Ma dove sono finiti i banchieri del crac? Vanno a cavallo e giocano a golf (e in pochi sono sotto processo)
(di Mario Gerevini, qui)
Oggi James passa il tempo giocando a bridge. Richard si è rimesso in affari nel mercato immobiliare e nel frattempo ha fatto causa al genero. Stanley passa il suo tempo tra la casa in Park Avenue a New York e la villa a Martha’s Vineyard. Giuseppe cavalca per le campagne toscane e da buon avvocato studia le carte dei suoi processi. Gianpiero fa il consulente, mentre la famiglia investe in ristoranti. Giovanni non molla la sua Genova dove una volta era uno dei potenti più riveriti, prima che lo pescassero a truffare la «sua» banca. Fred si è dato all’architettura. Gianni ha lasciato le vigne ai figli, giusto in tempo per affrontare (da quasi nullatenente) le richieste di risarcimento.
Fermiamoci qui. E diamo il cognome a ognuno di questi sciagurati rappresentanti della categoria dei banchieri. Ex banchieri, eternamente ex. Americani, inglesi e italiani. Che cosa fanno oggi dopo aver distrutto o contribuito a bruciare centinaia di miliardi? Nessuno è in galera. Alcuni di loro sono stati solo pessimi manager e non hanno commesso reati. Altri hanno fatto en plein.
James Cayne guidava Bear Stearns e Richard Fuld era il numero uno di Lehman Brothers, Stanley O’ Neal era al timone di Merrill Lynch, Giuseppe Mussari del Monte dei Paschi, Gianpiero Fiorani della Popolare Lodi, Giovanni Berneschi alla Carige,Fred Goodwinera il capo di Royal Bank of Scotland e Gianni Zonin il re della Popolare Vicenza.
La tempesta
Rimarranno nella storia la faccia da mastino del capo di Lehman Brothers e le immagini dei dipendenti che lasciano gli uffici con gli scatoloni di cartone. RichardFuld, detto «Il Gorilla» per il carattere scontroso, oggi 71 anni, è il simbolo perenne di quel fatidico 15 settembre 2008 che con il fallimento di Lehman, sepolta da 600 miliardi di debiti, scatenò l’inferno della crisi mondiale, già latente. In quei giorni e quei mesi di grandissima tensione, trattative febbrili, riunioni segrete e filo diretto con la Fed e il governo Usa, emersero due tipi di banchiere. Fuld, appunto, con i denti sulla scrivania fino all’ultimo e poi a ripetere: «Non è colpa mia, Lehman è stata lasciata fallire».
E James Cayne, il ceo nonché grande azionista di Bear Stearns che nei giorni cruciali del crac non si trovava: stava giocando a golf. La quinta banca d’investimento Usa è collassata per l’effetto subprime e quel che restava è stato poi acquisito da Jp Morgan. Oggi Cayne si dedica al bridge, da giocatore professionista, anche perché non si ha notizia di procedimenti giudiziari a suo carico. Il flemmatico ex banchiere avrebbe portato a casa da Bear Stearns 370 milioni di dollari. Forse gran parte li ha persi con il crollo del titolo ma non se la passa male: villa a Boca Raton in Florida, case nel New Jersey e in Park Avenue a New York e residenza, pare, al Plaza Hotel di New York.
Fuld invece non ha mollato la finanza. E dopo 14 anni in Lehman, 457 milioni tra bonus e stipendi dal 2000 (ma lui dice: in maggioranza azioni Lehman, diventate carta straccia) ora gestisce una società di consulenza finanziaria e immobiliare, Matrix Advisors, da lui fondata nel 2009. Disastro reputazionale, ma nessuna seria conseguenza giudiziaria. Due anni fa ha venduto per almeno 20 milioni di dollari la sua splendida residenza vacanziera nelle montagne di Sun Valley (Idaho). E ha confermato anche in famiglia la sua fama da «duro», facendo causa al marito della figlia: non gli avrebbe restituito i soldi del prestito per acquistare un appartamento da 10 milioni a Manhattan. Il quadro d’insieme rende più plausibile la mai confermata storia del dipendente Lehman che, abbandonando gli uffici, avrebbe sferrato un pugno a Fuld.
Bolle
Uno dei grandi «cavalieri» della bolla immobiliare, Stanley O’ Neal, 65 anni, banchiere afroamericano, ex amministratore delegato di Merrill Lynch, oggi siede nel consiglio di Alcoa, colosso dell’alluminio. Era stato accompagnato all’uscita della banca d’affari nel 2007, un anno prima di Fuld, quando s’accorsero che in pancia c’erano 41 miliardi di sofferenze, causa derivati. Merrill crollava e intanto lui, ormai isolato, faceva delle gran partite a golf. Come Cayne di Bear Stearns. E come Cayne anche O’Neal ha casa in Park Avenue a New York ma sverna a Martha’s Vineyard nel Massachusets, la Capri dell’Atlantico, paradiso delle aragoste. Lì è sepolto l’attore comico John Belushi e lì è stato girato il film «Lo Squalo». L’impressione è che di entrambi, Belushi e lo squalo, si ritrovino alcune caratteristiche nei banchieri di questa piccola rassegna.
