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Gilberto Caldarozzi

Meritocrazia: il nuovo numero 2 dell’antimafia è un condannato per la “macelleria messicana” della scuola Diaz

(Marco Preve per Repubblica)

Più che la rabbia della vittima c’è il senso di sconfitta del cittadino di fronte al Potere, negli occhi di uno degli ex ragazzi che nel luglio del 2001 attraversarono le notti della macelleria messicana della Diaz e del carcere cileno di Bolzaneto.
Gilberto Caldarozzi, condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per falso, ovvero per aver partecipato alla creazione di false prove finalizzate ad accusare ingiustamente chi venne pestato senza pietà da agenti rimasti impuniti, è oggi il numero 2 – Vice direttore tecnico operativo- della Direzione Investigativa Antimafia, ovvero il fiore all’occhiello delle forze investigative italiane, la struttura alla quale è affidata la lotta al cancro criminale.
La nomina, decisa dal ministro dell’Interno Marco Minniti, passata quasi in sordina ed ignorata dalla politica, risale a poche settimane fa.

Se ne sono accorti, quasi casualmente nei giorni scorsi i reduci del Comitato Verità e Giustizia per Genova, un gruppo formato da ex arrestati della Diaz e di Bolzaneto e dai loro famigliari.
“Molti dei ragazzi tedeschi, vittime della polizia nel luglio 2001 – racconta un membro del Comitato – spiegano di avere provato paura quando, ritornati in Italia per i processi o per le vacanze hanno incontrato agenti in divisa. Mi chiedo come si possa dire a queste persone che l’Italia è cambiata se uno dei massimi dirigenti del nostro apparato di sicurezza è oggi proprio colui che ieri fece di tutto per accusarli ingiustamente e coprì gli autori materiali dei pestaggi e delle torture”.

Caldarozzi, ex capo dello Sco, la Sezione criminalità organizzata, considerato un “cacciatore di mafiosi”, per la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo è invece uno dei responsabili dei comportamenti di quella notte del 2001 e dei successivi comportamenti degli apparati di Stato, che sono valsi al nostro paese due condanne per violazione alle norme sulla tortura. Scrissero i giudici della Cassazione per Caldarozzi e gli altri condannati: “hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero”. Non esattamente una medaglia da inserire nel proprio curriculum.

D’altra parte, a luglio di quest’anno sono scaduti i cinque anni di interdizione dai pubblici uffici e i dirigenti condannati per la Diaz che non erano andati in pensione sono rientrati in polizia.
In un intervento sulle sentenze della Cedu, pubblicato sul sito Questione Giustizia di Magistratura Democratica, il pm del processo Diaz Enrico Zucca affronta il caso Caldarozzi: “L’ultimo dei rientri, che si fa fatica a conciliare con quanto espresso nei confronti del condannato in sede di giudizio di Cassazione, è quello che riguarda l’attuale vice-capo della Dia, che vanta così nel suo curriculum il “trascurabile” episodio della scuola Diaz”.

Il capo della polizia, il prefetto Franco Gabrielli, in un’intervista a Repubblica dell’estate ha voluto finalmente affrontare il tema G8 senza tabù, dichiarando che lui al posto di “Gianni De Gennaro (allora capo della polizia oggi presidente di Finmeccanica, ndr) si sarebbe dimesso”. A quanto si sa, i funzionari rientrati in polizia sarebbero stati destinati a ruoli non di primo piano. Ma Caldarozzi è sfuggito a questa logica. Essendo la Dia una struttura che dipende direttamente dal Ministero, per lui, che vanta con Minniti e con il gruppo De Gennaro un’antica amicizia, si sono spalancate le porte dei piani alti.
Il suo esilio, per altro non è stato quello di un appestato. Gli anni di interdizione li ha trascorsi lavorando come consulente della sicurezza per le banche e poi come consulente per la Finmeccanica dell’ex capo De Gennaro. Si parlò anche di “collaborazioni” con il Sisde, i servizi segreti, proprio come, sempre a stare alle voci, si racconta intrattenga oggi il anche pensionato Franco Gratteri, ex capo della Direzione centrale anticrimine, il più alto in grado fra i condannati della Diaz.

Nonostante l’Italia, tra molte contestazioni e distinguo, si sia dotata da qualche mese di una legge sulla tortura, sembra essere completamente inevaso uno degli aspetti più volte ricordati dai giudici europei. Quello che riguarda non gli autori materiali delle torture bensì tutta la scala gerarchica e i regolamenti interni che non provvedono a isolare i torturatori e chi li ha coperti nelle fase preliminare delle indagini, e che poi non provvede, se non a radiarli, perlomeno a bloccare le progressioni di carriera, o in estremo subordine ad assegnarli ad incarichi non operativi. Diciassette anni dopo aver disonorato – lo dicono, per sempre, i giudici della Cassazione, anche se molti poliziotti e altrettanti politici non hanno mai accettato questa sentenza – la polizia italiana, Gilberto Caldarozzi viene premiato con una delle poltrone più importanti della lotta al crimine. La “macelleria messicana” è stata archiviata dallo Stato.

Pesta e fai carriera: come sono finiti in alto i poliziotti del G8

Marco Preve scrive per Repubblica un articolo importante per non dimenticare e per capire come viene scelta la classe dirigente di questo Paese:

GIANNI DE GENNARO FOTO ANDREA ARRIGA

Banche, squadre di calcio, aziende di Stato. In attesa di indossare di nuovo la divisa. Ricche consulenze per i big rimasti (temporaneamente) fuori dal corpo, e neppure un giorno di sospensione per i capisquadra che guidarono gli agenti torturatori. Con i protagonisti di una delle pagine più nere della democrazia italiana, in fondo, la sorte non è stata così maligna.

