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donald trump

«Lavoratori sono tutti coloro che hanno la dignità di poter essere dei liberi cittadini»: le parole di Emilio Gentile su Trump (e sulla sinistra)

Che gioiello l’intervista di Donatella Coccoli a Emilio Gentile per Left (la trovate qui):

Non ha affatto paura di Donald Trump il professor Emilio Gentile, anche perché aveva previsto il successo del candidato repubblicano. Anzi, alla fine della telefonata si lascia andare anche a una battuta. «Mi merito anche un piccolo premio Nobel per la profezia azzeccata», dice sorridendo. In effetti, lo storico noto a livello internazionale per i suoi studi sul fascismo, è autore di un libro fondamentale per comprendere la vera natura degli Stati Uniti (La democrazia di Dio, Laterza) in cui mette in evidenza la profonda religiosità degli americani che hanno addirittura nella loro moneta la frase “in God we trust”. Negli ultimi anni Gentile ha analizzato il rapporto tra leader e cittadini (Il capo e le folle, Laterza), e i cambiamenti della democrazia occidentale.

Professor Gentile, lei nel suo ultimo libro In democrazia il popolo è sovrano. Falso! per Laterza, parla di come oggi la democrazia sia diventata sempre più “recitativa”, con il capo che “ci mette la faccia”. Che cosa pensa della elezione alla Casa Bianca di Donald Trump?
Confesso che per me non è stata una sorpresa perché avevo immaginato che i motivi agitati da Trump fossero gli stessi che toccavano moltissimi americani. Sono tutti quei cittadini che non avevano il coraggio di dichiarare apertamente di votare per il candidato repubblicano e hanno dichiarato di votare per Clinton. Forse si sono vergognati di dire apertamente di accettare un candidato che tutta la stampa più autorevole e importante, tutti i canali televisivi e persino lo stesso presidente in carica consideravano un cialtrone o un pericoloso avventuriero, o peggio ancora, uno che rischiava di mettere in pericolo la pace nel mondo. È probabile che dietro a questo voto ci sia stato un risentimento per l’amministrazione di Clinton, per le stesse guerre di Bush e infine la delusione per il presidente Obama.

Chi sono gli elettori di Trump?
È la classe media degli stati centrali che soffre di più della globalizzazione e della riduzione dei salari che ha reso inadeguata la capacità di potere d’acquisto negli ultimi 35-40 anni. Per questo motivo gli americani a un certo punto hanno visto in Trump qualcuno che fosse disposto a gridare contro tutto questo. Senza che dall’altra parte ci fosse un candidato che desse veramente l’assicurazione di cambiare.
Probabilmente un personaggio come Sanders con la sua retorica più confacente ai deboli, ai disperati, avrebbe reso più faticosa l’ascesa di Trump. C’è una cosa che mi ha sorpreso, però.

Che cosa professore?
Il tema della “democrazia recitativa” andrebbe rivisto alla luce di due risultati di queste elezioni. Intanto per la seconda volta perde una candidata che ha il maggior sostegno del maggior partito, che ha il sostegno del presidente uscente, che ha speso un miliardo e 300mila dollari, cioè ha fatto una campagna in cui si è dimostrato che il denaro non sempre garantisce una vittoria. E soprattutto l’altro risultato è il fatto che Trump ha combattuto contro il suo partito. Questo è davvero un fenomeno nuovo. Non ricordo, almeno nel secolo scorso, casi simili. Sì, ci sono stati alcuni presidenti che non erano quelli che il partito desiderava ma non si è mai verificato che un candidato venisse squalificato dal suo stesso partito come è avvenuto in queste elezioni.

E che cosa significa?
È ormai la conferma della tendenza a stabilire un rapporto diretto e quasi personale tra il capo e la folla e a scavalcare le strutture tradizionali. Il capo che sa intuire gli orientamenti della collettività in agitazione. Tra l’altro, è interessante che lui parli di movimento. Anzi, ha suscitato un movimento, è questo che tra l’altro ha detto nel suo discorso.

Quindi anche la forma partito viene meno?
Certo, Trump ha vinto contro il suo partito! Quest’uomo, sostanzialmente dall’esterno, ha conquistato il partito. Qualcosa di molto simile a quello che ha fatto Renzi nel Pd. Quindi si sta verificando ormai – e io posso pensare di essere stato tristemente profetico nel Il Capo e la folla – che la democrazia intesa come un complesso processo che si avvale di stadi intermedi per arrivare a rendere sovrano il popolo attraverso i suoi rappresentanti viene scavalcato da questo rapporto diretto tra un popolo che non si sa che orientamento ha, ma è pur sempre il popolo. Una mia amica americana mi ha detto che il popolo non è sovrano: eh no, questo è il popolo sovrano, solo che il popolo non sempre sceglie come noi vorremmo. Ma quando sceglie, lo fa sovranamente. In questo caso contro il partito, un presidente in carica, contro una candidata fortissima che per la seconda volta viene data per vincente e che ha impiegato una somma di denaro notevolissima. Da questo punto di vista tutte le nostre categorie razionali per spiegare fenomeni come questi saltano completamente.

Che cosa ha determinato la vittoria di Trump? La paura del ceto medio, la progressiva povertà?La paura, e dall’altra parte anche una volontà di riscatto. Lui ha agito come ha fatto Regan dopo Carter. E in questo caso Obama è stato visto come un presidente che ha reso quasi assente l’America oppure l’ha lasciata in balìa a un corso storico che ha visto emergere altre grandi potenze.

Però, come fa notare lei, se ci fosse stato Sanders…
Di fronte a una questione sociale molto forte come quella vissuta dagli Usa adesso, la carta da giocare era quella di Sanders.

È una lezione per la sinistra che non deve abbandonare il proprio popolo?
Questo dovrebbe essere fondamentale. Ormai il problema della sinistra non è più quello di pensare a un popolo inteso come un proletariato ma a tutti coloro che oggi vengono privati della possibilità di essere cittadini. Oggi il tema fondamentale non è la distinzione tra destra e sinistra, ma la nostra costituzione che almeno nei principi che nessuno dice di voler toccare, parla della Repubblica fondata sul lavoro, dove i lavoratori sono tutti coloro che hanno la dignità di poter essere dei liberi cittadini. È questo che ha travolto l’America, loro si sentono sempre meno cittadini. Da questo punto di vista Trump è un uomo di destra che ha usato un linguaggio di sinistra e per questo è stato riconosciuto negli Stati dove ci sono le classi operaie, come la Pennsylvania che ha sempre votato democratico.

Senta professore, ma lei è preoccupato per l’elezione di Trump?
Io sinceramente, pensando al caso di Nixon o di Regan – forse più Nixon – ritengo che i presidenti che si presentano con una faccia trucida, con messaggi violenti, sono quelli che, adattandosi al realismo, riescono poi a fare delle scelte che un presidente di sinistra non può fare. Ad esempio, il discorso dopo la vittoria ha fatto fa vedere un altro Trump. Molto cavalleresco nei confronti di Hilary Clinton, il che è una cosa straordinaria. Ha anche detto che non sarà contro nessuno e cercherà un accordo con tutti. Non ha usato nessuna metafora di tipo aggressivo, polemico, razzista, addirittura ha detto che tutti devono unirsi al di là della razza o della religione. Certo, è un po’ tipico degli americani fare il presidente di tutti, però vedremo quanto farà, tenendo conto anche del fatto che possiede un potere che Obama non ha, avendo tutto il congresso repubblicano. Una cosa è sicura, poi. Lui non è stato protetto dalla destra religiosa, non è molto amato anche perché non rappresenta un esempio illuminante dal punto di vista della morale. Comunque rispondendo alla domanda,  non ho paura, perché la paura viene dalle cose impreviste. Questa era prevista.

Michael Moore: cinque cose da fare per limitare i danni dopo Trump

(che poi anche qui da noi, non farebbero male)

di Michael Moore

Punto uno: Partito democratico al popolo. C’è bisogno di un cambiamento dopo il pesantissimo fallimento ed è necessario restituire il Partito Democratico al popolo

Punto due: annientare chi ha fatto previsioni sbagliate. Moore se la prende con i ‘profeti’, giornalisti ed esperti di sondaggi che nei mesi scorsi, fino alla chiusura delle urne, hanno dato per vittoriosa Clinton e che anche nei prossimi tempi inventeranno storie, invitando all’unità.

