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Minniticrazia capitolo secondo: promosso anche l’ex vicequestore che accusò i manifestanti di aver ucciso Giuliani

Ne scrive Matteo Pucciarelli su Repubblica:

Nell’immagine, il filmato nel quale si vede Lauro (l’agente in primo piano) lanciare un sasso contro i manifestanti il 20 luglio 2001, a Genova

Il poliziotto Adriano Lauro, 54 anni, è stato nominato questore di Pesaro. Era in piazza Alimonda il giorno in cui venne ammazzato Carlo Giuliani, il 20 luglio 2001. Ma diventò famoso soprattutto per un altro motivo. Quando i manifestanti che assistettero alla morte di Giuliani cominciarono a urlare “assassini, assassini” in direzione degli agenti, lui rispose andando ad inseguire un no global “lo hai ammazzato tu, sei stato tu con le pietre, pezzo di m….”. Pietre che in realtà poco prima aveva lanciato lui in direzione dei no-global.

Lo stesso funzionario venne duramente criticato nella causa civile promossa dai genitori di Carlo Giuliani (finita con un’archiviazione)  per non aver impedito che un poliziotto o un carabiniere mai identificato colpisse in testa con una pietra Carlo, steso a terra e ormai privo di vita dopo essere stato raggiunto dal proiettile esploso dal carabiniere Mario Placanica.

Dopo aver prestato servizio a Roma e poi alla polizia ferroviaria in Campania, adesso la promozione nella città marchigiana.

«Merda. Fai schifo»: così il comitato elettorale del neosindaco di Genova Bucci ha accolto il giornalista Ferruccio Sansa

Intanto tutta la mia solidarietà a Ferruccio. Ecco la cronaca dei fatti:

Sono le 23,50 di ieri sera ed entro nel comitato elettorale di Marco Bucci, appena eletto sindaco di Genova. Sto facendo il mio lavoro di cronista. E subito vengo accolto da insulti. Gruppi di persone che mi rivolgono sguardi minacciosi e poi rincarano la dose: “Ecco lo schifoso”, dice una donna che si qualifica così: “Sono la sorella del sindaco”. Vero o falso? Poco importa, ma comunque un dettaglio che merita risposta.

Non è finita: passo vicino a un gruppo di signori con gli occhi accesi dall’eccitazione: “Sento puzza di merda”, dicono appena mi vedono. Poi aggiungono: “E’ come suo padre, li conosciamo. C’è puzza di merda”. Intanto altri si aggiungono, sento voci alle mie spalle: “Infame, schifoso, vattene”. Un gruppo di ragazzi mi si stringe intorno. Qualcuno minaccia: “Non provare ad avvicinarti”. Chiedo spiegazioni, ma com’è tipico di certa mentalità fascista, vigliacca, tutti negano, tutti abbassano lo sguardo appena li guardi negli occhi: “Abbiamo solo detto che c’è puzza di merda”.

Poi la ciliegina finale: mi piomba davanti Francesco Carleo, neo-eletto presidente del Municipio Levante di Genova. Una persona quindi che oltre a essere un ex carabiniere, da oggi rappresenta le istituzioni. Un uomo, vicino a Bucci, noto per le sue simpatie di destra. Mi si piazza a un centimetro dal viso e mi alita in faccia: “Vergognati, giornalaio, devi vergognarti. Hai scritto delle falsità. Tu non conosci la storia!”.

Di che cosa parlava: di un articolo che ho scritto in cui raccontavo che sul profilo Facebook di Carleo sono condivisi link in cui si esalta l’opera del Duce che avrebbe “portato le università in Italia”, “che avrebbe portato le pensioni in Italia”. Ecco, questo Carleo, basta andare a vedere la sua bacheca (ammesso che non abbia cancellato tutto, comunque noi abbiamo gli screenshot).

Chiedo allora spiegazioni al consigliere regionale Matteo Rosso(ex Forza Italia poi ricollocato in Fratelli d’Italia) che abbandonata la sua abituale cortesia, già fa mostra dei toni del padrone della città: “Tu sei un giornalista di parte”. Ma quale parte, se in questi anni non ho risparmiato critiche – e ben dure – anche a Pd e Cinque Stelle?