Ed è anche questo aspetto, quello di un’impunità quasi totale, che ha influito non poco nel giudizio con cui la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia per le torture avvenute all’interno della scuola Diaz al G8 genovese del 2001. La Corte di Strasburgo ha sottolineato che di fronte al semplice sospetto di gravi abusi commessi da appartenenti alle forze dell’ordine la Convenzione dei Diritti dell’uomo prevede l’allontanamento degli stessi dalle posizioni che occupano già nella fase d’indagine.

FRANCO GRATTERI
FRANCO GRATTERI

 

Invece per la Diaz è accaduto l’esatto contrario, molti di loro sono stati promossi questori, capi di dipartimento, prefetti, e da indagati e condannati hanno raggiunto livelli apicali. Quelli che hanno dovuto lasciare la divisa sono quasi tutti “caduti in piedi” e gli altri rappresentano ancora lo Stato nelle strade e nelle piazze d’Italia.

 

Gilberto Caldarozzi
Gilberto Caldarozzi

Quando nel luglio 2012 la Cassazione conferma le pesanti condanne di appello per falso (le uniche che si sono salvate dalla prescrizione a differenza delle lesioni gravi) Franco Gratteri è il capo della Direzione centrale anticrimine, Gilberto Caldarozzi, capo dello Servizio centrale operativo, Giovanni Luperi, capo del dipartimento analisi dell’Aisi, l’ex Sisde, Filippo Ferri, il più giovane, figlio dell’ex ministro e fratello del sottosegretario alla giustizia, guida la squadra mobile di Firenze. L’interdizione dai pubblici uffici obbliga il ministero ad espellerli.

GIOVANNI LUPERI

  Non restano a spasso per molto. Ferri diventa responsabile della sicurezza del Milan e per alcuni mesi è l’angelo custode di Mario Balotelli. Gilberto Caldarozzi lavora prima per le banche e poi viene chiamato come consulente della sicurezza a Finmeccanica dal suo vecchio capo, Gianni De Gennaro. Indiscrezioni raccontano che anche Franco Gratteri abbia avuto rapporti con il colosso di Stato ma dall’ufficio stampa dicono che non risulta. A Gratteri, nel 2013 il ministero pagava ancora un appartamento di servizio nel centro di Roma, ufficialmente per motivi di sicurezza.


 

filippo ferri
Filippo Ferri

Tra gli altri funzionari di vertice che si sono riciclati come consulenti c’è anche Salvatore Gava ex dirigente di squadra mobile che oggi lavora per Unicredit. Attività manageriale starebbe svolgendo anche un altro condannato per la Diaz, quel Fabio Ciccimarra che è stato condannato in appello (prescritto in Cassazione) per sequestro di persona per i fatti del G7 di Napoli alla Caserma Raniero, sempre nel 2001.

SALVATORE GAVA
SALVATORE GAVA

 

Ciccimarra da indagato in due processi e già con condanne in primo grado era un funzionario in carriera fino al 2012, quando il definitivo per la Diaz lo colse capo della squadra mobile all’Aquila. Vincenzo Canterini, il capo del reparto mobile di Roma dopo il 2001 ha avuto prestigiosi incarichi nelle ambasciate europee e una volta in pensione si è dedicato anche a rievocare, a modo suo, la vicenda Diaz in un libro.

Il suo vice Michelangelo Fournier, il funzionario che interruppe i pestaggi al grido di “basta basta”, che al processo parlò di “macelleria messicana”, ma che non fu mai in grado di individuare neppure un responsabile delle brutalità tra i suoi uomini, oggi è sempre in servizio e ricopre anche un ruolo sindacale.

FABIO CICCIMARRA
FABIO CICCIMARRA

Se, per questioni anagrafiche, i cinque anni di interdizione dai pubblici uffici mettono fuori gioco Gratteri e Luperi (anche se non sono vietate consulenze con i servizi segreti), per i più giovani non è escluso, ed è anzi previsto, un ritorno in divisa una volta scontato il periodo. Nessun esponente di governo ha infatti mai specificato che non saranno riammessi.

Potrebbero indossarla ancor prima due funzionari responsabili di condotte minori nella vicenda Diaz. Uno di loro è quel Pietro Troiani che diede ordine al suo autista di trasferire dal blindato al cortile della scuola Diaz il sacchetto con le molotov poi addebitate ingiustamente ai manifestanti. L’aver beneficato dell’affidamento ai servizi sociali per i pochi mesi da scontare non coperti dall’indulto consente infatti di ottenere la cancellazione dell’interdizione.

VINCENZO CANTERINI

 Grazie alla prescrizione per le lesioni gravi non hanno invece subito nessuna interdizione i capisquadra condannati: Fabrizio Basili, Ciro Tucci, Carlo Lucaroni, Emiliano Zaccaria, Angelo Cenni, Fabrizio Ledoti, Pietro Stranieri. Hanno continuato a fare il loro lavoro.

Addirittura il governo italiano, come si legge nella sentenza della Corte europea, non ha mai voluto informare i giudici di Strasburgo circa le sanzioni disciplinari adottate. E lo stesso sta facendo il ministro Angelino Alfano da due anni esatti. Nel maggio del 2013 i parlamentari di Sel presentarono un’interrogazione al Viminale per sapere quali misure disciplinari fossero state prese nei confronti dei condannati per la Diaz. La risposta deve ancora arrivare.