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faccia da mostro

Chi è Giovanni Aiello “faccia da mostro”

L’ultima notizia è esplosa ieri dopo la dichiarazione del “Nano”, il pentito Nino Lo Giudice, storico boss del clan di Reggio Calabria: «E’ stato il poliziotto Giovanni Aiello – ha dichiarato Lo Giudice ai magistrati di Reggio Calabria, come scritto ieri da Il Fatto Quotidiano – a far saltare in aria Paolo Borsellino e i 5 agenti di scorta. Fu lui a schiacciare il pulsante in via D’Amelio. Me lo confidò Pietro Scotto quando eravamo in carcere all’Asinara. E anni dopo me lo confermò Aiello in persona… Ma quando ho raccontato tutto sono stato minacciato dai servizi». Giovanni Aiello (per lo più conosciuto come “faccia da mostro” per una vistosa ferita che ne deforma il volto) è il nome che compare sullo sfondo in molti degli omicidi eccellenti di Cosa Nostra: «Mi è rimasta impressa la sua freddezza, – ha dichiarato Lo Giudice -sembrava non avere emozioni. Lo temo perché fa parte di un mondo che non conosco, non so chi ci può essere dietro di lui. Magari mi ammazzano in carcere».

A febbraio di quest’anno aveva fatto molto rumore l’incontro di “faccia da mostro” con Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto Nino Agostino ucciso a Palermo da Cosa Nostra il 5 agosto 1989 insieme alla moglie Ida, che durante un riconoscimento all’americana (insieme a Aiello, dietro al vetro, stavano altri due uomini camuffati) urlò indicandolo: «È lui! – urlò Vincenzo Agostino – faccia da mostro è lui!». Raccontò quel giorno Vincenzo Agostino, dopo il confronto nell’aula bunker dell’Ucciardone (che gli procurò anche un malore per l’emozione): «Ho riconosciuto Faccia da mostro anche se era ben truccato: erano in tre per il confronto ma l’ho riconosciuto subito. Come ho detto in tutti questi anni quella faccia è indimenticabile. È l’uomo che tra l’8 e il 10 luglio del 1989 venne a cercare mio figlio a casa mia, disse di essere un suo collega».

Giovanni Pantalone Aiello è nato a Montaura, in provincia di Catanzaro, il 3 febbraio del 1946 e si è arruolato in Polizia il 28 dicembre del 1964; congedato il 12 maggio del 1977 risultò residente in caserma (la Lungaro di Palermo) fino al 1981, è separato e ha una figlia che insegna in una Università della California. Oggi ufficialmente risulta essere un pescatore, con un reddito dichiarato di 22 mila euro all’anno anche se in una perquisizione gli hanno sequestrato qualcosa come un 700.000 mila euro investiti in diversi titoli. Della ferita sul volto Aiello racconta di essersela procurata durante uno scontro a fuoco in Sardegna per un’operazione di liberazione di un ostaggio; il suo foglio matricolare in realtà è un po’ meno epico e racconta di “un colpo partito accidentalmente dal suo fucile il 25 luglio 1967 a Nuoro”.

(continua qui)

Chi ha ucciso Nino e Ida Agostino? C’è un indagato. Intanto.

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Ne avevamo scritto un bel po’ di tempo fa qui. Ora Salvo Palazzolo scrive di importanti novità:

Ventisette anni dopo, c’è un nuovo indagato per l’omicidio dell’agente Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio, trucidati il pomeriggio del 5 agosto 1989. E’ l’ex agente della squadra mobile di Palermo Giovanni Aiello, “faccia da mostro” com’è ormai chiamato negli atti giudiziari. Fra qualche giorno, sarà il protagonista di un confronto all’americana in tribunale: lui, accanto ad alcuni uomini che gli assomigliano, magari degli attori truccati ad arte; dall’altra parte, il signor Vincenzo Agostino, il papà del poliziotto ucciso. Pochi giorni prima del delitto, un uomo con la “faccia da mostro” andò a casa degli Agostino, a Villagrazia di Carini: “Mi disse che era un collega di mio figlio”, racconta Agostino. Adesso, ventisette anni dopo, dovrà dire se è Giovanni Aiello, l’ex poliziotto al centro di diverse indagini sulla stagione dei delitti eccellenti di Palermo. Il confronto si terrà il 18 febbraio.

L’UDIENZA
“Sono tornato a sperare”, dice Vincenzo Agostino, che non ha mai smesso di cercare la verità sulla morte del figlio. Ieri mattina, in tribunale, si è tenuto l’incidente probatorio per il delitto dell’estate 1989, sono indagati due mafiosi, Gaetano Scotto e Antonino Madonia. “Agostino era ritenuto un cattivo”, dice il pentito Vito Galatolo rispondendo alle domande dei pubblici ministeri Nino Di Matteo e Francesco Del Bene. “Stefano Fontana mi rivelò che Angelo Galatolo l’aveva visto all’Addaura, il giorno del fallito attentato a Falcone”. Galatolo non sa cosa stesse facendo Agostino, non dice se stava in mare o sugli scogli. Ma ribadisce: “Lui come Emanuele Piazza cercava latitanti, erano i cattivi per noi”. Piazza fu sequestrato e ucciso nella primavera del 1990. Galatolo è un fiume in piena, parla anche del tritolo acquistato per l’attentato al pm Nino Di Matteo. Dice: “Il discorso è ancora aperto, dottore. E’ sempre in corso. Fino a quando non si trova l’esplosivo lei è a rischio”.

I COMPLICI
Nelle parole del figlio di Enzo Galatolo, uno dei fedelissimi di Totò Riina, c’è il racconto di una lunga stagione di morte: “Fra il 1984 e il 1989 la base dei sicari di Cosa nostra era vicolo Pipitone, all’Acquasanta. Da lì partirono i gruppi di fuoco per uccidere Chinnici, Dalla Chiesa, Cassarà e Natale Mondo”. All’epoca, Vito Galatolo era un ragazzino. “So che mio padre riceveva persone di un certo livello in vicino Pipitone”. Collegato in videoconferenza da una località segreta cita l’ex superpoliziotto Bruno Contrada (“Era accompagnato dall’avvocato Marco Clementi, che però restava fuori”), poi Giovanni Aiello (“Quando facevo il monello, mio padre mi diceva: stai attento che faccio venire il mostro”).  Galatolo cita anche l’ex capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera (“Era a libro paga dei Madonia”) e un sottufficiale dei carabinieri: “Il maresciallo Salsano si occupava di tenere lontani occhi indiscreti, si metteva davanti al vicolo oppure ci comunicava strani movimenti nel quartiere”.  Un quadro desolante di rapporti fra mafia e pezzi delle istituzioni, in una città collusa. “Oggi, siamo più vicini a un processo per l’omicidio Agostino”, dice l’avvocato Fabio Repici, legale di parte civile della famiglia Agostino. L’udienza è stata presieduta dal giudice Marina Pino. “Ogni volta che Aiello veniva in vicolo Pipitone poi accadevano degli omicidi eclatanti a Palermo”. Galatolo conferma le accuse che alcuni giorni fa aveva fatto un altro collaboratore di giustizia, Vito Lo Forte, citato anche lui all’incidente probatorio: “Madonia e Scotto hanno agito con Giovanni Aiello, che subito dopo l’omicidio aiutò i due a distruggere la moto usata. Li fece scappare a bordo di un’auto pulita per non destare sospetti”.

(fonte)