Infine mi rivolgo a Marco Bucci. Come sindaco della mia città, quindi anche mio: “Se mi fa queste domande neanche le rispondo”, esordisce e fa per andarsene. Aggiunge: “Non mi faccia perdere tempo”. Ancora: “Io non ci credo”. Gli ricordo che il suo presidente di Municipio, Carleo, condivide immagini del Duce. Gli chiedo cosa ne pensi: “Se non lo vedo, non ci credo”, conclude mentre entriamo a Palazzo Tursi. Il municipio. La casa dei genovesi.

Ma io non mi sono mai sentito tanto estraneo nella mia città. Non la riconosco più.

(fonte)

Ora Londra ammette: «quel black bloc a Genova era un nostro poliziotto»

(un articolo da ritagliare di Marco Grasso per Il Secolo XIX)

Rod Richardson fotografato a Genova

C’è una foto, nei giorni del G8 di Genova del 2001, che lo riprende davanti a una barricata. Rod Richardson posa fiero davanti all’obiettivo, coperto da un caschetto, una mascherina da saldatore e una maschera antigas. Fisico asciutto e muscoloso, maglietta scura, pantaloni da lavoro comodi, un fazzoletto al collo per i lacrimogeni. Sembra un perfetto “black bloc”. A sedici anni dal vertice è la polizia inglese, incalzata da una commissione parlamentare d’inchiesta di Londra, a svelare la verità: Rod Richardson era un poliziotto infiltrato, che assunse l’identità di un bimbo morto e visse sotto copertura tra i movimenti anarchici inglesi per almeno quattro anni.

L’identità del bimbo morto

È la prima volta in sedici anni che arriva una conferma ufficiale a quanto gli attivisti del Genoa Social Forum hanno sempre denunciato: erano presenti anche «provocatori» mischiati tra i manifestanti del blocco nero, tra i quali appartenenti a forze dell’ordine. Cosa ha fatto durante gli scontri del G8 e che ruolo ha avuto Rod Richardson? Chi lo coordinava e quale era il suo ruolo? Ha effettuato solo un’attività di intelligence o si è spinto anche a commettere reati? La polizia italiana era stata informata dai colleghi inglesi?

La rivelazione è il risultato di anni di lavoro della commissione guidata dal magistrato inglese Sir Christopher Pitchford, il cui mandato è di fare luce sull’uso disinvolto (in alcuni casi c’è il sospetto di veri e propri abusi) degli agenti undercover infiltrati dalla polizia britannica, e in particolare dalla special political unity, una sorta di corrispettivo della Digos italiana. Nell’istruttoria sta venendo fuori un po’ di tutto. Perquisizioni e monitoraggi illegittimi di movimenti politici, agenti che non si capisce esattamente a chi rispondessero e quali funzioni svolgessero, fino ad arrivare a drammi sentimentali: c’è chi, sotto nome falso, ha intrattenuto relazioni sentimentali e sessuali, o chi ha fatto un figlio e poi è “scomparso”. Il sospetto dei magistrati, che investe in qualche modo anche Genova, è anche un altro: che libertà di azione avevano gli agenti sotto copertura? Hanno commesso reati o hanno agito da provocatori? Hanno coordinato o organizzato azioni violente? E, in tutto questo, a chi riferivano e quale era la loro missione?

A queste domande la polizia metropolitana di Londra ha rifiutato di rispondere. Così come la commissione si è vista negare l’accesso alla vera identità di Richardson. Il quotidiano inglese The Guardian ha però rintracciato la madre del vero Rod Richardson, nato il 5 gennaio del 1973 e morto lo stesso giorno al St George Hospital di Tooting, per problemi respiratori o forse perché rimasto soffocato dal latte (questa è sempre stata la convinzione dei genitori): «Riteniamo che un ufficiale di polizia abbia rubato l’identità del bimbo – ha testimoniato l’avvocato della famiglia Jules Carey davanti alla commissione – e che sia stato impiegato sotto copertura almeno dal 2000 al 2003». Dopo quell’anno infatti parte per un viaggio in Australia e, dopo aver scritto ad alcuni amici che si stabilirà lì perché la compagna ha trovato un lavoro all’università, nessuno ne sente più parlare.