Punto tre: resti solo chi vuole combattere. C’è posto, per Moore, in questo momento, solo per chi non ha intenzione di abbassare la testa: è un invito ai membri democratici del Congresso ad opporsi contro il ‘pericolo’ del nuovo presidente.

Punto quattro: riprendersi dallo shock. Non serve più dirsi sconvolti per il verdetto. Se le urne hanno dato questo risultato è perché c’è stata poca attenzione a quella parte di popolazione disperata che ha dato sfogo alla rabbia. La vittoria di Trump, sostiene Moore, è colpa anche dei media che lo hanno creato come personaggio.

Punto cinque: “Hillary ha vinto il voto popolare”. Un invito a tutti a ricordare che la candidata democratica “ha vinto il voto popolare”. Il risultato del voto è legato a un sistema elettorale che non rispecchia la volontà dei cittadini. La maggior parte di loro avrebbe voluto Clinton alla Casa Bianca e crede in posizioni ‘liberali’.

L’ultima trovata per il referendum: trumpizzare Renzi. A proposito di stare nel merito. Appunto.

Quindi mentre Trump si insedia alla Casa Bianca e un po’ dappertutto si chiede di cominciare a fare politica concreta, quella che cambia per davvero e incide, quella che risolve i problemi considerati “bassi” come il lavoro, il reddito troppo basso, la difficoltà di assistenza sanitaria e l’accesso ai servizi di base, Jim Messina, l’americano arrivato a Palazzo Chigi per rivoluzionare la comunicazione di Matteo Renzi, pensa a un processo di “trumpizzazione” del premier? Ecco cosa scrive l’Huffington Post:

«Al comitato Basta un Sì oggi scatta la parola d’ordine: insistere sul messaggio che dipinge “quelli del No come la casta, quelli del Sì per il cambiamento”. Di primo mattino il sito del comitato per il Sì sfodera un post con i volti del No: da D’Alema a Fini, Meloni, Quagliariello, Ferrero, fino a Rodotà. “Il cambiamento vota Sì, la casta vota No”.

Così Renzi cerca di spogliarsi dall’abito di establishment che indossa da quando è al governo, anche solo per semplici motivi istituzionali. La convinzione emersa dalle riunioni con i suoi tra ieri sera e stamattina è che l’unico modo per vincere il 4 dicembre è riuscire a identificarsi con l’anti-sistema, la forza del cambiamento rispetto a un sistema che ha governato in Italia negli ultimi 30 anni.»

Sempre per stare nel merito. Appunto.

Due tre cose che non so sulle elezioni americane, col cuore in mano.

Stamattina ho pensato che con questa figura di merda colossale degli analisti, degli editorialisti, dei sondaggisti e dei millemilioni di esperti di elezioni americane almeno ci saremmo risparmiati per qualche ora il profluvio di analisi. E mi sbagliavo. E in fondo ho anche ringraziato la mia buona stella di avere colleghi nelle redazioni in cui lavoro che si sono dovuti prendere la patata bollente della sfida americana lasciando a me la sola incombenza di scrivere su questo mio personalissimo blog che Trump non mi piace. E anch’io, del resto, sono in minoranza e me ne farò una ragione.

Ma alcuni pensieri sparsi oggi li vorrei appoggiare qui perché ancora una volta ho la sensazione che ci sia da parte di una certa classe giornalistica (e di intellettuali, anche se solo a scriverlo mi si anchilosano le dita) una supponenza che nemmeno il tonfo Trump abbia messo in discussione: la gente la pensa diversamente dalla gran parte dei cosiddetti influencer. In sostanza chi è pagato per scrivere opinioni sul mondo ne è piuttosto scollegato. E questa è un prima notizia. Non buonissima.

Poi c’è la democrazia ad personam: una nuova formula politica per cui l’ideale sarebbe vivere in un Paese in cui abbia diritto di voto solo chi la pensa come noi altrimenti il “suffragio universale” è uno schifo (oggi l’hanno detto diversi autorevoli esponenti). Gli analisti fallimentari al posto di chiedere scusa per avere sbagliato l’analisi sui candidati spostano le proprie energie sull’analisi degli elettori. Peccato che mettere in dubbio la dignità di voto sia la peggior riforma costituzionale che si possa provare a iniettare nel dibattito pubblico. Molto peggio della pessima riforma a cui ci stiamo opponendo in questi giorni: contestiamo l’autoritarismo degli altri e poi ci lanciamo in pareri che sono l’esplosione del nostro ego. Anche questa non mi pare una buona notizia, sinceramente.

Francesco Piccinini, direttore di Fanpage, nel suo articolo lo scrive chiaro e tondo:

«Trump è stato eletto perché ha parlato – anche – a quella “massa silenziosa” che non risponde ai sondaggi, a quelle “legioni di imbecilli” che Eco non riusciva a comprendere. Quel popolo di Jersey Shore al quale l’intellighenzia democratica non ama più parlare. Perché le “legioni di imbecilli” non sono i commentatori da tastiera ma i giornalisti, gli scrittori, i politici che restano chiusi nelle proprie stanze. Legioni di imbecilli che credono di essere migliori dei propri lettori, dei propri elettori. Così tanto “migliori” da non riuscire a trovare le parole per parlargli. Le legioni di imbecilli non si nascondono dietro Facebook ma siedono ogni giorno dentro le redazioni dei giornali, nelle sedi di partito, nei salotti che fanno tanto ‘900 ma che nulla hanno a che vedere con la modernità. Quelli che sanno solo ripetere “l’America di 8 anni fa non avrebbe mai votato Trump”. Come se la modernità dovesse chiedere permesso. Come se la modernità non fosse davvero qualcosa che “non si ferma davvero davanti a un portone”.»

Poi c’è questo partito democratico USA che assomiglia terribilmente agli smunti democratici de’ noantri: «Non deve spaccare il partito» dicevano a Sanders. La voce che circolava tra i maggiorenti democratici era che la candidatura di Sanders fosse contro il “bene del partito” oltre che contro la Clinton. Vi ricorda qualcosa? Bene, forse sarebbe il caso appuntarsi che dello stato di salute dei partiti non se ne preoccupano in molti. Un candidato non ha il compito di preservare l’apparato politico che lo sostiene: i risultati politici in giro per il mondo premiano chi alza la voce contro le disfunzioni e i loro responsabili. Il Partito Democratico non è riuscito a proporre un candidato migliore di un Segretario di Stato da tempo sulla scena politica. Ha funzionato? A voi il giudizio. Su questo ne ho scritto stamattina, proprio per Fanpage, qui.

A proposito di sinistra: ma davvero c’è ancora qualcuno che crede che travestire da sinistra un liberismo turbospinto da lobby finanziarie funzioni? Ma davvero non è chiaro che la gente si sia frantumata le palle, un po’ dappertutto in giro per il mondo, dell’establishment in tutte le sue forme? Come scrive Pippo Civati qui:

«A un certo punto bisogna decidere cosa costa di più, se rinunciare ai grandi finanziatori o rischiare di perdere le elezioni perché si passa per essere al loro servizio. Penso, da anni, che il problema della disuguaglianza e dell’arroccamento del sistema sia il pericolo più grande. E, se siamo tutti d’accordo sull’analisi e sul quel malessere, il messaggio non può essere che non c’è alternativa: si può fare di meglio. Temo invece che, come spesso accade, negli stessi di cui sopra scatterà l’irresistibile tentazione non della ricerca di un’alternativa, cosa molto difficile, ma all’imitazione, che è decisamente più semplice. Così al prossimo giro vincerà un candidato che farà apparire Trump moderato, e così via all’infinito.»

Poi ci sono tutte le ricadute: quelli che strumentalizzano la vittoria di Trump per il prossimo referendum sulla riforma costituzionale (da entrambe le parti), quelli che “oddio adesso gli USA bombarderanno il mondo” (come se finora avessero esportato pace per davvero) e quelli del mal comune mezzo gaudio che siccome ci prendevano in giro per Berlusconi ora li perculiamo noi per Trump.

Ah, e poi c’è la Clinton che è sparita senza riconoscere pubblicamente la sconfitta. Proprio quello che gli analisti ci hanno detto che avrebbe fatto Trump.

E se semplicemente non ci avessimo capito un cazzo?

C’è tempo oggi per le analisi. E c’è tempo per scriverne. Però la domanda è questa, davvero: se non ci avessimo capito un cazzo? E forse vale la pena rileggere un articolo, addirittura di luglio, di Michael Moore.

