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Due, tre cose sul macabro balletto calabrese

Ma il governo si rende conto di non essere in grado di nominare un commissario della sanità per la Calabria senza incorrere in figuracce?

Tre commissari nel giro di dieci giorni. Roba da fantascienza di quart’ordine, sembra un filmato horror di quelli con il pomodoro visibilissimo al posto del sangue, solo che qui ci si gioca la salute di una regione intera come la Calabria e ci si gioca la credibilità di un governo, anche se lassù fanno finta di niente.

Siamo partiti con il prode Cotticelli, l’ex generale dei Carabinieri che è riuscito nella mirabile impresa di umiliarsi in televisione intervistato da un giornalista, quasi come un ladro beccato con le mani nel sacco. Ha cominciato a balbettare discorsi sconclusionati e poi si è accorto seduta stante di dover essere lui a occuparsi del piano Covid. Un servizio in cui la sua segretaria e l’usciere del palazzo sono apparsi come degli scienziati nei confronti di quel commissario (così lautamente pagato) che sembrava essere invece passato lì per caso. Cotticelli è riuscito a fare ancora di più: si è immolato poi ospite da Giletti dicendo che era «in uno stato confusionale», forse era stato drogato e di non riconoscersi più. Uno schifo.

Poi arriva Zuccatelli. Una nomina lampo, non c’è che dire: giusto il tempo di essere nominato (ovviamente come “grande professionista” con la solita liturgia che accompagna ogni nomina politica, anche quando si tratta di amici di partito). Parte forte Zuccatelli, perfino Nicola Fratoianni di Leu ne contesta la nomina. Basta qualche minuto e ecco Zuccatelli in un bel video in cui ci dice che le mascherine «non servono a un cazzo» e che per ammalarci dobbiamo baciarci per almeno 15 minuti. Caos, figuraccia. Arriva il ministro Speranza che dice che Zuccatelli non si può giudicare da un video e che la sua esperienza è fuori discussione. Quindi uno pensa che rimarrà al suo posto. E invece si dimette e ci dice che gliel’ha chiesto Speranza. Quindi? C’è qualcosa di più di quel video che non sappiamo? Boh, niente di niente.

Infine in pompa magna viene nominato Eugenio Gaudio, che intanto ha a che fare con un’indagine della Procura di Catania probabilmente presto archiviata, e qualcuno dal governo parla di tandem con Gino Strada. Gino Strada li sbugiarda dicendo che non esiste alcun tandem. Ieri Gaudio ci dice che non può accettare perché, dice proprio così, sua moglie non vuole trasferirsi a Catanzaro. Ieri pomeriggio a Tagadà il ministro Boccia dice addirittura che non vero che il governo l’aveva nominato, che ci stava pensando, poi ci ripensa, balbetta che il ruolo del commissario straordinario per la sanità non sia un ruolo “importante”, poi ci ripensa, poi esce una nota stampa in cui si scopre che Gaudio si è dimesso senza nemmeno confrontarsi con il ministro Speranza. Niente di niente. Finisce così. Che poi Gaudio abbia accettato un ruolo così delicato senza avvisare a casa è una roba che farebbe ridere, se non facesse piangere.

A questo punto la domanda è una secca: ma il governo si rende conto di non essere in grado di nominare un commissario per la Calabria senza incorrere in figuracce? E poi: il governo si rende conto della delicatezza del ruolo soprattutto in questo momento? E poi: ma c’è qualcosa che non sappiamo?

Sullo sfondo, agitato come una reliquia, quel grande uomo che è Gino Strada e Emergency.

Che pena.

Buon mercoledì.

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Ora basta: dichiarate Forza Nuova fuorilegge, e lasciate le piazze a chi soffre e protesta civilmente

A Bari il segretario provinciale di Forza Nuova, fra gli organizzatori della manifestazione di protesta cittadina, ha messo alla gogna una giornalista di Repubblica. Sulla vicenda sta già indagando la Questura. A Palermo il leader locale di Forza Nuova, Massimo Ursino, lancia la manifestazione di oggi con messaggi bellici: “Se questo governo ispirato da poteri anti-popolari ed anti-nazionali come l’Oms, ci trascinerà alla rovina ed alla guerra sociale, sappia che troverà il popolo italiano pronto a combattere strada per strada, piazza per piazza”.

In Piazza del Popolo a Roma Roberto Fiore e Giuliano Castellino, leader nazionale e locale del movimento, erano nel gruppo che ha lanciato bombe carta e che è stato disperso con gli idranti della polizia. A Milano tra i 28 denunciati ci sono persone vicine a Forza Nuova. A Torino si parla di ultrà che il questore definisce sotto la “regia di professionisti della violenza”. A Napoli qualche giorno fa, si sa, Forza Nuova era in piazza e il leader Roberto Fiore ha lanciato l’attacco direttamente dai suoi profili social. Dove le proteste sono sfociate in violenza i militanti di Forza Nuova, come le sue figure apicali territoriali, sono sempre stati presenti e addirittura hanno rivendicato la guerriglia.

