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Enrico Letta

Ecco come il PD ha votato la chiusura del Parlamento (parola di Enzo Cuomo, senatore PD)

E’ stato Franceschini – dice Cuomo – ad avere l’idea di mediare con il Pdl: ma no, tre giorni no, dai ragazzi, facciamo una sospensione solo di un pomeriggio e la motiviamo sulla carta in altro modo, così noi non facciamo la figura di quelli che hanno chiuso i battenti contro la magistratura ma voi avete ottenuto il vostro scopo simbolico, quello appunto di una serrata del legislativo contro il giudiziario.

E così è andata. Con una votazione per alzata di mano, a Palazzo Madama, di cui non si è neppure capito molto, racconta ancora Cuomo.

«Bella figura di merda», ho fatto al senatore.

E lui, con un mezzo sorriso, prima mi ha ripetuto la litania secondo la quale «vabbeh, mezza giornata di pausa di riflessione, che c’è di così grave?», poi però ha allargato le braccia, il sorriso si è trasformato in una risata autoironica e infine in un mezzo autodafé: «L’errore è stato farci il governo insieme e basta. L’altro giorno, se non votavamo come ci ha ordinato Zanda, cadeva tutto. Tu cos’avresti fatto?».

E’ tutto qui.

Un vascello fantasma con le vele ammainate: così ci vedono gli altri

Niente da dire: questo brodino di Governo è indigesto anche visto da fuori.

Neue Zürcher Zeitung

In Italia, le ultime elezioni hanno irrigidito le posizioni: tre grandi blocchi, all’incirca della stessa dimensione, schierati gli uni contro gli altri, due dei quali ora fanno parte del nuovo governo. Questa pace apparente è costantemente esposta al ricatto di Berlusconi.La morte la scorsa settimana di Giulio Andreotti, il grande vecchio della politica italiana, astuto democristiano e stratega ineguagliabile, lascia esterrefatti per il suo tempismo perfetto: il democristiano ha trovato la pace eterna subito dopo la formazione del nuovo governo, conclusa la contrattazione per la spartizione degli incarichi ministeriali e  l’assunzione delle delle cariche apicali da parte di due ex democristiani, Enrico Letta come capo del governo e Angelino Alfano come suo vice. Anche se l’onnipotente ex Democrazia Cristiana non esiste più, il suo, spettro riporta una vittoria tardiva. Berlusconi, suo erede effettivo ma indegno, se la ride sotto i baffi e risulterebbe di nuovo incomprensibilmente amato, secondo recenti sondaggi.

Compiti difficili

Pur provenendo dallo stesso vivaio politico della DC, i due nuovi leader non potrebbero essere più diversi l’uno dal’altro. Eppure ora presiedono una coalizione che altrove sarebbe stata denominata «Arcobaleno», ma che in Italia viene definita una “grande coalizione”, perché così fa più tedesco e assume un tono più solenne. E’ al primo ministro Enrico Letta del Partito Democratico (PD) che tocca l’onere più gravoso in questa impresa incerta. Con i suoi 46 anni, nell’ambiente politico italiano uno sbarbatello, non nega le sue radici politiche cristiane e ormai da tempo si è dimostrato un brillante e prudente socialdemocratico, ricoprendo la sua prima carica di ministro a 32 anni. Egli dovrebbe riuscire a placare gli animi di almeno una parte degli  italiani infuriati, dovrebbe portare il paese fuori dalla recessione, allentare le rigorose politiche di austerità, stimolare il consumo e l’economia, e compiere qualche altro miracolo, tra cui quello di impedire la caduta del PD, il suo partito, da cui i suoi sostenitori fuggono a frotte dopo essere stati costretti alla diabolica alleanza con l’impresentabile Berlusconi. Il compito del vice leader Angelino Alfano, che ora è ministro degli interni, anche lui 42enne, è meno gravoso. Anche lui proveniente dallo schieramento democristiano,  è entrato a far parte presto dei devoti di Berlusconi, diventando il Presidente del Popolo della Libertà (PdL), nonché ministro della giustizia e fedele guardia del corpo giuridica del suo Signore. Ora egli ha il compito non troppo oneroso, anche se moralmente ingrato, di proteggere gli interessi di Berlusconi e salvarlo dalla magistratura italiana – anche sotto il nuovo governo. Funziona esattamente come un ricatto: se il primo ministro Letta suggerisce qualcosa che Berlusconi non gradisce, immediatamente al Parlamento scatta la minaccia di far cadere il governo, essendo il PdL il principale componente. Nelle prime due settimane di vita il governo Letta è stato retoricamente minacciato per ben due volte da questo freno a mano. La prima volta dopo la recente condanna per frode fiscale di Berlusconi, la seconda volta a causa degli strascichi giudiziari che potrebbero derivare dalle accuse di prostituzione minorile e istigazione alla prostituzione mosse al Cavaliere. Berlusconi, che ha contribuito spudoratamente negli ultimi vent’anni alla rovina del suo paese, arricchendo una numerosa schiera di cortigiani, sostenitori del suo stile di vita e, in maniera impudente, soprattutto se stesso, ora continua a determinare “il bello e il cattivo tempo” nel suo paese. Non stupisce quindi che il vascello fantasma Italia continui ad andare alla deriva  a vele ammainate. Ma la colpa non è affatto sua, dato che il vento di poppa gli arriva principalmente dagli errori dei suoi avversari. Ancora all’inizio di quest’anno, Berlusconi sembrava politicamente finito, ma poi grazie ad una serie di errori dei suoi rivali è riuscito a risalire la china in maniera inquietante, quasi una sorta di risurrezione. Possiamo dire anche quando è avvenuta la svolta, precisamente non molto tempo fa, e Claudio Magris lo ha scritto sul «Corriere della Sera»: era la sera del 10 gennaio, quando lo sconfitto Berlusconi entrò nella tana del leone, il programma «Servizio pubblico» di Michele Santoro, un giornalista che si che si finge un arrabbiato di sinistra. Berlusconi ha ribadito di fronte a una platea di otto milioni di telespettatori le sue audaci promesse elettorali, tra cui l’abolizione dell’IMU e qualche altra arditezza – mentre il conduttore della trasmissione e i suoi accoliti della sinistra restavano lì, ammutoliti come scolaretti.

