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Dialogo sull’emergenza terrorismo

Prendetevi cinque minuti cinque per leggere questo passaggio del dialogo tra Lorenzo Declich e Anatole Pierre Fuksas pubblicato per Nazione Indiana. Discutetene in famiglia, al lavoro e se volete proprio esagerare leggetelo per intero qui.

Lorenzo. Il problema è che questa emergenza funzionerebbe bene dal punto di vista dell’informazione se ogni fatto rispondesse ad una matrice logica di carattere gerarchico, cosa che, come s’è visto già al Pulse, non è. Lo schema del jihad contro i crociati viene male, non torna, e allora salta tutto, anche tra i cosiddetti “buonisti”. Cioè, non puoi dire che “NOI andiamo da LORO e li distruggiamo, gli rubiamo tutto, facciamo i nostri interessi senza meno, annientiamo la loro cultura, insomma abbiamo da sempre rotto il cazzo a LORO e quindi LORO ora rompono il cazzo a NOI”. Primo perché non è chiaro chi siano LORO e chi siamo NOI, secondo perché quelli a cui rompiamo il cazzo NOI non sono gli stessi LORO che ci vengono a rompere il cazzo.

Anatole. Il caso di Monaco è prototipico. Per quanto ci si voglia sforzare di ricondurre il fatto a categorie già precostruite, cioè i cattivi jihadisti che ammazzano gli occidentali inermi, non si riesce a situare le ragioni del gesto fuori dal contesto in cui maturano, cioè la Germania stessa, segnatamente il quartiere centrale un tempo operaio nel quale l’attentatore era cresciuto. Non è, per capirci, uno di quelli che NOI occidentali siamo andati a sfruttare a casa sua in oriente. Pare confermato che la strage non sia il gesto impulsivo di un pazzo, essendo stato pianificato, anche se in maniera molto approssimativa. L’attentatore aveva certamente intezione di commettere una strage e faceva ricerche su come fare, magari in una scuola, ma non deve aver trovato motivazioni sufficienti nel libro che stava leggendo, sulle ragioni dei mass killer di studenti. Piuttosto era venuto alla conclusione che un centro commerciale sarebbe stato preferibile. Pare anche confermato dall’investigatore Robert Heimberger che l’attentatore avesse inviato un post fasullo da un account Facebook hackerato per invitare i contatti ad una promozione di Mc Donald. Con tutta evidenza non aveva nessun collegamento con lo Stato Islamico, cosa d’altra parte abbastanza comprensibile, trattandosi di un tedesco nato a Monaco di origini iraniane, l’antitesi per eccellenza del jihadista “sunnita”. Si può dire che non avesse motivazioni di carattere politico in assoluto e fosse, piuttosto, aggravato da un punto di vista psichiatrico. È evidente che quando uno configura il discorso nei termini di un generico NOI e di un ancor più generico LORO viene fuori un argomento necessariamente banalizzante non solo di chi sono LORO, come si vede bene sulla base del caso di Monaco, ma anche di chi siamo NOI. Cioè, il diciottenne che ha sparato a Monaco non era né LORO, né NOI, chi era allora? Anche il collegamento diretto tra lo sfruttamento delle materie prime, del petrolio, della forza lavoro dislocata nel cosiddetto terzo mondo in generale e il benessere dello studente che si sta facendo un bicchiere al Carillon mentre viene crivellato di colpi di arma automatica è tutto da dimostrare. Cioè, i NOI che andrebbero a rompere il cazzo a LORO non sono gli stessi NOI che vengono messi sotto sulla Promenade des Anglais da un camion impazzito. Il semplice fatto di esser nata a Nizza piuttosto che a Aleppo non rende automaticamente una bambina di due anni responsabile del colonialismo, delle guerre o della sospensione delle libertà in Siria. L’argomento secondo il quale siamo l’occidente quindi siamo tutti colpevoli è evidentemente ideologico e rimanda ad una visione della storia che mescola in maniera sincretistica il peggio del meccanicismo idealista con il più becero storicismo tradizionalista, arrivando a conclusioni speculari rispetto a quelle consuete della modernità, cioè la colpevolizzazione a trecentosessanta gradi dell’imperialismo coloniale, invece della sua legittimazione celebrativa. Ma si vede alla fine la debolezza di questo post-colonialismo postmoderno, che si riduce ad argomenti terzomondisti dei ‘settanta, quando alla orrenda mensa della scuola ti dicevano che dovevi mangiare tutto perché eri fortunato che non morivi di fame in Africa.

