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indagine

La Cancellieri ci ha raccontato una bugia

Non so se ci rendiamo conto del significato che ha un ex Ministro della Giustizia indagata per false dichiarazioni a Pubblico Ministero. E non tanto per l’indagine in sé ma perché l’ex Ministra è già stata sconfessata dai tabulati telefonici che ci dicono che fu lei a chiamare i Ligresti e non fu chiamata come dichiarò anche ai giornali. E ancora una volta paghiamo lo scotto di una credibilità delle istituzioni che sarebbe da ricostruire e invece si sbriciola tra bugie e amicizie particolari.

Chi ha messo lì Mastrapasqua? quasi tutti.

Me lo chiedevo giusto ieri qui e mi ha risposto Sergio Rizzo per Il Corriere della Sera:

mastrapasqua-presidente-inps-indagatoBasta guardarlo, Mastrapasqua, per capire che il suo fisico segaligno è modellato sulla corsa di resistenza. Ne ha corse tante, insieme a Giampaolo Letta, il capo di Medusa, la società di produzione cinematografica di Silvio Berlusconi. Giampaolo è il figlio di Gianni, lo zio di Enrico e braccio destro del Cavaliere. Sono amici dai tempi della scuola, al San Leone Magno: ancor di più ora, al circolo Canottieri Aniene dove sgambetta tutta la Roma che conta.

Corre forte, il maratoneta Mastrapasqua. Troppo forte per Alfredo Antoniozzi, figlio dell’ex ministro democristiano Dario, a sua volta politico dc e poi forzista, del quale è collaboratore. A un certo punto stacca pure lui, per agganciarsi definitivamente a Gianni Letta. Il Nostro passa per essere un brillante commercialista nell’avviatissimo studio del papà. Così, quando l’Ospedale israelitico, struttura convenzionata con la sanità pubblica, finisce nei guai, Letta lo propone per il salvataggio.

E chi meglio di lui quando c’è da riempire un posto nel consiglio di amministrazione dell’Inps? Di nuovo, è Gianni Letta che fa il suo nome. In quegli anni da semplice consigliere il maratoneta corre senza sosta. Trovando il tempo anche per curare i propri affari, scrive nel libro «Tutti a casa» Mario Giordano, raccontando come fa a conquistare una residenza principesca in via Filippino Lippi a Roma, nel cuore dei Parioli: compra per un milione e mezzo di euro due case dell’Inail dagli inquilini che le hanno acquistate dall’ente qualche giorno prima.

Mastrapasqua sa dove vuole arrivare: in cima. Il suo protettore è potente, ma ci vuole qualcosa di più. Come un appoggio dentro l’istituto. Allora si lega alla Cisl e al direttore generale Vittorio Crecco. Preparandosi a fare le scarpe al presidente Gian Paolo Sassi.
Accade quando l’Inps entra in Equitalia con il 49 per cento. La vicepresidenza della società dovrebbe andare al numero uno dell’istituto. Ma quando Sassi sta per assumere l’incarico, ecco la solita telefonata da Palazzo Chigi: «Il posto è di Mastrapasqua, non si discute».

E non è una poltrona da nulla, considerando che nel 2011 garantiva al suo occupante, dice la Corte dei conti, 465 mila euro l’anno. Il triplo del presidente. Quella telefonata è una investitura in piena regola. La nomina di Mastrapasqua al vertice Inps viene approvata in Parlamento anche dal Partito democratico. Se ne occupa l’ex ministro del Lavoro unionista Cesare Damiano in persona. Mentre nessuno bada agli oltre cinquanta incarichi che in quel momento riveste.

Un (brutto) colpo per l’antimafia. Ancora.

