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Salvini contro i vaccini ai detenuti in Campania e Lazio, ma dimentica che va così anche nelle Regioni leghiste

Ogni giorno Matteo Salvini si sveglia e, dopo essersi fatto una bella foto moscia con Nutella o cibarie varie da spiattellare sui social, decide di sputare contro qualcuno. Capitan Vigliacco ha una predilezione per i deboli, per gli invisibili, per quelli che viene facile mettere nel sacchetto dell’umido delle priorità: lui è fatto così, debole con i forti ma fortissimo con i debolissimi, come nella migliore tradizione di quelli che simulano il pugno di ferro ma poi sono pronti a stringere mani piuttosto losche, se torna utile per il loro tornaconto personale.

Nel mattino di oggi, lunedì 12 aprile 2021, Salvini ha deciso di usare i detenuti come roncola per attaccare Nicola Zingaretti e Vincenzo De Luca (e quindi di sponda il Pd, con cui tra l’altro sta governando) e si è tuffato con la bava alla bocca a twittare: “Lazio e Campania vogliono vaccinare i detenuti prima di anziani e persone disabili. Roba da matti”.

Non perdete troppo tempo a cercare un qualsiasi spessore politico in questa critica, che sembra una frase sputazzata di spritz al bar. “Roba da matti”, “buon senso” o “padre di famiglia” sono i concetti elementari su cui Salvini si basa per esprimere qualsiasi concetto, la banalità è il suo marchio di fabbrica e ogni sua osservazione non punta a niente di più nobile degli sfinteri.

Però, nelle poche miserabili parole di quel tweet, c’è tutto il salvinismo nel suo splendore.

Il ritenere “gli altri” (come sono i carcerati oppure i neri oppure i gay oppure qualsiasi altro tipo che non rientri nel prototipo dell’omaccione italico medio) una categoria che non si deve mai permettere di avere nessuna esigenza, nessuna.

Lo scambiare l’autorevolezza per il tintinnare di manette che Salvini continua a fare annusare ai suoi sostenitori, nonostante diventi poi una pecora se a compiere i reati è qualche colletto bianco.

Il ritenere le carceri il percolato della società in cui rinchiudere tutti i problemi illudendosi (e illudendo) di risolverli.

In più, il prode Salvini, riesce anche a rimediare una delle sue proverbiali figure di palta che costellano la sua misera traiettoria politica, poiché in Lombardia e Veneto (Regioni che stanno al guinzaglio del leader leghista) le vaccinazioni in carcere sono già iniziate da un bel po’, con la differenza che in Lombardia intanto si dimenticano gli anziani.

E, a proposito di condannati (che lui chiamerebbe “criminali”), sarebbe da chiedere a Salvini allora cosa ne pensi del suo quasi suocero Denis Verdini, che proprio per un focolaio di Covid a Rebibbia a gennaio (90 contagi in pochi giorni tra i detenuti) è stato (giustamente) scarcerato. Ma non dirà niente, vedrete, niente.

Leggi anche: Diceva “prima gli italiani” ma ha preferito “prima la famiglia”: sindaco arrestato per migliaia di mascherine sottratte alle Rsa (di Giulio Cavalli)

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La strage degli invisibili, il freddo uccide 25 senza tetto

Ci sono vite che non si incrociano, che non hanno voce da alzare, che scivolano fuori dal dibattito politico perché vengono considerate poca roba, che non spostano molti voti, che si affievoliscono. Quando l’11 marzo dell’anno scorso per motivi di sicurezza nazionale, con lo spettro del virus che incombeva, il primo di una lunga serie di Dpcm lanciava l’appello #iorestoacasa per più di 55mila persone quel consiglio non era perseguibile: una casa non l’avevano. Sono vite precarie che ciondolano tra problemi di salute, fragilità relazionali e condizioni di vita assai difficile, sono il percolato di una paradigma sociale in cui se ti lasci andare finisci schiantato senza nessuna rete di protezione.

