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Fino Mornasco

‘Ndrangheta: quel buco di Comune che è Fino Mornasco

ndrangheta-la-difesa-sminuisce-le-condanne_9f419dac-049e-11e5-8f48-00bf64dd3093_512_512_new_square_mediumLa vicenda è la tipica storia lombarda: tutti abbaiano che la mafia non esiste, si comincia accusando chi parla di mafia di delazione, si passa al “non sapevo” e si arriva al classico finale del “avevamo paura”. Il comune è Fino Mornasco e il sindaco è Giuseppe Napoli, già finito sotto i riflettori (quelli sbagliati) per alcuni contatti tra suoi uomini della maggioranza e il clan di ‘ndrangheta che a Fino detta legge, quello di Michelangelo Chindamo, per cui sono già stati chiesti 20 anni di carcere in seguito all’operazione Insubria.

A Fino c’è un bar, il bar Da vinci, riconducibile proprio agli uomini di mafia (e nonostante questo sempre ben frequentato, ovviamente) e il Sindaco Napoli  aveva deciso qualche tempo fa di emettere un’ordinanza per anticipare l’orario di chiusura di tutti i bar del comune per venire incontro alle richieste dei cittadini che lamentavano rumori molesti fino a tardi. Fin qui tutto fila. Fin qui.

Poco tempo dopo il sindaco decide di emettere una nuova ordinanza per posticipare l’entrata in vigore della precedente. Perché? Lo spiega lui stesso ai Ros:

«È vero  il timore degli uomini dei clan “ha condizionato le mie scelte. Ho deciso di procedere con la nuova ordinanza per paura. Ero terrorizzato”. E prosegue: “non che ci fossero minacce esplicite […] ma temevo che mi sarebbe successo qualcosa se avessi leso gli interessi” di persone note per essere vicine alla criminalità calabrese.»
Non contento il giorno successivo rilasci un’intervista (la trovate qui) in cui rincara la dose:
“Spari, incendi, bombe. Non avrei dovuto avere paura?”
Ora, lasciando perdere questi negazionisti che poi si ricredono e negano di avere negato, rimane il punto: ha certamente diritto di avere paura il sindaco, per carità, ma la città si merita comunque un sindaco non condizionabile. O no?
Alla Prefettura l’ardua sentenza.

Le inopportunità e la ‘ndrangheta a Fino Mornasco, Como, Lombardia.

Affari e politica, favori in cambio di voti. E’ la ‘ndrangheta che si divora la Lombardia anche grazie alla compiacenza della pubblica amministrazione. E così mentre le inchieste fissano ruoli e competenze dell’infiltrazione, alle prefetture tocca il compito di valutare le ipotesi di scioglimento per mafia dei comuni del nord. E’ successo per Sedriano dopo l’indagine Grillo Parlante che ha coinvolto non solo il sindaco Alfredo Celeste ma anche l’ex assessore regionale Domenico Zambetti. Rischia di ripetersi oggi per il comune di Fino Mornasco. Il prefetto di Como Bruno Corda, infatti, ha intenzione di chiedere l’accesso agli atti della pubblica amministrazione. Corda lo ha detto esplicitamente ai membri della Commissione parlamentare antimafia che il 25 novembre sono saliti a Milano. Corda è stato ascoltato dopo che il 18 novembre l’operazione Insubria, coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, ha svelato gli interessi di tre locali di ‘ndrangheta: Cermenate, Calolziocorte e Fino Mornasco, quest’ultima definita come “uno dei più fulgidi esempi di comunità mafiosa nel nord Italia”. Il comune del Comasco così si candida a essere la seconda città lombarda sciolta per mafia.

Il primo spunto dal quale parte il Prefetto è l’inchiesta Insubria del 18 novembre 2014. L’indagine del Ros, infatti, nasce da una serie di atti intimidatori, “che – scrive il giudice Simone Luerti nella sua ordinanza d’arresto – pur se all’apparenza scollegati tra loro, possono essere, con alta probabilità, ricondotti a un filo comune”. Tra le vittime ci sono anche tre politici: si tratta dell’attuale sindaco Giuseppe Napoli, dell’ex vicesindaco Antonio Chindamo e dell’attuale presidente del consiglio comunale Luca Cairoli, il quale subisce ben quattro intimidazioni: il 24 novembre 2011 viene appiccato un incendio davanti alla sua concessionaria di auto Finomotori. Il 10 dicembre 2011 qualcuno invia una richiesta estorsiva sempre all’autosalone, l’8 febbraio 2011 ignoti sparano con un fucile calibro 12 contro la Finomotori, il 14 giugno 2012 arriva una lettera minatoria.

Politica sotto scacco, dunque. Questa la fotografia scattata dal Ros. Fotografia parziale. Per capire, infatti, bisogna riprendere l’inchiesta Arcobaleno che tra il 2009 e il 2010 mostra l’opacità della stessa politica locale. Nelle oltre mille pagine dell’informativa dei carabinieri di Como finiscono centinaia di intercettazioni e decine di amministratori pubblici. Sull’inchiesta pesa attualmente una richiesta di archiviazione.