Del resto è tipico della loro matrice fascista: rivendicare l’uso della forza è l’unico modo per alzare la voce e farsi notare. Parliamo di un partito che è riuscito a farsi cancellare da Facebook e Instagram perché, lo ha scritto proprio il social network, “le persone e le organizzazioni che diffondono odio” non possono essere presenti sulle sue piattaforme. Parliamo di un segretario di quello che vorrebbe essere un partito, come Roberto Fiore, che è stato condannato per banda armata e associazione sovversiva come capo di Terza posizione, l’organizzazione che alla fine degli anni Settanta ha riunito alcuni dei criminali più violenti della destra eversiva.

Un partito denunciato 240 volte per violenza dal 2011 al 2016. Quattro volte al mese. E allora la domanda è sempre la stessa, in questi giorni ancora di più: ma cosa si aspetta a sciogliere i partiti neofascisti che in Italia sono vietati dalla Costituzione? Cosa si aspetta a prendere l’esempio dalla Grecia con Alba Dorata e dichiarare fuorilegge un partito che in questi giorni sta giocando sulla disperazione con la violenza? Cosa?

Leggi anche: 1. Roma, violenti scontri in piazza del Popolo durante la manifestazione contro il Dpcm | FOTO E VIDEO / 2. Poi però non vi meravigliate se la gente comune impoverita scende in strada a protestare

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Li vedono i mezzi pubblici? (E le tre T)

Dunque il governo si sta preparando a emanare regole più stringenti per l’incremento di casi di positivi al Covid e per frenare l’aumento dei contagi. La nuova convivenza con il virus, lo sapevamo, ci costringerà ancora per un bel po’ a stringere e allargare le maglie dei nostri comportamenti per riuscire a convivere con il virus. È inevitabile, lo sapevamo. Chi finge di essere stato colto impreparato dal ritorno del virus probabilmente non ha letto un giornale negli ultimi sei mesi, chi sperava che il virus fosse scomparso è un fatalista piuttosto pericoloso se si ritrova in un ruolo di governo.

Ora, vedrete, ripartirà la caccia all’untore, che infatti comincia a puntare sui bar, sul calcetto e sulle feste private. Manca però un particolare che non è di poco conto: non si capisce, e non ci dicono, quale sia il reale peso dei contagi in queste circostanze e forse una comunicazione più chiara aiuterebbe anche un’informazione meno basata sulla paura che di certo non aiuta, no.

C’è però un punto che sembra essere scomparso dal radar del dibattito pubblico e che continua a martellarmi in testa: ma li vedono i mezzi pubblici? Li vedono i mezzi che portano i ragazzi a scuola (quelli che vengono additati come colpevoli per gli assembramenti poi ma di entrare in classe ma hanno viaggiato tutti belli assembrati per arrivare fin lì)? Li vedono i mezzi dei lavoratori che tutte le mattine si spostano per andare sul posto di lavoro? Le immagini sono centinaia e si moltiplicano ogni giorno: tram, metropolitane, treni che sono fuori da qualsiasi norma perfino di buonsenso, gente accalcata che si infila in carrozze strapiene per non perdere l’orario di ingresso al lavoro.

La sottosegretaria ala Salute Sandra Zampa l’ha detto a chiare lettere in un’intervista a La Stampa: «Fissare all’80% il limite massimo di capienza dei bus è stato rischioso. Avere una soglia così alta, senza un controllo effettivo a bordo, vuol dire lasciare la possibilità che si arrivi facilmente a mezzi pubblici pieni al 100%». Per questo propone di abbassare la capienza massima dei mezzi pubblici al 50% e di utilizzare i guanti. Tutto benissimo, per carità: ma se ora sono strapieni e le corse non vengono aumentate come farà la gente ad andare a lavorare o a scuola? Questo è il tema.

Poi c’è la vecchia storia delle tre T (tamponi, tracciamento e trattamento) che sembra fare acqua in più di qualche regione. L’ex candidato alla Regione Liguria Ferruccio Sansa racconta sul suo profilo Facebook la sua esperienza con un figlio positivo: «Alla fine per avvertire i miei contatti ho dovuto fare un post su Facebook. Altro che Immuni. Altro che tracciamento. Vi promettono che tracciano i contatti dei malati: balle. Vi raccontano che useranno Immuni: fantascienza. Vi dicono che vi seguiranno mentre siete malati a casa: aspetta e spera». E aggiunge: «Consola sapere che altre centinaia di persone in Liguria oggi sono nella nostra stessa situazione. Nella stessa solitudine. Gente che non fa il calciatore e non può fare migliaia di tamponi ogni weekend. Gente che non si chiama Trump, Berlusconi o Briatore e sa di poter contare su scorte di remdesivir come Dom Perignon. Ma se io faccio un post magari qualcuno interviene. In fondo conosco medici e pneumologi per i casi di emergenza. Ma tanti altri che sono davvero soli che cosa possono fare? È tanto diverso il Covid visto da un letto se per dire che stai male devi usare Facebook».

Buon lunedì.

