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femminicidio

A proposito del culo e del prosciutto

Ricevo e pubblico a proposito della brutta pubblicità di cui avevamo scritto qui:

Desideriamo informare che il Comitato di Controllo dello IAP è intervenuto sul caso segnalato da questo blog il 23 ottobre scorso, contattando prontamente l’inserzionista per evidenziare gli aspetti critici del messaggio in relazione all’articolo 10 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale (www.iap.it), il quale prevede che la comunicazione commerciale debba rispettare la dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni, ed evitare ogni discriminazione di genere. L’azienda alimentare, sebbene abbia dissentito dall’interpretazione in chiave sessista fatta dal nostro Comitato, si è impegnata a far rimuovere l’affissione contestata.

Segreteria IAP

 

Se cominciassimo a proteggere chi protegge le donne?

Il Governo nel 2009 ha tagliato loro i fondi destinati per tutelare e assistere le donne vittime di violenza. Il nostro paese sta attraversando un periodo storico in cui la violenza sulle donne sta aumentando in modo vertiginoso.

Quest’anno hanno subito danni da vandalismo due centri antiviolenza e un giardino dedicato alle vittime di violenza.

A Firenze il Centro Artemisa ha subito un incendio al portone d’ingresso. Non sono state fiamme a sorpresa: molte operatrici avevano già denunciato minacce da mariti ed ex compagni delle donne protette.

Ad Olbia, poco fa, il Centro Prospettiva Donna ha avuto il gentile dono di un piede di porco che cercava di aprire l’ingresso per accedere all’archivio.

Che dignità di protezione alle donne possiamo avere se non riusciamo a difendere chi le difende?

Il #femminicidio e la strada breve della sicurezza

Insomma alla fine hanno licenziato un decreto sicurezza (con annessi provvedimenti NO TAV e altre regalìe del genere) e per rivendercelo come un atto umanitario l’hanno chiamato ‘decreto femminicidio’: come se ci rubassero in casa chiamandola ‘perlustrazione di sicurezza’, una cosa del genere.

Ci sono momenti in cui la politica chiaramente perde. Perde quando si arrocca su se stessa, perde quando si gingilla in discussioni che non interessano a nessuno tranne che a quelli che discutono e perde rovinosamente ogni volta che semplifica, banalizza e spottizza (è un neologismo, lo so, non esiste, ma rende benissimo l’idea) un tema su cui si stanno spendendo le più belle menti e si sono accesi dibattiti finalmente spessi.

Già si è voluto trasformare un tema che (secondo i più stupidi) trattava “di femmine” in un tema (esagerando in idiozia) “da femmine” come si faceva alle elementari, ma questo decreto legge ha più di un punto di debolezza, come scrive Loredana Lipperini:

No, non mi piace. Parlo del decreto legge sul femminicidio così come è stato raccontato. Premetto che non ho avuto modo di studiarlo nei dettagli, e che la sensazione che ho è che la ex ministra Idem avesse un’idea molto diversa (altrimenti, perché convocare le associazioni che si battono contro la violenza, giusto qualche settimana prima di essere messa alla gogna e costretta a farsi da parte?).
Non mi piace perché è un decreto repressivo. E molte di noi hanno detto e ripetuto che nessuna repressione e nessun giro di vite porterà a risultati se non si insiste sulla prevenzione. Scuola. Formazione degli educatori. Libri di testo delle elementari. Educazione al genere, all’affettività, alla sessualità. Da subito. Di questo non si parla.
Non mi piace perché non si parla di centri antiviolenza, e tantomeno della loro moltiplicazione e finanziamento, da quanto è dato almeno capire. Non si  parla di centri di ascolto per uomini abusanti. Non si cerca di capire, formare e prevenire, ma si  pigia sul pedale della guerra fra i sessi, fornendo a chi ancora sputa la parola femminicidio come una caramella mal masticata ottimi argomenti per parlare di espediente securitario.
Non mi piace perché glissa sugli strumenti fondamentali: un osservatorio che monitori i femminicidi, dicendoci quanti sono e come avvengono. Fin qui, le indagini statistiche, come detto centinaia di volte, sono incomplete e generiche.
Non mi piace perché, come ha dichiarato Michela Murgia, la non revocabilità della querela “è una grande responsabilità che lo Stato si assume perché chi impedisce alla vittima di revocare la denuncia deve poter garantire che l’inasprimento degli abusi non ci sarà. O che se ci sarà, la donna verrà protetta. Lo dico perché nella stragrande maggioranza dei casi dal momento della querela le cose per chi ha subito violenze cominciano a peggiorare”. Non solo, aggiunge Michela, “io ho sempre creduto che una donna debba avere la libertà di decidere se vuole o meno denunciare. Per questo non sono molto d’accordo con la procedibilità d’ufficio che prevede anche che possa essere il pronto soccorso a inviare una segnalazione a polizia e carabinieri. Questo vale ancora di più oggi: se una donna, a un certo punto, non se la sente di continuare l’iter processuale, deve poter fare un passo indietro. Non è giusto trasferire questo diritto alle forze dell’ordine. È un’ulteriore sottrazione che si fa a chi di violenze già ne ha subite parecchie”.