A certificare il suo passaggio da Genova nei giorni del 2001 ci sono svariate testimonianze e alcune fotografie, fornite da alcuni ex compagni di lotta, sotto choc dopo la rivelazione dell’identità del finto attivista. Una delle immagini ritrae il poliziotto davanti a un’auto in fiamme in corso Italia, una delle micce che scatenò successivamente le cariche della polizia, talvolta indiscriminate e indirizzate a parti pacifiche del corteo, mentre i manifestanti del blocco nero, sgattaiolavano per le vie della città in cerca di altri obiettivi. In un’altra foto Richardson appare bardato con le coperture delle tute bianche, in una zona che presumibilmente potrebbe essere compresa tra via Tolemaide e corso Torino. Alcuni ex attivisti hanno raccontato come “Rodders”, soprannome con cui era conosciuto tra nella galassia del «movimento anticapitalista», fosse un «bravo ragazzo», particolarmente «sprezzante nel violare la legge e affrontare i poliziotti» negli scontri di piazza. Impossibile o quasi sospettare che fosse un agente: un amico ha ricordato ai media britannici di una serata al karaoke in cui si scatenò cantando “Firestarter” dei Prodigy.

Accertamenti della Procura

La domanda ha sfiorato molti manifestanti reduci del G8: chi erano i black bloc, come si erano organizzati, e per quale motivo è stata così inefficace la loro identificazione e neutralizzazione? La polizia italiana – durante i processi a membri delle forze dell’ordine per le violenze e i depistaggi alla scuola Diaz, alle torture nella caserma di Bolzaneto e in quelli a carico dei manifestanti accusati di saccheggio e devastazione – ha sottolineato più volte la scarsa collaborazione da parte di polizie straniere.

Chi è davvero Rod Richardson, cosa ha fatto per le strade di Genova nel 2001, e a chi rispondeva? La Procura di Genova è stata informata dei recenti sviluppi dell’inchiesta della commissione britannica e segue con attenzione l’istruttoria. Non è escluso che il caso possa portare a nuovi accertamenti anche in Italia, per quanto, sedici anni dopo, anche il reato di devastazione e saccheggio, che prevede pene durissime, sia avviato alla prescrizione.

G8 di Genova: la verità è resistenza

Non è rimasto sangue solo sui muri della scuola Diaz a Genova, in quel 2001 che è stato l’anno delle prove generale del mondo che poi è stato. Bisognerebbe partire dalla considerazione che il sangue, tossico, ha inquinato una narrazione che non riesce a svicolare dal pregiudizio. Tutto quello che crediamo di sapere su Genova è falsato dalla miopia. Carlo Giuliani e piazza Alimonda, ad esempio, sono figli di una perversione disinformata: basterebbe prendersi il tempo di leggere l’inchiesta “L’orrore in piazza Alimonda” per avere coscienza di una millanteria diventata storia.

Ma perché eravamo in piazza a Genova in quel 2001? Il cosiddetto movimento “no global” altro non era che l’inizio di quel largo sentimento anti establishment che oggi è maturato e attraversa l’Europa. Dietro lo slogan “un altro mondo possibile” c’era il desiderio di un movimento transnazionale che puntasse alla giustizia sociale senza i condizionamenti sciacalli delle multinazionale. Oggi, 15 anni dopo, la lobby è delineata e riconoscibile: la finanza, nelle sue forme più malate, è la fotografia della multinazionale che tiene i fili del mondo.

Forse varrebbe la pena ricordare che lo spettro della globalizzazione che aleggiava su Genova già nel 2001 aveva le sembianze del Fondo Monetario Internazione e del WTO. Ancora una volta la Storia rimette le questioni a posto e gli allarmisti diventano profeti. A Genova le istanze che stavano in piazza (osteggiate dai manganelli facili al servizio del potere) oggi sono diventate un vento politico. Nonostante le botte.

La giornalista canadese Naomi Klein (autrice di quel libro, No Logo, che è un manifesto) e l’intellettuale americano Noam Chomsky oggi sono i testimonial mainstream degli stessi principi che si concentrarono a Genova quindici anni fa. Nonostante gli sforzi della retorica del potere nelle strade della capitale ligure non c’erano “giovani balordi e incappucciati”; a Geniva sfilarono l’Arci, le miti Acli, i sindacati con la FIOM in testa, Legambiente, il WWF, diverse associazioni religiose, la rete Lilliput e il mondo della cooperazione internazionale e molte altre realtà volutamente estromesse dalla memoria. I cosiddetti “antagonisti” (altra definizione cara all’inquinamento della memoria) erano le più importanti realtà associative del Paese.