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Ecco a voi i nuovi sovranisti: ignoranti individualisti e negazionisti che cianciano di dittatura sanitaria

Non sono scettici come vorrebbero definirsi, quello sono altro e sono sale della democrazia: questi sono negazionisti veri e propri, gente che propone tesi contrarie a quelle della comunità scientifica con il solo gusto di andare controcorrente, non hanno nemmeno idee proprie: prendono quelle che secondo loro vanno “per la maggiore” e le invertono, stupidamente, rivendicando le proprie tesi come legittimate dalla ribellione senza nemmeno prendersi la briga di portare prove a sostegno. Provate a ascoltarlo un negazionista: vi dirà di non credere ai virologi che vanno in televisione (perché sono tutti pagati dai famosi “poteri forti” che lui combatte su Facebook, dice) ma in realtà vorrebbe applicare alla scienza un metodo non scientifico, vorrebbe essere pilota di Formula 1 senza patente.

Ma la piazza di oggi a Roma intanto ha già dato alcune risposte: oggi il vicesegretario di Forza Nuova Giuliano Castellino insieme ai suoi amici camerati hanno addirittura presentato il loro “governo di salvezza nazionale” che dovrebbe tirarci fuori dalla pandemia: Carlo Taormina, nominato ministro della Giustizia, l’ex avanguardia Nazionale Vincenzo Nardulli (Sport e tifosi) (condannato in primo grado, insieme a Castellino, a cinque anni e sei mesi per aggressione), e alla Difesa per non farsi mancare niente Leonardo Cabras, il coordinatore di Fn per l’Italia centrale, quello che oltre a negare il Covid ci aveva anche raccontato che nei campi di concentramento nazisti c’erano i cinema e le piscine. Eccolo lo spessore politico e culturale.

Del resto sono i nuovi sovranisti, quelli che ci dicono che vorrebbero difendere la Patria ma hanno come unica patria l’Io, il farsi i fatti propri, tutti turbospinti (come direbbe l’altro complottista, il filosofo Diego Fusaro) a un individualismo legittimato e addirittura doveroso. Vorrebbero essere dubbiosi e invece sono solo ignoranti individualisti che reclamano la “dittatura sanitaria” e sono innamorati persi dei dittatori. Usano la paura per racimolare un po’ di consenso e in mancanza di argomenti si gingillano nel negare gli argomenti degli altri. Sono quelli che hanno paura di essere spiati e lo scrivono sui social, sono quelli che ancora non ci hanno spiegato cosa ci guadagnerebbe un governo nel mettere in ginocchio la propria stessa economia.

E sono pericolosi, moltissimo, perché se uno vuole essere scemo non c’è nessun problema ma se danneggia gli altri allora diventa un pericolo anche per gli altri. Anche per quelli che stanno facendo sacrifici.

Leggi anche: No Mask e sovranisti scendono in piazza a Roma: la diretta della manifestazione | DIRETTA

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Lo smemorato del Sussidistan

Eccolo qui, ancora, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che come un falco rotto si lancia sul sistema Italia impartendo la sua lezione di politica dall’alto della sua (modesta) esperienza imprenditoriale e con i suoi soliti toni di guerriglia contro il Paese sociale. La sua ultima impresa, il suo ultimo bullismo lessicale è tutto nella parola «Sussidistan» con cui ha bollato l’Italia colpevole, a suo dire, di occuparsi troppo dei poveri e troppo poco delle imprese. «Aderire allo spirito dell’Ue significa una visione diversa dai sussidi per sostenere i settori in difficoltà. Nel lockdown il governo ha assunto misure di sostegno alla liquidità delle imprese e di rifinanziamento al fondo Pmi, ma i sussidi non sono per sempre, né vogliamo diventare un Sussidistan», ha detto Bonomi all’assemblea annuale degli industriali, riprendendo tra l’altro il termine già usato dall’economista del partito di Italia viva e trasformando un discorso serissimo e fondamentale per il futuro del Paese in uno slogan da macchiette.

Però ci vuole davvero un bel coraggio e tanta miopia per sostenere che il denaro a pioggia sia distribuito solo nella «logica del dividendo elettorale» nell’Italia in cui gli industriali hanno dimostrato di sapere battere cassa come forse da nessun’altra parte, tanto che al ministero dello Sviluppo economico c’è addirittura un’intera task force (un’altra, l’ennesima) dedicata esclusivamente agli incentivi alle imprese.

Forse bisognerebbe ricordare a Bonomi che già nel Dopoguerra fu lo Stato, attraverso le banche pubbliche, la Mediobanca di Enrico Cuccia e l’Iri a iniettare denaro nell’industria nazionale. Qualcuno potrebbe ricordare cosa accadde negli anni Novanta quando tutti i cittadini pagavano mutui con interessi a doppia cifra e lo Stato firmava il famoso “tasso Fiat” al 7% per aiutare l’azienda automobilistica italiana, quella che non ha avuto molti scrupoli poi a chiudere i suoi impianti italiani e delocalizzare con tanta agilità spostando tutto l’asse verso gli Stati Uniti.

