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GAY

I gay devono morire sottovoce

Quarantanove più cinquantatré sono centodue corpi. Centodue corpi sdraiati come sono sdraiati i corpi con qualche pallottola presa di netto o di striscio, uno in fila all’altro, sono lunghi come due campi da calcio, uno in fila all’altro. La strage di Orlando nel pub Pulse (che tutti sottolineano come “locale gay” come se del Billionaire scrivessimo “locale champagne”, dell’oratorio il “bar dei credenti” e del lattaio “il ritrovo degli assetati”) ha dimensioni orrendamente grandi, più grandi della strage della Columbine (ah, quanta bella letteratura sulla Columbine) e con gli stessi spari strozzati confusi con la grancassa com’è stato al Bataclan; eppure questi chili di carne ferita e morta se ne parla con meno fervore, se ne scrive con il piglio annoiato di chi racconta cose troppo lontane e lette di striscio come si scorgono veloci le novità che riguardano una specie. Mica noi. Una specie.

Tutto questo tarpare il dolore sembra che sia dovuto, provate a pensarci, al fatto che fossero gay. Perché se vi dicessero che cinquanta persone sono morte mentre ballavano insieme, tutte giovani, sarebbe immediato il pensiero che potesse essere successo a un nostro figlio, un nostro fratello o un amico caro. Le persone più sono indefinite e più ci sono assimilabili secondo il contorto concetto che la pietà abbia bisogno di similitudine di razza, di caratteristiche, di colori e di orientamento sessuale e di credo religioso. Abbiamo una pietà settaria. Una pietà razzista. Se non ci assomiglia non riusciamo (e non vogliamo) a liberare empatia: troppa fatica, troppa umanità, troppo affetto.

(continua qui)

Diritto d’amare? La lezione di Francesco.

amare

Francesco Gagliardi, medico, coglie il cuore, appunto:

«Come molti sanno per un paio di anni sono stato un medico prelevatore della banca degli occhi di roma. In pratica quando una persona muore viene chiesto ai parenti più stretti se vogliono o meno donare i tessuti corneali. Qualora i parenti accettino firmano un modulo e viene attivato il centro. Sono tante le storie che potrei raccontare perché ogni donazione,ogni vita, ogni morte ha una storia a se, bella o brutta che sia. Però oggi mi sembra necessario raccontare la storia seguente. Il centro era stato avvisato che c’era un probabile donatore ma che c’era un piccolo problema: il donatore era gay. Problema numero uno il protocollo prevedeva tra i criteri di esclusione di una donazione proprio l’omosessualità. Faccio notare che ogni donazione sono due persone che tornano a vedere. In ogni caso ci viene detto che il donatore (uso questa parola per ribadire l’estrema generosità di chi dona gli organi) era in “coppia chiusa” da almeno 35 anni. Ripeto: 35 anni. Quindi il nostro primario si prende la responsabilità(tutto sulle spalle dei singoli) e si attiva il sistema. Io mi precipito nell’ospedale dove questo signore era morto e parlando con l’infermiere che aveva trattato il caso (altra brava persona) mi viene detto che mancava una firma perché la donazione era stata richiesta dal compagno del signore morto con cui viveva da 35 anni ma che non essendo questo giuridicamente nulla non poteva firmare. Si doveva aspettare la sorella che veniva dal nord Italia che era l’unica persona della famiglia con cui questo signore era rimasto in contatto in quanto era stato cacciato dalla famiglia 35 anni prima proprio per quella scelta d’amore che aveva fatto. Per farla breve succede questo : la sorella arriva e firma e io faccio il mio prelievo di cornee (ricordo:un prelievo due persone che tornano a vedere). Dopo un prelievo avevo l’abitudine,qualora i parenti fossero ancora lì, di andare a ringraziarli per il loro bel gesto. Quella volta uscii e mi diressi verso la sorella del signore che stava confabulando con altri due signori che mi sono stati presentati come gli altri due fratelli che seppure abitassero a roma non si erano presi la responsabilità di firmare in quanto erano 35 anni che non parlavano con il fratello. La cosa più ripugnante è che stavano redarguendo la sorella che non voleva cacciare il compagno di una vita del suo compianto fratello dalla casa che era intestata al defunto e che ora per legge apparteneva a loro ma che era occupata dall’altro “frocio”. Ognuno è quello che è ed è responsabile di quello che fa ma la cosa che più mi ha addolorato di questa storia è non aver potuto ringraziare chi ha permesso con la sua caparbietà di realizzare l’ultimo desiderio del suo compagno in quanto non essendo parente né niente non poteva avere accesso alla camera mortuaria dove venivano fatti i prelievi. Politici,preti, profittatori,pecore , conservatori,ignoranti ecc… possono parlare quanto vogliono e vomitare odio quanto vogliono ma io volevo cogliere l’occasione per ringraziare il compagno del signore morto per la sua lezione d’amore e chiedergli scusa per tutto il male che un paese ridicolo e inadatto gli ha fatto. Grazie».

