razione contro il razzismo”. Fra queste, riportandole su base tematica, ne cito alcune su cui stiamo lavorando per farne proposte politiche.

Valutazione degli impatti discriminatori su immigrati e minoranze.

Una proposta molto concreta è giunta durante il suo prezioso intervento di apertura da Luciano Scagliotti, già Presidente Enar ed esperto di razzismo. L’assunto è molto semplice. Se da una lato è indispensabile che non esistano diritti diversi o differenziati a seconda della provenienza di una persona; dall’altro, per prevenire ogni forma di discriminazione razziale, essa dovrebbe essere contrastata “ex ante”, ovvero già in fase di elaborazione normativa.

La proposta è dunque quella di istituire – sia a livello locale che nazionale –commissioni interne alle istituzioni (ovvero, senza alcun costo aggiuntivo per le stesse) con il compito di valutare i possibili impatti di leggi, ordinanze o disposizioni in termini di discriminazione su immigrati e minoranze.

Così come esiste in molti casi l’obbligo di valutazione d’impatto ambientale, la stessa cosa può essere fatta in una prospettiva anti-discriminatoria affinché siano tutelati i principi d’uguaglianza e i diritti inviolabili della persona, per altro come già espresso così bene nella nostra Costituzione.

Art. 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,economica e sociale.

Revisione/abrogazione dell’attuale legislazione “speciale”

Riaffermare con forza i diritti fondamentali della persona significa cercare di garantirne l’esercizio in primis a tutte quelle fasce in difficoltà perché deboli ed emarginate per motivi di natura culturale o razziale.

Gli stranieri in Italia rappresentano ormai il 10% della popolazione residente e, sebbene contribuiscano pienamente al loro dovere di cittadini (rispettando le nostre leggi o pagando contributi e tasse), ancora non sono riconosciuti come tali dalla legislazione vigente. Così come non lo sono i loro figli che, anche se nati in suolo italiano, si trovano di fatto a non avere patria. In questa direzione s’inseriscono – e a ragione – le battaglie, tutte sacrosante, per il riconoscimento del diritto al voto e di cittadinanza, ma più in generale qui dovrebbe rientrare un processo di rinnovamento legislativo più ampio a difesa dei principi d’uguaglianza.

Perché la legge non è uguale per tutti. Certamente non è uguale per gli stranieri che in Italia lavorano, vivono e qui hanno costruito una vita. E non si tratta solo dell’attuale sistema d’ingresso e gestione dei flussi sancito prima dalla “Turco-Napolitano” e infine dalla “Bossi-Fini”. Qui contano anche le piccole cose: la difficoltà di rinnovo dei permessi; le complicazioni burocratiche (meno file più autocertificazioni); l’assistenza sanitaria. Siamo convinti che la politica italiana abbia finora affrontato il tema dell’immigrazione prevalentemente attraverso una cultura dell’emergenza (l’immigrazione come problema), senza essere stata invece capace di coglierne la straorinaria opportunità dal punto di vista economico e sociale. L’immigrazione e la diversità andrebbero considerati per quello che sono: un riflesso fisiologico della storia dell’umanità e, per questo motivo, un valore fondante del progresso umano. Ed è solo partendo da questa prospettiva che le forze di “centro-sinistra” dovrebbero impegnarsi insieme per una politica inclusiva e solidaristica, che abbia come obiettivo l’abrogazione di ogni legge o prassi burocratica pensata in termini “speciali”.

Campagna d’informazione sul popolo e la cultura Rom, Sinti e Caminanti

Quante volte abbiamo sentito ripetere che i Rom sono sporchi, rapiscono i bambini, rubano?

Sono questi solo alcuni dei più tipici pregiudizi che ricorrono intorno ai Rom presenti in Italia. Semplici pregiudizi di carattere razziale spacciati per fatti o verità storiche. Insomma, semplice e barbaro razzismo. Eppure, di queste menzogne sono pieni persino le pagine dei nostri quotidiani così come le dichiarazioni di numerosi politici (non solo leghisti).