Oppure si potrebbe tornare sul cronico tasto dolente di Alitalia che è stata privatizzata ma non è mai stata realmente privata nella distribuzione delle sue perdite che sono ricadute e continuano a ricadere nelle tasche dei contribuenti. Oppure si potrebbe ricordare i miliardi di euro che ogni anno arrivano come contributi indiretti o come sgravi fiscali all’industria del cemento che formalmente vanno a favore dei cittadini sotto i fantasiosi nomi di sismabonus, ristrutturazioni, rifacimento terrazze e soprattutto come bonus facciate ma che di fatto servono ad alimentare un settore in crisi profonda anche di idee che senza aiuti di Stato sarebbe fermo al palo. Dice il segretario Cgil Maurizio Landini in un’intervista a La Stampa che «il Sussidistan è quello delle aziende che vivono di contributi pubblici. Tra il 2015 e il 2020 alle imprese sono andati sussidi per più di 50 miliardi. E più di un terzo dei 100 della manovra del 2020. Una cifra consistente, una parte è prevista anche nella manovra più recente. Sono sussidi per incentivare assunzioni, sgravi fiscali, aiuti di ogni genere. Noi chiediamo di uscire dalla logica degli aiuti a pioggia per una nuova politica industriale che incentivi a creare lavoro di qualità e non precario innanzitutto per giovani e donne».

Il tema vero di questa epoca politica è che è in corso un attacco sconsiderato ai poveri e alla povertà (non certo per sconfiggerla con redditi decenti), che si camuffa come critica politica al Reddito di cittadinanza e a Quota 100 ma che sostanzialmente punta a spostare i soldi del prossimo Recovery fund sulle imprese che non vogliono perdere la propria occasione di sedersi al tavolo e di dividersi una bella fetta della torta. L’avevamo già scritto qualche numero fa proprio su queste pagine (vedi Left del 26 giugno, La democrazia secondo Confindustria, ndr): Confindustria ha lanciato Bonomi nell’agone politico con l’evidente obiettivo di succhiare più soldi possibili dai (molti) soldi che arriveranno dall’Europa. Solo questo. Tutto qui. E il trucco di non distinguere i piani del rilancio industriale da quelli della lotta alle povertà è astutamente utilizzato per confondere le acque.

Infine il prode Bonomi si lancia anche nella sconclusionata proposta di fare pagare l’Irpef direttamente ai dipendenti in nome di una “semplificazione” che non si capisce esattamente cosa porterebbe: in un Paese dove l’evasione fiscale costa 107 miliardi all’anno (metà del Recovery fund) e con la scandalosa statistica che ci dice che il 93% dell’Irpef è pagato dai lavoratori dipendenti e dai pensionati la proposta suona come un sottilissimo invito a investire in quelle stesse modalità che da anni azzoppano le casse pubbliche con l’enorme “fantasia fiscale” di una certa parte dell’imprenditoria italiana.

Un fatto però suona chiaro e cristallino: nel Paese dei capitalisti senza capitali che fanno imprenditoria con i soldi degli altri (o con i soldi pubblici) Carlo Bonomi si presenta con tutti i ghingheri che servono per apparire il perfetto protettore di un certo padronato che ha nel vocabolario del futuro solo una parola: soldi, soldi, soldi.

L’editoriale è tratto da Left del 9-15 ottobre 2020

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Demonizziamo l’assassino di Lecce senza renderci conto che l’invidia è diventata il motore di quest’epoca

Il presunto omicida di Daniele De Santis e della sua fidanzata Eleonora Manta a Lecce avrebbe confessato di avere agito perché “erano troppi felici e per questo mi è montata la rabbia” (qui le virgolette sono d’obbligo poiché la frase è stata riportata da fonti investigative ed è ancora tutto da appurare) e subito si è scatenata una ridda di criminologi e esperti di ammazzamenti che frugano nella vita del ragazzo per raccontarci tutti i suoi lati presumibilmente oscuri. La demonizzazione dell’assassino è una catarsi meravigliosa: più lo dipingiamo lontano da noi, meno assomiglia a noi e più ci sentiamo in pace con noi stessi.

Stupisce però che ci si stupisca dell‘invidia senza rendersi conto che è il motore politico e sociale di quest’epoca, invidia intesa come il soffrire del bene (o spesso del bene percepito) degli altri per rifocillare un’identità fragile. Perché la domanda “perché lui sì e io no?” è in fondo la domanda delle domande di un certo ragionamento sociale e politico che qui sembra andare per la maggiore. L’invidioso che non è contento di sé e che percepisce il bene dell’altro come una diminuzione di se stesso è lo stesso che si lamenta ogni volta che ci si batte per i diritti di qualcuno a cui lui non sente di appartenere (gli altri possono essere gli stranieri, la casta, i percettori del reddito di cittadinanza, i dipendenti pubblici e un’infinità di altre categorie).

Su una certa malsana invidia si è scatenato un certo populismo di questi anni che punta a maledire e smontare ciò che viene vissuto come più in alto piuttosto che proporre ragionamenti complessi. Sull’invidia tra poveracci si basa tutta la retorica di chi ha instillato una guerra tra disperati convincendoci che erodere i diritti degli altri garantisca i nostri diritti. Come oggetti di invidia sociale si propongono alcuni modelli culturali che mostrano inaccessibili stili di vita.

