L’Italia dei Zonin
Sequestrati 19 milioni di euro di beni nella villa dell’ex presidente della Banca Popolare di Vicenza Gianni Zonin. Scrive il Corriere:
“A chiedere il sequestro conservativo, disposto dal gup Venditti, sono stati gli avvocati Renato Bertelle e Michele Vettore – presenti nella villa durante l’attività di inventario dei beni – rispettivamente per 15,5 milioni di euro in rappresentanza di 235 ex risparmiatori, e per 3,8 milioni a nome di altri 41 ex azionisti. «Il sequestro riguarda beni mobili – hanno spiegato i due legali – ovvero opere d’arte, preziosi e tutto ciò che si ritiene abbia un valore all’interno della casa. A breve entreremo a revisionare le due casseforti presenti. Al termine di questo inventario i beni resteranno qui perché spostarli sarebbe pericoloso e costoso, ma sarà nominato un custode, indicativamente il figlio Michele (che è il proprietario dell’immobile, ndr), e i beni resteranno sotto sequestro fino a quando non si procederà con il pignoramento o con la liberazione dal sequestro a fine processo». In caso di condanna serviranno a risarcire i risparmiatori che si sono costituiti parte civile o che faranno causa per danni. Nella villa è presente anche un antiquario esperto in opere d’arte che dovrà valutare gli oggetti di valore. Le operazioni sono solo all’inizio e proseguiranno anche domani. «La villa è molto grande – ha spiegato Bertelle – e gli oggetti che stiamo trovando sono sicuramente di grande pregio, direi importanti».”
Dell’Italia dei Zonin ne parliamo nello spettacolo “Sono tutti uguali” che con Giuseppe Civati abbiamo preparato qualche mese fa. E vale la pena rileggerlo:
Un privilegiato lo riconosci dalla postura che tiene nel tempo libero. L’oppressione non è qualcosa che ti compare sul petto come un ciondolo e nemmeno una favola da raccontare nelle interviste. Se ci pensate bene l’oppressione non sta nemmeno nell’estratto conto in banca, di ognuno di noi. L’oppressione è più la sensazione di avere una colpa e non riuscire a darle una forma e un nome, è il pensiero fisso di non avere diritto alla serenità, convinti di avere fallito da qualche parte e si passa tutto il tempo a ripercorrere il proprio tempo e le proprie azioni, frugandoci dentro, perché all’oppresso solleverebbe trovare l’incrocio, il bivio, dove ha sbagliato qualcosa. E invece niente. Gli oppressi, i diseguali che stanno in fondo, gli incapaci di avere speranza non li riconosci come scrive qualche giornale o come ci insegna qualche Briatore sul posto di lavoro: lì lavorano, aggrappati. Si lasciano andare nei tempi intermedi, nelle tratte pendolari, in coda alla cassa dei supermercati, nel fastidio con cui vorrebbero disinteressarsi delle notizie dei telegiornali, nella vergogna con cui confessano di non poter promettere un futuro più lungo del fine mese, nella rabbia con cui stringono le borse di plastica impigliate sul bus, per strozzarle. E ogni gesto, minimo, è una resistenza alla voglia feroce di lasciarsi andare. E invece resistono. Questi invece no.
Fred Goodwin, nonostante il cognome, affondò la Royal Bank in Scozia (perdite per decine di miliardi di sterline) speculando sui mutui e trascinandola in un’assurda politica di acquisizioni. Oggi ha una pensione da 350 mila sterline e si dedica al restauro di auto d’epoca. James di cognome fa Cayne e guidava la Bear Stearns. Una banca d’investimenti internazionale con una sfavillante sede a New York. Una di quelle che è diventata cenere dopo la bolla del mercato immobiliare americano. «Colpa della mancanza di fiducia», dicevano i guru della finanza, quelli che sanno sempre chi sono i responsabili, quelli che hanno sempre la diagnosi ma chissà perché non indovinano mai una cura. Il giorno che la banca è saltata in aria James Cayne, azionista di maggioranza, non si trovava: stava giocando a golf. Veniamo a noi. Giuseppe è Mussari. Giuseppe Mussari. L’uomo che si mise in testa con MPS di acquistare Antonveneta per l’astronomica cifra di 9 miliardi di euro. La fame dei banchieri, del resto, deve essere un vizio atavico, solo che il boccone questa volta è troppo grosso e rimane incastrato in gola: MPS salta. Salta anche un dirigente MPS dalla finestra, in uno dei nostri suicidi suicidati tutti italiani. Era David Rossi e aveva deciso di dire tutto quello che sapeva. Ma è morto prima. Suicidio, ovviamente. La caduta. Del sistema bancario. Delle azioni. E delle persone. Un’immagine violenta, dolorosa, nel centro del sistema, dal palazzo del potere. Defenestrazione. Mussari e altri manager del gruppo sono accusati di ostacolo alle funzioni di vigilanza (condanna in primo grado a tre anni e sei mesi a Siena), falso in bilancio e aggiotaggio. Ma lui, Giuseppe, è tranquillo. La catena di hotel è intestata alla moglie che per uno scherzo del destino continua a pagare le rate dei prestiti ottenuti da MPS. ,
L’uomo simbolo delle cadute fragorose e degli quali però è sempre lui: Gianpiero Fiorani ex numero uno della Banca Popolare di Lodi diventata, sotto la sua guida, la banca più impopolare d’Italia. Un passato fatto di scivolose scalate (come quella all’Antonveneta), soldi in nero a Singapore e baci in fronte all’ex Governatore della Banca d’Italia Fazio. Uno che passava in scioltezza dagli austeri uffici della finanza alle allegre scampagnate in barca con Lele Mora, ha truffato la sua banca e i suoi clienti, ha confessato molto, ha restituito 34 milioni di euro, e s’è fatto anche il carcere. Oggi è al fianco del padrone dello Spezia Calcio Gabriele Volpi che possiede anche la Pro Recco di pallanuoto per organizzare un’attività di logistica nel settore petrolifero in Nigeria. La sua famiglia ha investito in energie rinnovabili, negozi, un lussuoso ristorante in via D’Azeglio a Bologna e un negozio di specialità alimentari di lusso. Perché se ce l’hai dentro il lusso, quello vero, non lo perdi mai. “I soldi sono come le unghie, prima o poi ricrescono” diceva Fiorani.
Poi c’è “il Gianni”. Gianni Zonin. L’uomo che oltre alla passione per le vigne, il vino e le vendemmie si è dedicato “con cura” (come dice lui) alla Banca Popolare di Vicenza che si è sbriciolata prima di essere salvata dall’ennesimo decreto salvabanche. «Zonin oggi è nullatenente» ripetono preoccupati i soci che hanno perso tutto.
Poi ci sono quelli che i cognomi non se li ricorda nessuno. Mario è un pensionato che abita a Empoli e, andato in pensione, aveva da parte cinquantamila euro. In Banca Etruria. Ne ha persi 40 mila. “Mi hanno dato in mano solo un foglio”, dice. Roberta Gianni invece ha 50 anni e non riesce più a dormire. Non bastano le gocce, le tisane, i farmaci. Niente. Lei ha perso 62 mila euro, 20 mila sua madre e 10 mila sua sorella. Maria racconta: «Io e mia sorella down ci sedemmo davanti a quell’impiegata di banca. Aveva il pancione. “Nessuno meglio di te che aspetti un bambino può capirmi”, le dissi. “Questa sorella disabile è come mia figlia, l’ho cresciuta io, e i soldi che hai davanti sono gli unici che possiede. Serviranno per assicurarle un aiuto, una badante. Vuole investirli in modo sicuro, senza rischio di perderli». L’impiegata di banca rassicurò. E la ragazza down, sì, proprio lei, firmò il contratto. Che riporta una data, 3 giugno 2013, e una sigla maledetta I0004931405, una di quelle che contrassegnano le obbligazioni subordinate emesse da Banca Etruria. Ora quel contratto è carta straccia. E la ragazza down ha perso i 30.000 euro che sarebbero dovuti servire a darle un’assistenza. Il fatto è che, davvero, la disuguaglianza alla fine sta anche negli occhi, dico, ti fa vedere al rovescio il mondo. Così ci sono quelli per cui le banche sono l’unico sportello in paese, l’impiegata che è la figlia dell’amica, che conoscono da quando era alta così. “Mettili in banca”, dicevano i nonni ai nipoti, che “poi altrimenti li spendi, che almeno sono al sicuro”. Il dottore, il parroco, il salumiere e la banca sono i punti cardinali di quelli che non si sentono mica traditi da Gianni, Gianpiero e quegli altri lassù, no: traditi dall’ingiustizia. Se li ascoltate dicono così. Ingiustizia. Gli altri, invece, i rapaci, vedono le gambe come pioli di una scala per arrampicarsi al cielo. E mentre salgono cagano di sotto.