Ecco i cinque motivi per cui Trump vincerà (di M. Moore):

1. La “matematica” del Midwest. Ovvero, benvenuti nella Brexit della Rust Belt. Credo che Trump concentrerà buona parte della sua attenzione sui quattro stati blu della cosiddetta “Rust Belt” a nord dei Grandi Laghi: Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin. Quattro stati tradizionalmente democratici che hanno eletto governatori repubblicani dal 2010 (solo la Pessylvania, adesso, ha finalmente eletto un democratico). In Michigan, alle primarie di Marzo, sono stati di più i voti per i Repubblicani (1,32 milioni), rispetto a quelli riservati ai Democratici (1,19 milioni). Trump è avanti ad Hillary negli ultimi sondaggi in Pennsylvania mentre ha pareggiato in Ohio. Pareggiato? Come può la corsa essere così ravvicinata dopo tutto quello che Trump ha detto e fatto? Be’ forse perché ha detto (correttamente) che il sostegno dei Clinton al NAFTA ha contribuito a distruggere gli stati industriali dell’Upper Midwest.

Trump colpirà Clinton su questo punto e sul supporto che Hillary ha accordato al TPP e ad altre politiche commerciali che hanno sontuosamente fottuto gli abitanti di questi 4 stati. Durante le primarie in Michigan Trump, all’ombra di una fabbrica Ford, ha minacciato l’azienda che se, avesse portato avanti il piano di chiudere la fabbrica e trasferirla in Messico, lui avrebbe applicato una tariffa del 35% su ogni vettura fabbricata in Messico e rispedita agli Stati Uniti. È stata musica per le orecchie degli operai del Michigan. Inoltre, quando Trump ha minacciato i vertici della Apple che li avrebbe costretti a fermare la produzione di iPhone in China, per trasferirla esclusivamente in America, be’ i cuori sono andati in estasi e Donald ne è uscito trionfante, una vittoria che sarebbe dovuta andare al governatore vicino, John Kasich.

Da Green Bay a Pittsburgh, questa America, amici miei , è come il centro dell’Inghilterra: al verde, depresso, in difficoltà, le ciminiere che punteggiano la campagna con la carcassa di quella che chiamiamo Middle Class. Lavoratori arrabbiati, amareggiati, ingannati dall’effetto a cascata di Reagan ed abbandonati dai Democratici che ancora cercano di predicare bene ma, in realtà, non vedono l’ora di flirtare con un lobbista della Goldman Sachs che firmerà un gran bell’assegno prima di uscire dalla stanza. Quello che è successo nel Regno Unito con la Brexit succederà anche qui. Elmer Gantry rivive nelle vesti di Boris Johnson e dice qualunque cazzata riesca ad inventarsi per convincere le masse che questa è loro occasione! L’occasione per opporsi a tutti loro, quelli che hanno distrutto il loro Sogno Americano! E ora l’Outsider, Donald Trump, è arrivato a dare una ripulita. Non dovete essere d’accordo con lui! Non deve nemmeno piacervi! È la vostra Molotov personale da lanciare ai bastardi che vi hanno fatto questo! Mandate un messaggio ! TRUMP è il vostro messaggero!

Ed ecco che arriva la matematica. Nel 2012, Mitt Romney è stato sconfitto per 64 voti. Sommate i voti espressi da Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin. Fa 64. Tutto quello che Trump deve fare per vincere è conquistare il supporto degli stati tradizionalmente rossi dall’Idaho alla Georgia (che non voteranno mai per la Clinton), poi avrà soltanto bisogno dei quattro stati della Rust Belt. Non ha bisogno della Florida, non ha bisogno del Colorado o della Virginia. Solo Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin. E questo lo farà arrivare in cima. Ecco cosa succederà a Novembre.

2. L’ultimo baluardo del furioso uomo bianco. La nostra era patriarcale, durata 240 anni, sta arrivando alla fine. Una donna sta per prendere il sopravvento! Com’è successo? Sotto i nostri occhi. Ci sono stati segnali d’allarme, ma li abbiamo ignorati. Nixon, il traditore, che ci ha imposto il Titolo IX, legge che stabilisce pari opportunità nei programmi scolastici sportivi. Poi hanno lasciato che le donne guidassero jet commerciali. Prima che ce ne rendissimo conto, Beyoncé prendeva d’assalto il campo del Super Bowl (il nostro gioco) con un esercito di Donne nere, col pugno alzato, a dichiarare che la nostra supremazia è finita. Ah, l’umanità.

Questa era una rapida sbirciatina nella mente dell’Uomo Bianco, specie in via di estinzione. C’è la sensazione che il potere gli sia scivolato dalle mani, che il suo modus agendi non sia più seguito. Questo mostro, la “Feminazi”, quella che Trump ha definito una “cosa debordante sangue dagli occhi e non solo” ci ha sconfitti. Ed ora dopo aver sopportato per otto anni un uomo nero che ci diceva cosa fare, dovremmo rilassarci e prepararci ad accogliere i prossimi otto anni con una donna a farla da padrone? Dopodiché, per i successivi otto anni ci sarà un gay alla Casa Bianca! Poi toccherà ai transgender! Vedete che piega abbiamo preso. Finiremo col riconoscere i diritti umani anche agli animali ed un fottuto criceto guiderà il paese. Tutto questo deve finire.

3. Il problema Hillary. Possiamo parlare onestamente, almeno tra noi? E prima di farlo, lasciate che lo dica, mi piace davvero Hillary e credo che le sia stata attribuita una cattiva reputazione che non merita. Ma dopo il voto per la guerra in Iraq, ho promesso che non avrei mai votato per lei un’alra volta. Fino ad oggi, non sono venuto meno alla promessa. Ma, per impedire ad un protofascista di diventare il nostro “comandante supremo” infrangerò la promessa. Putroppo, credo che la Clinton troverà il modo di coinvolgerci in una qualche azione militare. È un falco, alla destra di Obama. Ma il dito da psicopatico di Trump è pronto a premere Il Bottone. Questo è quanto.

Accettiamo la realtà dei fatti: il nostro problema principale non è Trump, è Hillary. È incredibilmente impopolare: quasi il 70% degli eletteori pensa che sia disonesta e inaffidabile. Rappresentante della vecchia politica, che non crede a niente se non alle cose utili a farsi eleggere. Ecco perché il momento prima si oppone al matrimonio gay e quello dopo ne celebra uno. Tra i suoi principali detrattori ci sono le giovani donne: questo deve far male condiderando i sacrifici e le battaglie che Hillary, e altre donne della sua generazione, hanno sopportato per far sì che le esponenti di questa nuova generazione non fossero più costrette a sentire le Barbara Bush del mondo dire loro di chiudere il becco e andare a sfornare biscotti. Ma i ragazzi non la amano, e non passa giorno senza che un millennial non mi dica che non voterà per lei. Nessun democratico, e di certo nessun indipendente, si sveglierà l’8 Novembre e vorrà precipitarsi a votare per Hillary, come invece hanno fatto il giorno dell’elelezione di Obama o quando Bernie ha corso per le primarie. Non c’è entusiasmo. Dal momento che questa elezione si riduce ad una cosa sola (chi tira più persone fuori di casa e le conduce ai seggi), Trump adesso è in testa.

4. “Il voto depresso” degli elettori di Sanders. Smettetela di preoccuparvi che i sostenitori di Bernie non voteranno per la Clinton. Voteremo per lei. I sondaggi già mostrano che ci saranno più elettori di Sanders pronti a votare Clinton quest’anno, rispetto al numero degli elettori di Hillary alle primarie del 2008, che allora votarono per Obama. Non è questo il problema. L’allarme dovrebbe scattare perché quando il sostenitore medio di Bernie si recherà alle urne quel giorno per votare, seppur con riluttanza, per Hillary, esprimerà il cosiddetto “voto depresso”: significa che l’elettore non porta con sé a votare altre 5 persone. Non svolge attività di volontariato nel mese precedente alle elezioni. Non parla in toni entusiastici quando gli/le chiedono perché voterà per Hillary. Un elettore depresso. Perché, quando sei giovane, la tua tollerenza verso gli ipocriti e le stronzate è pari a zero. Ritornando all’era Clinton/Bush, per loro è come dover improvvisamente pagare per la musica, o usare MySpace o portarsi in giro uno di quei cellulari giganteschi.