Caliamoci in Italia. L’avvocato Giuseppe Mussari, 54 anni, ha una passione per i cavalli cui dedica parecchio tempo da quando nel 2012 ha lasciato Mps, tra l’approvazione generale. Più pascoli (e meno Paschi) per Mussari, verrebbe da dire. Ma qualcuno doveva pensarci una decina di anni fa, quando pilotò l’acquisto di Antonveneta per l’astronomica cifra di 9 miliardi che era come dar da mangiare un cinghiale a un bambino. E poi pretendere che lo digerisse a forza di Alka Seltzer. Infatti il bambino senese dopo anni di ricovero e aumenti di capitale ha alzato bandiera bianca ed è stato salvato dallo Stato. Mussari e altri manager del gruppo sono accusati di ostacolo alle funzioni di vigilanza (condanna in primo grado a tre anni e sei mesi a Siena), falso in bilancio e aggiotaggio. Male che vada (dal punto di vista economico) l’avvocato ha una moglie che sa gestire molto bene, e far guadagnare, i suoi hotel senesi. E paga puntualmente le rate dei prestiti erogati da Mps.
Su al Nord
La batosta giudiziaria più pesante ha colpito il self made banker Giovanni Berneschi (79), l’impiegato della Carige diventato amministratore delegato e poi presidente. L’hanno beccato con le mani nel sacco, cioè a truffare la sua banca e ha conosciuto anche il carcere. Da anni si sapeva delle manovre spericolate e illecite sulle compagnie di assicurazioni che hanno zavorrato il gruppo. MaBerneschi ha tenuto sotto controllo interi consigli di amministrazione, salendo al vertice dell’Abi, come vicepresidente. E adesso? L’assemblea di Banca Carige ha appena approvato l’azione di responsabilità anche contro di lui. E lo scorso 22 febbraio Berneschi è stato condannato a 8 anni di reclusione con la confisca di beni per 26 milioni. Ha una ricca pensione (200 mila euro solo di Inps, più il fondo integrativo della banca) e conta sull’appello, anche perché non è tipo da golf o bridge.
Chi ormai sembra essersi smarcato da un passato (2005) fatto di spericolate scalate (Antonveneta), soldi in nero a Singapore e baci in fronte al governatore della Banca d’Italia, è Gianpiero Fiorani (57) ex numero uno della Popolare Lodi. Un eclettico. Passato dagli austeri uffici di Antonio Fazio alle goderecce ville sarde di Lele Mora. Da banchiere si è arricchito illecitamente ai danni della banca, ha commesso reati, ha confessato molto, ha fatto mesi di carcere e di servizi sociali, ha patteggiato, risarcito la banca con 34 milioni. E oggi affianca l’imprenditore ligure Gabriele Volpi, padrone dello Spezia Calcio e della Pro Recco di pallanuoto, nella riorganizzazione delle attività di logistica petrolifera in Nigeria. La sua famiglia ha investito in immobili, nelle energie rinnovabili (con alterne fortune) in un ristorante a Bologna in via D’Azeglio e in un grande negozio a Lodi di specialità alimentari di lusso («E.Vent, la vida y el gusto»).
Siamo in tema, parliamo di vino: Zonin Gianni (79). Se si fosse occupato per 35 anni esclusivamente delle sue vigne, di vendemmie e barrique, invece che dedicarsi a fare anche il banchiere, avrebbe fatto un favore ai 120 mila soci «azzerati» della Banca Popolare di Vicenza. L’inchiesta della procura di Vicenza per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza avanza alla velocità di un bradipo zoppo, ma ciononostante ha procurato a Zonin la seccatura di un interrogatorio di 5 ore in due anni. La banca intanto ha chiesto 2 miliardi di risarcimento all’ex presidente e agli ex consiglieri. Ma molti di loro, compreso Zonin, hanno già svuotato il portafoglio delle proprietà. Se mai un giorno l’ufficiale giudiziario gli presenterà il conto, qualche euro di moneta forse lo troverà.
Mutui tossici
Alla fine resta il vecchio Fred. Il Goodwin che nonostante il promettente cognome tra il 2001 e il 2009 affossò la Royal Bank of Scotland (perdite per decine di miliardi di sterline) speculando sui mutui e trascinandola in un’assurda politica di acquisizioni. Il simpatico «Fred the Shred», tagliatore di posti di lavoro altrui. Finché non gli hanno tagliato il titolo di Sir e dimezzato la pensione annua di 703 mila sterline. Resta sempre un bel vivere per coltivare il suo costoso hobby: restaurare auto d’epoca. Dopo il licenziamento ha lavorato in un grande studio di architettura di Edimburgo. Per dire come gira la ruota: ieri (2002) Forbes lo indicava come «Businessman of the year» e un anno dopo si fregiò del titolo di «European banker of the year». Oggi molti lo ritengono il peggior banchiere della storia. Domani chissà, tutto è in mano agli architetti di Edimburgo.
Incroci
Divagazione finale. Chi c’era a fianco di Gnutti e Colaninno nella scalata ostile a Telecom del 1999? Lehman Brothers. E chi entrò nelle holding della cordata? Mps e Popolare Lodi oltre a Stefano Ricucci. Fu Fiorani con gli amici bresciani, carichi di soldi per la vendita di Telecom a Pirelli, a tentare la scalata di Banca Antonveneta. Con l’appoggio ufficiale della Carige di Berneschi che finanziava Ricucci. Intervenne la Procura di Milano e la scalata fallì. Ma chi conquistò alla fine la banca padovana? Gli olandesi di Abn Amro. E chi poi comprò Abn Amro? Una grossa fetta finì alla Royal Bank of Scotland di Fred Goodwin mentre Antonveneta passava al Santander. Finché un giorno Emilio Botin non trovò i polli di Siena guidati da Mussari cui rivenderla per 9 miliardi. Non ci sarà una logica, ma una scia di jella forse sì.