Così mentre oggi ci si riaccapiglia ancora su spari, pietre e estintore sarebbe il caso di resistere ripristinando la verità, se non la giustizia.

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Ti torturo sì, ma ti lascio la mancia

Tortura

45000 euro offerti dal Ministero degli Esteri alla Corte Europea per una “conciliazione amichevole” per chiudere i ricorsi sulle violenze commesse all’interno della caserma Bolzaneto a Genova nel 2001.

E nemmeno un Rolex, pensa te.

Ma i 180 milioni di euro che la Lega ha preso (e speso indebitamente) da Roma ladrona?

(Un pezzo di Francesco Giurato e Antonio Pitoni per Il Fatto Quotidiano)

Dalla Lega Lombarda alla Lega Nord, transitando dalla prima alla seconda repubblica a suon di miliardi (di lire) prima e milioni (di euro) poi generosamente elargiti dallo Stato. Dal 1988 al 2013sono finiti nelle casse del partito fondato da Umberto Bossi e oggi guidato da Matteo Salvini, dopo la parentesi di Roberto Maroni, 179 milioni 961 mila. L’equivalente di 348 miliardi 453 milioni 826 mila lire. Una cuccagna, sotto forma di finanziamento pubblico e rimborsi elettorali, durata oltre un quarto di secolo. Ma nonostante l’ingente flusso di denaro versato nei conti della Lega oggi il piatto piange. Ne sanno qualcosa i 71 dipendenti messi solo qualche mese fa gentilmente alla porta dal Carroccio. Sorte condivisa anche dai giornalisti de “La Padania”, storico organo ufficiale del partito, che ha chiuso i battenti a novembre dell’anno scorso non prima, però, di aver incassato oltre 60 milioni di euro in 17 anni. Insomma, almeno per ora, la crisi la pagano soprattutto i dipendenti. In attesa che la magistratura faccia piena luce anche su altre responsabilità. A cominciare da quelle relative allo scandalo della distrazione dei rimborsi elettorali, che l’ex amministratore della Lega Francesco Belsito avrebbe utilizzato in parte per acquistare diamanti, finanziare investimenti tra Cipro e la Tanzania  e per comprare, secondo l’accusa, perfino una laurea in Albania al figlio prediletto del Senatùr, Renzo Bossi, detto il Trota. Vicenda sulla quale pendono due procedimenti penali, uno a Milano e l’altro a Genova.

MANNA LOMBARDA Fondata nel 1982 da Umberto Bossi, è alle politiche del 1987 che la Lega Lombarda, precursore della Lega Nord, conquista i primi due seggi in Parlamento. E nel 1988, anno per altro di elezioni amministrative, inizia a beneficiare del finanziamento pubblico: 128 milioni di lire (66 mila euro). Un inizio soft prima del balzo oltre la soglia del miliardo già nel 1989, quando riesce a spedire anche due eurodeputati a Strasburgo: 1,03 miliardi del vecchio conio (536 mila euro) di cui 906 milioni proprio come rimborso per le spese elettorali sostenute per le elezioni europee. Somma che sale a 1,8 miliardi lire (962 mila euro) nel 1990, per poi scendere a 162 milioni (83 mila euro) nel 1991 alla vigilia di Mani Pulite. Nel 1992 la Lega Lombarda, diventata proprio in quell’anno Lega Nord, piazza in Parlamento una pattuglia di 55 deputati e 25 senatori. E il finanziamento pubblico lievita a 2,7 miliardi di lire (1,4 milioni di euro) prima di schizzare, l’anno successivo, a 7,1 miliardi (3,7 milioni di euro). Siamo nel 1993: sulla scia degli scandali di tangentopoli, con un referendum plebiscitario (il 90,3% dei consensi) gli italiani abrogano il finanziamento pubblico ai partiti. Che si adoperano immediatamente per aggirare il verdetto popolare, introducendo il nuovo meccanismo del fondo per le spese elettorale (1.600 lire per ogni cittadino italiano) da spartirsi in base ai voti ottenuti. Un sistema che resterà in vigore fino al 1997 e che consentirà alla Lega di incassare 11,8 miliardi di lire (6,1 milioni di euro) nel 1994, anno di elezioni politiche che fruttano al Carroccio, grazie all’alleanza con Forza Italia, una pattuglia parlamentare di 117 deputati e 60 senatori. Nel 1995 entrano in cassa 3,7 miliardi (1,9 milioni di euro) e altri 10 miliardi (5,2 milioni di euro) nel 1996.