Piccole o grandi che siano queste bugie quotidiane svelano i pericolosi effetti dell’ignoranza e della mancanza di conoscenza. È dunque importante ripristinare la verità. Per esempio, quella dei fatti e della storia. In Italia la condizione in cui si trovano a vivere Rom, Sinti e Caminanti è al limite dell’incostituzionalità, se non già abbondantemente oltre. Ce lo raccontano così bene persone come Pino Petruzzelli (qui un suo video a TED, qui il suo intervento a Bergamo), attore e scrittore, e Romana Vittoria Gandossi (qui il suo intervento a Bergamo), insegnante in pensione che vive nel bresciano, più precisamente in quel di Adro, nota alle cronache nazionali per alcuni episodi di razzismo ai danni di alcuni bambini. Non è un caso che solo pochi anni fa l’Alto Commissario dell’Onu per i Diritti Umani, Navi Pillay, sia stata ascoltata in audizione dalla Commissione per i diritti umani del Senato esprimendo parole di sconcerto e di forte critica rispetto a quanto riscontrato nel corso di sopralluoghi nei campi Rom italiani (qui il Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato.

Per queste ragioni, siamo convinti della necessità di attivarsi affinché siano promosse iniziative e campagne d’informazione volte alla conoscenza della cultura Rom, Sinti e Caminanti.

Meno C.I.E. più cooperative

Introdotti dalla Turco-Napolitcano, i “CIE” – Centri di Identificazione ed Espulsione – sono nati con l’obiettivo di ospitare tutti gli stranieri “sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera nel caso in cui il provvedimento non sia immediatamente eseguibile”.

A noi sembrano più che altro dei centri di detenzione, per altro ingiustificata. Insomma, campi di reclusione il cui utilizzo (e abuso) è palesemente contrario ai principi costituzionali.

Già nel 2003 la Corte dei Conti affermava in un suo rapporto la “programmazione generica e velleitaria”, le “strutture fatiscenti”, la “scarsa attenzione ai livelli di sicurezza” e “mancata individuazione di livelli minimi delle prestazioni da erogare”. A queste critiche nel tempo se ne sono aggiunte molte altre (Medici Senza Frontiere, Croce Rossa Italiana, Amnesty International, Chiesa Cattolica), ma l’istituzione dei C.I.E. non è mai stata messa in discussione.

La loro eliminazione, invece, dovrebbe costituire un punto fermo del programma politico di tutti i movimenti politici, non solo a sinistra.

Le alternative ci sono e sono tante. A Bergamo ne abbiamo conosciuta una. Si tratta della Cooperativa Ruah, attiva anche con il supporto del Segretariato Migranti della Diocesi di Bergamo. Il suo obiettivo è quello di sostenere e formare donne e uomini immigrati e in grave difficoltà. È spontaneo domandarsi perché non potrebbero essere utilizzate strutture come queste in alternativa ai C.I.E. per ospitare le migliaia di persone che hanno solo il torto di essere fuggite dal proprio paese perché alla ricerca di un po’ di benessere o per scampare a una morte annunciata?

Dunque, meno C.I.E. più Cooperative!

I problemi dell’attuale legislazione italiana su immigrazione e stranieri

Ci sono almeno tre falle nell’attuale legislazione italiana che regola l’immigrazione e la vita degli stranieri in Italia. La prima di ordine umanitario; la seconda costituzionale; la terza di carattere generale.

Come ha messo così bene in evidenza Manila Filella durante il suo intervento a Bergamo (qui), siamo di fronte a una normativa che ogni giorno mette in evidenza l’urgente necessità di essere riformata.

I problemi principali:

  • Norme sui respingimenti, in particolare le disposizioni introdotte dalla Bossi-Fini che prevedono la possibilità da parte della polizia di agire in acque extraterritoriali senza far attraccare le navi sul suolo italiano. Tali norme hanno dimostrato di aver più volte violato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come per altro messo già in evidenza dalla sentenza della Corte Europea di Strasburgo che all’inizio di quest’anno ha condannato l’Italia per i respingimenti attuati verso la Libia, a seguito degli accordi bilaterali e del trattato di amicizia italo-libico siglato dal governo Berlusconi.
  • Illegittimità costituzionale del reato penale di clandestinità. Sebbene il tema sia stato molte volte sollevato senza successo, resta a nostro giudizio evidente quale sia il bene giuridico leso. Il nostro ordinamento prevede, infatti, ammende (da 5.000 a 10.000 €) per chi si trova illegalmente nel territorio italiano e la pena della reclusione da 1 a 4 anni per gli stranieri che non rispettano i decreti di espulsione.  Fortunatamente, ma solo attraverso il contributo attivo di numerosi avvocati, è stato più volte salvaguardato il cittadino straniero che versa in uno stato di bisogno o perché in attesa del rinnovo.
  • Disfunzioni e paradossi generali. Di maggior rilevanza l’assenza del diritto di voto a chi risiede regolarmente in Italia e di cittadinanza (attualmente disponibile solo dopo 10 anni). A riprova dell’assurdità legislativa, oggi in Italia è prevista la possibilità di ottenimento della cittadinanza a nipoti di italiani che vivono in Argentina, laddove il nostro ordinamento non riconosce lo ius soli (ovvero il riconoscimento della cittadinanza a chi nasce sul suolo italiano) ai figli degli immigrati. Infine, sussistono altri numerosi elementi di carattere generale che andrebbero abrogati e rivisti. Fra questi: il meccanismo dei “contratti di soggiorno”; gli attuali termini di validità dei permessi (troppo brevi in molti casi); le procedure di rilascio (che potrebbero passare di competenza ai Comuni); il mancato riconoscimento dei titoli professionali conseguiti all’estero.

