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governo renzi

Disperatamente attuale: quando l’Onorevole Mattarella parlò in aula contro le modifiche alla Costituzione (2005, ma vale anche oggi)

(L’intervento è negli atti parlamentari. Eravamo nel 2005, al governo Berlusconi. Provate a cambiare il nome degli addendi e vedrete che il risultato non cambia):

220734294-3c65732a-b424-4acc-8185-4593fff414a8Signor Presidente,

tra la metà del 1946 e la fine del 1947, in quest’aula, si è esaminata, predisposta ed approvata la Costituzione della Repubblica. Con l’attuale Costituzione, che vige dal 1948, l’Italia è cresciuta, nella sua democrazia anzitutto, nella sua vita civile, sociale ed economica. In quell’epoca, vi erano forti contrasti, anche in quest’aula. Nell’aprile del 1947 si era formato il primo governo attorno alla Democrazia cristiana, con il Partito comunista e quello socialista all’opposizio – ne. Vi erano contrasti molto forti, contrapposizioni che riguardavano la visione della società, la collocazione internazionale del nostro paese. Vi erano serie questioni di contrasto, un confronto acceso e polemiche molto forti. Eppure, maggioranza e opposizione, insieme, hanno approvato allora la Costituzione. Al banco del governo, quando si trattava di esaminare provvedimenti ordinari o parlare di politica e di confronto tra maggioranza e opposizione, sedevano De Gasperi e i suoi ministri. Ma quando quest’aula si occupava della Costituzione, esaminandone il testo, al banco del governo sedeva la Commissione dei 75, composta da maggioranza e opposizione.

Il governo di allora, il governo De Gasperi, non sedeva ai banchi del governo, per sottolineare la distinzione tra le due dimensioni: quella del confronto tra maggioranza e opposizione e quella che riguarda le regole della Costituzione. Questa lezione di un governo e di una maggioranza che, pur nel forte contrasto che vi era, sapevano mantenere e dimostrare, anche con i gesti formali, la differenza che vi è tra la Costituzione e il confronto normale tra maggioranza e opposizione, in questo momento, è del tutto dimenticata.

L e istituzioni sono comuni: è questo il messaggio costante che in quell’anno e mezzo è venuto da un’Assemblea costituente attraversata – lo ripeto – da forti contrasti politici. Per quanto duro fosse questo contrasto, vi erano la convinzione e la capacità di pensare che dovessero approvare una Costituzione gli uni per gli altri, per sé e per gli altri. Questa lezione e questo esempio sono stati del tutto abbandonati. Oggi, voi del governo e della maggioranza state facendo la “vostra” Costituzione. L’avete preparata e la volete approvare voi, da soli, pensando soltanto alle vostre esigenze, alle vostre opinioni e ai rapporti interni alla vostra maggioranza. Il governo e la maggioranza hanno cercato accordi soltanto al loro interno, nella vicenda che ha accompagnato il formarsi di questa modifica, profonda e radicale, della Costituzione.

Il governo e la maggioranza – ripeto – hanno cercato accordi al loro interno e, ogni volta che hanno modificato il testo e trovato l’accordo tra di loro, hanno blindato tale accordo. Avete sistematicamente escluso ogni disponibilità a esaminare le proposte dell’opposizione o anche soltanto a discutere con l’opposizione. Ciò perché non volevate rischiare di modificare gli accordi al vostro interno, i vostri difficili accordi interni. Il modo di procedere di questo governo e di questa maggioranza – lo sottolineo ancora una volta – è stato il contrario di quello seguito in quest’aula, nell’Assemblea costituente, dal governo, dalla maggioranza e dall’opposizione di allora. Dov’è la moderazione di questa maggioranza? Non ve n’è! Dove sono i moderati? Tranne qualche sporadica eccezione, non se ne trovano, perché la moderazione è il contrario dell’atteggiamento seguito in questa vicenda decisiva, importantissima e fondamentale, dal governo e dalla maggioranza. Siete andati avanti, con questa dissennata riforma, al contrario rispetto all’esempio della Costituente, soltanto per non far cadere il governo. Tante volte la Lega ha proclamato e ha annunziato che avrebbe provocato la crisi e che sarebbe uscita dal governo se questa riforma, con questa profonda modifica della Costituzione, non fosse stata approvata. Ebbene, questa modifica è fatta male e lo sapete anche voi. Con questa modifica dissennata avete previsto che la gran parte delle norme di questa riforma entrino in vigore nel 2011. Altre norme ancora entreranno in vigore nel 2016, ossia tra 11 anni. Per esempio, la norma che abbassa il numero dei parlamentari entrerà in vigore tra 11 anni, nel 2016! Sapete anche voi che è fatta male, ma state barattando la Costituzione vigente del 1948 con qualche mese in più di vita per il governo Berlusconi.