RIMBORSI D’ORO L’anno successivo, nuovo maquillage per il sistema di calcolo dei finanziamenti elettorali. Arriva «la contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici», che lascia ai contribuenti la possibilità di destinare il 4 per mille dell’Irpef(Imposta sul reddito delle persone fisiche) al finanziamento di partiti e movimenti politici fino ad un massimo di 110 miliardi di lire (56,8 milioni di euro). Non solo, per il 1997, una norma transitoria ingrossa forfetariamente a 160 miliardi di lire (82,6 milioni di euro) la torta per l’anno in corso. E, proprio per il ’97, per la Lega arrivano 14,8 miliardi di lire (7,6 milioni di euro) che scendono però a 10,6 (5,5 milioni di euro) iscritti a bilancio nel 1998. Un campanello d’allarme che suggerisce ai partiti l’ennesimoblitz normativo che, puntualmente, arriva nel 1999: via il 4 per mille, arrivano i rimborsi elettorali (che entreranno in vigore dal 2001). In pratica, il totale ripristino del vecchio finanziamento pubblico abolito dal referendum del 1993 sotto mentite spoglie: contributo fisso di 4.000 lire per abitante e ben 5 diversi fondi (per le elezioni della Camera, del Senato, del Parlamento Europeo, dei Consigli regionali, e per i referendum) ai quali i partiti potranno attingere. Con un paletto: l’erogazione si interrompe in caso di fine anticipata della legislatura.

ELEZIONI, CHE CUCCAGNA Intanto, sempre nel 1999, per la Lega arriva un assegno da 7,6 miliardi di lire (3,9 milioni di euro), cui se ne aggiungono altri due da 8,7 miliardi (4,5 milioni di euro) nel 2000 e nel 2001. E’ l’ultimo anno della lira che, dal 2002, lascia il posto all’euro. E, come per effetto dell’inflazione, il contributo pubblico si adegua alla nuova valuta: da 4.000 lire a 5 euro, un euro per ogni voto ottenuto per ogni anno di legislatura, da corrispondere in 5 rate annuali. E per la Lega, tornata di nuovo al governo nel 2001, è un’escalation senza sosta: 3,6 milioni di euro nel 2002, 4,2 nel 2003, 6,5 nel 2004 e 8,9 nel 2005. Una corsa che non si arresta nemmeno nel 2006, quando il centrodestra viene battuto alle politiche per la seconda volta dal centrosinistra guidato da Romano Prodi: nonostante la sconfitta, il Carroccio incassa 9,5 milioni e altri 9,6 nel 2007. Niente a confronto della cuccagna che inizierà nel 2008, quando nelle casse delle camicie verdi finiscono la bellezza di 17,1 milioni di euro.

CARROCCIO AL VERDE E’ l’effetto moltiplicatore di un decreto voluto dal governo Berlusconi in base al quale l’erogazione dei rimborsi elettorali è dovuta per tutti i 5 anni di legislatura, anche in caso discioglimento anticipato delle Camere. Proprio a partire dal 2008, quindi, i partiti iniziano a percepire un doppio rimborso, incassando contemporaneamente i ratei annuali della XV e della XVI legislatura. Nel 2009 il partito di Bossi sale così a 18,4 milioni per toccare il record storico con i 22,5 milioni del 2010. Anno in cui, sempre il governo Berlusconi, abrogherà il precedente decreto ponendo fine allo scandalo del doppio rimborso. E anche i conti della Lega ne risentiranno: 17,6 milioni nel 2011. La cuccagna finisce nel 2012 quando il governo Monti taglia il fondo per i rimborsi elettorali del 50%. Poi la spallata finale inferta dall’esecutivo di Enrico Letta che fissa al 2017 l’ultimo anno di erogazione dei rimborsi elettorali prima della definitiva scomparsa. Per il Carroccio c’è ancora tempo per incassare 8,8 milioni nel 2012 e 6,5 nel 2013. Mentre “La Padania” chiude i battenti e i dipendenti finiscono in cassa integrazione.