La pandemia non è uguale per tutti e non è nemmeno l’occasione per romanticizzare la solitudine nonostante più di qualcuno abbia provato a inquinare lo sguardo: la pandemia ha reso i poveri ancora più poveri, i precari ancora più schiacciati e ha annientato quelli che non avevano niente e ora insieme al peso del niente si portano anche la paura o le conseguenze del virus: «È stata un acceleratore per la costruzione di risposte e soluzioni organizzative, ma rimane il fatto che vi sono case vuote e tante persone in strada. Dare una casa a queste persone significa salvare la loro esistenza, significa dare loro forza e coraggio per riprendere in mano la propria vita, riallacciare relazioni ed affetti, reinserirle nel tessuto sociale», spiega la Fio.Psd (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora) che con Iref (istituto di ricerche educative e formative) e in collaborazione con la Caritas ha redatto un report sulla situazione dei senza tetto in Italia lo scorso 26 novembre e che ora lancia un appello al Governo e al ministro Orlando per chiedere di agire subito. «Non dimentichiamoci degli ultimi!», dice Cristina Avonto, presidente della Fio.Psd, ricordando come con le temperature sotto zero siano già 25 i morti in strada.

L’organizzazione ricorda che l’Housing First (l’opportunità di entrare in un appartamento autonomo “senza passare dal dormitorio” godendo dell’accompagnamento di una equipe di operatori sociali direttamente in casa) costa in media 26 euro al giorno rispetto ai 30 euro giornalieri dei dormitori e i beneficiari vedono garantiti i loro diritti fondamentali: casa, residenza, lavoro e reddito. Le ricerche raccontano che in 8 casi su 10 la persona esce dall’isolamento, stabilizza il proprio benessere psico-fisico, si prende cura della propria salute, si impegna in attività di training e occupazioni di svago e in molti casi riprende i legami con familiari e amici. Sono storie di riscatto che ridisegnano il prodotto interno lordo della dignità di un Paese.

C’è Gian Maria, ad esempio, che per strada ci ha vissuto per cinque anni perché il suo orgoglio l’aveva sempre spinto a non chiedere aiuto ai dormitori pubblici. Gian Maria ha perso il lavoro, ha perso la casa ed è sopravvissuto fra i vagoni di un binario abbandonato frequentando le mense cittadine finché un suo compagno una notte non gli morì di fianco. Quando gli offrirono una casa la rifiutò, pretendeva un lavoro: «E come me la pago una casa se non ho un lavoro?», disse ai volontari. A 59 anni ora Gian Maria, che si sentiva a capo di un manipolo di soldati traditi dallo Stato, ha ricominciato piano piano a reinserirsi, ad affidarsi alle cure di uno psichiatra, a occuparsi di tutti i documenti che smettono di renderlo invisibile, ad appoggiarsi al reddito di cittadinanza e ora ha l’occasione di un lavoro.

C’è Anita che dopo la fine di una relazione si è ritrovata a chiedere ospitalità in un dormitorio e che ha vissuto una convivenza difficile con altre 6 donne. Trovare una casa ha avuto un effetto sorprendente: un crollo degli elementi di tensione e conflitto e una gioia incontenibile per la novità di un luogo da sentire come “casa propria”. Adesso ha un lavoro, la residenza e può incontrare a casa i suoi figli. Ci sono i racconti di chi ha vissuto l’angoscia della pandemia moltiplicata dall’essere per strada. Antonio racconta: «Uscivamo la mattina e non sapevamo dove andare, per evitare di incontrare la polizia, vagavamo per la strada in metro. Ci sentivamo braccati, evitavamo di fermarci perché altrimenti ci davano degli appestati. Vedere il panorama di una città vuota, senza auto e né persone, solo gabbiani».

«Troppe persone che da anni sono bloccate nel circuito dei servizi rendono evidente che il sistema è inefficace per fronteggiare le crisi – dice Giuseppe Dardes, coordinatore della Community italiana dell’Housing First -. Non possiamo sprecare questa opportunità. Persona al centro e responsabilità diffusa nella comunità: questi sono i due fattori chiave dell’efficacia di Housing First sia nell’esperienza italiana sia in quella della rete internazionale a cui Fio.Psd aderisce. Crediamo che si possa e si debba ripartire da qui per una nuova stagione della programmazione degli interventi per il contrasto alla grave emarginazione adulta».