Questo è l’atteggiamento che ha contrassegnato questa vicenda. Ancora una volta, in questa occasione emerge la concezione che è propria di questo governo e di questa maggioranza, secondo la quale chi vince le elezioni possiede le istituzioni, ne è il proprietario. Questo è un errore. È una concezione profondamente sbagliata. Le istituzioni sono di tutti, di chi è al governo e di chi è all’opposizione. La cosa grave è che, questa volta, vittima di questa vostra concezione è la nostra Costituzione.

(Sergio Mattarella)

(fonte)

Scuole paritarie: il chiodo fisso del (catto) PD

L’opinione pienamente condivisa della collega Donatella:

20150304_Scuole_Private-800x500Nonostante il dietrofront sul decreto legge della Buona scuola, le detrazioni fiscali per le famiglie che inviano i propri figli alle scuole paritarie saranno contenute nel disegno di legge che sarà presentato al Consiglio dei ministri del 10 marzo.

Insomma, il governo va avanti come un treno sui binari pro scuole private. Si illudeva chi aveva pensato che forse Renzi si era fermato per rispetto delle tante voci contrarie.  Del resto, è lo stesso Pd che si muove su questa linea.

Prima la lettera dei 44 parlamentari (quasi tutti del Pd) scritta a l’Avvenire, con i cattorenziani in prima linea (Fioroni in primis) poi ci ha pensato Luigi Berlinguer, ex ministro della Pubblica Istruzione, a parlare del ruolo centrale di questi istituti. Coerentemente, visto che era stato proprio lui a sdoganare le scuole private riconoscendole come paritarie e quindi  da trattare alla pari anche a livello economico.

Stupisce che di fronte alle scuole pubbliche che crollano, di fronte agli oltre centomila precari da stabilizzare, di fronte alla disuguaglianza tra Nord e Sud Italia, di fronte alle cifre record della dispersione scolastica, quello delle scuole private continua ad essere il nodo centrale per il governo Renzi.

Forse perché le paritarie sono quasi tutte nell’orbita della Chiesa cattolica.

Quindi alla fine niente Palestina

Dopo mesi di silenzio e attese sembra ormai sicuro che Premier e Ministro della Difesa siano contrari al riconoscimento dello Stato della Palestina. E quindi alla fine a chi si vuole disegnare innovatore e coraggioso manca il coraggio base dei diritti umani. Ma costano parecchio, si sa, i diritti della Palestina. Soprattuto per la protervia degli ostili.

La retorica sui liberi professionisti, tassati e tartassati

Quest’anno i professionisti iscritti alla gestione separata hanno trovato sotto l’albero un regalo coi fiocchi, l’ennesimo aumento dei contributi da versare all’Inps che dal 1° gennaio 2015 passano dall’attuale 27,72% al 29,72% per poi crescere un punto all’anno fino al 33,72% nel 2019.

Quando nel 1995, con la Riforma Dini, è stata istituita questa forma contributiva previdenziale l’aliquota era del 10%, un aumento progressivo senza eguali che oggi spinge fuori dal mercato una grossa fetta di professionisti, una categoria del terziario avanzato che raggruppa esperti, informatici, formatori, ricercatori, creativi, consulenti che svolgono un’attività che rientra nelle professioni non organizzate in ordini o collegi. Sono lavoratori autonomi altamente qualificati che malgrado la scarsa dinamicità dell’economia hanno abbracciato la flessibilità richiesta dalle mutate condizioni del mercato. Una nuova classe di professionisti che lavorano da soli senza dipendenti e che rappresentano una risorsa qualificata insostituibile, sono i lavoratori autonomi della conoscenza, i freelance.

Inseriti in un apparato normativo troppo rigido che non li riconosce si scontrano con una realtà di disinformazione e miopia. Il governo pare impegnato a inserire nelle leggi delle clausole che impediscano l’abuso della flessibilità nelle nuove attività professionali piuttosto che costruire un apparato coerente ed esaustivo di norme volte a permettere la crescita e la valorizzazione di un capitale umano che già c’è.

Questo vuoto normativo ha fatto sì che la disciplina tributaria dei professionisti indipendenti si sovrapponesse in parte alla tassazione individuale e in parte alla tassazione di impresa, cioè oscillasse fra due realtà che non riescono a identificare questa categoria confinandola in un limbo che non le attribuisce un’identità univoca e alla fine la penalizza.