Francesco-MollaceCerto siamo ancora al momento delle indagini e la Calabria è terra di ritorsioni incrociate in cui la ‘ndrangheta è molto più “politica” e “giustizia” di quanto se ne possa pensare per i non addetti ai lavori ma la notizia che scrive oggi Guido Ruotolo per La Stampa è una notizia che rimetterebbe in fila (se confermata) una serie di strane “coincidenze” sugli atteggiamenti del pentito Lo Giudice e sui risultati di alcune indagini. Io credo che sarebbe bene, per l’antimafia tutta, avere un po’ meno “sicumera” e un po’ di più di “intelligenti dubbi”:

Un colpo di scena, un altro. Per Reggio Calabria e l’antimafia è una mazzata. E anche un nuovo capitolo dei veleni che hanno intossicato il Palazzo di Giustizia. È indagato dalla procura antimafia di Catanzaro Francesco Mollace, uno dei pilastri storici della procura antimafia, sostituto procuratore generale di Reggio Calabria da meno di due mesi è in servizio alla procura generale presso la Corte d’appello di Roma (e qualcuno ipotizza la precipitosa decisione di trasferirsi dettata per evitare il carcere). L’ipotesi di reato che viene ipotizzata nei confronti dell’alto magistrato è corruzione in atti giudiziari, con l’aggravante di aver favorito la ’ndrangheta.

L’inchiesta dei pm Giuseppe Borrelli, Gerardo Dominjanni e Domenico Guarascio è una costola di quella sugli autori della strategia stragista contro lo Stato del 2010, la cosca Lo Giudice, che fece esplodere ordigni sotto il portone della procura generale (3 gennaio) e nell’atrio del palazzo del procuratore generale Salvatore Di Landro (25 agosto). Infine, il 5 ottobre, fu ritrovato un bazooka sotto la procura di Giuseppe Pignatone.

Per questi attentati si sta celebrando il processo a Catanzaro, avendo individuati gli autori. Sono diverse le letture sul possibile movente. Quella più accreditata: il procuratore generale Di Landro si era da poco insediato, facendo saltare immediatamente quegli accordi non scritti tra avvocati e sostituti procuratori generali, che praticavano il patteggiamento occulto in Appello. E, dunque, le bombe come richiesta a Di Landro di ripristinare quegli accordi.

Francesco Mollace è stato lo storico titolare delle inchieste che hanno riguardato i fratelli Lo Giudice, e nessuna di queste indagini è mai arrivata a processo. Ma c’é, ci sarebbe anche dell’altro. Viene ipotizzato dagli inquirenti uno scambio corruttivo tra il magistrato e la cosca di Nino Lo Giudice.

Sì, il «nano», il mandante delle bombe del 2010. Il dottor Mollace – che non ha voluto commentare le indiscrezioni sulle indagini che lo riguardano – avrebbe tenuto la sua barca nel cantiere navale di Nino Spanò, il prestanome della cosca Lo Giudice. A processo Spanò ha dichiarato che la rata mensile per la barca del magistrato Mollace veniva pagata in contanti e che lui non la contabilizzava.

«Don Ciccio, cercate don Ciccio che mi deve difendere». Quello che è importante è ricordare che questa intercettazione è agli atti della inchiesta, genuina. Il boss comunica al suo avvocato di contattare Mollace, e sembra dire che è il suo garante.

Per l’accusa, questa intercettazione è una prova decisiva, che mette in secondo piano la interpretazione e l’attendibilità del pentito Nino Lo Giudice che prima chiama in causa il procuratore aggiunto nazionale antimafia, Alberto Cisterna, poi evade dal rifugio protetto lasciando un memoriale nel quale ritratta tutto (infine è stato catturato).

‘Giornalismo d’inchiesta’: un po’ di chiarezza

Sono molti gli amici e colleghi che incorrono in denunce per diffamazione usate come avvertimenti morbidi per produrre un abbassamento generale di toni. Il giornalismo d’inchiesta cammina spesso sul crinale della calunnia contestata come prima reazione di chi si sente colpito in malafede e spesso in malafede incorre in un eccesso di difesa per proteggere un’impunità dall’informazione. La “sentenza Gabanelli” che ha sancito l’assoluzione della giornalista di Report ha chiarito molti punti importanti per la professione e più in generale sui confini giuridici della curiosità. Commentandola scrive l’avvocato Sabrina Peron:

La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza 27/2/2013 n. 9337, ha confermato l’assoluzione della giornalista Gabanelli, per un’inchiesta trasmessa dal programma Report sulle sofisticazioni dell’olio d’oliva. Secondo la Cassazione il risvolto del diritto all’espressione del pensiero del giornalista costituito al diritto della collettività ad essere informate non solo sulle notizie di cronaca ma anche sui temi sociali di particolare rilievo attinenti alla liberta, alla sicurezza, alla salute e agli altri diritti di interesse generale, sia operativo in concreto. Operativo evidentemente, alla condizione che, il sospetto e la denuncia siano esternati sulla base di elementi obiettivi e rilevanti. Difatti, nel giornalismo d’inchiesta il sospetto che non sia meramente congetturale o peggio ancora calunniatorio, deve mantenere il proprio carattere propulsivo e induttivo di approfondimenti, essendo autonomo e, di per sé, ontologicamente distinto dalla nozione di attribuzione di un fatto non vero.