La pandemia sta bloccando e scoraggiando gli ingressi nei ricoveri caritativi notturni, rendendoli anche più complicati per l’obbligo di eseguire il tampone. Tra i morti congelati e soli che riempiono qualche riga di giornali c’è anche Mario, 58 anni, deceduto il 6 gennaio vicino alla stazione Termini, a Roma. A pochi passi da lui c’era un albergo, vuoto per l’emergenza Covid. È la foto perfetta di un accoglienza possibile che viene respinta e lasciata sul marciapiede.

L’articolo La strage degli invisibili, il freddo uccide 25 senza tetto proviene da Il Riformista.

Fonte

Un Ferragosto dedicato

Ai morti di coronavirus, ai malati, ai lavoratori che stanno in bilico. Nel giorno di festa di metà agosto, quest’anno, è inevitabile riservare loro un pensiero

Un Ferragosto dedicato agli invisibili che non sanno che farsene del Ferragosto, in questo duemila e venti che è una ferita che molti vorrebbero rimarginare e che invece sanguina ancora.

Mi viene in mente, per questo Ferragosto, a quanto presto ci siamo dimenticati dei nonni che se ne sono andati. Sarà che il caso ha voluto che fossi nel mezzo della pandemia eppure il Ferragosto qui, più di tutto, sono i genitori anziani e i nonni che mancano al pranzo di Ferragosto, quelli che se ne sono partiti senza l’occasione di salutare, quelli che avrebbero tenuto il vino buono in fresca, quelli che avrebbero preparato il piatto che ti piace tanto e che invece adesso sono un posto lasciato vuoto, un piatto e un bicchiere in meno.

Il duemila e venti è l’anno degli spazi che si stringono e pare che qualcuno voglia rimuovere il lutto e lo sfacelo come se fosse una pellicina disturbante sopra un dito. Il Ferragosto dedicato ai genitori che devono spiegare ai propri figli la partenza del nonno o della nonna che sono partiti senza una ciao, incellophanati come nei film, tornati a casa solo a forma di un tetro certificato.

Un Ferragosto dedicato a chi aveva pensato che questo Ferragosto forse avrebbe potuto ritagliarsi qualcosa che somigliasse a una vacanza e invece conta le macerie. Lavoratori e professionisti che stanno in bilico davvero, che assistono sgomenti alle discussioni di questo giorno mentre si aggrappano e continuano a aggrapparsi consapevoli che a settembre scivoleranno. Sono molto più di quelli che si raccontano, anzi a guardare bene non li racconta nessuno e invece ne siamo pieni. Sono sopravviventi che non rientrano nelle statistiche finché non mollano la presa.

Un Ferragosto dedicato alle coppie che sono scoppiate, le famiglie che questo Ferragosto pensavano di meritarsi un po’ di tranquillità e invece raccolgono i cocci. Un Ferragosto dedicato ai disabili che hanno passato mesi ancora più da invisibili. Un Ferragosto dedicato ai malati bloccati, quelli che hanno dovuto aspettare mentre la loro malattia non aspetta mica.

Un Ferragosto dedicato a quelli che scelgono di non rimuovere e invece vivono tutto, se lo vivono addosso, con tutti gli attrezzi per costruirsi speranza tutti i giorni.

Buon Ferragosto.

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Contrordine, sovranisti: ora la mascherina va messa. La ridicola retromarcia di Trump e Salvini

Dice Trump che chi usa la mascherina è un vero patriota. Dice Salvini che bisogna usare la testa (è credibile come un bradipo che ci insegna come correre lesti) e che bisogna mettere la mascherina nei posti chiusi. Contrordine camerati! La mascherina non è più la spada con cui il sovranismo combatte la sua sacra guerra contro l’ordine mondiale e ora di colpo si diventa tutti responsabili. Bellissimi i messaggi disorientati di quelli che hanno creduto al Covid come una messinscena e avevano trovato i loro falsi profeti. Non hanno mica capito che Trump, Salvini e compagnia cantante hanno come arma di propaganda quella di leccare i complotti ma poi non hanno nemmeno il coraggio di cavalcarli davvero, con la faccia tosta di chi ci mette almeno la faccia.