“Il Jobs Act non è minimamente intervenuto sulla tutela della disoccupazione per i freelance” dice Anna Soru presidente Acta, la prima associazione nata in Italia per rappresentare i freelance “la legge di stabilità ha stanziato 800 milioni a favore dell’insieme delle partite Iva, ma il grosso va a coprire l’eliminazione dei minimi contributivi per commercianti e artigiani mentre non si è intervenuti per bloccare l’aumento dell’aliquota che versiamo noi freelancer iscritti alla gestione separata Inps che già oggi (27,72%) è decisamente superiore a quella di commercianti e artigiani (22-23%). A regime questa distanza si amplierà significativamente: 24% per commercianti e artigiani, 33,72% per noi”.

“Sul fronte del regime dei minimi è stata introdotta una modifica” prosegue Anna Soru “che prevede di spezzettare il mondo del lavoro autonomo in base all’attività produttiva, per ogni tipologia di attività è stato definito un massimale di fatturato che permetterà di rientrare nel regime dei minimi e una stima dei costi da portare in detrazione che quindi non saranno più stabiliti sulla base delle fatture effettivamente pagate. Come freelancer si stima che il 22% del fatturato sia utilizzato per le spese, perciò tasse e contribuzione verranno calcolate sul rimanente 78%. È discutibile questa modalità di definizione dei costi, innanzitutto perché favorisce chi è una finta partita Iva che tipicamente non ha costi perché utilizza la sede e gli strumenti del committente, non ha spese promozionali o di marketing ma solo la parcella del commercialista” puntualizza la presidente Acta.

“È inoltre discutibile perché risulta incoerente con la lotta all’evasione fiscale: se non devo dimostrare le spese sostenute non ho interesse a chiedere le fatture ai miei fornitori; in sostanza viene a mancare il contrasto di interessi, uno strumento classico della lotta all’evasione. È stato abbassato anche il massimale nel regime dei minimi per i freelance che da 30.000 euro passa a 15.000 mentre è stato aumentato a 40.000 per i commercianti. Due considerazioni. Da una parte 15.000 euro è una soglia di fatturato che restringe significativamente la platea dei freelance che potranno beneficiarne, soprattutto se consideriamo che sino ad un fatturato di 10-12.000 euro il nuovo regime non è vantaggioso (meglio il regime semplificato, ovvero il regime non agevolato)”.

“La seconda è che si amplia la possibilità di rientrare in un regime agevolato, che tra le altre caratteristiche prevede l’esclusione dagli studi di settore, a una categoria (commercianti) in cui tradizionalmente è più presente l’evasione fiscale. Non amo le etichette, specialmente se attribuite in base a luoghi comuni, ma proprio per questo ritengo si debba fare chiarezza ed evitare norme che possano favorire i soliti furbi. Se si considerano utili i regimi di favore ritengo vadano subordinati alla completa trasparenza dei pagamenti. I regimi di favore (magari studiati meglio dei vari regimi dei minimi che abbiamo conosciuto) dovrebbero essere accordati solo a lavoratori autonomi che accettino di essere radiografati dal fisco e che, per favorire ogni indagine sul loro operato, utilizzino solo strumenti di pagamento tracciabili”.

“Le politiche del lavoro in atto si rivolgono essenzialmente al lavoro dipendente e sono insufficienti, non tutta la disoccupazione potrà essere assorbita lì. Bisogna capire che il nuovo lavoro autonomo è una risorsa per l’innovazione e la crescita e anziché avere un atteggiamento punitivo bisognerebbe introdurre delle politiche che lo promuovano riconoscendone il ruolo sociale ed economico. A questo proposito è necessario ripensare completamente quello che è il sistema fiscale-contributivo da una parte e di welfare dall’altra” conclude Anna Soru.

Patricia Leighton, docente di diritto sociale europeo alla Ipag Business School di Parigi, ha studiato a fondo il fenomeno degli iPros (Independent Professionals), i liberi professionisti. Dalla ricerca svolta “Future Working, The Rise of Europe’s Independent Professionals” emerge che questa categoria è quella con la crescita più rapida in Europa ma lo studio evidenzia anche il cambiamento strutturale del mercato del lavoro che sta avvenendo, una sostanziale trasformazione nel modo di lavorare, se prima l’approccio era “avere un impiego” adesso si lavora per il cliente. Gli iPros hanno portato le loro competenze nel nuovo e dinamico mercato del lavoro europeo fornendo servizi ai diversi settori con una crescita impressionante che sfiora il 45%, quasi 9 milioni.

Di questo cambiamento radicale nella natura del lavoro stesso e nelle sue modalità è portavoce Efip (European forum for independent professionals), l’organismo che raggruppa a livello europeo le associazioni di rappresentanza dei lavoratori autonomi. Attraverso questo strumento gli associati, fra cui Acta, portano avanti un discorso comune per dare visibilità agli iPros, offrire un supporto conoscitivo al legislatore per agevolare una normazione europea in grado di comprendere e tenere conto delle specificità di questa tipologia di lavoro e rispondere alle nuove esigenze nell’attuale contesto di mercato con rapidità e azioni mirate.