FINANZIAMENTI E RIMBORSI ELETTORALI ALLA LEGA NORD

(1988-2013)

1988 € 66.249,25 (128.276.429 lire)
1989 € 536.646,25 (1.039.092.041 lire)
1990 € 962.919,55 (1.864.472.246 lire)
1991 € 83.903,87 (162.460.547 lire)
1992 € 1.416.991,83 (2.743.678.776 lire)
1993 € 3.707.939,87 (7.179.572.723 lire)
1994 € 6.125.180,49 (11.860.003.225 lire)
1995 € 1.915.697,39 (3.709.307.393 lire)
1996 € 5.207.659,00 (10.083.433.932 lire)
1997 € 7.648.834,36 (14.810.208.519 lire)
1998 € 5.518.448,11 (10.685.205.533 lire)
1999 € 3.947.619,62 (7.643.657.442 lire)
2000 € 4.539.118,41 (8.788.958.807 lire)
2001 € 4.511.422,19 (8.735.332.610)
2002 € 3.693.849,60
2003 € 4.284.061,62
2004 € 6.515.891,41
2005 € 8.918.628,37
2006 € 9.533.054,95
2007 € 9.605.470,43
2008 € 17.184.833,91
2009 € 18.498.092,86
2010 € 22.506.486.93
2011 € 17.613.520,09
2012 € 8.884.218,85
2013 € 6.534.643,57

TOTALE 179.961.382,78

Un’intervista. Fuori dal teatro.

Schermata del 2015-09-22 09:04:05(di Daniele Ceccherini, fonte)
Genova 

In occasione della rassegna “Bellezza dell’arte al cinema” durante la quale c’è stata l’intitolazione dell’Arena nei giardini E.Guerra a Peppino Impastato, abbiamo intervistato Giulio Cavalli che allAlbatros di via Rogerrone (Genova, Rivarolo).’ è andato in scena con il suo spettacolo teatrale “Nomi, Cognomi e Infami“.

Giulio Cavalli scrittore e autore teatrale è noto per il suo impegno con spettacoli e monologhi teatrali di denuncia alla criminalità organizzata. Collabora con varie testate giornalistiche e ha pubblicato diversi libri d’inchiesta tra cui recentemente Mio padre in una scatola di scarpe.

Nomi, Cognomi e Infami è il mio spettacolo più longevo, è del 2006, è il tentativo di raccontare che la risata contro la mafia funziona… Mi dispiace che in questo paese l’antimafia culturale sia demandata tutta ad una sorta di volontariato e non ci sia un progetto istituzionale, io credo che il teatro sia il metodo migliore perché non ci sono mediazioni… Nel giornalismo ho usato l’inchiesta per cercare di capire cosa mi stava accadendo e per dare delle spiegazioni, perché per non essere delegittimato bisogna avere dei dati dietro, il teatro è l’occasione di poter parlare di alcuni angoli nascosti mettendoci la faccia. Il teatro civile in Italia è sempre molto strano, perché il teatro civile nasce come movimento culturale per poter riaprire processi che si sono archiviati, in Italia invece è quasi sempre un funerale laico molto tranquillo… L’ultimo libro Mio padre in una scatola di scarpe, è una storia vera di una famiglia di Mondragone convinta che basti non avere a che fare con la mafia per non avere problemi e invece proprio in quella famiglia c’è una vittima che è il padre. In questo paese secondo me ci siamo affezionati tantissimo ai paladini dell’antimafia, all’eroe senza macchia e ci siamo dimenticati di sapere che abbiamo il dovere di affezionarsi anche al diritto ad avere paura… Mi fanno più paura alcuni pezzi delle istituzioni che i mafiosi. I mafiosi che sono riusciti a ripulirsi e diventare istituzioni più che paura sono una preoccupazione più che per me per il bene di questo paese.”

Ecco l’intervista video integrale a Giulio Cavalli: