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governabilità

Referendum, Nespolo (Anpi) a TPI: “Tagliare i parlamentari per risparmiare? No, si riducano gli stipendi”

Carla Federica Nespolo, 77 anni, ex parlamentare del Pci e del Pds, è la prima donna a presiedere l’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia). Con lei discutiamo del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, in calendario il 20 e 21 settembre. L’Anpi si è schierata per il No.
Nespolo, come risponde al movimento anti-casta, secondo cui il No è la posizione dell’arroccamento?
Più che di “movimento anti-casta” io parlerei esplicitamente e francamente di pensiero populista. Al fondo del quale, inutile girarci attorno, c’è il rifiuto della democrazia come partecipazione e diritto del popolo a scegliersi i propri rappresentanti. Se per “uomini rinchiusi nei palazzi” i fautori del Sì intendono anche i 183 costituzionalisti italiani che si sono dichiarati per il No, dimostrano di non aver capito nulla di quello che, nel colpevole silenzio di tanti, oggi è in gioco.

Cosa c’è in gioco?
Si tratta, sostanzialmente, di un attacco alla democrazia rappresentativa. Non dimentichiamoci che uno dei primi atti del Governo, dopo il 25 Aprile 1945, fu quello di dare a tutti (uomini e donne) il diritto di voto. E dopo 75 anni si vorrebbe tornare indietro e privare persino alcune Regioni del diritto di essere pienamente rappresentate in Parlamento? Inaccettabile. Altro che “casta”: la “casta” è proprio dei “notabili” di partito che, non a caso, sembrano tutti uniti  – ma con molti problemi interni – a votare Sì.

I motivi principali per cui l’Anpi ha deciso di esprimersi per il No: quali sono i valori da difendere?
La difesa della democrazia per cui, 75 anni fa, un’intera generazione si è sacrificata, ha combattuto e vinto. E oggi troppi se ne dimenticano. Mi lasci citare un terribile verso di Giorgio Caproni: “I morti per la Libertà, chi l’avrebbe mai detto, i morti. Per la Libertà, Sono tutti sepolti”. Ecco. L’Anpi è in campo per questo. Perché la democrazia, che tanto sacrificio e tante lotte è costata, non venga oscurata e vilipesa da chi la considera un ostacolo alla propria ascesa politica.

Si insiste molto sul risparmio dei costi, come già avvenuto nell’ultimo referendum costituzionale. Non teme che questo argomento possa essere una spinta difficile da arginare?
Quella dei costi è una sciocchezza che non merita neppure una risposta. Vogliono davvero ridurre i costi del Parlamento? I parlamentari si riducano lo stipendio. Punto e basta. Ma non possiamo nasconderci che questo tema ne nasconde un altro. E cioè la poca stima che l’opinione pubblica ha verso un certo ceto politico. In questo senso condivido la frase del comandante De Falco: “Non voglio essere rappresentato meno, voglio essere rappresentato meglio”.

Il Pd sembra non volersi esprimere o esprimersi molto blandamente a proposito di questo referendum. Che consiglio darebbe al partito di governo?
Non è compito dell’Anpi dare un consiglio ad alcun partito. E tanto meno al Pd. Certo la contraddizione tra aver votato per tre volte contro e ora votare a favore è lampante. Insomma, non sempre sacrificare sull’altare della governabilità la propria coerenza è un buon calcolo. Comunque ho grande rispetto per il travaglio che sta attraversando il Pd. Ma non è un tema che ci vede protagonisti.

In questi giorni circola molto un’intervista in cui Nilde Iotti dichiara che il numero dei parlamentari italiani è eccessivo e dal fronte del Sì sono in molti a ripetere che la riduzione del numero dei parlamentari sia una battaglia storica della sinistra. Come risponde?
Alla citazione di Luigi Di Maio rispetto alla posizione di Nilde Iotti ha già risposto esaurientemente Livia Turco, presidente della Fondazione Iotti. Quello che la presidente Iotti proponeva era un intero nuovo impianto istituzionale, a cominciare da una nuova legge elettorale. Separare la rappresentanza dalla sua funzione è quanto di più volgarmente tattico si possa fare. Mai la presidente Iotti lo avrebbe affermato.

Come ha intenzione l’Anpi di occuparsi di questa campagna referendaria? Con quali mezzi? Come arrivare a più gente possibile, tra l’altro in un periodo difficile come questo in piena pandemia?
L’Anpi sta facendo il suo dovere. Le nostre sezioni territoriali stanno illustrando in ogni parte d’Italia le nostre ragioni e il 10 settembre alla Sala della Protomoteca in Campidoglio, a Roma, faremo il punto con importanti giuristi sulle ragioni del nostro No. Prevediamo anche un intervento di un rappresentante delle Sardine. Inoltre, siamo e saremo attivi anche sui social network. Invitiamo tutti ad andare a votare No. E mi lasci chiudere con una nota di ottimismo.
Prego.
Ce l’abbiamo fatta nel 2016. Ce la faremo anche nel 2020.

Leggi anche:  1. Taglio parlamentari, il costituzionalista Ceccanti a TPI: “Chi votò Sì alla riforma Renzi dovrebbe rifarlo oggi. Ma preferisce attaccare il M5s” / 2. La politologa Urbinati a TPI: “Taglio dei parlamentari? Così il M5S favorisce la casta” / 3. Taglio dei parlamentari: ecco cosa prevede la riforma e come funziona il referendum

L’articolo proviene da TPI.it qui

Governabilità ch’è sì cara

Di Mattia Mirto

(*socio del  circolo Libertà e Giustizia di Bologna. L’incontro è avvenuto sabato 17 febbraio a Bologna)

Non ce ne voglia Dante se ci siamo permessi di sostituire la libertà con la governabilità, ma anche questo è un tema che alloggia in un contemporaneo Purgatorio, fra invocazioni bipartisan e premi di minoranza (non è un refuso, quello della legge elettorale Renzi-Boschi lo era veramente), giustificati da questa benedetta e sì cara governabilità.