Non voteranno per Trump, qualcuno voterà il terzo partito, molti se ne staranno a casa. Hillary Clinton dovrà fare qualcosa per fornire loro una valida ragione per sostenerela: e scegliere un ragazzo bianco, moderato, insipido e centrista come candidato alla vicepresidenza non è proprio la mossa vincente per dire ai millennial che il loro voto è importate. Avere due donne come candidate, quella sarebbe stata un’idea entusiasmante. Ma Hillary ha avuto paura e ha deciso di andare sul sicuro. E questo è solo uno degli esempi del modo in cui si sta alienando il favore dei più giovani.

5. L’effetto Jesse Ventura. Per non ignorare la capacità dell’elettorato di essere malizioso e non sottovalutare il fatto che milioni di elettori si considerano “ribelli segreti” una volta chiusa la tenda e rimasti soli nella cabina elettorale. È uno dei pochi luoghi della società dove non ci sono telecamere di sicurezza, nessun registratore, non ci sono coniugi, bambini, capi, poliziotti, non c’è neanche un limite di tempo. Puoi prenderti tutto il tempo che vuoi lì dentro e nessuno può farti nulla. Puoi premere il bottone e votare una linea di partito, oppure scrivere Mickey Mouse e Donald Duck. Non ci sono regole. E per questo, e per la rabbia che molti sentono verso un sistema politico corrotto, milioni di persone voteranno per Trump: non perché siano d’accordo con lui, non perché ne adorino il fanatismo e l’ego, ma solo perché possono farlo.

Solo perché manderebbe tutto all’aria e farebbe arrabbiare mamma e papà. Un po’ come quando osservi le cascate del Niagara e ti chiedi, per un attimo, come sarebbe oltrepassare quel limite. A tantissime persone piacerebbe interpretare il ruolo del burattinaio e “gettarsi nel vuoto” per Trump, solo per vedere cosa potrebbe succedere. Ricordate quando, negli anni ’90, gli abitanti del Minnesota hanno eletto come governatore un wrestler professionista? Non l’hanno fatto perché sono stupidi, né perché pensavano che Jesse Ventura fosse un grande statista o un fine intellettuale politico. Lo hanno fatto solo perché potevano.

Il Minnesota è uno degli stati più intelligenti del paese. È anche pieno di persone con un senso dell’umorismo un po’ tetro: votare per Ventura era il loro scherzo ad un sistema politico malato. La stessa cosa succederà con Trump.

Mentre tornavo in albergo, dopo aver partecipato allo speciale di Bill Maher sulla Convention repubblicana andata in onda sulla HBO, sono stato fermato da un uomo. “Mike”, ha detto. “Dobbiamo votare per Trump. Dobbiamo stravolgere un po’ le cose”. Ed è finita lì. Per lui quella motivazione era sufficiente. “Stravolgere le cose”. Il Presidente Trump lo farebbe sul serio. E ad una buona fetta dell’elettorato piacerebbe tanto sedere in tribuna e godersi il reality show.

Come essere incompetenti senza accorgersene e arrivare al potere

Oliver Burkeman, giornalista del The Guardian ne scrive compiutamente:

Chiunque s’interessi un po’ di psicologia avrà sentito parlare dell’effetto Dunning-Kruger: la distorsione cognitiva a causa della quale una persona incompetente lo è a tal punto da non accorgersi di esserlo (un esempio classico è quello del rapinatore di una banca che si meraviglia di essere stato preso perché pensava che passarsi del succo di limone sulla faccia l’avrebbe reso invisibile alle telecamere di sicurezza). È un tipo di eccessiva fiducia in se stessi che spaventa particolarmente perché non riguarda solo le persone di talento che si sopravvalutano, ma anche persone che pur non avendo nessun talento pensano di averne a dismisura.

Il fenomeno probabilmente è vecchio quanto l’umanità, ma leggendo o guardando le notizie più recenti in arrivo da entrambe le sponde dell’Atlantico è difficile non pensare che stiamo superando una qualche soglia. Gli storici del futuro potrebbero riferirsi alla nostra epoca come a quella di Dunning-Kruger.

Il caso più ovvio, neanche a dirlo, è quello di un certo misogino protofascista che (almeno nel momento in cui scrivo) vorrebbe diventare presidente degli Stati Uniti. Il problema non è solo che non saprebbe governare, ma che non se ne rende conto. Anche i politici britannici tanto sicuri di poter gestire il risultato del referendum sulla Brexit – da Cameron a Gove e da Johnson a May – sembrano corrispondere a questa descrizione. Ma il pericolo più grosso è pensare che l’effetto Dunning-Kruger non si possa applicare a noi (in fondo, il punto della questione è proprio questo).

(continua qui sul sito di Internazionale)

«Ecco perché non si può votare Trump»: parla un suo ex avvocato

(di Tohmas M. Wells)

Mi piace l’autenticità. Sono preparato a lasciare che un candidato dica qualcosa con cui non sono totalmente d’accordo, e a sostenerlo/a comunque. Credo che la necessità di essere politicamente corretti sia andata troppo oltre. Credo anche che i media, spesso, montino e distorcano storie fino alla menzogna.

Credo che una middle class di successo sia la chiave della storia del successo americano, in termini sia economici che politici, e che i lobbisti abbiano fin troppa influenza. Sono un pragmatico, tanto da preferire il compromesso all’ideologia. Mi piacciono gli accordi, soprattutto quelli del tipo “win-win”.

Dunque, Donald Trump è il “mio” candidato, giusto? No, non lo è!

Nel 1987, quando io avevo 35 anni e lui 41, Donald Trump mi assunse come legale per un importante progetto nel nord del New Jersey: un centro commerciale che, come tutto il resto, avrebbe portato il suo nome, il “Trump Centre”. Il fatto che lui mi avesse scelto era molto importante per me, un grande onore arrivato solo un paio d’anni dopo aver avviato il mio studio legale che ora ha più di trent’anni. Era ancora il periodo in cui Trump costruiva edifici, aveva appena finito la Trump Tower.

Sembrava uno intelligente, dotato di fiuto per gli affari, risoluto. Possedeva un ufficio impressionante, una barca enorme, una linea aerea, un elicottero e diversi casinò. Nel giro di qualche anno, avrebbe perso praticamente tutto a causa di pessime decisioni d’affari. Per Donald Trump hanno lavorato tantissimi avvocati, un mucchio. Non sono Roy Cohn (non sono aggressivo come lui e neanche, spero, moralmente discutibile come lui) ma sapevo bene quanto ottenere l’utilizzo del suolo contasse in un iter procedurale impegnativo nel New Jersey. Ero elettrizzato quando mi assunse.

Dopo il colloquio iniziale, i miei contatti con Donald non furono molto frequenti, a dire il vero. Ma ricordo bene un infelice episodio (che non dimenticherò mai): un viaggio in limousine (alla volta di un meeting con il consiglio di redazione di un giornale del New Jersey) durante il quale il mio cliente, sposato, cercò di intrattenermi parlandomi del numero e delle qualità di giovani donne disponibili che, a suo dire, “lo volevano”. Ero evidentemente scioccato e imbarazzato, ma continuavo a sorridere. Volevo che il cliente fosse felice, ne avevo bisogno.

Mentre lavoravo per Donald, diversi servizi giornalistici sostenevano che Trump, e la moglie dell’epoca Ivanna, vivessero in un appartamento della Trump Tower composto da 8, 16, perfino 20 o 30 stanze. Sinceramente incuriosito, una volta gli chiesi quante camere ci fossero davvero in quell’appartamento. Non dimenticherò mai la sua risposta “Tutte quelle di cui scriveranno”.

Donald Trump era, all’epoca come adesso, eccessivo, esagerato soprattutto ai suoi stessi occhi. Ma, al tempo stesso era spaventosamente piccolo, un uomo dalla scarsa moralità. Era, e lo è ancora, tutto ego e spettacolo.

Ci ho pensato tanto e voglio condividere il mio modesto parere sui motivi per cui non possiamo eleggere Donald Trump presidente degli Stati Uniti. Per me, è più una questione di carattere che di politica. A causa della mancanza del primo, la seconda (la vera linea politica di Donald Trump) non è così semplice da riconoscere.

Una volta iniziato a snocciolare le ragioni per cui Donald non sarebbe un bene per il nostro Paese, è stato difficile fermarsi. Sono riuscito a fermarmi, però, arrivato a 20. Circa 4000 parole. Continuate a leggere se siete interessati.