E, come sottolinea la Peron, anche le sentenze passate tengono il punto:

Le inchieste giornalistiche consistono nel resoconto di attività di scavo, di ricerca ed indagine effettuate allo scopo di portare alla luce «verità nascoste», tramite il collegamento critico e ragionato di fatti, notizie e commenti (cfr. sull’argomento: AMADORE, L’inchiesta, in AA.VV, La professione del giornalista, CDG, Roma 2009, 113). Il giornalismo di inchiesta, è espressione più alta e nobile dell’attività di informazione; con tale tipologia di giornalismo, infatti, maggiormente si realizza il fine di detta attività quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche meritevoli, per il rilievo pubblico delle stesse (Cass. 2010/13269).

Le inchieste si distinguono, a seconda della tipologia, in investigative e conoscitive. Le prime ricercano della verità attraverso la ricostruzione di «vicende oscure le cui responsabilità rappresentano un mistero per la pubblica opinione» (Papuzzi Professione giornalista, Donzelli, 1998, 68). Quelle conoscitive, invece, informano «sulla società e la cultura del tempo in cui viviamo», non riguardano «avvenimenti precisi e specifici, come l’inchiesta di tipo investigativo», indagando invece i «fenomeni che segnano una società (Papuzzi Professione giornalista, cit.).

Al giornalismo di inchiesta, quale species del lavoro giornalistico, deve essere riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare in relazione ai limiti regolatori, dell’attività di informazione, qualegenus, già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa e comunque diversa applicazione dell’attendibilità della fonte, fermi restando i limiti dell’interesse pubblico alla notizia e del linguaggio continente, ispirato ad una correttezza formale; è, infatti, evidente che nel giornalismo di inchiesta, viene meno l’esigenza di valutare l’attendibilità e la veridicità della provenienza della notizia, dovendosi ispirare il giornalista, nell’“attingere” direttamente l’informazione, principalmente ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale, quali tra l’altro menzionati nell’ordinamento ex lege n. 69/1963 e nella Carta dei doveri (con particolare riferimento alla Premessa). Ne consegue che detta modalità di fare informazione non comporta violazione dell’onore e del prestigio di. soggetti giuridici, con relativo discredito sociale, qualora ricorrano: l’aggettivo interesse a rendere consapevole l’opinione pubblica di fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti; l’uso di un linguaggio non offensivo e la non violazione di correttezza professionale. Inoltre, il giornalismo di inchiesta è da ritenersi legittimamente esercitato ove, oltre a rispettare la persona e la sua dignità, non ne leda la riservatezza per quanto in generale statuito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (Cass. 2010/13269).

E’ noto che giurisprudenza consolidata ritiene che il diritto di informazione possa esercitarsi anche qualora ne derivi una lesione dell’altrui reputazione, prestigio o decoro, a condizione che si tratti di un argomento di pubblico interesse (c.d. pertinenza), che siano rispettati i limiti dell’obiettività e della correttezza della forma espressiva (c.d. continenza) e che l’informazione sia sostanzialmente veritiera; quest’ultimo in uno con il conseguente dovere di esaminare, verificare e controllare – in termini di adeguata serietà professionale – la consistenza della relativa fonte di informazione (ex multis Cass. 5081/2010).

L’art. 21 Cost. – analogamente all’art. 10 CEDU – non protegge unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti, nei confronti delle quali non si pone alcuna esigenza di tutela, essendo al contrario principalmente rivolto a garantire la libertà proprio delle opinioni che urtano, scuotono o inquietano (Cass. 25138/2007).

Sulla base di tale principio, la recente sentenza della Corte di cassazione che qui si pubblica, ribadisce che il «giornalismo di denuncia è tutelato dal principio costituzionale in materia di diritto alla libera manifestazione del pensiero, quando indichi motivatamente e argomentatamente un sospetto di illeciti, con il suggerimento di una direzione di indagine agli organi inquirenti o una denuncia di situazioni oscure che richiedono interventi normativi per poter essere chiarite».

Dunque – salvo il caso in cui il sospetto sia obiettivamente del tutto assurdo, e sempreché sussista anche il requisito del’interesse pubblico all’oggetto dell’indagine giornalistica – l’operato dell’autore del servizio è destinato a ricevere una tutela primaria rispetto a colui su cui il sospetto è destinata eventualmente a ricadere.

Come da tempo enunciato dalla giurisprudenza, l’interesse pubblico «è qualcosa di profondo e di serio, rivolto come esso è a permettere al lettore di rendersi conto delle situazioni di vita narrate al solo fine più generale della possibilità concreta d’insegnamento per la collettività e di miglioramento della convivenza, onde la pretesa coincidenza tra interesse sociale ed esigenze del pubblico può anche mancare» (App. Roma, 16.01.1991, FI, 1992, I, 942).

In particolare il «risvolto del diritto all’espressione del pensiero del giornalista costituito al diritto della collettività ad essere informate non solo sulle notizie di cronaca ma anche sui temi sociali di particolare rilievo attinenti alla liberta, alla sicurezza, alla salute e agli altri diritti di interesse generale, sia operativo in concreto. Operativo evidentemente, alla condizione che, il sospetto e la denuncia siano esternati sulla base di elementi obiettivi e rilevanti. Difatti, nel giornalismo d’inchiesta il sospetto che non sia meramente congetturale o peggio ancora calunniatorio, deve mantenere il proprio carattere propulsivo e induttivo di approfondimenti, essendo autonomo e, di per sé, ontologicamente distinto dalla nozione di attribuzione di un fatto non vero».

Per questo la sentenza vale la pena leggerla e conservarla (se volete da qui: Cass 9337 2013 giornalismo inchiesta)

30 euro al voto

Succede a Milano. Con di mezzo la camorra:

polizia-arrestoMaxi operazione dei carabinieri di Monza tra la Lombardia e la Campania per smantellare un’organizzazione camorristica che aveva stretti rapporti con ambienti della politica brianzola. L’indagine, denominata ‘Briantenopea’, ha avuto inizio nel 2010, da una rapina a un punto Snai a Gorgonzola nel mese di maggio, a cui sono seguiti altri due simili episodi a Brugherio ed Arcore, che hanno permesso, con intercettazioni e pedinamenti, di mettere in evidenza l’operatività di una “radicata associazione per delinquere composta, prevalentemente, da soggetti italiani di origine campana di elevato spessore criminale, in contatto con esponenti di clan camorristici del napoletano come Gionta e Mariano. Il nome più in evidenza è quello di Giuseppe Esposito, detto ‘Beppe ‘u curtu’. 

I carabinieri del gruppo di Monza hanno eseguito 43 ordinanze di misura cautelare, di cui 35 in carcere e 8 arresti domiciliari, nelle province di Monza, Milano, Lecco, Padova, Napoli, Avellino, e Salerno. Tra gli arrestati c’è anche l’ex assessore all’Ambiente e al Patrimonio del Comune di Monza, Giovanni Antonicelli (Pdl), a cui è stato contestato il reato di associazione a delinquere, come ad altri 20 soggetti. In sostanza, in cambio di voti, l’ex assessore avrebbe favorito gli affari del clan. Proprio sulla compravendita dei voti l’organizzazione avrebbe addirittura stilato un tariffario che andava dai 30 euro per il singolo ai 50 euro per il voto di un’intera famiglia. 

Due i fronti sui quali la magistratura di Monza, coordinata dal sostituto procuratore Salvatore Bellomo, ha concentrato le attenzioni nei confronti dell’ex assessore Antonicelli. Il primo è relativo alla manutenzione degli alloggi Aler, incarico affidato alla Pmg; il secondo riguarda la raccolta dei rifiuti nel capoluogo brianzolo, da anni affare della Sangalli. A giugno, la guardia di finanza si era presentata in Comune per acquisire materiale proprio sugli appalti delle case popolari e della raccolta rifiuti. Un passo a cui si era arrivati dopo che i carabinieri di Monza avevano messo in relazione una serie di scenari anomali su tutto il territorio. Scenari che hanno portato gli inquirenti a parlare di una vera e propria ‘enclave’ camorristica sul territorio di Monza in grado di respingere perfino tentativi di espansione della ‘ndrangheta.