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(Fonte: Patricia Leighton, “Future Working, The Rise of Europe’s Independent Professionals”)

Ma l’Italia è il fanalino di coda di un’Europa che guarda avanti, che osserva l’evoluzione delle attività economiche, che si pone il problema della qualificazione e della riconoscibilità delle professioni, che investe in educazione e formazione professionale, che percepisce il valore di questa categoria in termini occupazionali. In Italia, lo sviluppo del lavoro freelance è fra i più lenti in Europa.

C’è bisogno di una cultura digitale più vasta, è necessario favorire l’accesso dei freelancer alla formazione finanziata e incentivare la formazione che ognuno si paga da sé, riconoscendone la totale detraibilità ai fini fiscali, servono norme in grado di imporre il pagamento puntuale delle prestazioni come il Freelancer Payment Protection Act promosso da Freelancers Union e che dal 2011 è legge nello Stato di New York. Mancano infine misure che favoriscano la partecipazione dei freelancer alla fornitura di servizi alla pubblica amministrazione e che garantiscano pagamenti equi lungo le catene di subfornitura.

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(Fonte: Patricia Leighton, “Future Working, The Rise of Europe’s Independent Professionals”)

C’è una contraddizione di fondo fra il costante richiamo alla flessibilità nel lavoro e i provvedimenti che interessano i freelance, i più flessibili per definizione, c’è un’incoerenza fra la volontà di far ripartire un’economia e gli strumenti applicati. Di certo le recenti decisioni del governo si abbattono come una mannaia sui professionisti-freelance che fra pochi giorni diventeranno una categoria a rischio, alla stregua delle specie in via di estinzione.

(fonte)

Dovete solo dire grazie

Alessandro Gilioli scrive tornando su ciò che scrivevo proprio ieri su pensioni e Governo. Un po’ più incazzato, direi:

Il pensionato che riceve l’assegno più tardi non si deve lamentare, perché c’è chi la pensione non la vedrà mai.
L’operaio a cui aumentano l’orario a parità di salario stia zitto, perché ha uno stipendio fisso a fine mese.
Il cassintegrato si dovrebbe un po’ vergognare, che riceve dei soldi dallo Stato per non lavorare.
Il centralinista al call center l’ora ringrazi la sorte che il suo padrone non ha ancora spostato tutto in Romania.
Il giornalista precario a quattro euro a pezzo non lo sa come vanno le cose nell’editoria, con che faccia chiede di più?
Il cameriere di Eataly a 800 euro al mese tace perché al bar lì vicino pagano di meno e pure in nero.
E la colf romana a cui hanno ridotto la paga da 8 a 7 euro l’ora non sa che una polacca ne chiede solo sei?

Il teatro italiano cambia

Ci sono diverse novità nel decreto del Ministero della Cultura, Ne parla Anna Bandettini nel suo blog e il riordino farà discutere.

Naturalmente c’è già chi è scontento, chi migugna, chi vede il complotto, ma la novità per il teatro e la sua vita culturale è che si cambia. Lo impone il decreto del Mibact, il ministero della Cultura, che ridefinisce la geografia dello spettacolo dal vivo, danza, musica, circo ma soprattutto teatro, a partire dal 2015 secondo criteri più vicini ai modelli europei: finanziamenti triennali, nascita dei teatri nazionali, accesso facile ai contributi per i giovani artisti, contributi per la multidisciplinarietà, la residenza…
Il cambiamento sarà importante anche per il pubblico che solo per la prosa equivale a 11milioni di biglietti l’anno e una spesa di 201,6 milioni di euro, perché la qualità delle produzioni sarà condizionata dal riordino della grande famiglia del teatro, oggi dispersa e frastagliata in circa 600-700 soggetti tra teatri e compagnie finanziate con poco più di 62milioni sui 411 totali del Fus, regolate finora da circolari e decreti (l’ultimo era del 2007). Il nuovo, nato dal lavoro del direttore generale dello Spettacolo, Salvo Nastasi a stretto contatto con l’Agis, avviato dal ministro Bray, adottato dal ministro Dario Franceschini, è arrivato ieri all’ultimo step: la conferenza unificata composta da regioni, comuni, provincie il cui parere, necessario ma non vincolante, è atteso entro 60 giorni, dopo i quali diventerà legge

Marcello Dell’Utri

Questo nostro nuovo governo ama fare le cose in grande, non si limita ad arrestare i latitanti: li crea da solo e solo dopo li arresta.