1. Quell’uomo mente sempre. 
Da bugiardo patentato, lo fa impunemente. “A Jersey City ho visto migliaia di persone esultare mentre il World Trade Center crollava” “Nell’ultimo trimestre il prodotto interno lordo è stato meno di zero”. “Il numero di immigrati illegali negli Stati Uniti è di 30 milioni, potrebbe salire a 34”. “Il governo messicano obbliga i soggetti più pericolosi ad entrare nel nostro paese”. “Il tasso di disoccupazione potrebbe arrivare al 42%”.

Tutte queste affermazioni sono uscite dalla bocca di Donald, spesso urlate, più volte davanti a folle numerose. Vogliamo parlare della bufala “Le statistiche sulla criminalità indicano che i neri uccidono l’81% delle vittime bianche di omicidio?”. Verrebbe da chiedersi come una simile bugia possa essere concepita, figuriamoci detta. Donald Trump afferma tutte queste cose a viva forza, quindi forse devono essere vere. Ma non lo sono!

Non vi è un briciolo di verità, è inequivocabile. En passant, viene da riflettere sulla veridicità delle frequenti affermazioni di Trump a proposito del fervore della sua Cristianità e del fatto che la Bibbia sia il suo libro preferito. Evidentemente, “non dire falsa testimonianza” non è il suo Comandamento preferito.

2. In realtà, non ruota tutto intorno al candidato. 
“Non è incredibile che io abbia ragione così spesso? “Solo io posso rimediare” “Ho un grande cervello”, “Sono molto, molto ricco”.

Donald dice davvero cose del genere. Il suo ego non sembra conoscere limiti. Quando Donald si sente offeso da qualcuno, diventa ossessionato senza riuscire a controllarsi. Si agita, diventa furioso e dice cose incredibilmente inopportune. È in stato di grazia quando può ottenere un risultato che brama con la prepotenza.

Avete mai notato che le storie vere raccontate dagli altri candidati su persone che hanno conosciuto, e che magari lottano con un problema serio, non fanno parte del lessico di Trump? Continua a dirci che gli interessano solo i vincitori. Credo che questa gente non abbia i requisiti giusti. Per dirla in un altro modo, Donald Trump non è capace di relazionarsi bene agli altri.

In primis, ha le sue idee su chi deve affiancarlo. Inoltre vuole essere lui a condurre i giochi. È quel bambino capriccioso che vuole che le cose vengano fatte a modo suo, o se ne va battendo i piedi. Cosa succederà quando capirà che anche la carica più alta della nazione non riguarda soltanto lui? Vogliamo mettergli in mano i codici per l’attivazione delle armi nucleari?

3. I presidenti degli Stati Uniti non sono re. 
La Costituzione li obbliga a condividere il potere. Donald Trump, che usa la parola “Io” più di qualsiasi altra persona abbia mai aspirato a questo incarico, ha una tendenza sfacciatamente autoritaria. Vuole essere un “uomo forte”, non un presidente.

Dovremmo domandarci cosa accadrebbe se fosse davvero chiamato a governare o a chiudere uno dei suoi accordi, in un mondo politico “a somma zero” dove l’altra parte dice semplicemente di no. Cosa dire della sua bassa curva dell’attenzione, della sua irascibilità e del suo bisogno di twittare ogni frustrazione?

4. Il diavolo si nasconde nei dettagli. 

“Vincendo così tanto ci stancheremo di vincere”, “Chiudiamo buoni accordi con la Cina” o perfino il famoso “Make America great again” sono slogan che non dicono nulla, in realtà. Non siamo stupidi, condividi qualche dettaglio con noi, così da farci capire se sai di cosa stai parlando. Per Donald, tuttavia, nei rari casi in cui a queste dichiarazioni seguono cifre specifiche (come il muro di 1609 chilometri, alto dai 35 ai 55 piedi o la deportazione di 11 milioni di immigrati) i dettagli non arrivano mai.

Non ci dicono mai che per costruire quel muro, anche più basso di 35 piedi (stando alle attuali stime edilizie) ci vorrebbero 25 miliardi di dollari anche se riuscisse ad ottenere il terreno per costruirlo (la maggior parte della frontiera su cui Trump vuole costruire il muro si trova in mezzo a un fiume e, in molti casi, la terra potrebbe non essere sicura abbastanza da costruire una recinzione).

La sua soluzione magica per fare in modo che sia il Messico a pagare? L’unica proposta che ho sentito prevede di confiscare le rimesse a quanti inviano soldi a casa o una delle sue “tariffe del 45%”. Come potrà mai funzionare per gli americani che inviano soldi alle famiglie o per tutti noi che pagheremo il 45% in più sulla merce prodotta in Messico o per l’azienda americana che si occuperà della fabbricazione? E cosa dire del fatto che il muro farebbe ben poco per fermare l’immigrazione illegale, causata perlopiù dai “soggiorni troppo lunghi” dei visitatori e che probabilmente creerà pochissimi posti di lavoro (semmai ce ne saranno) per le persone che Trump ha aizzato con il suo delirio xenofobo?

Prendiamo in considerazione la deportazione e concentriamoci sulle questioni serie. Esattamente come crede di riunire e deportare undici milioni di persone. Userà gli stadi e nazionalizzerà le navi da crociera? Chi si occuperà del raduno: di certo non la polizia, l’esercito forse? E i bambini abbandonati? Che dire del fatto che le fattorie americane, i ristoranti, per non parlare dei posti di lavoro nel settore del giardinaggio o della manodopera edilizia resteranno vacanti? Lavori fondamentali, certo, ma sono queste le occupazioni che Trump ha intenzione di destinare ai suoi “Americani veri”, per far sì che l’America torni ad essere grande?

5. Le parole sono importanti. 
Non è tutto un “disastro”, non è tutto “stupido”, una “disgrazia”. E non è neanche tutto “straordinario”, “enorme”, “Fantastico”, “meraviglioso”. Non sono tutti “perdenti” o “stupidi”. Parlare di ex presidenti bugiardi (o che erano “un disastro”, la sua preferita) o definire dittatori stranieri dei grandi leader non migliora il discorso.

Gli americani non sono dei puritani (almeno la maggior parte), ma la volgarità urlata dai palchi, le allusioni alle dimensioni del pene, le rivelazioni sulle conquiste sessuali, le critiche al ciclo mestruale di una giornalista e le offese rozze di ogni tipo non si addicono ad un presidente. Abbiamo dei figli.

6. Leggere è bello. E lo è anche studiare. 
Di recente, Trump ci ha detto che non legge tanto. Sappiamo di certo che non ha scritto un libro grazie alle recenti rivelazioni di Tony Schwartz. Quest’ultimo è stato suo ghost writer per il libro “The Art of the Deal” (sì, ne ho una copia dalla prima pubblicazione, autografata da Donald che mi consiglia di “continuare così”) e che, a detta di Donald, tra i libri da leggere assolutamente è secondo solo alla Bibbia.

Anche se sono stato proprietario di una libreria per diversi anni, e non permetterei ai miei figli di guardare la TV durante la settimana per incoraggiarli a leggere, non credo che sia obbligatorio leggere per guidare un paese. Credo, tuttavia, che quanti aspirano a guidarci debbano studiare duramente, cercare di acquisire saggezza dagli altri, di padroneggiare idee e relazioni molto complesse. Credo che essere presidente sia difficile. Sono felice di sapere che, dopo una lunga giornata, il Presidente Obama si ritiri nel suo ufficio privato per dedicarsi a 3 o 4 ore di studio… e letture.

Un’ interpretazione corretta delle dichiarazioni bizzarre di Trump, e dei suoi scivoloni, rende evidente che non ha la minima propensione per la lettura e lo studio. Per usare le sue parole, prende decisioni “con pochissima conoscenza” delle questioni, oltre a quella già acquisita, più la parola “buonsenso, perché ne ho parecchio, così come ho molto fiuto per gli affari”. È una singolare forma di arroganza, credere di poter anche solo immaginare di essere il leader del mondo libero senza sforzarsi di capire profondamente un simile incarico.

7. Il nuovo vocabolario a cui ci stiamo adattando è pessimo. 
Xenofobo (chi prova avversione e paura per gli stranieri e per tutto ciò che è straniero). Misogino (chi nutre un forte pregiudizio verso le donne), nativista (chi preferisce gli abitanti autoctoni agli immigrati). Fascista (autoritario e dittatoriale). Bigotto (chi è intollerante verso opinioni differenti). Demagogo (chi mira a ottenere il consenso popolare basandosi sulla lusinga e sulla promessa e non su argomentazioni razionali). Sostenitore della distopia (descrizione di uno stato, tipicamente totalitario, dove tutto è sgradevole e squallido). Razzista (sapete cosa significa).