No, Salvini butta l’amo e poi lo ritira subito, giusto in tempo per pescare in superficie i pesci che abboccano. Non hanno idee: sono opinioni omeopatiche che durano il tempo di qualche mi piace su Facebook o di qualche retweet ma poi sono pronti a cambiare fronte se i sondaggi scendono. E così quando i collaboratori del Trump originale e del nostro Trump in versione discount gli hanno fatto notare che con questa storia della mascherina stavano perdendo voti (presumibilmente anche solo quelli dei malati, dei famigliari delle vittime e degli amici dei malati, che nel nord Italia e che negli USA sono numeri considerevoli) allora hanno inforcato la retromarcia. E così il loro bullismo suona ancora più goffo, più stonato, risibile e estremamente pericoloso.

Avere dei leader di partito che come giochetto non fanno nient’altro che dire il contrario di quello che dicono i loro avversari politici li costringerà presto a affermare che il nero è bianco, che gli alberi hanno le ruote e che i tram crescono sotto i cavoli. Un trucco di propaganda talmente banale che li mostra per quello che sono: banalissimi propagatori di bufale che devono far credere che un nemico invisibili giochi tutto il giorno per portarli alla sconfitta.

La retromarcia sulle mascherine è un manifesto politico: prima era tutto un “non usatele, non usatele, viva la libertà” e ora che si sono ammalati gli altri è tutto un correre ai ripari per salvarsi la pelle. Del resto il vero sovranista ha un’unica Patria: se stesso. E per la propria autopreservazione sono disposti a tutto, anche a apparire più ridicoli di quello che sono già stati. E continueranno così finché ci sarà una nuova bufala da cavalcare per fomentare un po’ di gratuita indignazione.

Leggi anche: Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: quando “serve” la Lega diventa internazionale (di G. Cavalli)

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Se la Corte Costituzionale arriva prima del Pd a bocciare i decreti sicurezza di Salvini

Alla fine è dovuta arrivare la Consulta a dire quello che tutti sapevano, che in molti ripetevano da tempo e che perfino il semplice cittadino aveva capito senza bisogno di studi costituzionali: il primo decreto sicurezza voluto dall’ex ministro Salvini, quello salutato come se fosse una rivoluzione epocale anche dall’attuale presidente del consiglio Giuseppe Conte e da Luigi Di Maio quando era capo politico del Movimento 5 Stelle, è una boiata pazzesca per impostazione, per tutela dei diritti e perfino per la sicurezza nazionale che veniva tanto decantata dalle parti in commedia.

“La Corte ne ha dichiarato l’incostituzionalità per violazione dell’articolo 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: per irrazionalità intrinseca, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza; per irragionevole disparità di trattamento, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti”, scrive nella sua nota stampa la Corte Costituzionale, dando una martellata a chi davvero pensava che rendere invisibili le persone fosse un metodo valido perché non esistessero, una martellata a questa sedicente sinistra che ha dovuto aspettare i tempi biblici della giustizia prima di dare un cenno di vita e una martellata a chi è caduto nel tranello di un decreto che fingendo di garantire sicurezza in realtà non ha fatto altro che aumentare l’incertezza legislativa (e quindi proprio il controllo di cui andavano riempiendosi la bocca).

Ora, ad aggiungere pochezza a questo pochissimo spettacolo, si aggiungono anche i membri della maggioranza, quelli stessi che stanno nello stesso governo che avrebbe potuto abolire i decreti prima che si pronunciasse un tribunale, a spiegarci che loro lo sapevano, che era chiaro che fosse così e a esultare per un’iniziativa che la politica (cioè: loro) non ha avuto il coraggio di prendere in nome della vigliacca timidezza che continuano a portarsi dietro. “La Corte costituzionale conferma l’assurdità di alcune delle scelte propagandistiche volute dall’ex ministro Salvini, i cui decreti hanno prodotto molti effetti negativi per tutti”, dice il viceministro dell’Interno Matteo Mauri, il viceministro in persona, quello che avrebbe dovuto fare qualcosa e invece oggi legge comodamente la sentenza scritta dagli altri che gli ha tolto le castagne dal fuoco.