Contare le donne

Conosciamo la loro storia cancellata, la raccontano i giornali solo quando è finita; le storie dei lividi sulla pelle e nel cuore ci sono sconosciute, spesso non riusciamo nemmeno ad intuirle negli occhi di chi ci sta accanto, eppure sono la maggioranza:  sono un abnorme 93% dei casi. Non è paura né condiscendenza, quella sostiene un silenzio così pesante. E’ sfiducia. Sfiducia nei mezzi di uno Stato che si sfalda, di uno stato sociale presentato come costo, pegola, palla al piede, nemico del deficit pubblico. Non c’è emancipazione possibile senza strutture di accoglienza per madri e figli, senza programmi specifici per l’occupazione delle donne, perchè libertà e dignità significa lavoro, che in questo Paese è un’altra vittima.

I sostenibili equilibri possibili tra costi, diritti, numeri e donne nel pezzo di Monica Bedana.

Ferite a morte

ferite-a-morte“Avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti, l’ha detto mia mamma agli inquirenti, avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti. Era lì che fumava vicino al caminetto e non ce ne siamo accorti, avevamo il mostro proprio in casa e non ce ne siamo accorti, guardava la partita e non ce ne siamo accorti. Ma neanche il mio marito se n’era accorto, dico, lui che aveva proprio il mostro dentro non se n’era accorto, poveraccio, c’aveva sempre da fare, avanti e indietro con il Pandino, anche quando m’ha messo incinta per la terza volta non se n’è accorto. Di figli ne ho solo tre: uno l’ho perso appena nato e l’altro mi è rimasto in pancia sette mesi e non è più uscito. Sono morta prima”.

Ferite a morte, il nuovo libro dal progetto teatrale sul femminicidio di Serena Dandini.

Sarò strano

Schermata 2013-03-02 alle 20.58.52Ma in una giornata come questa, con un Governo in bilico sulle decisione di troppo poche persone (collegate chissà come con i loro eletti e i loro elettori), con una situazione di lavoro e impresa che sta pagando (se ci riesce) questa terra di mezzo come l’ennesima tappa in salita di una crisi che non vede nemmeno l’ombra della speranza dell’arrivo, con un tasso di disoccupazione e produzione che ricorda baratri di altri tempi, con l’ennesimo femminicidio quotidiano, con Berlusconi che definisce (per l’ennesima volta, ma non abituiamoci) la magistratura “un cancro” e con tutto il resto, ecco, in una giornata come questa che il dibattito politico tra Grillo, Bersani e Renzi sia sul finanziamento dei partiti e i tagli alla casta mi fa pensare che forse sarò strano io e che l’agenda della politica segue meccanismi redazionali piuttosto che di responsabilità. Aspettando magari una parola anche dalla nostra parte, a sinistra.

Un’altra storia anche nelle parole #GiornatamondialecontrolaviolenzasulleDonne

Oggi è la Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne, finalmente anche in Italia il tema è entrato nell’ordine del giorno dell’opinione pubblica (politica, culturale e sociale) grazie alle tante manifestazioni di sensibilizzazione e, purtroppo, alle troppe morte ammazzate. Sul ruolo della cultura in questo femminicidio continuo ne avevamo parlato qui e qui riprendendo le parole di Michela Murgia che da tempo reclama un’igiene giornalistica che sia all’altezza del problema. Oggi Michela ha scritto per La Stampa di Torino un editoriale di cui conviene farsene carico per chi (come me) con le parole bene o male ci vive e ci convive: farsene carico attraversando il problema, ovviamente, piuttosto che scavalcandolo:

Ma in questo moto evidente di sensibilizzazione è accaduto anche che i professionisti della parola – giornalisti e giornaliste, professionisti televisivi e opinionisti a tutti i livelli mediatici – poche volte abbiano sentito altrettanto forte il desiderio di riflettere sul linguaggio che racconta la relazione tra i sessi e sulle sue conseguenze.

Il modo in cui i quotidiani danno le notizie dei femminicidi è un esempio evidente di normalizzazione della narrazione violenta che riguarda i rapporti tra uomini/cacciatori e donne/prede. Delitto Passionale, Violenza Familiare, Dramma della Gelosia, Raptus di Follia: sono tutte espressioni che ripetono e amplificano l’idea che amore e morte siano apparentati, che familiare sia un complemento di specificazione della violenza, che il sentirsi traditi o deprivati la possa giustificare e soprattutto che gli esiti estremi, quelli che lasciano le donne senza vita sui pavimenti delle loro stesse case, siano gesti fuori dalla ragione, colpe senza colpevoli, buchi neri dove far svanire ogni tentativo di lettura più complessa.

È necessario che i narratori delle trame pubbliche si fermino e si riprendano la responsabilità delle parole. Occorre fare insieme la fatica di confrontarsi per provare a rivedere le storie comuni che tutti abbiamo contribuito a consolidare; solo da una nostra differente volontà narrativa può scaturire la possibilità che il futuro delle donne sia un’altra storia.

In piedi signori, davanti a una donna

” Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subìto, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi Signori, davanti a una Donna!” ( W. Shakespeare )