Al CafèTeatro CostArena di Bologna siamo giunti al terzo incontro con il professor Gianfranco Pasquino che mette la sua sapienza al servizio di chi si ferma a fare colazione al bar, dando piccoli grandi aiuti su come interpretare il panorama politico nazionale in vista delle elezioni politiche del 4 marzo.

Il politologo apre la discussione parlando proprio della confusione ingenerata da alcuni politici fra il concetto di governabilità e quello di maggioranza parlamentare, molto spesso sovrapposte. La governabilità è la capacità di trovare convergenze sull’attuazione di un programma di governo, se su questo si forma una maggioranza parlamentare pre o post elettorale poco conta; così come, ai fini della governabilità non è automatico che la maggioranza debba essere statica, ma in un sistema parlamentare può mutare, e non è una patologia del sistema.

Questo si comprende ancora meglio quando il professore afferma, ammettendo che alcuni suoi colleghi non la pensino esattamente così, che la governabilità migliori all’aumentare della rappresentanza. Cioè quando, tramite una buona legge elettorale, i parlamentari sono espressione vera e vicina del territorio e dell’elettorato, questi sono più propensi a trovare accordi di governo efficaci per incassare risultati utili da mostrare al successivo appuntamento elettorale. La stabilità politica scaturita da questa convergenza si manifesta con una buona capacità decisionale dell’Esecutivo.

Altro tema, a cui molti sono sensibili, toccato durante il dibattito è l’esperienza politica e parlamentare pregressa rispetto all’assunzione di incarichi di governo. È abbastanza chiaro quanto l’aver maturato esperienza in campo parlamentare o comunque di governo del territorio possa essere un grande aiuto nel sapersi districare tra i fili della governabilità; e anche qui si rompe e si inverte una tendenza che negli ultimi anni ha visto come sporca la presenza prolungata delle stesse persone all’interno delle Istituzioni. Il processo più sano sarebbe quello di rinnovamento graduale che vede i membri con più esperienza e capacità ricoprire i ruoli apicali, con buona pace di rottamatori e apriscatole istituzionali.

E per restare in temi controtendenza, Pasquino fa notare come la percezione che l’elettore dovrebbe avere dell’eletto è quella di un rapprentante migliore di sé, e quindi sarebbe opportuno che il metodo di scelta del candidato (cosa che l’attuale legge elettorale non consente) tenesse conto delle migliori attitudini politiche di chi riceve l’investitura popolare e non, come spesso viene detto, di semplici capacità professionali o imprenditoriali che sole non dimostrano nessuna capacità di buon governo. Insomma, va bene la stima, ma dovrebbe essere calibrata su competenze politiche migliori delle proprie.

Il termine anglosassone ‘accountability’ rende meglio l’idea di questo rapporto di delega da parte dell’elettore verso chi viene ritenuto idoneo a governare.

Come per i precedenti incontri, ci si è resi conto di quanto la legge elettorale sia fondamentale per un corretto funzionamento della democrazia rappresentativa e la governabilità sia molto spesso il pretesto con cui vengono celate incapacità personali a ricoprire incarichi di governo.

Quindi una buona legge elettorale, che metta i candidati nelle condizioni di dover rispondere non solo al partito (o al capo del partito) ma anche agli elettori, metterebbe il Parlamento nelle condizioni di dover garantire dal Governo l’attuazione di programmi politici, il cui tradimento verrebbe pagato con il successivo appuntamento con le urne.

(fonte)

Dalla “legge che tutti avrebbero dovuto copiare” a quella copiata male (apposta)

Ci avevano promesso di far tornare “il voto ai cittadini”. Destri, sinistri, cinquestelle, tutti d’accordo. Dopo avere scritto una legge incostituzionale (olè) hanno capito che il segreto stava semplicemente nel trovare un nome che sembrasse affidabile. Devono avere pensato a “Mercedes” o “Bmw” ma poi per problemi di marchio registrato si sono accontentati di “tedesco”.

Hanno scritto una legge elettorale che ci viene proposto come modello di rappresentatività e governabilità e invece non lo è. Rubo la spiegazione che mi ha dato, in una ricca conversazione ieri sera, il professore Andrea Pertici:

Saranno i partiti a scegliere gli eletti. Tutti i seggi sono attribuiti con sistema proporzionale sulla base sostanzialmente di una doppia lista bloccata: quella della circoscrizione (che al Senato è la Regione) e quella data dall’insieme dei candidati nei collegi uninominali della stessa circoscrizione (al Senato, Regione). Collegi uninominali dove non vince il candidato più votato ma semmai quello del partito più votato. E per non rischiare proprio nulla comunque il primo che passerà è il capolista del partito nella circoscrizione, dopo il quale si pescheranno i candidati nei collegi arrivati primi, poi gli altri candidati di lista e infine gli altri candidati dei collegi uninominali che hanno perso. Insomma, quello che conta è il partito. Quello che conta assai meno il nostro voto. Si parte da un modello europeo (questa volta il tedesco, si diceva) ma si finisce sempre con un sistema molto italico.

In pratica io voto il candidato che stimo nel mio collegio ma il mio voto premia prima il capolista bloccato.

 

(continua su Left)