MUSICA
Tu da che parte stai? Stai dalla parte degli amici banchieri, molto munifici e generosi quando si tratta di accendere un mutuo e di concedere un fido oppure dalla parte delle persone comuni, alle prese con le loro imprese? Mutuo e fido, due parole, anche queste cariche di significato. Il mutuo soccorso di chi si mette dalla parte di chi rischia e di chi investe oppure fedeltà al potere del politico fido, che sa come comportarsi e che cosa fare, perché ha le spalle coperte? Ci vuole cuore e cervello per difendere i fragili. E provare a guardare a fondo nelle storie. Ce n’è una, nascosta tra le pieghe dell’ultimo crac, quello della Banca Popolare di Vicenza guidata da Gianni Zonin che meriterebbe una risposta. La protagonista è Cecilia Carreri, ex giudice vicentino che ha una domanda che le martella la testa: come sarebbe andata se nel 2002 Zonin fosse uscito di scena? Cecilia Carreri ha indagato sulla Banca Popolare di Vicenza e su Zonin agli inizi degli anni 2000. La Carreri accusava Zonin (e non solo lei, c’era anche un’appuntita relazione di Bankitalia dopo un’ispezione) di “usare la Banca come cassaforte personale. Balzava evidente l’assoluta mancanza di controlli istituzionali su quella gestione”. Il suo procuratore capo, lo racconta lei in un suo libro, la fermò per strada per chiederle di archiviare. Si rifiutò. L’indagine venne affidata a un altro gip e venne archiviata. Lei venne cacciata dalla magistratura con la colpa di “aver messo sotto sforzo la schiena”. Il procuratore che le consigliò di lasciar perdere quell’indagine, invece, finì a lavorare per Zonin, “come molti miei colleghi”, dice Cecilia. Oppure sulla Banca di Lodi, quella di Gianpiero Fiorani, e la storia sempre troppo poco raccontata di una stagista della banca che il 22 gennaio del 2003 prende carta e penna e scrive al Corriere della Sera: «Oggi – scrive la stagista – mi sono convinta dell’opportunità che io faccia conoscere anche ad altri le cose di cui sono venuta a conoscenza.» Basta, insomma, con «il far finta di nulla, questa deleteria e oramai radicata abitudine del popolo italiano […]. Vorrei dire che quanto accaduto a Bipop, fra poco si presenterà con maggiore virulenza anche per la Popolare di Lodi». E poi: «La cosa che più mi ha sconcertata è l’utilizzo scellerato che la banca fa dei nuovi strumenti finanziari […].». Era in vigore «un simpatico meccanismo: se la transazione va bene, cioè vi è un guadagno, tutti gli utili rimangono sul conto» della controparte complice, che «procede poi a effettuare i trasferimenti al buon Boni; se va male, le perdite vengono addossate alla banca. Semplice ed efficace». «Alla fine gli unici che ci rimetteranno saranno i piccoli risparmiatori [… ] . Quanto detto è solo il coperchio di un intreccio intricato […]. Ci sono persone che sanno ma fanno finta di nulla […].» La lettera non è mai stata pubblicata. Nessuno se n’e accorto. Niente di niente. Fino al dicembre del 2015, quando Fiorani viene arrestato e succede quello che è successo. Il diavolo sta nei dettagli ma anche le brave persone ogni tanto rimangono incastrate nelle pieghe. Cassandre. Gufe. Disturbavano le aquile, nessuno le ha ascoltate. Fino alla caduta.