L’idiosincrasia per le donne, le macerie e il Nobel
In Parlamento invitano una deputata “a farsi scopare“, B. riunisce in crocchio i suoi camerieri schiacciabottoni per raccontare l’ultima barzelletta aprisinapsi e lancia il partito della gnocca. E il timore più buio è quello di scoprirsi impermeabili alla sconcezza che non sta solo nelle parole ma nell’immoralità esibita come un vanto, è la distanza culturale che stiamo accumulando verso il basso dal resto del mondo spinta in un gorgo dove stiamo con i disadattati culturali, gli ignoranti fieri, i persecutori del bello per vendetta sui propri limiti. La sfida è politica nel senso meno istituzionale e amministrativo di questi ultimi cinquant’anni: la resistenza sta nel ricordare, studiare e tramandare i limiti della decenza e della tollerabilità come ossigeno necessario per non marcire. Forse non si tratta nemmeno più di alfabetizzare al senso comune, oggi c’è proprio da stringersi per fotografare leggi e valori e chiuderli nel cassetto della cucina per non essere complici di questi anni di dispersione.
Se fosse un gioco di segni più o di segni meno, mi terrorizza (senza iperbole, perché è proprio terrore di non essere all’altezza) l’idea di non riuscire nemmeno a ricordarci tutti i nei da correggere, i commi da ricancellare, le parole da recuperare, di non essere più capaci di ricostruire almeno quello che è Stato. Per quanto possiamo eleggerci sentinelle siamo tutti sotto il pericolo cruciale dell’ammaestramento.
E lì fuori, dove l’economia arranca come da noi ma è uno scoglio collettivo, dove le leggi ‘bucano’ come da noi ma sono opportunità in continua evoluzione, dove i governi sbagliano come da noi ma sono obbligati al tessuto democratico, lì fuori si prendono il Nobel tre donne tre “per la loro lotta non violenta per la salvezza delle donne e per i diritti di partecipazione delle donne in un processo di pace”. Mentre questi quattro stracci parlamentari starnazzano di puttane, scopabili e barzellette, Ellen Johnson-Sirlea, Leymah Gbowee e Tawakkul Karman vengono premiate “per il rafforzamento del ruolo delle donne, in particolare nei paesi in via di sviluppo”. Però per essere un paese in via di sviluppo bisogna essere inferiori ma responsabilmente impegnati, potenziali e volenterosi: e allora noi non siamo un paese in via di sviluppo.
pubblicato su ILFATTO QUOTIDIANO