I reati contestati in generale vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di gravi delitti quali rapine, estorsioni, usura, furti, ricettazione, al riciclaggio, spaccio di banconote false, detenzione illecita di sostanze stupefacenti e di armi e di reati contro la pubblica amministrazione. Citato ma non indagato, anche un ex consigliere comunale milanese del Pdl Renzo De Biase, in carica nella scorsa legislatura.

Ne resterà solo uno

Primarie-Kustermann-e-Di-Stefano-per-Bersani.-Ambrosoli-per_h_partb“Ne resterà solo uno” mi scrive simpaticamente (ma drammaticamente) Agostino su twitter: si parla di quaranta consiglieri indagati per peculato al Pirellone. Lo scrive La Stampa, Il Fatto Quotidiano e in questi minuti un po’ tutti stanno riprendendo la notizia.

E’ la fine degna di una legislatura indegna nei comportamenti, nelle politiche e nella rappresentanza della classe dirigente. Per predisposizione e per passione mi hanno sempre appassionato più gli inizi piuttosto che l’analisi del disfacimento e per questo aspetto domenica perché le primarie (civiche, mi raccomando) dicano chi può essere il candidato per la Lombardia che guidi una coalizione di centrosinistra (meglio di sinistracentro, possibilmente) per segnare una discontinuità etica oltre che politica.

E devo ammettere che queste primarie hanno almeno toccato i temi che per troppi anni sono sembrati un tabù anche dalle nostre parti come l’eccessiva privatizzazione di scuola e sanità, il consumo di suolo, un diverso pensare alle infrastrutture fino al welfare e alle politiche sociali sgretolati dal montismo e dal formigonismo. L’augurio che possiamo farci è che tutti i temi vincano le primarie e rimangano in agenda, sostenute dalla responsabilità di farsene carico chiunque sia il vincitore.

Ho molto apprezzato lo spirito “evoluzionario” di Di Stefano che conoscevamo per competenza e passione. Ho ascoltato con molta attenzione la competenza di Alessandra Kustermann in campo sanitario e risentito finalmente belle discussioni, collegate e dirette con i diversi movimenti e comitati del territorio.

Conosco Umberto Ambrosoli da anni e con lui ho condiviso impegni e serate dove una diversa interpretazione dell’etica pubblica era davvero possibile. Sono d’accordo (come mi succede ultimamente molto spesso) con Pippo Civati quando scriveCredo però che la figura più competitiva per sconfiggere la destra – soprattutto se questa si presenterà unita – sia quella di Umberto Ambrosoli. E non solo e non tanto perché Ambrosoli sia stato indicato come loro candidato da tutti e tre i principali partiti che comporranno la coalizione o perché goda di un consenso molto largo tra le forze civili della città di Milano, ma perché credo che Ambrosoli possa vincere le elezioni e dare alla Lombardia un governo molto distante da quello che ci ha preceduti. Fin dallo stile, dalle modalità di selezione delle persone che lo accompagneranno, dalle scelte politiche di fondo che la maggioranza della Prossima Lombardia vorrà interpretare.

L’importante è che dalle nostre parti dopo queste primarie non ne rimanga solo uno ma esca una pluralità: a partire dai tre contendenti per allargarsi alla Lombardia tutta in un percorso che mi ostino a vedere fortemente politico senza perifrasi di cortesia.

Per quanto riguarda me sono in molti in questi giorni a chiedermi lumi su queste ultime mie settimane politiche (dalla candidatura ritirata in poi) e mi conforta l’interesse e la stima. Per ora rimango a svolgere il mio ruolo di parte attiva a queste primarie e poi avrò modo di pensare, ripensare a piccoli vizi antichi e indegni incrociati per strada, dire e spiegare. E decidere.

Perché ogni tanto le primarie succede che si facciano con la propria coscienza, anche.