(fonte)

A Rimini va in scena il Medioevo: secondo CL i gay si ammalano di più

NEWS_133832Al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini, Padre Giorgio Carbone cita uno studio secondo cui le coppie gay sia ammalerebbero molto più facilmente delle coppie eterosessuali. E, dopo di lui, il dottor Pucciti ci avvisa che un matrimonio tra gay al massimo può essere un “amplessonio” di dita infilate dentro le orecchie. Ma il Governo Renzi (che quest’anno a Rimini è presente in pompa magna) non ha nulla da ridire?

Ne ho scritto qui.

Gli omosessuali e la schiavitù

Un lavoro geniale di Luigi Castaldi:

Provo a parafrasare ciò che Pietro Citati scrive sul Corriere della Sera di oggi a commento del referendum irlandese. Lascio pressoché intatto il suo testo (sulla sinistra) apportando solo le opportune modifiche (sulla destra).

citati

(Anche) la ‘ndrangheta non sopporta i gay

Il figlio del boss viene scoperto dal padre su una chat gay ed è vivo grazie all’amore della madre. L’episodio è stato raccontato da Michele Prestipino, ex numero due della Direzione distrettuale di Reggio Calabria sotto la guida di Giuseppe Pignatone, a Klaus Davi durante il programma “KlausCondicio”. «Il ragazzo è salvo grazie alla madre. Ma se fosse stato per il padre, un potente boss locale, – ha detto Prestipino – non ci sarebbe stato scampo».

Il tutto perché il padre aveva scoperto che l’erede frequentava chat gay. «Essere omosessuale per uno ‘ndranghetista – ha raccontato Prestipino – ancora oggi è causa di vergogna, soprattutto se si è figli di un capo clan. Il giovane in questione ha potuto continuare a vivere la sua vita normalmente per un deciso intervento della madre. Se non fosse stato per lei il ragazzo sarebbe stato ucciso. Il figlio ora fa la sua vita, frequenta la scuola e nessuno l’ha mai toccato, nonostante tutti sappiano che è gay e frequenti chat per omosessuali. Quando si dice che c’è maschilismo, patriarcalità, la realtà è molto più complessa. Per uno che nella sua vita ha scelto non solo di essere mafioso ma anche di essere capo, rinunciare a fare del figlio maschio la propria appendice all’esterno o a dare la figlia femmina in matrimonio al figlio dell’altro boss per rafforzarsi ulteriormente non è una cosa semplice. Scoprire che il proprio erede è gay poi? Ma c’è una forza antagonista che interagisce, che è la forza di cui è portatrice la madre. Uccidere il figlio gay avrebbe comportato enormi rischi per la cosca in questione».

Bestiario omofobo

omofobia“Gli omosessuali? La tolleranza ci può anche essere ma se vengono messi dove sono sempre stati… anche nelle foibe”
Giancarlo Valmori (assessore all’ambiente di Albizzate)
Settembre 2008

“Boom dell’omosessualità? Se le ragazze la dessero meno… Il recente boom dell’omosessualità e soprattutto della prostituzione maschile con travestiti e viado, a mio avviso, è dovuto all’eccessiva disponibilità delle ragazze di oggi, al fatto che la danno via troppo facilmente”.
Filippo Berselli (Senatore Pdl)
Settembre 2008

“Parcheggi gratis per le famiglie, esclusi stranieri e coppie di fatto”
Roberto Anelli (sindaco di Alzano)
Dicembre 2009

“Se i miei figli fossero gay sarei preoccupata”
Daniela Santanchè
Marzo 2010

“Nella vita penso si debba provare tutto tranne due cose: i culattoni e la droga”
Renzo Bossi
Aprile 2010

“Essere gay? E’ come non pagare le tasse”
Rocco Buttiglione
25 Ottobre 2010

“Meglio guardare le belle ragazze che essere gay”
Silvio Berlusconi
2 Novembre 2010

Anna Paola Concia raccoglie il peggio qui.