Un disastro dopo l’altro

Nei mesi seguenti l’Italia è precipitata da un disastro all’altro. Mario Monti ha fatto sicuramente una buona impressione a livello internazionale con il suo governo d’emergenza, tagliando qua e là per risparmiare, ma ha condotto una campagna elettorale da dilettanti, tanto da essere stato preso in considerazione dai moderati del PD solo come partner di coalizione. Il risultato delle elezioni nel mese di febbraio è stato un disastroso triangolo quasi equilatero: scarso il 30 per cento per il PD, quasi quanto per il PdL di Berlusconi, e poco meno quel fuoco fatuo del Movimento Cinque Stelle (M5S) di Beppe Grillo. Potrebbe essere arrivata l’”ora X” per questo comico, il cui «movimento» da allora rappresenta per l’Italia gioia  e dolore, croce e speranza. Le principali richieste del M5S sono piuttosto scontate, alcune di loro sono talmente ragionevoli da apparire quasi banali; meno convincente sembra il loro  non ben definito programma, se esaminato nei suoi dettagli; ed è un disastro la tattica di Grillo e del suo popolo di mantenere le distanze da tutti gli altri partiti con cui si siedono ora in Parlamento. Tutti sono indistintamente corrotti e contaminati, questo è quanto ripetono di continuo nei loro comunicati. Nei colloqui per formare un governo, hanno tenuto testa al capo del PD umiliando uno sbiadito Pierluigi Bersani fino a costringerlo alle dimissioni. Così facendo il comico dalla lingua lunga e i suoi rabbiosi parlamentari hanno sprecato le occasioni migliori per l’Italia di sbarazzarsi di Padron Berlusconi. In quel febbricitante momento di pausa sia il PD che il M5S hanno sbagliato praticamente tutto, al punto da far fallire l’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica. Nemmeno su Romano Prodi si sono trovati d’accordo, e così hanno costretto l’ormai anziano Napolitano a prolungare il suo mandato, spingendo Enrico Letta a stringere un patto di governo col diavolo Berlusconi e i suoi seguaci. Letta vorrebbe fare del suo meglio, ma non durerà molto, perché con la sua impresa azzardata subisce attacchi da tutti i fronti, anche dai suoi stessi compagni dell’irritato PD. Il filosofo Massimo Cacciari fantastica sul modo in cui questo partito andrà avanti. Nella sua rubrica sull’ «Espresso», egli auspica la fine della “politica dell’illusione” (nell’articolo in italiano Cacciari ha usato il termine tedesco “Illusionspolitik”, ndt) e incoraggia due portatori di speranza, l’economista di sinistra Fabrizio Barca e Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che, proveniente dallo schieramento cattolico, non sarebbe la scelta peggiore – e che anche il defunto Andreotti non avrebbe disdegnato. Anche l’autore Roberto Saviano in un articolo riflette sul suo paese e sul desolato PD; ha recentemente scritto, anche se in maniera molto astratta, di «un’Italia che vuole sognare» o, ancora, «del partito che io sogno». Che un simile sogno sia stato mai d’aiuto, sono soprattutto i giovani compagni a dubitarne, tra le cui fila pare si nascondano alcuni di quelli che hanno occupato molte sedi locali del partito sotto il motto di «Occupy PD», perché non si fidano dell’operato di Letta, giudicando l’alleanza con la destra di Berlusconi solo una combutta, una fittizia «guerra tra bande di arrivati». Questa aspra sentenza potrebbe essere corretta, ma priva di alternative, fintanto che il testardo Beppe Grillo del M5S avrà voce in capitolo. Perché non cambierà nulla con il neo eletto leader del PD, Guglielmo Epifani, uomo mite dei moderati di centro. Il nepotismo espresso dallo stato tra PD e PDL scaturisce sì da uno stato di emergenza, ma ciononostante non ha inventiva e, oltre al rinnovato consolidamento di Berlusconi, ha anche altri aspetti ripugnanti.  Il simbolo tipico della viscidità che si sta estendendo sui partiti italiani è una giovane coppia di intelligenti giovani politici: Lei, Nunzia de Girolamo del PdL, che a difesa di Berlusconi, ha partecipato a numerosi talk show, e ora è diventata ministro dell’agricoltura. Lui, Francesco Boccia del PD, è stato appena confermato a capo della Commissione Parlamentare per i conti. Questo ha spinto il filosofo e traduttore di Kierkegaard Dario Borso, a chiedersi cosa ha da dirsi di notte sotto le lenzuola questa strana coppia. In tempi in cui la povertà dilaga nell’ex ceto medio, dove sempre più sono in aumento i suicidi per la disperazione e il termometro sociale rischia di precipitare sotto zero, l’Italia ha però ancora altre domande da porsi. Sabato scorso l’atmosfera si è surriscaldata, quando ad una manifestazione sostegno di Berlusconi a Brescia, i suoi esaltati seguaci e i suoi avversari altrettanto infiammati sono arrivati alle mani. La violenza si manifesta ancora principalmente in maniera verbale e simbolica, scritte di vernice spray sui muri o urla nei programmi televisivi, fatta di uomini dalle maniere apparentemente garbate presenti col contagocce  nei media tradizionali o di personaggi maleducati che fanno solo propaganda in Internet.