Trova la differenza

Tra chi crede che l’opportunità sia un dovere nell’amministrare la cosa pubblica e chi rimane in Consiglio Regionale della Lombardia (a destra e a sinistra) e contribuisce all’imbarazzo del momento:

Formigoni go home! Il sito e l’appello.

Il tanto decantato modello lombardo, tuttaltro che un buon governo, ha favorito lo svilupparsi di un sistema clientelare e non ha risposto ai problemi dei cittadini: partendo dal lavoro per arrivare alla tutela dell’ambiente. 17 scandali in 17 anni, il Presidente di Regione indagato per corruzione, 1/5 del Consiglio Regionale indagato o condannato oggi ne sono la prova provata e sono tutte ottime ragioni per chiedere di tornare al voto.

E allora noi glielo ricordiamo. Con una mail alla sua segreteria.

Formigoni go home, il sito e l’appello da sottoscrivere lo trovate qui.

Formigoni secondo Fo

L’intervista di Oriana Liso oggi su Repubblica:

Dario Fo: mi ricorda sant’Ambrogio che diceva basta a chi si definisce da solo un santo

“Sta venendo fuori il marcio il governatore ammetta e lasci”

MI­LA­NO — Pre­mio No­bel, uo­mo di tea­tro e lom­bar­do doc. Da­rio Fo, co­sa pen­sa del­le vi­cen­de giu­di­zia­rie che coin­vol­go­no il go­ver­na­to­re For­mi­go­ni?

«Pri­ma di tut­to mi di­ca: con­ti­nua ad as­si­cu­ra­re di non es­se­re in­da­ga­to? Con­ti­nua a di­re che lui non ha fat­to pro­prio nien­te?».

Già.

«Nel quar­to se­co­lo avan­ti Cri­sto il gran­de scul­to­re Fi­dia fu in­ca­ri­ca­to di rea­liz­za­re una sta­tua di Ate­na ma par­te del­l’o­ro che ser­vi­va per la do­ra­tu­ra del­la sta­tua — rac­col­to con il con­tri­bu­to di tut­ti gli ate­nie­si, an­che dei più po­ve­ri — fu ru­ba­to. So­spet­ta­to, pro­prio Fi­dia. Che al le­gi­sla­to­re So­lo­ne ri­bat­te: “Quan­do avre­te le pro­ve cer­te che ho ru­ba­to quel­l’o­ro,al­lo­ra po­tre­te ve­ni­re a di­stur­bar­mi. Nes­su­no dei vo­stri giu­di­ci può in­di­car­mi co­me col­pe­vo­le, quin­di la­scia­te­mi tran­quil­lo”».

Il ri­fe­ri­men­to sem­bra chia­ro.

«Ri­spon­de So­lo­ne a Fi­dia: “la gen­te ha in­tui­to che tu sei col­pe­vo­le di fur­to ai dan­ni del­la po­po­la­zio­ne in­te­ra. Tu hai la pos­si­bi­li­tà e l’a­bi­li­tà per men­ti­re, ma sai co­sa ac­ca­drà? Tut­ti ti co­no­sco­no co­me un gran­dis­si­mo ar­ti­sta, ma se ti com­por­ti co­me un fur­bo qual­sia­si, nien­te po­trà sal­var­ti dal per­de­re la tua glo­ria. Sce­gli tu, a me fai tan­ta pe­na”. A que­sto pun­to Fi­dia scop­pia a pian­ge­re e di­ce: so­no col­pe­vo­le».

Si aspet­ta che il pre­si­den­te For­mi­go­ni fac­cia lo stes­so?

«Mi pia­ce­reb­be ve­de­re For-mi­go­ni am­met­te­re sem­pli­ce­men­te: “sì, so­no col­pe­vo­le”. Sen­za ar­ro­gan­za, sen­za que­ste iro­nie con­ti­nue, que­sto mo­do sprez­zan­te di ri­ven­di­ca­re fe­ste, pran­zi, ba­gni. Di­ce: “so­no pu­ro co­me l’ac­qua di fon­te”. Ma nean­che Ge­sù ha mai det­to una co­sa co­sì pre­sun­tuo­sa. Quel­lo su Fi­dia è un rac­con­to di­men­ti­ca­to dal­la sto­ria: em­ble­ma­ti­co an­che que­sto di co­me la no­stra cul­tu­ra ab­bia per­so per stra­da va­lo­ri co­me l’o­ne­stà, la tra­spa­ren­za, la cul­tu­ra stes­sa».

