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genitorialità

La festa alle mamme

Un altro giorno da reality show è passato. Con i politici che festeggiano la mamma senza proporre soluzioni per sostenere le donne madri. Che nel 2020 in tante hanno perso il lavoro o vi hanno rinunciato per seguire i figli. Anche perché mancano gli asili nido

In questo tempo in cui tutti i giorni i politici non possono permettersi di dimenticare di onorare le feste ieri si è assistito a un profluvio di auguri dei leader (e pure di quelli meno leader) alle loro mamme e a tutte le mamme d’Italia (i patriottici) e a tutte le mamme del mondo (i globalisti). Ci siamo abituati, senza nemmeno farci più troppo caso, ad aspettarci dai politici gli stessi input di un influencer, mettiamo il mi piace alla sua foto con la mamma e ci scaldiamo per un augurio pescato su qualche sito di aforismi.

Le mamme, dunque. Su 249mila donne che nel corso del 2020 hanno perso il lavoro, ben 96 mila sono mamme con figli minori. Tra di loro, 4 su 5 hanno figli con meno di cinque anni: sono quelle mamme che a causa della necessità di seguire i bambini più piccoli hanno dovuto rinunciare al lavoro o ne sono state espulse. D’altronde la quasi totalità – 90mila su 96mila – erano già occupate part-time prima della pandemia. È questo il quadro che emerge dal 6° Rapporto Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021, diffuso in occasione della Festa della mamma da Save the Children. Uno studio sulle mamme in Italia che, oltre a sottolineare le difficoltà affrontate fa emergere ancora una volta il gap tra Nord e Sud del Paese.

Già prima della pandemia la scelta della genitorialità, soprattutto per le donne, è spesso interconnessa alla carriera lavorativa. Stando ai dati, nel solo 2019 le dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro di lavoratori padri e lavoratrici madri hanno riguardato 51.558 persone, ma oltre 7 provvedimenti su 10 (37.611, il 72,9%) riguardavano lavoratrici madri e nella maggior parte dei casi la motivazione alla base di questa scelta era la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze della prole.

Lo «shock organizzativo familiare» causato dal lockdown, secondo le stime, avrebbe travolto un totale di circa 2,9 milioni di nuclei con figli minori di 15 anni in cui entrambi i genitori (2 milioni 460 mila) o l’unico presente (440 mila) erano occupati. Lo «stress da conciliazione», in particolare, è stato massimo tra i genitori che non hanno potuto lavorare da casa, né fruire dei servizi (formali o informali) per la cura dei figli: si tratta di 853mila nuclei con figli 0-14enni, nello specifico 583mila coppie e 270mila monogenitori, questi ultimi in gran parte (l’84,8%) donne.

Il problema è urgente: nonostante gli asili nido, dal 2017, siano entrati a pieno titolo nel sistema di istruzione, ancora oggi questa rete educativa è molto fragile e, in alcune regioni, quasi inesistente. Una misura necessaria a dare ai bambini maggiori opportunità educative sin dalla primissima infanzia, che contribuirebbe a colmare i rischi di povertà educativa per le famiglie più fragili, ma anche a riportare le donne e in particolare le madri nel mondo del lavoro. La Commissione europea ha indicato come obiettivo minimo entro il 2030 per ciascun Paese membro di almeno dimezzare il divario di genere a livello occupazionale rispetto al 2019 ma per l’Italia, numeri alla mano, la missione sembra praticamente impossibile.

In un Paese normale nel giorno della Festa della mamma i politici non festeggiano la mamma ma illustrano le proposte. La politica funziona così: c’è un tema e si propongono soluzioni. Il dibattito politico ieri era polarizzato sui disperati che sono sbarcati (vedrete, ora si ricomincia) e su una libraia (una!) che ha liberamente scelto di non vendere il libro di Giorgia Meloni (censura! censura! gridano tutti).

E intanto un altro giorno da reality show è passato.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Le quote mamme

Conciliare lavoro e famiglia per le donne italiane è una pratica funambolica. Lo confermano gli ultimi dati Istat che disegnano uno scenario ormai noto. C’è uno scarto di 11 punti tra occupazione maschile e femminile in mancanza di figli (76% maschi, 65% femmine) e uno di ben 32 punti con l’arrivo del primo pupo (90% i papà, 58% le mamme occupate). La forbice tra maschi e femmine si allarga con il secondo bambino con solo il 51% delle donne che restano al lavoro (mentre il tasso di occupazione dei papà resta invariato) fino ad aprirsi sguaiatamente con l’arrivo del terzo o quarto bambino (in tal caso è il 34% delle donne a restare al lavoro contro l’85% degli uomini). Il congedo parentale obbligatorio per i papà di tre giorni, un altro degli atti simbolici del Governo attuale, resta un inutile ago nel pagliaio dell’inadeguatezza e totale insensibilità dell’esecutivo davanti alla questione. Perché se è vero che c’è un elemento culturale che vuole la donna italiana relegata nello stilema dell’angelo del focolare, c’è da dire che il tema è tutto fuorché una mera questione familiare. Un ruolo rilevante lo giocano in primis istituzioni – che hanno scaricato totalmente sulle donne la cura di bambini e anziani, e che con la chiusura dei rubinetti alle politiche sociali renderanno la pratica di sostituzione del sistema di welfare a carico delle donne insostenibile – e impresa dove, come afferma la giuslavorista Roberta Bortone sul Fatto quotidiano, “il lavoro è ancora apprezzato in termini tayloriani” e “vige la presunzione per cui un figlio finisce a carico delle cure femminili”.

Un articolo sulla genitorialità per ripensare l’organizzazione sociale. Perché tra questo chiasso di riformismo e riformisti un po’ di modernità, su questo punto, sarebbe una bella notizia.