Lorenzo. Prendiamo il caso della Siria (e dei siriani). Per diversi anni un efferato dittatore, Bashar al-Asad, ha fatto un massacro, ha distrutto il suo paese per rimanere al potere. Gli si opponevano dapprima molti attivisti, quasi tutti ormai uccisi, incarcerati e torturati o fuggiti dal paese, poi uomini armati che, dapprima animati da propositi nobili, sempre di più – ricevendo soldi da paesi come Arabia Saudita e Qatar – viravano verso il jihadismo. Un jihadismo la cui agenda era però sempre “siriana”, cioè l’obiettivo era abbattere il tiranno. A un certo punto di questa macelleria ha approfittato l’ISIS, un’organizzazione di natura criminale-mafiosa a guida iraqena che ha messo in piedi la sua agenda in siria sfruttando, in termini di propaganda, i crimini del regime così come tutta la retorica anti-occidentale nel momento, molto tardivo, in cui l’Occidente è effettivamente sceso in campo. Ma l’’ISIS come prima cosa ha iniziato a sparare contro quegli uomini in armi, anche quelli che pure si erano jihadizzati un bel po’ (li chiamano “sahwa”, ma non mi metterò a spiegare il perché). Il suo primo obiettivo furono all’inizio tutti gli attivisti e tutti i combattenti che si opponevano ad Asad. Non a caso Asad li lasciava fare. Loro dovevano fare egemonia e ci riuscirono a Raqqa, la terza città della Siria, a suon di esecuzioni sulla pubblica piazza e “gestione della barbarie” ma non in altre aree, dove furono espulsi e dove tuttora non hanno grandi appigli (sebbene poi, dai e dai…). Ora, questi dell’ISIS, cioè quelli che rivendicano attentati in Occidente, sono quei LORO di cui parlano i semplicioni di cui sopra? Rappresentano davvero LORO? Cioè, sono LORO quelli da cui NOI andiamo e che NOI distruggiamo? Mi sembra di no. Quelli dell’ISIS che terrorizzano l’Occidente sono semplicemente degli infami rosiconi spesso imbevuti di una retorica che suona così: “VOI avete sempre rotto il cazzo a NOI e quindi NOI ora rompiamo il cazzo a VOI”. Molti ci cascano dentro come degli allocchi. Ricordo ancora tal Oussama Abu Musab, un operaio del varesotto simpatizzante dell’ISIS che si era messo a commentare sulla mia bacheca e poi, dopo essere stato espulso dall’Italia, essere andato prima dai nonni in Marocco e poi in Svizzera dalla moglie per essere infine espulso anche dalla Svizzera e finire in Siria dove sembra sia morto in circostanze che non conosco. Questo Oussama, quando postavo cose sulla Siria, mi seguiva fin se riportavo i crimini di Asad. Metteva proprio dei làic. Poi quando riportavo i crimini dell’ISIS partiva per la tangente, diventando cospirazionista e affermando esattamente ciò che la vulgata di cui sopra vuole. Il fatto è che lui non era minimamente uno di LORO, uno di quelli che moriva sotto le bombe. Al massimo empatizzava, ma attraverso il filtro sbagliato, il filtro dell’ISIS. L’ISIS gli aveva spiegato che quelli erano suoi fratelli, dei musulmani come lui vessati da un Occidente diabolico, e lui ci credeva, non capendo che quelli lì con l’ISIS non avevano niente a che fare, che l’ISIS stava usando quella carneficina, ci stava mettendo su il cappello. Quello dell’ISIS è un discorso speculare a quello fatto in principio. E continuare a farlo, quel discorso, significa dare ragione all’ISIS. Il problema insomma, ancora una volta, è sdoganare quelli dell’ISIS quando quelli dell’ISIS non sono affatto quelli che si pensano di essere né che qualcuno da queste parti pensa che siano: non sono dei vendicatori degli sconfitti, anche se si atteggiano come tali. Quelli dell’ISIS, parlo dei capi e di quelli che gli credono, non della soldataglia locale che segue tutto un altro treno, sono invece efferati e cinici pezzi di merda che con quei LORO non hanno niente in comune se non per il fatto che rubano a LORO la terra, la libertà, il pane e la speranza. Esattamente come i NOI della vulgata.