Ma se i contatti con gli uomini delle cosche da un lato non hanno rilevanza penale, dall’altro le intercettazioni dei carabinieri mettono in primo piano le responsabilità politiche di diversi amministratori pubblici. Tra questi certamente l’attuale presidente del consiglio comunale di Fino Mornasco Luca Cairoli (non indagato), il quale, se tra il 2011 e il 2012 subisce quattro intimidazioni, nel 2010 è in contatto con diversi pregiudicati calabresi. In quell’anno, poi, annotano i carabinieri di Como, Cairoli si occupa della campagna elettorale del consigliere regionale Pdl Gianluca Rinaldin (non indagato), recentemente coinvolto nella “rimborsopoli” della Regione Lombardia. Lo stesso Rinaldin che, intercettato dalla Dda, afferma: “A me interessa la parola (…) cioé preferisco sedermi col peggior delinquente di questo mondo ma di parola”

Tra i vari contatti di Cairoli c’è Luciano Nocera, trafficante di droga legato al boss Bartolomeo Iaconis e alla cosca Muscatello di Mariano Comense, recentemente coinvolta nell’operazione Quadrifoglio del Ros di Milano. Nocera risulta indagato anche per l’omicidio di Ernesto Albanese ucciso a Guanzate nel maggio 2014. Nel 2010 Luca Cairoli spende i propri contatti politici per far ottenere a Nocera una licenza per aprire il locale Black Mamba ad Appiano Gentile.

Il 10 marzo così va in scena un’incredibile intercettazione tra Cairoli, l’allora consigliere regionale Rinaldin e Martino Clerici (non indagato), all’epoca sindaco di Appiano e oggi consigliere di maggioranza nello stesso comune. Cairoli chiama Rinaldin il quale risponde e chiede: “Sono al telefono con il sindaco di Appiano, si chiama Nocera questo qua”. Cairoli: “Sì Nocera”. Dice Rinaldin: “Lo ha appena visto mezz’ora fa e gli risolve il problema (…) aspetta che unisco le telefonate”. Cairoli e Martino Clerici si salutano. Il sindaco: “Lo conosco bene lui (Nocera, ndr)”. Rinaldin chiede a Clerici: “L’hai incontrato oggi?”. Il primo cittadino risponde in modo affermativo. La questione della licenza, dunque, pare risolversi. Cairoli rivolto a Rinaldin: “Gianluca guarda abbiamo fatto un affare perché se il problema glielo risolviamo questo qua è uno che mo smette di lavorare e ci procura voti certi”. A quel punto il consigliere regionale lo ammonisce: “Non parlare al telefono che poi qualcuno…”. Poche ore dopo Cairoli è al telefono con lo stesso Nocera: “Lucio ci ho parlato (…) eravamo in conferenza io, il sindaco e Gianluca Rinaldin che è quello che appoggiamo (…). Il Sindaco, mi fa non c’è problema”.

In quel 2010 Cairoli raccoglie firme per la candidatura di Rinaldin. Per farlo si appoggia anche a Salvatore Larosa soprannominato Satana e ritenuto affiliato alla locale di Fino Mornasco con la dote di santista. Coinvolto nel blitz Insubria del 18 novembre, si consegnerà alle forze dell’ordine dopo pochi giorni di latitanza. I due si sentono spesso. Si salutano con l’appellativo di “compare”. Il 22 febbraio 2010 sono al telefono. Argomento: la campagna elettorale per le regionali. “Noi compare – dice Larosa – adesso dobbiamo andare nei comuni più lontani (…) devo chiedere le schede elettorali”. Risponde Cairoli: “Sì e dì che stai facendo la presentazione della lista e delle schede elettorali”. Della partita elettorale è anche Michelangelo Chindamo l’eminenza grigia della ‘ndrangheta anche lui arrestato il 18 novembre 2014. Larosa si rivolge al boss con il voi. “Quando ci vediamo?”, chiede Chindamo e spiega: “Perché (di firme, ndr) ne ho trovate altre”. Larosa spiega che ne bastano “cinque o sei”, poi dice: “Diciamo che poi è più importante ancora di più il voto queste firme qua sono importanti ma il voto dopo è ancora più importante”

Inquietano e non poco alcune espressioni di Antonio Chindamo (altro politico intimidito nel 2012 e non indagato), il quale, all’epoca delle intercettazioni, è vice sindaco di Fino Mornasco. Il 16 marzo 2010, all’interno dell’ufficio tecnico del comune, Chindamo parla con un architetto e racconta l’episodio di una persona che lo ha minacciato. “Gli ho detto – spiega il politico – se il tuo discorso è quello di intimorirmi perche parli di pistole guarda hai sbagliato strada te lo dico subito (…) Tu sai qual è la mia provenienza? Le pistole le troviamo in ogni angolo del mondo”. Annotano i carabinieri: “Pasquale, fratello di Antonio Chindamo, già candidato nelle elezioni amministrative del 1975 per il comune di Fino Mornasco, nel 1996 viene coinvolto nell’operazione antimafia La notte dei fiori di San Vito bis”. L’indagine Arcobaleno, come detto, si occupa anche del boss Michelangelo Chindamo (nessuna parentela accertata con l’ex politico), scarcerato nel 2009 e riarrestato il 18 novembre 2014. Definito dal Ros di Milano, capo della locale di Fino Mornasco, il 31 luglio 2009 Chindamo viene controllato dalla polizia stradale a Lamezia Terme. L’auto su cui viaggia è intestata alla Omega Team srl di Casnate con Bernate, società riconducibile ai figli dell’ex vicesindaco.

Politici e boss. Contatti, relazioni, favori, voti. Ci sono le intercettazioni, ma ad oggi non c’è reato. Responsabilità politiche però sì e molti ora dovranno spiegare. Questa la feroce istantanea di uno dei territori più ricchi d’Italia.

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