Leggi anche: “Fermate il Decreto Salvini: 18mila licenziamenti tra noi operatori dei Cas, migranti in mano alle mafie” 

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Sfruttati e trattati da untori: i moderni schiavi di Mondragone, vittime del razzismo italiano

Alla fine è arrivata alla disperazione. La miscela perfetta della pandemia: gli invisibili stranieri che lavorano nei campi di Mondragone (sfruttati da italianissimi sfruttatori), gli italiani che vivono nella povertà e che hanno bisogno di trovare il nemico di fianco al proprio pianerottolo per avere la soluzione facile senza rendersi conto che non è una soluzione, la politica che banchetta sul disagio come continua a fare da anni e perfino il presidente campano che ora si ritrova a affrontare un’emergenza vera, qualcosa di endemico, qualcosa che ha radici profonde nel tempo e nei modi e che è molto di più di una semplice emergenza sanitaria.

Mondragone era malata già prima del Coronavirus, Mondragone, come molte parti d’Italia, è una di quelle zone dove la politica è riuscita a instillare la guerra tra disperati, gente invisibile che lavora nei campi per qualche spicciolo e poi rientra in case che sono casermoni dormitori dove la socialità sta solo nello sprofondare nel letto farciti di fatica, con un futuro immaginabile che non è più lungo del giorno successivo in cui ci sarà da cavarsela ancora. Lo schema facile facile disegnato dallo zotico razzismo di chi è incapace di fare i conti con la complessità è semplice, ripetuto, sempre lo stesso: arrivano i bulgari a infettarci, arrivano i bulgari a non rispettare le ordinanze ed è colpa dei bulgari se noi perdiamo il lavoro. La parola bulgari la potete tranquillamente sostituire con una nazionalità qualsiasi, l’importante è che siano altro rispetto a noi e così il giochino fila liscio liscio.

Nessuno che riesce a ricordare gli arresti e le denunce di imprenditori casertani (e lì, dalle parti di Latina) che i bulgari li importano a chili, famiglie con anche figli minori che diventano forza lavoro, per pagarli 2 euro all’ora e per lucrare su persone che non sono persone ma sono solo le loro braccia e la fatica che riescono a spremere in una giornata di lavoro. Mondragone è il grido d’allarme degli invisibili che sono rimasti con il collo schiacciato sotto la scarpa della pandemia e di questo mondo del lavoro che è appeso a un filo, fottendosene delle leggi e delle regole, dove basta rinchiudersi in casa per qualche settimana per fare la fame, la fame vera, la fame che andrebbe trattata per tutta la vita e per tutte le vite che ha intorno e che invece la nostra bassa politica tratta come fenomeno passeggero, giusto il tempo per coltivare rabbia e sperare di raccogliere una manciata di voti. Ora è Mondragone, è solo l’inizio.

Leggi anche: 1. Mondragone dimostra che il problema non è il Covid, è fame. E lo Stato non ha soluzioni (di L. Telese) / 2. De Luca vi fa ridere? La sua violenza verbale fa male alla sinistra ed è un regalo a Salvini / 3. Un bracciante è stato picchiato per aver chiesto una mascherina. Questa è l’Italia del 2020 

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Bussano a Villa Pamphilj

Che immagine potente vedere la classe dirigente riunita in un consesso sull’economia nell’elegante Villa Pamphilj a decidere delle sorti post pandemia e fuori c’è un sindacalista, un sindacalista di quelli che viene dalla scuola di Di Vittorio, uno di quelli con il nerbo di chi tira fuori la testa anche se molte mani gliela schiacciano sotto terra, a reclamare i diritti degli invisibili. Aboubakar Soumahoro è stato ricevuto da Conte e da qualche ministro, gli hanno promesso che valuteranno le risposte, si sono addirittura lanciati a dirgli che la revisione dei decreti sicurezza di salviniana memoria sono nell’agenda di governo (sì, ciao) e sono stati costretti ad aprire il portone agli sfruttati che bussano.

Bussare alle porte del potere è considerato così maleducato, in questi tempi in cui la moderazione e la buona educazione sono i sinonimi di un invito perpetuo a restare tiepidi, che c’è da augurarsi che invece lo imparino in fretta i nostri ragazzi, quel buon sapore che c’è nel parteggiare, nell’odiare gli indifferenti, nell’insistere fino allo sfinimento a frugare tra i diritti seviziati e tra tutti i laterali che sembrano non entrare mai in partita.