Campagna denigratoria anonima

E’ soprattutto nei social network che imperversa una campagna denigratoria anonima, contro cui il turpiloquio usato nel blog di Beppe Grillo non ha alcun effetto. Sempre più spesso, si tratta di invettive misogine e razziste come quelle contro Cécile Kyenge, nuovo Ministro per l’Integrazione di origine congolese, o minacce contro altre persone esposte, come il giornalista televisivo Enrico Mentana, che è stato costretto a chiudere il suo account Twitter dopo aver ricevuto numerose minacce di morte.  Sparare sui giornalisti era diventato un fatto consueto 40 anni fa, quando iniziò in Italia un periodo di terrore che portò lo Stato a un passo dal collasso mettendolo a rischio di golpe.

[Articolo originale “Ein Geisterschiff mit schlaffen Segeln” di Franz Haas]

Io, lo giuro

Non avrei mai creduto che saremmo arrivati fin qui con l’agenda politica dettata ancora una volta dai problemi personali sulla giustizia di Berlusconi. Avrei potuto pensare alla ‘grande coalizione’ tra PD e PDL (l’unica promessa che mi ero permesso di fare era la certezza che almeno SEL sarebbe rimasta fuori, e così è stato), avrei anche potuto temere (da sempre) che il cambiamento sarebbe rimasto più nei manifesti elettorali che nelle nomine e nell’effettiva amministrazione (dice un antico proverbio cinese che “quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento”) ma la desolazione di questi giorni sta nello schiacciamento politico, intellettuale, morale, comunicativo e decisionale di un centrocentrocentrocentrosinistra che dall’avere vinto e poi pareggiato è passato ad essere il servitore bastonato e scemo. Come un Arlecchino ma nemmeno con l’arguzia.
Non avrei mai creduto che la sconfitta fosse intellettuale e morale. Ecco. Basta guardare le trasmissioni televisive o gli editoriali su Ruby per rendersi conto che mentre il lavoro sparisce (ancora) tra le priorità ci si occupa di tutto tranne di politica.
Come piace a lui.
E come fa vincere lui.

Io non so se ci rendiamo conto

Io sto cercando di scrivere il meno possibile su questo Governo per mantenere un’igiene intellettuale ma non posso non trasecolare su questa intervista di Micciché:

Placate le ostilità, definitivamente rimosse le dissonanze seguite alla spaccatura in Sicilia che ha spianato la strada a Crocetta, Gianfranco Micciché risorge e conquista un posto da sottosegretario alla Funzione Pubblica nel Governo Letta. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, a firma di Felice Cavallaro, il neo sottosegretario annuncia la riappacificazione con Berlusconi e il partito:

Chi ringrazia?
«Intanto, Berlusconi. Lo devo a lui, grande stratega, protagonista assoluto di questo governo».