Dare voce allo sport di base

Lo sport è uno strumento fondamentale di coesione e integrazione. Affinché lo sia sempre di più, come ha spiegato Filippo Fossati (Presidente UISP, Unione Italiana Sport per Tutti) nel suo intervento a Bergamo (qui), è necessario promuovere una cultura sportiva solidale e lontana dalle luci effimeri dei riflettori dei grandi stadi.

Sulla questione, riprendiamo volentieri quanto espresso dal documento DIAMO VOCE ALLO SPORT DI BASE, presentato il 3 marzo 2012 a Roma alla presenza di molte società sportive e importanti associazioni quali CSI, UISP, US ACLI, ACSI e del CONI. Il documento chiede un riconoscimento del valore delle attività sportive svolte, della loro funzione di tipo sanitario, preventivo, ambientale e sociale. Troppo spesso si trovano fondi e risorse solo per le grandi squadre, per le manifestazioni ad alto livello (ovvero, con ritorno televisivo o un richiamo turistico) e vengono dimenticate l’attività motoria o la pratica sportiva svolte nelle scuole.Gravare troppo sulle tasche delle famiglie significa porre lo sport come prima rinuncia, in un momento di crisi come questo. Il documento, in particolare, evidenzia l’importanza che potrebbero avere l’introduzione di agevolazioni fiscali, spazi attrezzati in modo efficace, la sensibilizzazione degli Enti Locali, contributi per lo sport di base. Infine, nello stesso documento troviamo l’interessante proposta di una legge per la cultura sportiva.

#nonmifermo Meno CIE più cooperazione

Ne scrive Claudio sul sito di Non Mi Fermo: le proposte dell’ultima agorà a Bergamo aprono un angolo diverso sul tema dell’integrazione e dell’antirazzismo in una Regione che su questo tema ha inseguito il centrodestra piuttosto che pronunciarsi con forza sui propri stili e sulla propria storia.

Una proposta molto concreta è giunta durante il suo prezioso intervento di apertura da Luciano Scagliotti, già Presidente Enar ed esperto di razzismo. L’assunto è molto semplice. Se da una lato è indispensabile che non esistano diritti diversi o differenziati a seconda della provenienza di una persona; dall’altro, per prevenire ogni forma di discriminazione razziale, essa dovrebbe essere contrastata “ex ante”, ovvero già in fase di elaborazione normativa.

La proposta è dunque quella di istituire – sia a livello locale che nazionale – commissioni interne alle istituzioni (ovvero, senza alcun costo aggiuntivo per le stesse) con il compito di valutare i possibili impatti di leggi, ordinanze o disposizioni in termini di discriminazione su immigrati e minoranze.

Così come esiste in molti casi l’obbligo di valutazione d’impatto ambientale, la stessa cosa può essere fatta in una prospettiva anti-discriminatoria affinché siano tutelati i principi d’uguaglianza e i diritti inviolabili della persona, per altro come già espresso così bene nella nostra Costituzione.

Art. 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,economica e sociale.

Il manifesto politico figlio della giornata è nel post di Claudio Bellinzona.

Intercoltura, semi di interculturalità a Milano

“Intercoltura, semi di interculturalità a Milano” è la campagna di sensibilizzazione 2012 di ICEI sul tema dell’intercultura e della coesione sociale. La campagna, che si inserisce all’interno del progetto ICEI Informattivati, darà voce a colleghi e amici che abbiamo incontrato nel nostro lavoro quotidiano e che ci hanno stimolato, colpito, affascinato, contribuendo alla nostra riflessione sul tema della cittadinanza e dell’intercultura. In questo spot riassumiamo i volti e le voci della nostra campagna.Per informazioni:http://www.icei.it/index.php?option=com_content&view=article&id=317%3…