Siamo stati costretti a tirar fuori il vocabolario per capire molti dei termini utilizzati dai media per descrivere il fenomeno unico che è Donald Trump. A spaventare è il fatto che queste strane parole siano davvero appropriate. Che ne è stato delle espressioni “uomo di stato”, “ben qualificato” o perfino “brillante” usate per descrivere le persone che vogliamo eleggere per una carica tanto importante? Nessuna di queste è stata associata al “The Donald”.

8. Dobbiamo stare attenti al “duro”. 
Riferendosi ad un dimostrante durante un raduno, Donald Trump ha detto “Ai bei vecchi tempi, lo avrebbero trascinato via su una barella”. Le sue parole rivelano ammirazione per questo tipo di forza. La sua durezza non riguarda la forza necessaria a prendere decisioni molto difficili. Riguarda la volontà di “prendere a pugni in faccia quel tizio” o, come minimo, salvare la faccia (la sua).

Resisterò alla tentazione di accanirmi ancora sui codici nucleari. Mi limito a chiedermi se vogliamo davvero un presidente irascibile che, come da lui suggerito, nel caso in cui un leader (Castro) non fosse pronto ad accoglierlo sulla pista d’atterraggio farebbe “invertire la rotta dell’Air Force One per tornare a casa”. Un uomo che dopo aver ritwittato un’immagine, creata da suprematisti bianchi, che ritraeva Hillary Clinton davanti a una montagna di dollari accompagnata da una stella di David, e per questo accusato di antisemitismo, non ha saputo neanche inventarsi una delle sue scuse-non-scuse, del tipo “Mi dispiace se ho offeso qualcuno”. “Un tipo tosto” per cui tutti i giornalisti più importanti sono “stupidi” e disgustosi. Che parla solo dei media che osano criticarlo, senza dire una parola su David Duke e sul pessimo elemento che gli ha dato il cinque e ha ripreso il suo post offensivo.

Che il post fosse o meno finalizzato a rafforzare, ancora più saldamente, questa fetta di sostenitori, Trump dimostra la sua idea di “durezza”: un’idea che esalta la sua opinione, il suo avere sempre ragione sugli altri. Nel suo mondo un “duro” non può essere umile, rispettoso, misurato o diplomatico.

9. Il successo conta. 
Il successo negli affari di Trump è eccessivamente gonfiato e le sue abilità sono limitate. Donald Trump può essere un bravo venditore e uno showman solo in una competizione con PT Barnum (Phineas Taylor Barnum è stato un imprenditore e circense statunitense). Questo possiamo concederglielo. Per un periodo, ha ottenuto indici d’ascolto alti dicendo ad alcune celebrità a spasso che erano state licenziate. Tuttavia, chiedete ad uno qualsiasi dei grandi imprenditori edili di New York (tra cui lui non figura, o almeno non è tra i più importanti: risulta 14° nella lista aggiornata) e capirete che i suoi successi sono ben pochi.

Quattro fallimenti (1991, 1992, 2004 e 2009), il Plaza Hotel, la Trump Air, i tre casinò, le bistecche, l’acqua, il Trump Center a cui ho lavorato, i cantieri ferroviari nel West Side di Manhattan (dove gli edifici portano il suo nome, come consolazione), la Trump University: tutti insuccessi assoluti, tranne per Trump che “non ha alcun rimpianto”.

Poi ci sono questioni di etica commerciale fondamentale: 3500 cause, il fatto che sia incline a non pagare le tasse completamente né in tempo, il fatto che si definisca il “Re del debito” (un re diventato ricco indebitandosi e poi rinegoziando). Sono queste le competenze che vogliamo in un presidente?
Dovremmo porci domande anche sul suo leggendario valore netto, sempre gonfiato di miliardi rispetto ai calcoli degli altri. Ci si dovrebbe chiedere se il valore sarebbe rimasto lo stesso se non avesse ereditato un notevole patrimonio dal padre Fred e lo avesse solo investito passivamente. Non lo sapremo mai da Donald, di certo non lo sapremo da quelle dichiarazioni dei redditi che non renderà pubbliche.

10. Non potremmo essere un grande paese senza il Primo Emendamento, ma i media potrebbero ucciderci. 
I media non sono il nemico di Donald, come continua a gridare dal palco. Ma potrebbero essere il nemico di tutti noi. È questa l’impressione ultimamente. Lo spazio televisivo riservato a Donald, la sua abilità di imperversare al telefono con le sue filippiche (soprattutto con i media via cavo) non è soltanto, per usare una delle sue parole, “disgustoso”.

Donald, che vive di sondaggi e indici d’ascolto, capisce che sono questi numeri e non il valore delle notizie a decidere quello che va in onda. Donald domina quasi tutti i cicli di notizie, limitandosi ad essere più offensivo di chiunque altro. È reality TV portata all’estremo, ed è fuori controllo.

11. Temperamento, atteggiamento e indole sono importanti.
Per molti aspetti, Donald rappresenta il peggio in tutti noi. O, almeno, in molti di noi. Gli interessa solo la gratificazione continua. È un bambino irascibile che vuole che le cose siano fatte come dice lui. È l’adolescente egoista che non ha ancora il quadro della situazione. È il giovane viziato e privilegiato, che ha sfruttato razza e religione “giuste”, istruzione, bell’aspetto e patrimonio familiare per avere successo facilmente, e che guarda dall’alto in basso chiunque non sia riuscito a farcela perché non ha i requisiti di cui sopra.

È un uomo che pensa che sia normale definire una persona “grassa”, “brutta” o stupida o prendere in giro un disabile. È un collezionista di mogli trofeo, di proprietà trofeo, il ragazzino che vince (o così crede) perché possiede più giocattoli.

12. L’imperatore e i suoi vestiti. 
Donald sostiene di conoscere le forze armate meglio di chiunque altro. Perché? Perché ha frequentato una costosa scuola privata dove gli studenti indossavano uniformi e, a volte, marciavano? E che mi dite della frase: “conosco l’Isis meglio dei generali‘? C’è qualche soldato vero che può valutarlo, per favore?

Donald dice che l’America non vince più. Rispetto a chi, e a cosa? È indubbio che abbiamo dei problemi. La democrazia è un caos. Lo testimonia l’attuale campagna e la lunga ripresa dalla recessione del 2008, che non ha sufficientemente incluso la middle class. E, sì, è difficile comprendere gli scambi commerciali in un mondo sempre più connesso e integrato. Ma fino a che punto l’America è un “disastro”, come ci dice Donald?

Come puoi dire sul serio e credere che “Questo paese è un inferno. Stiamo colando a picco”. In confronto a chi? Messico, Cina o la Russia, suo nuovo e bizzarro tormentone, che stando a Donald “ci batte sempre, perché i nostri leader sono stupiti?”. Dacci un taglio.

13. Gli immaturi trucchetti che utilizza nei discorsi non funzionano. Non con la maggior parte di noi, almeno.
Dice Donald, “non parlerò” dell’alcolismo del candidato del partito libertariano alla vicepresidenza. “Mi rifiuto di ammettere… Non posso dire… che non sopporto la voce stridula della Clinton che urla al microfono”. Lo hai appena fatto, Donald. Riusciamo a capire che, con queste affermazioni, perfino tu sai di muoverti su un terreno malfermo e così cerchi di giocartela su entrambi i fronti. Non attacca. E non lo fa neanche il trucco infido, e neanche tanto intelligente, di attribuire agli altri accuse feroci che persino tu hai paura di fare, ma che vuoi comunque anticipare.

Ad esempio, quando hai commentato il massacro di Orlando dicendo “tante persone pensano che Obama non voglia capire. Molti pensano che forse non vuole saperne niente, io sono giunto alla conclusione che non sa cosa sta facendo, ma ci sono molte persone che pensano che forse non voglia capire. Non vuole vedere quello che sta succedendo. E potrebbe anche essere così”

Chi sono queste “persone” che hanno associato il presidente ai terroristi? Forse le stesse che, con Trump, hanno visto la gente del New Jersey celebrare la distruzione delle torri gemelle o quelli convinti che Hillary Clinton abbia ucciso Vince Foster, che il padre di Ted Cruz stesse collaborando con Lee Harvey Oswald per uccidere il Presidente Kennedy? Quelli che credono che Obama non sia nato negli Stati Uniti e non abbia studiato ad Harvard o alla Columbia?

