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Dimissioni in bianco, onta grigia

Una proposta di legge regionale per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco. E’ stata presentata oggi dal consigliere regionale Mauro Romanelli, ex Fds-Verdi ora passato a Sel, insieme a Marisa Nicchi, prima firmataria di una legge nazionale in materia, la 188 del 2007, che fu approvata dal Governo Prodi e abrogata nel 2008 da quello Berlusconi e all’ex consigliere regionale Alessia Petraglia. Presente anche Bruna Giovannini di Sel, firmataria di un’apposita proposta di legge regionale durante la scorsa legislatura. Bravi in Toscana, noi dopo la nostra mozione ora confischiamo la proposta di legge per la Lombardia. Perché in politica la citazione delle buone leggi è una pratica consigliata, una virulenza necessaria.

La mattanza delle donne

Di solito a botte o a coltellate, quasi sempre per mano di mariti, fidanzati o ex. In Italia c’è una vittima ogni tre giorni, e va sempre peggio.

Se Laura sappia o meno che l’omicidio è la causa principale di morte per le donne, non glielo leggi in faccia. Quello che vedi chiaramente invece, mentre racconta l’incubo di quasi dieci anni di violenze subite da parte del marito, è il sollievo per esserne uscita. Perché, alla fine, quel che resta non sono le botte, ma la consapevolezza di essersi ripresi la propria vita. 

Certo, c’è pure la paura che l’epilogo della storia potesse essere diverso, come è stato per Stefania Noce, attivista 24enne di “Se Non Ora Quando” di Catania, accoltellata dal fidanzato che non si rassegnava ad essere ex. Anche per Maura Carta le cose sono andate diversamente, presa a pugni fino ad essere uccisa dal figlio schizofrenico, una delle 19 vittime dall’inizio dell’anno al 15 febbraio. 

E se i numeri sono questi, non c’è da aspettarsi niente di buono per il 2012, “considerando anche il fatto – sottolinea Cristina Karadole dell’associazione Casa Delle Donne Per Non Subire Violenza – che è dal 2006 che l’elenco dei femicidi aumenta costantemente, superando la media di 120 l’anno”. 

Omicidi che lasciano la scia di storie tutte diverse tra loro, eppure tutte uguali: violenze fisiche e psicologiche come copione fisso di una vita, che vorrebbero rimettere in riga la donna che ha osato troppo. “E’ così che succede – spiega Laura -, ti spengono poco a poco: prima ti fanno sentire una nullità, ti umiliano anche davanti agli altri, ti privano del tuo stipendio. Poi arrivano i cazzotti, e ti illudi che quella sia l’ultima volta”. E non sarà un caso – fanno notare le associazioni femminili – se la maggiore concentrazione di violenze hanno luogo nel più emancipato nord Italia.

L’inchiesta di Valeria Abate per L’Espresso accende la luce su una strage che non ha niente del rosa ma vira sempre sul rosso rame del sangue. Nel bel libro di Marco Cavina “Nozze di sangue”  (ed. Laterza) si legge ‘la violenza domestica rappresenta l’anima nera del matrimonio, il suo versante demoniaco, la sua irriducibilità agli schemi tranquillizzanti e coartanti dell’armonia del focolare’. Il punto cruciale sta nel ritenere la violenza sulle donne un argomento osceno, uno di quelli che non riesce ad entrare nel dibattito pubblico per un pudore arcaico di cui non riusciamo a spogliarci. Troppo possibile e troppo vicino per aprirsi alle analisi, troppo doloroso frantumare l’ideale di ‘famiglia’ (così ciellinamente formigoniano, qui da noi) che in fondo serve un po’ a tutti per rassicurarsi. Se la famiglia è l’ultimo welfare in un tempo di sostegni delegati alla parentela e al buon cuore e abbandonati dalla politica, raccontarne i contorni più oscuri può diventare l’ultimo passo prima del baratro.

I dati dei femicidi sono una mattanza che ha il profilo della guerra eppure si consuma in silenzio. Oggi il governo Monti potrebbe cominciare firmando la Convenzione Europea per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, nata a maggio a Istanbul, che costituisce il punto più alto raggiunto in questo lunghissimo percorso di armonizzazione delle leggi, delle politiche e delle strategie di intervento, sottoscritta già 16 paesi europei, con l’impegno di superare la violenza di genere. Noi (nel nostro piccolo) in Regione Lombardia lavoriamo al Progetto di Legge num. 136: INTERVENTI DI PREVENZIONE, CONTRASTO E SOSTEGNO A FAVORE DELLE DONNE VITTIME DI VIOLENZA (lo trovate qui) e ci facciamo carico di parlarne, di costringere a dire e farsene carico. Perché, saremo idealisti, la politica ha l’obiettivo di spegnere la violenza, tra le altre cose, anche se (come diceva bene Friedrich Hacker) la violenza è semplice; le alternative alla violenza sono complesse.

 

Contro le “dimissioni in bianco”

Chi ha paura di una legge contro le dimissioni in bianco? Evidentemente, parecchi. Si chiamano così quelle lettere di dimissioni che vengono imposte alle donne al momento dell’assunzione per potersene sbarazzare caso mai rimanessero incinte. La procedura ovviamente è illegale, ma esiste. Nel 2007 (prima firmataria Marisa Nicchi dell’allora Sinistra Democratica) fu approvata una legge che imponeva alle aziende di utilizzare per le dimissioni un modulo numerato e a scadenza. Nel 2008 il primo decreto del governo Berlusconi sullo sviluppo la abrogò. Ora un ampio arco di forze che va dai sindacati alle Acli sta lavorando per farla riapprovare. Prima, si pensava di doversi imbarcare nella presentazione di una legge popolare, poi la nomina al Welfare di Elsa Fornero ha riacceso le speranze. Alla ministra è stata inviata una lettera aperta: farà qualcosa? Noi intanto (nel nostro piccolo) presentiamo una mozione. Voi fate passare parola.

A Formigoni non piacciono le donne

«II Pirellone? E’ un palazzo dove la discriminazione è di casa … ». Le responsabili dell’associazione «Articolo 51 – Laboratorio di Democrazia Paritaria» non usano mezzi termini per denunciare l’ultimo «abuso» subito tra le stanze della regione. L’associazione, che nei mesi scorsi aveva presentato l’appello al Consiglio di Stato per il «non rispetto delle quote rosa all’interno della Giunta Formigoni». E il consigliere leghista Fabrizio Cecchetti pubblica un opuscolo con le attività della Giunta dimenticandosi l’unica donna della Giunta (sua compagna di partito) Monica Rizzi.  «Noi siamo propense a pensare che sia stato un errore di impaginazione, che non ci fosse una volontà discriminatoria nei confronti dell’assessore Rizzi, né che il Consigliere abbia pensato che esistono assessorati di serie A e di serie B – concludono le donne di Articolo 51-. Vogliamo credere ad un disguido tecnico a cui presto si porrà rimedio. Il Consigliere Cecchetti dovrebbe sapere che, qualora 1’8 novembre la Consulta decidesse in favore di una “sospensiva”, l’unico assessore non sospeso risulterebbe essere proprio Monica Rizzi. Dimenticare di menzionarla nell’opuscolo ufficiale è stato un gesto poco edificante». E sarebbe proprio un bel vento.