Poi l’invidia diventa risentimento e infine rancore e così si accende la guerra (e talvolta la violenza) di cui infine ci stupiamo. Scriveva Paul Valéry: guardando bene, si scopre che nel disprezzo c’è un po’ di invidia segreta. Considerate bene ciò che disprezzate e vi accorgerete che è sempre una felicità che non avete, una libertà che non vi concedete, un coraggio, un’abilità, una forza, dei vantaggi che vi mancano, e della cui mancanza vi consolate col disprezzo”. Nietzsche scriveva di una versione più feroce dell’invidia come gioia maligna che porta a godere del male dell’altro.

Siamo sicuri che l’invidia sia solo una mostruosa eccezione da relegare all’omicidio di Lecce? Perché il giorno che decideremo di non demonizzare, non deridere, non compiangere, non disprezzare ma comprendere le azioni umane forse riusciremo ad aprire un dibattito più proficuo e interessante.

Leggi anche: 1. I bigliettini, la mascherina, la foto Whatsapp: i passi falsi di Antonio De Marco, il presunto killer di Lecce; // 2. Omicidio Lecce, la confessione di Antonio De Marco: “Sì, sono stato io. Erano troppo felici”; // 3. Lecce, “Il killer deriso dai due in un sms”. Si indaga sul movente della vendetta; // 4. Chi è Antonio De Marco, il 21enne di Lecce che ha ucciso Eleonora Manta e Daniele De Santis

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Elly Schlein a TPI: “Io segretario Pd? Sto bene dove sto. Sui migranti troppe ambiguità, ci vuole più coraggio”

Vicepresidente della Regione Emilia Romagna ed ex europarlamentare, Elly Schlein fondato le liste “Coraggiosa” hanno corso alle ultime elezioni amministrative con buoni risultati. TPI l’ha intervistata su Ue, politiche migratorie e futuro del governo.
L’Europa dice “superiamo gli accordi di Dublino” e poi esce con questa solidarietà invertita tra stati del Migration Pact. Che ne pensi?
È un errore strategico perché, al di là della dichiarazione del volere abolire il regolamento di Dublino, non risolve il nodo fondamentale che solo la riforma approvata dal parlamento nel 2017 risolveva: cioè un ricollocamento automatico per condividere equamente tra gli stati la responsabilità sull’esame delle richieste di asilo, valorizzando i legami delle persone. Quello è il tema. Mi sembra un piano deludente perché in questo modo mette da parte il lavoro fatto dal parlamento e approvato dalla maggioranza e che poteva essere utilizzato anche per convincere i governi dentro al consiglio a votare, anche a maggioranza qualificata. E invece ripropone l’idea molto vecchia della solidarietà flessibile. Un’operazione culturalmente molto pericolosa è mettere sullo stesso piano i ricollocamenti (e quindi la condivisione dell’accoglienza) e la sponsorizzazione dei rimpatri. Mi sembra che lasci le mani libere a quei governi che si sono dimostrati molto interessati alla solidarietà europea quando vuol dire fondi strutturali e assolutamente indisponibili quando si tratta di un’altra forma di responsabilità europea che è quella che già i trattati chiedono sull’asilo e sull’accoglienza. Mi sembra anche un errore strategico perché anziché farsi forte di una posizione già approvata dal parlamento si riparte da zero con una proposta che non risolve il tema della solidarietà obbligatoria.

L’Europa dice che è solidarietà obbligatoria perché comunque devi dare un contributo…
Cosa sceglieranno i paesi del blocco di Visegrad tra i ricollocamenti e tra il dare un po’ di soldi per fare i rimpatri o dare altro supporto operativo? C’è poi un’altra preoccupazione che sono le procedure accelerate alle frontiere che sembrerebbero aumentare il carico di lavoro ai paesi di confine come l’Italia e soprattutto non si capisce basate su cosa. La convenzione di Ginevra chiede un pieno esame individuale delle domande d’asilo e se tu fai una procedura accelerata – magari basata sul concetto molto discrezionale di paese terzo sicuro – rischi di costituire un filtro d’ingresso che nega il permesso di asilo a seconda del paese da cui provieni. Non mi sembra un passo avanti. Mi sembra un passo indietro. Perfino la commissione Junker, anche se con soglie altissime, faceva scattare un obbligo di ricollocamento per tutti i paesi europei. Al governo italiano spetta un difficile negoziato in cui trovare alleati sui ricollocamenti obbligatori.

In Italia qualche giorno fa hanno bloccato la Mare Jonio ed è la sesta nave ferma in porto per questioni burocratiche anche piuttosto discutibili. I decreti sicurezza rimangono sempre lì e Lamorgese ha parlato di possibili profili penali per le Ong. Come siamo messi qui da noi a criminalizzazione della solidarietà?
Evidentemente male. Mi sembra che ci sia ancora troppa ambiguità in relazione all’obbligo di ricerca e soccorso in mare e non mi sembra che si sia risolto il tema facendo la guerra a coloro che cercano di sopperire alle mancanze istituzionali. Non si sta discutendo di rimettere in mare un’operazione di ricerca e soccorso istituzionale come è stata Mare Nostrum, no, e a fronte di questo a maggior ragione è sbagliato criminalizzare chi si sta occupando di salvare vite in mare che è un obbligo giuridico e morale. Male.