La gente, me incluso, non è sempre buona o sempre cattiva.

blanco“Smettila di fare il mariconcito! Vuoi che ti iscriva a danza classica? E’ questo che vuoi? Cos’hai di sbagliato? Vai a giocare fuori come un bambino normale!”. Io invece mi precipito in camera. Strappo piangendo un foglio dal mio quaderno per i temi e scrivo: Io, Ricardo De Jesus Blanco, giuro di non rifare mai e poi mai quello che ho fatto oggi, altrimenti saranno guai. Dio mi è testimone. Lo firmo e metto la data. Lo chiudo in una busta e lo metto sotto il materasso.

Trentadue, forse trentatre anni dopo, mi viene in mente che non ero neanche riuscito a scrivere che cosa avevo fatto quel giorno, per paura che mia nonna potesse leggerlo e scoprirmi, e che scriverlo significasse una confessione. Una paura che mi sono portato addosso fino ai trent’anni, attraverso il mio primo e il mio secondo libro di poesie, senza mai osare di uscire allo scoperto sulle pagine bianche. Le poesie d’amore che ho avuto il coraggio di scrivere sono in seconda persona, in un “tu” neutro, senza genere; e nelle mie dediche ho usato solo iniziali; per M.K., per C.A.B., per C.S.B. Tutti quelli che ho amato, o quasi amato ― Michael, Carlos, Craig ― ridotti a lettere anonime, acronimi di una sessualità che mia nonna, speravo, non avrebbe mai immaginato. Rimanevo chiuso al sicuro nel mio armadio letterario.

Anche se dopo sono arrivato a pensare che quello in cui mi stavo nascondendo era più un armadio culturale. Dal momento che non potevo neanche iniziare a godermi il fatto di scrivere sulla mia identità sessuale, concentrai invece il mio lavoro sull’identità culturale e sulla negoziazione che vivevo come Cubano americano. Non che questo non fosse sinceramente importante per me (e continua ad esserlo). Ma in parte era il fatto di vivere all’ombra delle violenze di mia nonna che mi impediva di approfondire e di identificarmi con gli scrittori gay, molto meno dello scrivere sulla mia sessualità o sulle violenze di mia nonna. Semplicemente non ero uno di loro, ma ovviamente lo ero.

Ho ventisei anni quando visito Cuba per la prima volta. Stiamo pranzando dalla tía Mima quando apprendo che suo figlio Gilberto si è dato fuoco a otto anni ed è morto. Sento un’immediata vicinanza con questo bambino che non ho mai conosciuto. In un flash, mi ricordo quello che volevo dire/che sentivo quando scrivevo “o saranno guai”: quella disperata sensazione di voler metter fine alla mia vita anche io; quella tristezza profonda, radicata, che è stata la mia infanzia. Una tristezza che mi sono portato addosso da allora, secondo un altro psichiatra che mi ha diagnosticato una distimia, una forma lieve ma persistente di depressione.

A quarantuno anni ho realizzato che sono stato triste tutta la vita e che ho sempre scritto usando quel punto di vista psicologico. La malinconia che vedo negli altri, nel mondo mi ispira, e lo fanno i modi che troviamo per sopravvivere. Io lotto per catturare la tristezza e per trasformarla, grazie al linguaggio, in qualcosa di significativo, di bello. Anche se, per gran parte della mia carriera di scrittore, non ho mai scritto in modo cosciente per o sulla comunità gay, sento che per le mie tematiche sono sempre stato, senza esserne cosciente, uno scrittore gay: cercando di tirar fuori dai limoni una spremuta, dal fango dei castelli, dal dolore la bellezza.

Sarei diventato un poeta senza le violenze di mia nonna? Probabilmente sì, ma non lo stesso tipo di poeta, e, credo, non avrei prodotto nemmeno lo stesso tipo di opere. Ma nonostante questo, alla fine la sua ultima eredità era stata quella di instillare in me, senza volerlo, la comprensione della complessità dei comportamenti e delle emozioni umane. Avrei potuto tranquillamente concludere dicendo che mia nonna era una brutta stronza malefica, e finirla lì. Ma invece, attraverso di lei, ho capito che ci sono pochi dogmi quando parliamo delle relazioni tra le persone. La gente, me incluso, non è sempre buona o sempre cattiva.

Richard Blanco da leggere, oggi, su HP.