Bussa a Villa Pamphilj anche la scuola, quella scuola che in questi giorni si è rabberciata ancora una volta per permettere lo svolgimento degli esami e che si merita un solo punto di studio nell’articolato piano in discussione durante questi Stati Generali. È la scuola a cui nelle intenzioni, in quel mare di soldi che arrivano per la pandemia, sono stati destinati 1 miliardo e 4oo milioni, nemmeno la metà di quello che si è speso per Alitalia. È la scuola figlia dei disastri di tutti i governi passati che ci hanno reso il Paese con il più basso tasso di laureati d’Europa (dopo la Romania) con strutture scolastiche spesso fatiscenti e con un 6,9% della spesa pubblica dedicato all’istruzione mentre negli Usa spendono quasi il doppio e in Cile addirittura il triplo.

Bussa a Villa Pamphilj un Paese che si accorgerà dei disastri del Covid a settembre, nell’economia e nel lavoro, e mai come ora è il momento di bussare, di esserci, di farsi sentire, di decidere fortissimamente da che parte stare, di non tacere. Il futuro si disegna decidendo i capitoli di spesa per gli anni a venire e questo è il momento.

Aboubakar ci è andato. Noi?

Buon giovedì.

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Divorare ciliegie mentre si parla di bambini morti: non c’è da ridere, c’è da avere paura

 

 

Alla fine è riuscito a spostare il fuoco della discussione sulle ciliegie. Si fatica a credere come la comunicazione di Matteo Salvini segua ostinatamente sempre i soliti trucchi, gli stessi sentieri, sempre puntando a banalizzare il cuore di una critica e fingendo di non cogliere la temperatura delle osservazioni che gli vengono poste. Il problema non è che Salvini mangi ciligie, figurarsi. Contento lui, contento lo strapagato Morisi che ha trasformato un ex ministro in un food blogger, buon per loro. Il problema è che divorare ciliegie mentre si parla di un batterio letale e della morte di bambini indica ciò che più di tutto a Salvini continuiamo a imputare: una totale mancanza di empatia.

E un politico incapace di praticare empatia è una disgrazia che non si augura a nessuno essendo la politica l’ascolto e la declinazione di governo dei bisogni che troppo spesso non vengono ascoltati di invisibili che spesso non vengono nemmeno notati e di disperazioni che vengono sottaciute. Non c’è nulla da ridere se un leader di partito esibisce, anche con una certa fierezza, l’incapacità di sentire ciò che gli accade intorno. C’è da averne paura perché è quello stesso politico a cui si vorrebbe affidare la gestione delle difficoltà delle persone. Forse basterebbe chiedere ai genitori di quei bambini morti cosa ne pensano, basterebbe buttarla, come Salvini fa spessissimo, sul piano del buonsenso che decide cosa sia opportuno e cosa non lo sia.

La risposta poi è la perfetta fotografia della malevola comunicazione. Salvini pensa che una certa sinistra (perché è sinistra tutto ciò che si permette di avanzare delle osservazioni, con la solita bambinesca divisione i noi e loro come in una partita di pallone) ce l’abbia con le ciliegie. Avrebbe potuto scusarsi, semplicemente, magari raccontandoci anche di ciò che Zaia stava provando a dire, poteva cogliere l’occasione per esprimere solidarietà a famiglie che hanno perso i figli e invece si è esibito ancora una volta in uno spettacolo tetro e goffo che riesce a essere quasi più insultante dell’abbuffarsi precedente. E chissà che non si riesca a parlare una volta per tutte di questi personaggi politici fieramente insensibili che giocano a agitare gli umori sporcando i temi che incrociano durante la loro propaganda.

Leggi anche: Mentre Zaia parla di neonati morti, Salvini “si ingozza” di ciliegie | VIDEO 

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Ce la cantiamo e ce la suoniamo tra di noi

Ho letto i commenti di queste ore sulla devastazione di Milano. Ho trovato (me li aspettavo) gli epigoni della violenza che hanno festeggiato, i repressori per natura che hanno potuto dare fiato alle bocche e (finalmente) l’autocritica sul fallimento di una protesta dai motivi giusti e nei modi peggiori che si potessero immaginare. Ma tra tutti vale la pena leggere Gilioli che scrive:

Ce la cantiamo e ce la suoniamo tra noi, qui o altrove a litigare di politica, mentre fuori il mondo si fa disperatamente i cazzi suoi.

Il suo post è qui.