Troppe ambiguità anche da parte di questa maggioranza. Spero possa risolverla in modo diverso anche con la modifica di questi decreti sicurezza che davvero stiamo aspettando da troppo tempo. Era il primo segnale necessario di discontinuità del governo Conte e ne stiamo parlando ancora dopo un anno. È importante che arrivi in fretta e che corregga non solo la criminalizzazione delle Ong ma anche gli altri profili gravissimi come quello che tendeva a smantellare l’unico sistema di buona accoglienza che è quello diffuso, che rifiuta la grande concentrazione di persone dove spariscono i diritti e spesso si infila l’ interesse economico, quello che privilegia le piccole soluzioni abitative distribuite sul territorio con adeguati servizi di inserimento nella società e con adeguati controlli da parte delle amministrazioni locali e con trasparenza sull’utilizzo dei fondi. Chi ha scritto i decreti sicurezza privilegiando le grandi concentrazioni rispetto all’accoglienza diffusa è proprio chi vorrebbe fare dell’accoglienza un business, calpestando i diritti. Con un po’ di coraggio in più questa maggioranza dovrebbe riscrivere complessivamente le leggi sull’immigrazione rimediando ai disastri delle destre che hanno prodotto irregolarità e ingiustizia, non certo inclusione e sicurezza per le comunità.

Molti ti vorrebbero segretaria del Pd ma le tue liste “Coraggiosa” hanno corso alle amministrative ottenendo ottimi risultati. Hai intenzione di continuare su questa linea o pensi che si possa pensare a un partito di centrosinistra che tenga insieme tutto?
Noi stiamo bene dove stiamo. Anzi, in una tornata che ha segnato dei risultati importanti ma non brillanti per le forze progressiste e la sinistra siamo rimasti positivamente sorpresi che le liste di coraggiosa abbiano avuto una crescita significativa. a Faenza abbiamo fatto il 7,22 per cento, a Vignola abbiamo avuto una crescita del 145 per cento rispetto alle regionali di 8 mesi fa. A Imola è andata bene, siamo cresciuti al 5 per cento. Quindi in una tornata in cui il centrosinistra si è difeso bene ma non c’è stata una crescita in valori assoluti, “Coraggiosa” è in controtendenza forse perché stiamo provando a dare una chiarezza di visione che in questo momento a livello nazionale manca. Stiamo cercando, dentro le coalizioni, di contribuire a fermare la destra ma qualificando la nostra proposta sui temi della lotta alle disuguaglianze e alla transizione ecologica, due temi su cui chi si sta mobilitando anche fuori dalla politica è stufo di titubanze e di ambiguità. Questo può essere anche uno spunto importante per le forze che formano questa maggioranza. Sui temi del clima, dell’immigrazione e del lavoro di qualità bisogna che si sblocchi questo governo. Su giustizia sociale e transizione ecologica questo governo può fare fronte comune e fare un balzo in avanti. “Coraggiosa” non ha mai avuto l’ambizione di essere un nuovo partito o una sigla in più, ha sempre avuto l’ambizione di scuotere l’intero campo delle forze ecologiste e progressiste pretendendo chiarezza nella visione condivisa di futuro. Unità sì ma non ha senso se non è accompagnata dalla coerenza di un progetto condiviso. Quindi per ora noi continuiamo a stare dove stiamo e continueremo su questa strada.

Come vedi il futuro del governo?
I risultati elettorali danno un respiro ampio ma non per stare fermi, guai a sedersi sui risultati. Quei risultati consegnano la responsabilità alle forze di governo di rilanciare in avanti. Abbiamo un’occasione straordinaria, le risorse in arrivo vanno utilizzate coinvolgendo i territori e le parti sociali, non è un sfida di governo, è una sfida che riguarda il paese. Quelle risorse ci danno l’occasione di ricostruire il paese su basi nuove, possiamo risolvere alcuni ritardi accumulati nei decenni.
Quali sono le priorità?
Transizione ecologica, su cui bisogna investire il 37 per cento delle risorse del Recovery Fund, la trasformazione digitale, su cui bisogna investire il 20 per cento e la coesione sociale. Le priorità indicate dalla commissione europea centrano proprio la congiunzione tra lotta alle diseguaglianze e transizione ecologica che sono i temi su cui insistiamo da tempo. Se il governo avrà la capacità di progettare il nuovo e non semplicemente aprire cassetti polverosi per accontentare qualcuno, si potranno spendere bene. Nei vecchi cassetti ci sono progetti scritti troppi anni fa per riuscire a interpretare i cambiamenti che servono. Io credo che la tenuta di questo governo si misurerà se le forze che lo compongono, piuttosto che continuare a distinguersi, proveranno a lavorare concretamente sui temi che li uniscono. E questi sono i temi su cui possono provare a fare un passo avanti insieme.

