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giuseppe borrelli

Il “diversamente” carcere di Nicola Cosentino

nicola-cosentino-638x425La perquisizione in cella è scattata a sorpresa nel fine settimana. E dopo il ritrovamento di materiale ritenuto sospetto, l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, detenuto da un anno perché in attesa di giudizio con l’accusa di essere stato il «referente politico nazionale del clan dei Casalesi», è stato trasferito rapidamente dal carcere napoletano di Secondigliano su indicazione dell’autorità giudiziaria. Ora è recluso in un istituto fuori dalla regione Campania.

La decisione è maturata nell’ambito di una delicata indagine del pool antimafia che vede al momento sotto inchiesta, con l’accusa di corruzione, un agente penitenziario fino a qualche giorno fa in servizio proprio a Secondigliano. Cosentino non è indagato, ma nel fine settimana, per ordine del pm Fabrizio Vanorio e del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, sono scattate alcune perquisizioni, una delle quali nella cella dove fino a ieri era rinchiuso l’ex sottosegretario.

Nel corso dell’accertamento è stato rinvenuto anche materiale che, ipotizzano gli inquirenti, il detenuto non poteva custodire. La difesa potrà eventualmente proporre ricorso al Riesame per ottenerne la restituzione. Il quadro dell’indagine è ancora fluido. Il sospetto della Procura è che, in questi oltre undici mesi di detenzione di Cosentino, la rete di conoscenze e relazioni intrecciata dall’ex parlamentare in tanti anni di attività sul territorio non sia rimasta con le mani in mano, ma anzi si sia mossa allo scopo di non abbandonare il leader ormai caduto in disgrazia.

Ed è questa pista che i magistrati intendono verificare. Il primo passo è stato rappresentato dalle perquisizioni, il cui esito ha suggerito il trasferimento dell’imputato in un carcere lontano dal territorio. Una nuova tegola, per “Nick ‘o mericano”, già alle prese con ben tre processi in corso nei quali vengono ipotizzati, a diverso titolo, profondi rapporti con l’organizzazione camorristica di Gomorra. Giudizi nei quali i difensori di Cosentino, gli avvocati Stefano Montone e Agostino De Caro, si stanno battendo per dimostrare l’infondatezza delle accuse contestate al loro assistito.

All’udienza di ieri, alla quale come già in passato l’ex sottosegretario aveva rinunciato a presenziare, gli avvocati hanno incalzato con un fuoco di fila di domande l’ex presidente del consorzio dei rifiuti Ce4, Giuseppe Valente, un manager che da alcuni mesi collabora con la giustizia. A molte domande della difesa, il pm Alessandro Milita si è opposto. Dopo alcuni scontri, il clima è tornato tranquillo. Ma c’è una nuova inchiesta, adesso, ad agitare le acque.

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Perché Setola ha ritrattato sull’omicidio di Attilio Manca?

”Il pentito Giuseppe Setola ha ritrattato dopo che la moglie ha rifiutato di lasciare Casal di Principe per trasferirsi in una località protetta”. Lo ha detto il procuratore aggiunto di Napoli Giuseppe Borrelli, sentito ieri dalla Commissione Antimafia sui rapporti tra camorra, imprenditoria, politica e servizi segreti deviati. Borrelli è stato convocato a Palazzo San Macutoinsieme al capo della procura partenopea Giovanni Colangeli, e nel corso dell’audizione i due magistrati hanno fornito chiarimenti anche sul pentito che poco più di un mese fa aveva riaperto clamorosamente il caso Manca, dichiarando che la morte dell’urologo (archiviata come un’overdose) era legata all”intervento chirurgico di Bernardo Provenzano a Marsiglia. Setola, ex esponente del clan dei casalesi, però, ha recentemente ritrattato, con una tempistica che l’avvocato di parte civile Antonio Ingroia ha definito ”una singolare coincidenza”, rilevando che la ritrattazione del pentito è avvenuta subito dopo la diffusione delle sue rivelazioni su Manca.

Le dichiarazioni del pentito vengono ritenute dai magistrati della procura di Napoli “importantissime e di grande interesse”, sia per i 46 delitti di cui si è dichiarato responsabile, sia per altri omicidi di cui non sarebbe colpevole direttamente, ma dei quali dice di conoscere retroscena ed autori.

Nel corso dell’audizione svoltasi ieri a Palazzo San Macuto, i due magistrati hanno poi precisato che il pentito non ha reso dichiarazioni sulla morte di Attilio Manca alla Procura di Napoli, argomento che effettivamente l’ex boss dei clan casalesi ha affrontato, su sua richiesta, con i sostituti procuratori di Palermo che si occupano della Trattativa, Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia, ai quali ha detto di avere appreso in carcere che l’urologo siciliano, contrariamente a quanto sostenuto dalla Procura di Viterbo, non si sarebbe suicidato, ma sarebbe stato assassinato per aver visitato, operato e curato il boss corleonese Bernardo Provenzano (allora latitante), riconoscendone la falsa identità.

Il procuratore di Napoli e il suo aggiunto hanno quindi osservato che le dichiarazioni del capomafia campano, pur ritenute “molto interessanti” sotto il profilo investigativo, “vanno poste a verifica attenta e rigorosa”, in quanto a rilasciarle sarebbe stato ”un soggetto psicologicamente inaffidabile e palesemente instabile”. Alla domanda specifica del deputato del Movimento 5 Stelle, Francesco D’Uva (“Quindi le dichiarazioni di Setola non sono attendibili?”), i procuratori campani però hanno risposto: “Non abbiamo detto questo. Il boss casalese inizialmente appariva attendibile, poi però ha ritrattato. È un personaggio molto labile e ondivago, sul quale il nostro approccio, fin dall’inizio, è stato estremamente prudente, tanto che è stata chiesta la revoca del regine di protezione”.

“Setola – ha poi aggiunto Borrelli – rappresenta il paradigma delle difficoltà nella gestione con i collaboratori di giustizia. Il boss ha praticamente imposto la necessità di essere interrogato perché, andato in aula, si è pubblicamente assunto la paternità di 46 omicidi, a fronte dei 23 che gli erano stati contestati, dunque era disponibile a rendere dichiarazioni su quelli che gli inquirenti non gli avevano attribuito. A quel punto la scelta di sentirlo si rendeva necessaria. Dopo due udienze il suo comportamento è cambiato completamente”. Perché? “La moglie ha deciso di non spostarsi da Casal di Principe, rifiutando di vivere nella località protetta in cui era stato deciso di mandarla. Di fronte a questo, Setola non ha più collaborato”.

Slitta intanto al 13 dicembre l’audizione – prevista per oggi – a Palazzo San Macuto del procuratore di Viterbo Alberto Pazienti e del Pubblico ministero Renzo Petroselli, che dovranno essere sentiti proprio sul caso di Attilio Manca. Una vicenda sulla quale la Commissione presieduta da Rosy Bindi ha posto la sua attenzione in seguito alla recente “due giorni” effettuata a Messina. Nel corso di quella visita, la stessa Bindi ha smentito la tesi della Procura di Viterbo: “La morte di Attilio Manca a tutto può essere attribuibile, tranne che a un suicidio di droga”, mentre il vice presidente dell’Antimafia ha aggiunto: “Non è da escludere che questo caso possa essere collegato con l’operazione di Bernardo Provenzano”.

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L’antimafia con i tribunali vuoti

Il caso Catanzaro , con solo sei giudici nella sezione indagini preliminari e soltanto cinque pm antimafia, non è degno di un Paese civile. A dirlo a “l’Espresso” è il magistrato Giuseppe Borrelli, arrivato a Napoli per ricoprire il ruolo di procuratore aggiunto dopo l’esperienza calabrese segnata da successi nella lotta ai clan.  Il periodo di Borrelli nella procura antimafia del capoluogo calabrese sarà infatti ricordato per i risultati ottenuti e le batoste inflitte alle cosche e a molti colletti bianchi.

La notizia è qui.