Due possibilità. La più probabile: l’espressione “molte persone dicono che” è solo una frase in codice di Trump per dire “voglio avanzare un’ipotesi così oltraggiosa” che neanche il Donald più furioso riuscirebbe a tirarsene fuori, senza questo espediente. O forse quel “mucchio di persone” è in realtà un gruppo selezionato, la cerchia chiusa di lealisti che partecipano ai raduni e che hanno sentito queste parole da lui.

14. L’irascibilità non si addice a un presidente. 
“I politici hanno scelto di nuovo questo nano come candidato”. Così si pronunciava il New York Herald su Abraham Lincoln, che adesso è considerato da (quasi) tutti il miglior presidente degli Stati Uniti. Prendete in considerazione la dichiarazione apparsa quando Washington lasciò l’incarico “è arrivato il tempo per la fonte di tutte le disgrazie del nostro paese di ritornare allo stesso livello dei suoi concittadini”.

I presidenti degli Stati Uniti, tutti, hanno subìto delle critiche e, nella nostra terra di libertà di parola, i critici possono dire la loro. Grazie a Dio. Non c’è molto da dire sul fatto che Donald non gestisca bene le critiche. Chiedete a Megyn Kelly (“un talento di terz’ordine), Rosie O’Donnel (“la grassottella Rosie”, “una perdente”) o Elizabeth Warren (“Pocahontas”) o a uno dei suoi avversari recentemente sconfitti: Cruz, Kasich, Rubio o Bush. Perfino Chris Christie, quello più simile a lui, ha provato il suo morso quando ha insinuato che Donald fosse “permaloso”. Non riesce mai a mollare la presa. È ossessionato dalle critiche anche quando vince.

I repubblicani venuti meno alla “promessa” di sostenerlo non dovrebbero avere il permesso di correre per la carica ancora una volta, secondo lui. Per Donald essere in disaccordo con lui deve avere una conseguenza (e anche seria) e perseguire tale obiettivo merita sforzi ed energia, anche quando non fa alcuna differenza.

Crediamo davvero che il nostro presidente debba avere il tempo per questo? Vogliamo davvero che un uomo di tale suscettibilità, dalla tendenza così autoritaria sia, per dirne una, responsabile dell’FBI o dell’IRS? Il concetto di “polizia segreta” sembra troppo estremo? Forse sì. Ma se fossi Donald, ventilerei l’ipotesi con una delle sue dichiarazioni: “La gente dice che…”. Ecco, ho appena usato uno dei suoi trucchetti. Capite quanto è facile?

15. I bulli ci saranno sempre, ma la Casa Bianca non dovrebbe essere il loro posto. 
Cosa fa un bullo? Cerca di intimidire, fisicamente o verbalmente. Finora questa caratteristica di Donald è stata soltanto verbale e rivolta ad avversari in affari e, più recentemente, a politici e giornalisti. E, ovviamente, ai suoi ex ghost writer ed ex dipendenti o imprenditori ingannati (non protetti da clausole contrattuali anti-calunnia) che osano giudicare la sua condotta apertamente.
Cosa succederà quando questo tizio avrà il più forte esercito del mondo a sua disposizione, e un pulpito da bullo che gli darà sicura visibilità? A qualcun altro sembra una cattiva idea?

16. Law and order.
Prima di essere una serie premiata agli Emmy, “Law and order” era uno dei fili conduttori della campagna di Richard Nixon nel 1968, per farsi eleggere nell’anno in cui il paese vide due omicidi pubblici e dimostrazioni devastanti, perfino rivolte, in 110 città. Nixon cercava di mobilitare quella che lui definiva la “maggioranza silenziosa”, appellandosi al bisogno di un maggiore controllo da parte della polizia. Attinse alla divisione razziale ed economica tra bianchi e neri, tra la classe operaia e “l’élite dei liberali dell’est” e ai media malvagi che il vicepresidente Spiro Agnew definiva “i nababbi chiacchieroni del negativismo”. Trump sta cercando di reintrodurre tutto questo. Ovviamente sì, ma anche no.

Sì, vuole dividere e mobilitare gli elettori arrabbiati che si sentono abbandonati da una cultura sempre più variegata. Ma no, perché la sua idea distopica di un’America senza legge, assediata, indebolita non è quella che predicava Nixon e neanche Ronald Reagan, a dirla tutta. È un suo unicum, almeno in America. È, tuttavia, un esempio da manuale del grido di guerra comune a innumerevoli dittatori e uomini forti. È uno strumento fondamentale del demagogo: sollevare un problema e poi dichiarare di essere “l’unico che può risolverlo”

Al netto di questa retorica terribile, cosa ci aspetta? Donald dice “il 20 gennaio del 2017, giorno in cui presterò giuramento, finalmente gli americani si sveglieranno in un paese che applica le sue leggi… il crimine e la violenza che oggi affliggono la nazione vedranno presto la fine.” Come funziona Donald? Legge marziale? Credi davvero che al Presidente Obama, e ai suoi 44 predecessori, non sarebbe piaciuto vedere tutte le leggi in vigore e rispettate a pieno? Ah, se il solo desiderio potesse riuscirci! Però dal momento che gli stati, e non il governo federale, hanno un peso su gran parte del diritto penale, il presidente da solo non ha il potere costituzionale di fare una cosa simile. E allora? Continuare con la logica del waterboarding (forma di tortura) e uccidere le famiglie dei terroristi? Certo, “Solo io posso risolvere il problema”.

17. Le invettive incoerenti, e spesso contradditorie, non formano una linea di politica estera. 
Convinciamo il Giappone e la Corea del Sud a cercare le armi nucleari. Eliminiamo la NATO. Distruggiamo l’ISIS, ma senza alleati musulmani e truppe sul campo. Attacchiamo la Libia, anzi no. Abbiamo fatto bene ad attaccare l’Iraq, anzi no. Non ricostruiamo una nazione, ma risolviamo il problema in Siria. Fermiamo l’Iran stringendo accordi migliori.

In effetti, pensateci, questa è la soluzione a quasi tutto: “stringiamo accordi migliori” ovunque. E mai chiedere scusa, per niente. Siamo l’America, ricca, molto ricca. Non siamo in debito con nessuno. O con noi o contro di noi. Vi ricorda qualcuno?

18. Come si può diventare un buon presidente se non si mostra rispetto per l’incarico?
Negli anni ’60, durante una Guerra impopolare, abbiamo sopportato tutti un presidente che, indossando una spilla a forma di bandiera, descriveva chiunque non fosse stato d’accordo con lui (inclusi un mucchio di giovani universitari in tutta l’America, compreso me) come un “Un-American”, una persona contraria ai fondamentali valori politici e culturali degli Stati Uniti. Anche se l’opposizione politica è vecchia quanto la nostra nazione, si inizia a scivolare lungo la china di una pericolosa mancanza di rispetto quando il disaccordo viene rimpiazzato dal vilipendio.

Il candidato repubblicano crede sia normale accusare un ex presidente, del suo stesso partito, di aver intenzionalmente dichiarato Guerra appellandosi a falsi pretesti e incolpare l’attuale Presidente di cospirazione con i terroristi islamici. Qualsiasi americano assennato, di qualunque partito o senza partito, di qualsiasi filosofia politica capisce che tutto questo deve finire.

La verità, o almeno una sua parvenza, deve ritornare. Le menzogne ignobili non trovano spazio in un dialogo assennato, figuriamoci chi le pronuncia. Non possono diventare la spina dorsale di un circo mediatico che si preoccupa più degli ascolti che della verità.

19. Anche i ragazzi ricchi e potenti devono giocare secondo le regole. 
Non prendiamoci in giro. La Trump University non era un’istituzione accademica, era molto lontano dall’esserlo. Era un modo per diventare ricchi in fretta ideato da un tizio che vendeva un programma per arricchirsi alla svelta. Non era il primo e non sarà l’ultimo di questo genere. A tarda notte, le pubblicità da quattro soldi alle TV sponsorizzeranno sempre questo tipo di offerta. Tuttavia, gli sforzi di Donald puntavano molto più in alto: 35.000 dollari, “università”. Sul serio? Non era altro che un imbroglio ordito da un uomo che ora sta cercando di diventare il leader di una nazione e del mondo libero.

