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Enrico Brignano

A proposito della fallocrazia di Enrico Brignano: risponde Falvia Piccinni

Flavia Piccini (scrittrice, gradita compagna di scuderia in Fandango Libri) risponde all’intervista di Brignano. E vale la pena leggerla.

 

Leggendo la spiacevole, e a tratti imbarazzante, intervista di Enrico Brignano al Corriere della Sera, non emerge soltanto una straordinaria dose di radicato maschilismo:

Allora anche io ho molestato delle ragazze: in discoteca, avevo 14 anni. Ci provavo e loro non volevano, eddai, dammi un bacetto, eddai. Una l’ho molestata talmente tanto che si è fidanzata con me. E da ragazzino ho anche palpeggiato, facendo la mano morta

– e di incapacità oggettiva di valutare le situazioni –

Bisogna stare attenti a catalogare tutto come molestia, sennò anche io vengo sempre molestato. Mi chiedono di fare delle foto e non voglio. Ma le faccio, perché se no chissà cosa dicono…” – o, meglio – “(Brizzi, ndr) è un intellettuale, gli piace parlare, sedurre. Ha sedotto anche sua moglie così. È già successo: Sofia Loren ha sposato un produttore, Anna Magnani un regista…

Emerge qualcosa che dovrebbe riguardare tutte e tutti noi: una serie di domande.

Qual è (sempre che esista) il confine che una giornalista deve mantenere nel diffondere, attraverso un’intervista, un punto di vista così espressamente maschilista? È lecito sostenere (perché la divulgazione è un sostegno) il ragionamento (che francamente trovo inaccettabile) “A lui piacciono le donne, come a me. Le stesse donne che ora si lamentano spesso, dicendo che agli uomini piacciono sempre meno, la famosa crisi dell’uomo…”? Abbiamo dei mezzi per limitare atteggiamenti così marcatamente patriarcali? Quali sono gli strumenti che abbiamo per mostrare il nostro dissenso? Può bastare boicottare un film? Può bastare boicottare un personaggio in tutte le sue attività? Può bastare scrivere un post o un articolo? Può bastare organizzare dei gruppi che collettivamente diffondano delle notizie avverse e mirino a boicottare i suddetti personaggi? Non diventeremmo forse anche noi, puntando il dito e non aprendo un ragionamento, magari con la furia della (necessaria) rabbia e del (dovuto) disgusto, ugualmente colpevoli di un qualunquismo altrettanto controproducente e dannoso? Non è forse un obbligo morale provare a elaborare dei toni e delle strategie di confronto, e non “macchine del fango” fini a se stesse (anche se, il caso Brizzi, ci mostra come le gogne mediatiche – sulla cui correttezza potremmo disquisire per ore – hanno un reale effetto sulla vita dei diretti interessati e non solo)?

Una risposta trasversale mi viene fornita da un libro che andrebbe sempre tenuto sul comodino: “Lessico familiare” di Chiara Cretella e Inma Mora Sànchez (Settenove, pp. 192). Alla voce “maschilità” si legge:

La costruzione sociale della maschilità è stata fondamentale nell’organizzazione sociale patriarcale. Contrariamente a quello che si può pensare, anche gli uomini possono essere vittime di stereotipi di genere: l’immaginario comune li vuole forti, rudi, muscolosi, aggressivi, devono avere potere, non piangere, non chiedere mai aiuto, non dimostrare debolezza o omosessualità. Anche un certo tipo di relazione con le donne è passato in maniera stereotipica per esempio nel trattarle male e sottometterle, anche a livello sessuale, convinti che in fondo a loro piace (in questo senso si richiama il concetto di vis grata puellae, un verso di Ovidio chiamato in causa anche dal nostro diritto penale riguardo lo stupro). Chi storicamente si è sottratto da questi cliché è stato sanzionato e punito socialmente, perché lo stereotipo maschile è forte quanto quello che investe il femminile (…). Diventa quindi fondamentale comprendere le rappresentazioni del maschile nell’immaginario culturale/mediatico e la loro relazione con le pratiche, le esistenze reali tra i generi in un determinato periodo storico.

Il ragionamento si apre dunque al radicato e ostentato maschilismo moderno, di cui oggi Enrico Brignano si mostra (più o meno consapevolmente) membro inserendosi con orgoglio, appunto, nel concetto di vis grata puellae. E non solo.

 

(fonte)