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Il Green Pass non è un dogma: ecco perché se ne può discutere senza essere no vax

Il tema è complesso, molto più articolato di come spesso viene affrontato e non è certo buono per essere stropicciato per sfamare opposte e radicali tifoserie. L’estensione del green pass nelle prossime settimane, soprattutto nel mondo del lavoro, pone un’importante riflessione sulla libertà. Da una parte c’è chi crede che la libertà sia l’ambiente dell’individualismo spinto, faccio quello che voglio soprattutto finché le regole me lo consentono, mentre dall’altra si insiste sulla libertà che non esiste senza un piano relazionale e che non può slegarsi da una responsabilità collettiva.

Poi c’è il tema della salute, anche questo troppo serio per non essere preso sul serio: il diritto di mettere a rischio la propria salute (non accade forse con il fumo, con l’alcol o con qualsiasi altra sregolatezza?) non ha nulla a che vedere con il diritto di mettere a rischio la salute degli altri: non è vietato viaggiare in autostrada a 200 all’ora con i fari spenti per il gusto di intaccare la libertà personale ma semplicemente per il dovere di evitare per quanto possibile che qualcun altro rimanga coinvolto in un incidente. Il concetto sembra così banale, eppure sfugge.

È anche vero però che il sistema sanitario nazionale (e la Costituzione) prevedono l’obbligo di curare tutti, indipendentemente dalle loro scelte personali (e per fortuna) e quindi avvelenare i pozzi con idee strampalate come quella di addebitare i ricoveri a chi rifiuta il vaccino non porta nessun altro risultato oltre al crollo della serietà del dibattito.

Che l’uscita dalla pandemia avvenga solo grazie al vaccino è il pensiero comune della scienza ed è una lezione della Storia: chi rifiuta il vaccino adducendo misteriosi complotti mondiali o peggio ancora presunti piani di stermini di massa è stupido e pericoloso. La stupidità è da sempre nemica della democrazia e chi la cavalca per interessi politici è un immorale fallito.

Però una riflessione sul green pass che ora sostanzialmente serve per qualsiasi cosa forse conviene davvero farla. Ad esempio, è possibile sapere sulla base di quali analisi tecniche è stata presa questa decisione? Quali sono i criteri, gli studi e i dati sui quali si è deciso di adottare questa misura e poi estenderla? Per essere più precisi: al raggiungimento di quale risultato verrà tolto? A che percentuale di vaccinati? Al raggiungimento di quanti decessi per settimana? Al raggiungimento di che numero di nuovi casi al giorno? Davvero non è pericoloso porre una misura senza chiarire un obiettivo?

Perché le leggi e le regole di una democrazia sono un cosa seria e sentire che l’obbligo di green pass nei luoghi di lavoro “serve a ovviare alla mancata messa in sicurezza dei mezzi di trasporto” (come ad esempio ha dichiarato Lina Palmerini durante una puntata di Otto e mezzo) oppure sentire (come ha detto il ministro Brunetta) che viene adottato un decreto legge che entrerà in vigore solo fra un mese per sfruttare intanto “l’effetto annuncio” è qualcosa che non ha niente a che vedere con il diritto. E noi siamo un Paese fondato sul diritto.

Per questo bisognerebbe essere molto cauti nell’additare come “no green pass” tutti coloro che pongono dei dubbi. Roberto Perotti (economista e accademico bocconiano) a Radio1 ha detto quello che tutti pensano e che non hanno il coraggio di dire: “Il green pass è un modo per obbligare le persone a vaccinarsi senza introdurre un obbligo vaccinale”.

Ecco allora lo snodo fondamentale: se si ritiene che il vaccino sia la migliore soluzione per uscire dalla pandemia (e su questo quasi tutti sono d’accordo) allora la politica dovrebbe prendersi la responsabilità di fare politica senza paternalismi e senza misure che servono per “indurre a”. Che l’Italia adotti un’estensione del green pass che non è presente per ora in nessuno Stato è un fatto politicamente rilevante, oltre che sanitario.

Sì, è vero che non c’è soddisfazione più grossa che vedere i pericolosi no vax costretti a correre a vaccinarsi per non perdere il reddito, ma siamo sicuri che sia la strada più intellettualmente onesta? Siamo d’accordo che l’obbligo vaccinale sia (come dice Selvaggia Lucarelli) un privilegio gratuito per continuare a vivere in salute? Sì, perfetto. Allora non si abusi di strumenti collaterali.

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Se fa più discutere la Azzolina su Twitter che il vitalizio al condannato Formigoni

Il miracolo dell’ipocrisia e del benaltrismo nel dibattito politico italiano oggi raggiunge vette notevoli con le anime belle dei politici nostrani che sanguinano per un brutto verbo usato da una ex ministra in un tweet. Chissà cosa penseranno di noi tra decenni quando recupereranno le pagine dei nostri giornali e vedranno che, nel giorno in cui il Parlamento ha deciso di riassegnare il vitalizio ai senatori pregiudicati, il dibattito si è spostato sullo “scatarrare” scritto in un singolo post di un singolo personaggio politico.

Il tema di cui ci sarebbe da discutere è quel voto del berlusconiano Vitali, dei leghisti Sepe e Grassi (un ex 5 Stelle, tanto per rimpolpare la farsa) che hanno battuto quelli contrari di Fratelli d’Italia e del Pd, cancellando di fatto la delibera con cui nel 2016 Pietro Grasso aveva eliminato la rendita per i senatori con condanne superiore ai due anni.


Gli inorriditi di queste ore si stracciano le vesti per lo “scatarro” di Azzolina ma trovano del tutto influente la corruzione di Roberto Formigoni, che tolse milioni di euro ai malati lombardi per i suoi sollazzi (lo spiegò bene il pm durante il processo). E, poiché nella stragrande maggioranza soffrono di una codardia cronica, non si assumono la responsabilità di spiegare perché dovrebbe essere un diritto ricevere un vitalizio da uno Stato che si è frodato, ma ci tengono a sottolineare come il problema italiano sia l’ecologia lessicale di Azzolina.

A proposito, osservate: quelli che si allarmano per il verbo “scatarrare” sono gli stessi che dicono che difendono il diritto di dire le peggiori cose sui gay, sono sempre loro.

Qualcuno invece la butta sul diritto: “Perché un operaio detenuto continua a ricevere la pensione (che poi non è esattamente così) e Formigoni no?”, ci chiedono. Benissimo: allora perché Formigoni non restituisce in solido i soldi di cui si è appropriato e che ha fatto perdere allo Stato? Qui non rispondono.

E poi: “Che faranno questi poveri senatori che non hanno soldi per vivere?”, dicono. Semplice: se davvero hanno i requisiti di povertà che sventolano (ma non è quasi mai così) potranno accedere agli strumenti sociali che sono a disposizione per gli altri cittadini, no?

A proposito: è quello stesso reddito di cittadinanza (e altro) contro cui questi stessi politici si scagliano. Ma non sentite l’insopportabile odore di ipocrisia in questa levata di scudi di amici degli amici? Vi rendete conto dell’enorme macchia di cui si dovrebbe parlare? Altro che Azzolina.

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