E le guerre con Alfano, Schifani, Castiglione?
«Se ne sono dette di peggio Bersani e Berlusconi. Eppure stanno insieme, adesso. Si litiga anche all’interno della propria area, ma poi con l’età subentrano altri sentimenti».

“Il governo Letta? Merito di Berlusconi – ha poi proseguito Micciché- Potrà durare 5 anni, ma ogni mattina bisognerà aprire la finestra per vedere se c’è ancora. Molti amici mi hanno voltato le spalle. Non Raffaele Lombardo, che voglio ringraziare perché per l’asse Mpa-Grande Sud ha fatto telefonate a Verdini e Berlusconi invocando la mia nomina. Chiesta anche alla consultazione di Letta».

Le ricorderanno che è sotto inchiesta per mafia.
«Non ho paura di ringraziarlo».

E il suo amico Dell’Utri?
«Ha telefonato per i complimenti. Credo che abbia avuto anche lui un peso nelle scelte che ha fatto Berlusconi. Non mi vergogno di dirlo. Deve aver pesato».

Ecco, io non so ci rendiamo conto di cosa vorrebbero renderci digeribile. Io non se si rendono conto di cosa hanno fatto con questo Governo.

Fare il Civati

Tra le parole che costruiscono macerie ultimamente nella politica italiana c’è il distorto concetto di fedeltà. Viene invocata ogni volta che i dirigenti di qualche partito si ritrovano in cul de sac e non trovano più obiezioni logiche o condivisibili per la propria sfrontata incoerenza e devono chiudere in fretta la partita: la fedeltà che viene usata come una sciabola per chiudere il confronto, meglio ancora senza mai iniziarlo.

Una delle caratteristiche più difficili da “raccontare” nel fare politica è il canale di comunicazione interno. Ho parlato per ore con persone che si rivolgevano a me credendo che fossi partecipe alle consultazioni o alle decisioni che includevano anche me nelle conseguenze “attive” oppure i più disillusi speravano comunque che avessi notizie di prima mano: no, non è così, spesso spessissimo le informazioni “interne” (a cosa poi, verrebbe da domandarsi) sono banalmente quelle che leggiamo sui quotidiani con al massimo qualche parere tra colleghi. La mancata partecipazione interna ai partiti (che è una frase che ormai fa venire i conati per l’abuso) esiste sul serio ed è più banale del previsto: tre o più persone decidono azioni e strategie chiedendo agli eletti e alla base di impegnarsi nel renderle più digeribili possibile. Tutto qui. Nessun arcano meccanismo così difficile da raccontare e nemmeno grandi strategie sotterranee: stare in un partito è come avere un coinquilino che gestisce la casa e ti concede le chiavi dell’ingresso stabilendo anche gli orari del rientro.

Alcuni decidono, i più si allineano diversamente variegati, alcuni grugniscono ma solo in famiglia e poi ci sono quelli che chiedono spiegazioni. Orrore! Quelli che chiedono spiegazioni sono i vili traditori mentecatti che spaccano il partito, urlano tutti. In questi giorni quelli che chiedono spiegazioni sono i “Civati” e vengono raccontati come un pericolosissima specie politica che rischia di sfasciare tutto (tutto cosa, verrebbe da chiedersi) e che cerca solo visibilità.

Ora, io Pippo ho la fortuna di averlo amico ormai da qualche anno (un’era fa, c’era ancora Formigoni faraone in Lombardia ed era impensabile ipotizzare due ministri ciellini al governo) e questa volta mi sembra anche più lineare del solito nel suo ragionamento: abbiamo fatto delle promesse – dice – tra cui non andare mai con B, abbiamo chiesto agli elettori di dare fiducia ad una coalizione PD-SEL, abbiamo irriso i punti di programma del centrodestra ed ora andiamo a braccetto tutti insieme senza che nessuno ci abbia raccontato il percorso politico. Non mi sembra così difficile da capire, ammetto.

E credo che le stesse domande oggi dovrebbero essere urlate sbattendo i pugni sul tavolo anche da SEL, ancora prima di promettere un’opposizione costruttiva. Perché se nessuno ce lo spiega e se sono troppo pochi (e troppo timidi) coloro che pretendono una spiegazione viene il dubbio che i fessi siano gli elettori.

‘Fare il Civati’ racconta come la politica sia il luogo dell’impunità nel mantenere relazioni sociali leali, prima di tutto il resto, e come sia eroico provare a scindere la fedeltà dalla servitù. Ma questo è un vizio antico.

L’impermeabile

Ogni tanto speri che il vento si abbastanza forte, poi leggi Enrico Letta che dice: il centrosinistra deve usare un attacco a tre punte, ossia Bersani al centro, Vendola e Di Pietro a sinistra e Fini e Casini a destra, neanche il Milan di Sacchi aveva tre punte così e fregheremmo la palla a Berlusconi. Attenzione, l’ha detto dopo i ballottaggi.