Sappiamo tutti, lo abbiamo letto almeno, che di idioti ne nascono in continuazione. Ma possiamo almeno negare il rispetto a quelli che prendono di mira la povera gente e denunciarli, quando vanno troppo oltre? “No” dice Donald Trump. Il processo seguito ad una class action contro le sue truffe è ancora in tribunale. A detta di Donald, perché l’illustre ed esperto giudice federale che se ne occupa è un suo “hater” e non è in grado di rendergli giustizia perché i suoi genitori sono originari del Messico.

Nel mondo di Donald, l’unico individuo capace di giudicarlo non dovrebbe essere Messicano o imparentato con dei messicani, una persona di fede islamica e, no, neanche una donna. In questo mondo, gli uomini ricchi, privilegiati, egocentrici, eticamente discutibili dovrebbero essere giudicati solo da uomini ricchi, privilegiati, egocentrici, eticamente discutibili.

20. Dobbiamo combattere per qualcosa. 
La versione dell’America di Donald Trump non include quelli che non sono come lui. Invece, va matto per quelli che Sarah Palin definì “americani veri”. Il fatto che tutti noi sembriamo essere completamente sacrificabili è preoccupante. Prendere di mira un’intera religione (l’Islam, con 1,6 miliardi di fedeli di cui 3,3 milioni sono cittadini americani) per sottoporla ad un controllo maggiore, o peggio, è palesemente in disaccordo con i valori tradizionali americani, se non lo è con quelli degli “americani veri”.

È anche incostituzionale e, al di là di tutto questo, incredibilmente controproducente perché rafforza le controversie facendo allontanare gli alleati di cui abbiamo bisogno per risolvere il problema dei terroristi in campo nemico. Altre strategie simili caldeggiate da Donald, come il waterboarding e altre forme di tortura, per non parlare dell’accanimento contro le famiglie dei nemici, non sono semplicemente illegali. Sono, per usare un’altra delle sue parole, “stupide”. Non funzionano, con molta probabilità servirebbero solo a peggiorare la situazione e a far crescere il numero ed il fervore dei nemici.

Dovremmo chiederci: come sarebbe l’America dei “veri americani”? Un mucchio di individui intolleranti, sovraeccitati, aggressivi, dietro un grande muro, isolati (senza scambi commerciali e, quindi, con un’economia malata e beni molto costosi) e con tantissimi nemici. Nessuna “città splendente sulla collina”, questo è certo. Per un posto del genere è difficile non immaginare altro che rovina.

Possiamo fare molto di più, molto di meglio. Per me, “il meglio” ha l’aspetto dell’ex senatrice ed ex segretario di Stato Hillary Clinton. A quelli che non arrivano a questa conclusione tanto facilmente (lo capisco) dico questo: pensate che quest’anno la scelta dovrà ricadere sul male minore. In ogni caso, non pensate neanche lontanamente di trascinarci in quell’abisso che è Donald Trump.

(fonte)

Chi è Trump

La sua ultima macchia non è da poco. Ne scrive Francesco Costa (iscrivetevi alla sua bella newsletter sulle elezioni americane qui):

Questa settimana è successa una cosa esemplare di un aspetto importante di questa campagna elettorale. Uno dei due candidati è stato messo in difficoltà dalla sua fondazione di beneficienza.

La storia è questa: nel 2013 il procuratore generale della Florida stava valutando l’ipotesi di aprire un’indagine giudiziaria legata al candidato in questione. Dopo mesi di ipotesi e valutazioni, il procuratore generale della Florida aveva deciso di non aprire nessuna inchiesta. Questa settimana è venuto fuori che quattro giorni prima di annunciare la sua decisione, il procuratore aveva telefonato al candidato e gli aveva chiesto una donazione per la sua campagna elettorale (negli Stati Uniti i pm vengono eletti). Ed è venuto fuori che quattro giorni dopo l’annuncio del procuratore che non ci sarebbe stata nessuna inchiesta, il candidato ha effettivamente donato 25.000 dollari al procuratore: peggio ancora, non l’ha fatto personalmente ma attraverso la sua fondazione benefica, mascherandolo nei bilanci perché le fondazioni benefiche non possono fare donazioni politiche. Quando l’agenzia delle entrate se n’è accorta, gli ha imposto una multa.

È uno scandaletto mica male, no? Probabilmente non ne avete sentito parlare. E probabilmente avete capito che il candidato di cui si parla non è Hillary Clinton ma é Donald Trump.

La storia è vera, così come ve l’ho raccontata: la procuratrice in questione è Pam Biondi della Florida, il caso è quello legato alle truffe della Trump University. Ed è una storia che da sola è cento volte più grande e più grave di quelle che sono venute fuori riguardo la fondazione Clinton: è una storia, per cominciare. Riguarda cose che sono effettivamente successe, assegni che sono stati effettivamente staccati, inchieste che non sono state aperte, invece che basarsi semplicemente su domande aperte e teoriche su quanto chi faceva una donazione ai Clinton voleva farseli amici.

Se non ne avete sentito parlare, non è per un qualche complotto dei giornalisti ma per un meccanismo che si è consolidato in questa campagna elettorale, e di cui Trump è stato bravo ad avvantaggiarsi. Il fatto che gli elettori si fidino pochissimo di Hillary Clinton, il fatto che sia stata coinvolta negli anni in un discreto numero di scandali e storie sgradevoli, ha reso i media attentissimi e abilissimi a scandagliarne la vita e gli affari, e a riportarne elementi e dettagli in modo da enfatizzare punti di vista scettici e diffidenti: e se poi non emerge di concreto, come è stato per le email o per la Clinton Foundation fin qui, rimangono “dubbi”, “questioni di opportunità”, “scarsa trasparenza”, “opacità” e cose del genere.

Trump ha usato a suo vantaggio il meccanismo opposto. Da mesi dimostra di essere capace di dire qualsiasi cosa e insultare chiunque, persino le madri dei soldati morti. È stato accusato – sia in tribunale che fuori – di reati gravi, di truffe, di corruzione, di bancarotte fraudolente: niente che abbia mai lontanamente sfiorato Hillary Clinton. Si è messo in imbarazzo in cento e uno modi diversi. Tutto questo probabilmente alla fine gli farà perdere le elezioni, non è che non conti: ma intanto ha abbassato l’asticella. Su questo fronte, gioca in discesa. Trump va in Messico, legge un discorso da un gobbo e torna in America? I giornali scrivono: beh, che colpo da maestro. Quanto è stato serio e presidenziale a non prendere a pizze in faccia il presidente del Messico e non sputare in un occhio a un messicano a caso per strada. Trump trucca il bilancio della sua fondazione per dare dei soldi alla procuratrice che non l’ha indagato? Non importa. Nessuno è davvero sorpreso. Trump stesso ha rivendicato più volte di avere usato i suoi soldi per far sì che i politici gli dessero una mano.

Come sarà l’America di Trump. Satira. O forse no.

donaldtrump

Oggi 30 maggio 2020 a Washington il Presidente degli USA Donald Trump ha firmato la nuova legge sulla povertà: «è fatto divieto in territorio americano di essere indigenti e procurare perdita d’immagine allo Stato d’appartenenza. Per chi viene trovato povero è prevista una sanzione dai 5.000 ad un massimo di 20.000 dollari”. Trump, presentando alla Casa Bianca la sua ultima riforma prima della battaglia cruciale per la rielezione ha specificato che la povertà è uno dei peggiori freni all’economia americana (solo dopo all’impurità di razza) e che questa nuova norma sradicherà una volta per tutte la nullafacenza,  vero cancro della produttività.

A chi gli ha chiesto come sia possibile sperare di recuperare i soldi delle multe da persone dichiarate povere Trump ha risposto con una sonora risata: «non sono i soldi ad interessarci – ha dichiarato il Presidente – ma l’iscrizione a credito da parte dello Stato di denaro che servirà per ottenere finanziamenti dagli istituti bancari per la rincorsa agli armamenti che, da tempo, è uno dei punti principali del governo americano. Non solo potremmo finalmente rendere inoffensivi i poveri che oltre che poveri risulteranno formalmente indebitati ma così facendo si otterrà una solidità finanziaria (“mica economica, come interessa a quei quattro straccioni democratici” – ha specificato Trump nda) che ci permetterà di investire negli ambiti nevralgici di questo governo». Il discorso di Trump è stato accolto con un lungo e scrosciante applauso da parte del Direttivo Ristretto, il nuovo organo consultivo e deliberativo che ha sostituito il Congresso già nel 2018 per “snellire l’iter decisionale”.

(il mio racconto per Fanpage continua qui)