Transizione ecologica significa investire su un nuovo modo di spostarsi, una mobilità dolce e sostenibile puntando su ferro, intermodalità e ciclabili, vuol dire creare occupazione di qualità nelle rinnovabili, nell’efficientamento energetico degli edifici e nella prevenzione del dissesto, perché l’unica grande opera che serve al paese è la cura del territorio così colpito dai cambiamenti climatici. E poi investire sulla trasformazione digitale per rimediare i ritardi enormi che abbiamo a partire dalle pubbliche amministrazioni, ma vuol dire riuscire a governare anche processi di innovazione tecnologica per metterli al servizio delle persone, perché non governati hanno prodotto un’enorme concentrazione di ricchezze e saperi. Si dovrà assicurare pari accesso alla rete per chiudere i divari territoriali, e per il privato investire nel digitale vuol dire innovare e contribuire all’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese.

Coesione sociale significa anche fare un enorme investimento sulla scuola, sul capitale umano, sulla formazione a partire dagli asili nido. Investire sui nidi vuol dire rendere più solidi i percorsi educativi contrastando povertà educative e dispersione scolastica, ma significa anche fare politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro indispensabili per colmare il divario occupazionale delle donne, favorendo una migliore distribuzione del carico di cura. Dopo la crisi del 2008, le ricette hanno reso il lavoro più precario, specie per donne e giovani. Oggi dobbiamo evitare quegli errori e ricostruire su basi diverse. Non abbiamo più scuse, le risorse ci sono.

Leggi anche: TPI intervista Elly Schlein, campionessa di preferenze in Emilia-Romagna: “Vi racconto la nuova sinistra che può battere Salvini”

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Le ossa rotte di Salvini in Toscana e Veneto: il declino del leader leghista

Bacioni, Salvini. Il leader leghista continua il suo filotto di sconfitte che rivende come vittorie e esce con le ossa rotte dalle elezioni regionali. Torniamo indietro di qualche ora: Matteo Salvini non riesce a non smargiassare e per mesi continua a urlacciare dappertutto che queste elezioni sarebbero state quelle che avrebbero “mandato a casa Conte e il suo governo” e che avrebbero dimostrato che la gente non ne poteva più del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle. Rendere delle elezioni regionali come cartina di tornasole del quadro nazionale è sempre un rischio ma il leader leghista ha questa grande, invidiabile caratteristica: le sbaglia tutte.

Così nonostante i suoi soliti messaggi che solleticano i soliti stomaci (riuscire a parlare solo di migranti in occasione di elezioni locali è una banalità da fuoriclasse) Salvini riesce a uscirne male in Toscana (dove la candidata Ceccardi era una “sua” creatura) e riesce a farsi sconfiggere perfino dal legista Zaia che in Veneto con la sua lista personale prende il triplo dei voti della lista ufficiale della Lega.

Dalle parti della Lega minimizzano ma proprio in Veneto Salvini pretese che tutti gli assessori uscenti fossero capilista della lista del partito e proprio in Veneto Salvini scrisse ai 400 segretari locali del Carroccio per invitarli a votare la lista ufficiale del partito e non quella di Zaia: missione fallita, evidentemente, lo dicono i numeri. “La lista del presidente intercetta il consenso che non va al partito”, ha detto ieri Zaia in conferenza stampa: chi ha orecchie per intendere intenda. I numeri, si sa, non mentono e i numeri dicono che i consensi della Lega sono in calo in tutti i territori e solo l’enorme ascesa di Giorgia Meloni è riuscita a tamponare una sconfitta di proporzioni maggiori.

Matteo Salvini politicamente negli ultimi 13 mesi, dal famoso pomeriggio del Papeete, è riuscito a sbagliarle tutte e se serve una fotografia di queste sue elezioni basta andare a Lesina, provincia di Foggia dove l’unico candidato sindaco era proprio un leghista: “Un sindaco pugliese lo abbiamo già eletto ancor prima del confronto elettorale”, disse Salvini il 23 agosto. Sbagliata anche questa: il candidato sindaco è riuscito nella mirabile impresa di non raggiungere nemmeno il quorum. Niente da fare.

Se, come diceva Salvini, queste elezioni sarebbero state la spallata definitiva del governo Conte e il primo passo per il suo ritorno al governo…Beh, Conte può dormire sonni tranquilli. Bacioni, Salvini.

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TAGLIO DEI PARLAMENTARI: TUTTO SUL REFERENDUM COSTITUZIONALE

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E insomma galleggiano

I partiti e i leader dopo le elezioni regionali. E i cittadini italiani dopo il referendum costituzionale, in attesa delle riforme che sono state promesse

Primo dato, appariscente e importante: questo refrain che gli italiani non vedessero l’ora di andare a votare per prendere a calci i partiti del governo e per incoronare la destra di Salvini e di Meloni è una bufala pazzesca. Nei giorni scorsi qualcuno, Salvini in testa, sognava e sparlava di una vittoria clamorosa e invece quel turbine sovranista che latra sui social, sui giornali e in televisione è solo un ruttino. Matteo Salvini ha voluto trasformare questo voto in un voto nazionale e ha sbagliato. A proposito: la Lega stravince in Veneto ma la lista di Zaia stravince relegando la lista ufficiale del partito a percentuali per niente eclatanti. Per intendersi: ha stravinto Zaia, più della Lega e presto farà valere il suo peso politico anche sul resto del partito. Il centrodestra galleggia.