Cre­de che le ec­cel­len­ze lom­bar­de — co­me la cul­tu­ra, ap­pun­to, non so­lo la sa­ni­tà — ri­schi­no il de­cli­no?

«Ma lo so­no già, in de­cli­no. Per an­ni ci si è van­ta­ti di una re­gio­ne ai pri­mi po­sti nel pro­dur­re cul­tu­ra, la­vo­ro, ope­re pub­bli­che e tan­to al­tro. Ma è co­me se per an­ni si­fos­se ster­ra­ta so­lo la su­per­fi­cie del ter­re­no, la­scian­do che sot­to pro­li­fe­ras­se il mar­cio. E il mar­cio ora sta ve­nen­do fuo­ri: quan­to so­no gli in­da­ga­ti, in Re­gio­ne? Sia­mo go­ver­na­ti da una strut­tu­ra di cor­rot­ti che re­sta­no at­tac­ca­ti di­spe­ra­ta­men­te al­le lo­ro pol­tro­ne men­tre sta an­dan­do tut­to in ro­vi­na. An­zi, pro­prio chi ci go­ver­na sta man­dan­do tut­to in ro­vi­na».

È una vi­sio­ne mol­to pes­si­mi­sta, la sua. Non c’è mo­do di fer­ma­re que­sta fra­na?

«Bi­so­gne­reb­be riu­sci­re a cac­cia­re i fan­ta­smi, co­me li chia­ma­va San­t’Am­bro­gio. Che di­ce­va, di Mi­la­no: ba­sta con que­sti uo­mi­ni che si tra­ve­sto­no da san­ti, che si de­fi­ni­sco­no da so­li, dei san­ti. Non sem­bra­no le pa­ro­le di For­mi­go­ni, que­ste?».

Indagano Lucchina ma si sgretola Formigoni

Attenzione, la difesa è già scritta. Formigoni ha sempre detto che nulla che riguardasse la Regione era mai stato messo in discussione. Adesso ci dirà che l’eventuale infedeltà del Direttore Generale della Sanità (il cuore del potere formigoniano) non può mettere in discussione il suo operato. E’ lo scaricabarile: pratica banale e abusata. E intanto si sgretola tutto. E più si sgretola e più il Governatore si inchioda alla sedia.

Ventotto indagati, tra cui il direttore generale della sanità Carlo Lucchina, al quale viene contestato il reato di turbativa d’asta, nell’ambito di un’indagine su finanziamenti pubblici regionali, stanziati e non stanziati, per qualche milione di euro. L’indagine, ordinata dal pm Carlo Nocerino, avrebbe fatto luce sugli accordi tra aziende private e ospedali pubblici per l’acquisto di strumenti per la sperimentazione clinica ad alto contenuto tecnologico finanziati da Regione Lombardia. Sono in corso interrogatori davanti al pm di Milano, Carlo Nocerino. Sono state effettuate perquisizioni negli uffici del direttore Lucchina in Regione e negli ospedali Niguarda a Milano, di Lecco, di Busto Arsizio e Saronno: impiegati una settantina di militari del Nucleo Speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza con la collaborazione degli uomini del Nucleo di polizia tributaria di Milano. L’assessorato alla Sanità delle Ragione Lombardia ha precisato che le perquisizioni non hanno riguardato i propri locali, e che l’assessore Luciano Bresciani non figura nell’elenco degli indagati.

LE SPERIMENTAZIONI – L’inchiesta, nella quale sono indagate una trentina di persone, nei confronti delle quali sono ipotizzati a vario titolo i reati di associazione per delinquere, turbativa d’asta, rivelazione del segreto d’ufficio e peculato, è coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco e dal pm Carlo Nocerino. Le indagini riguardano principalmente presunti accordi per pilotare l’assegnazione di progetti di sperimentazione clinica ad alto contenuto tecnologico finanziati dalla Regione Lombardia. Oltre a Lucchina, tra le persone indagate ci sono funzionari dell’assessorato alla Sanità e delle aziende ospedaliere coinvolte.