Il Partito Democratico tiene, vince in Toscana e si afferma come partito, vince in Puglia con candidato che non voleva nessuno (Emiliano) e stravince in Campania con De Luca (ma quella è una vittoria di De Luca). Zingaretti ha rischiato ma è riuscito a rimanere in piedi. C’è da dire che nessuno dei candidati è un “suo” uomo. Ora chissà se riuscirà a fare il segretario e a governare con decisionismo il partito. Si rimane in attesa, come sempre. Una notazione: Zingaretti in conferenza stampa è riuscito a proporsi come rappresentante di chi ha votato Sì e anche di chi ha votato No al referendum, come se con un po’ di retorica si potesse tenere i piedi in tutte le scarpe. Il Pd galleggia.

Il Movimento 5 Stelle si sa che avrebbe deluso e infatti Di Maio corre in conferenza stampa intestandosi la vittoria del referendum e poi lascia agli altri l’incombenza di analizzare i deludenti risultati delle regionali. Ora si giocherà la battaglia interna nei prossimi Stati Generali e lì si capirà di più. Insomma il M5S galleggia.

Matteo Renzi si è tolto la soddisfazione di esistere solo per fare perdere il centrosinistra e non ci è riuscito. Incassa un risultato patetico ma non se ne renderà conto. Sono anni che non riesce a fare i conti con la realtà. E quindi galleggerà continuando a pestare i piedi.

Intanto per il taglio dei parlamentari stravince il Sì ma verrebbe da chiedersi chi rappresenti quel 30% di No. Ora tutti ci promettono che faranno le riforme. Restiamo in attesa di sapere quali siano le idee. Insomma, galleggiamo anche noi.

Buon martedì.

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E il maluomo non s’armolada

Secondo uno studio dell’Università di Padova il ghiacciaio della Marmolada nelle Dolomiti tra 15 anni potrebbe non esistere più. Ma il tema è pressoché assente dal dibattito pubblico. E la politica finge che non esista

Marmolada è diventato un verbo, un verbo di distruzione, un verbo di irresponsabilità, un verbo che dovrebbe ricorrere nei discorsi perfino quelli del bar, quelli che si fanno con leggerezza e che ultimamente sono abbastanza ingolfati di presunti vip fieri di essere infettati e di chiacchiericcio di fondo.

Secondo uno studio del Centro nazionale delle ricerche tra 25-30 anni il ghiaccio della Marmolada non esisterà più. Nel dicembre del 2019 gli studiosi scrivevano che in soli 10 anni il ghiacciaio della Marmolada, montagna iconica delle Dolomiti, ha ridotto il suo volume del 30%, mentre la diminuzione areale è stata del 22%. Il ghiacciaio, un tempo massa glaciale unica, è ora frammentato e suddiviso in varie unità, dove in diversi punti affiorano masse rocciose sottostanti. I terreni carsici, come la Marmolada, sono irregolari e costituiti da dossi e rilievi. Se il ghiaccio fonde gradualmente, le aree in rilievo affiorano, diventando fonti di calore interne al ghiacciaio stesso.

Ora un nuovo studio dei glaciologi dell’Università di Padova dicono che il Cnr probabilmente è stato fin troppo ottimista. «Negli ultimi 70 anni – afferma Aldino Bondesan, coordinatore delle campagne glaciologiche per il Triveneto – ha ormai perso oltre l’80% del proprio volume passando dai 95 milioni di metri cubi del 1954 ai 14 milioni attuali. Le previsioni di una sua estinzione si avvicinano sempre di più: il ghiacciaio potrebbe avere non più di 15 anni di vita». «Se estendessimo il trend di riduzione di superficie degli ultimi 100 anni (3 ettari/anno) – spiega Mauro Varotto – la fine del ghiacciaio è fissata per il 2060; se consideriamo il trend di contrazione degli ultimi 10 anni (5 ettari/anno), la fine viene anticipata al 2045. Ma il trend degli ultimi 3 anni è ancora più allarmante (9 ettari/anno) e potrebbe portare alla scomparsa di buona parte del ghiacciaio già nel 2031».

E non si tratta di un caso isolato: l’aumento delle temperature hanno ridotto nell’ultimo secolo del 50% i ghiacciai e il 70% di questo 50% è avvenuto negli ultimi 30 anni.

Marmolada è diventato un verbo. M’armolada molto che se ne parli solo negli articoli considerati scientifici come se non fosse un tema fortemente politico. M’armolada che nella campagna elettorale in corso non ci sia un solo accenno. M’armolada che i segretari di partito non sprechino mai una parola, non abbozzino mai una soluzione ogni volta che esce una notizia di questo tipo. M’armolada che quelli che promettono di spostare le montagne non si accorgono della loro sparizione. M’armolada che ancora si scriva e si dica del presunto maltempo senza capire che non è mai il tempo a essere malo ma tutto quello che accade è colpa piuttosto di un maluomo.

E il maluomo non s’armolada, continua a arrovellarsi sui problemi (reali e spesso inventati) che interessano il presente.

Buon mercoledì.

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