Pace è l’unica parola che può toglierci dai guai.

Da leggere Igiaba Scego, fino in fondo:

«Ma qui in occidente ogni musulmano è potenzialmente colpevole, ogni musulmano è considerato una quinta colonna pronta a radicalizzarsi. Il fatto non solo mi offende, ma mi riempie anche di stupore. Sono meravigliata di quanto poco si conosca il mondo islamico in Italia. L’islam è una religione che conta più di un miliardo di fedeli. Abbraccia continenti, paesi, usanze diverse. Ci sono anche approcci alla religione diversi. Ci sono laici, ortodossi, praticanti rigorosi, praticanti tiepidi e ci sono persino atei di cultura islamica. È un mondo variegato che parla molte lingue, che vive molti mondi. Andrebbe coniugato al plurale.

Il mondo islamico non esiste. È un’astrazione. Esistono più mondi islamici che condividono pratiche e rituali comuni, ma che sul resto possono avere forti divergenze di opinioni e di metodi. E poi, essendo una religione senza clero, per forza di cose non può avere una voce sola. Non c’è un papa musulmano o un patriarca musulmano. L’organizzazione e il rapporto con il Supremo non è mediato. Inoltre, bisogna ricordare che i musulmani (o più correttamente, le persone di cultura musulmana) sono le prime vittime di questi attentati terroristici. È chiaro che la maggior parte della gente, di qualsiasi credo, è contro la violenza. A maggior ragione chi proviene da paesi islamici dove questa furia brutale può colpire zii, nipoti, fratelli, sposi, figli.

Not in my name, lo abbiamo gridato e scritto molte volte. Ci siamo distanziati. Lo abbiamo urlato fino a sgolarci. Lo abbiamo fatto dopo il massacro nella redazione di Charlie Hebdo, dopo la strage al Bataclan di Parigi o quella nell’università di Garissa in Kenya. Lo facciamo a ogni attentato a Baghdad, a Damasco, a Istanbul, a Mogadiscio. E naturalmente abbiamo fatto sentire la nostra voce dopo Dhaka. Ma ora dobbiamo entrare tutti – musulmani, cristiani, ebrei, atei, induisti, buddisti, tutti – in un’altra fase. Dobbiamo chiedere ai nostri governi di schierarsi contro le ambiguità del tempo presente.

Il nodo è geopolitico, non religioso. Un nodo aggrovigliato che va dalla Siria al Libano, dall’Arabia Saudita allo Yemen, passando per l’Iraq e l’Iran fino ad arrivare in Bangladesh e in India. Un nodo fatto di vendite di armi, traffici illeciti, interessi economici, finanziamenti poco chiari. E se proprio dobbiamo schierarci, allora facciamolo tutti per la pace. Serve pace nel mondo, pace in Siria, in Somalia, in Afghanistan e non solo. Serve un nuovo impegno per la pace, una parola che per troppo tempo non abbiamo usato, anzi che abbiamo snobbato come utopica. Serve un nuovo movimento pacifista. Servono politiche per la pace. Serve la parola pace coniugata in tutti i suoi aspetti.

Pace è l’unica parola che può toglierci dai guai. L’unica che può farci uscire da questa cappa di sospetto e di paura.»

(fonte)

#LEFT cosa ci abbiamo messo dentro. E le parole sagge dell’Imam di Parma.

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Da sabato in edicola c’è Left. Da domani è a disposizione sullo sfogliatore online. Qui, se avete voglia, trovate tutti i temi del prossimo numero. Io, nel mio piccolo, ho avuto la fortuna di intervistare uno di quegli uomini che quotidianamente mi convincono di essere in una società migliore delle sue rappresentazioni: con l’Imam di Parma abbiamo parlato di terrorismo, di Islam ma anche e soprattutto di cittadinanza. E noi siamo un Paese fortunato ad avere un cittadino come Kamel Layachi.

La guerra del presepe

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Ieri i superiori occidentali hanno voluto lasciare un segno tangibile della propria intelligenza mettendo in mostra tutta la civiltà di cui sono capaci e che manca a quei cattivoni islamici (che prima si chiamavano Isis e poi di colpo sono Daesh). Hanno pensato, i superiori occidentali di stirpe italiana, di affrontare l’integralismo sotto l’ala di Allah con una costumata manifestazione che ha messo insieme tutte le menti migliori del Paese.

Non riesco a non pensare, con ammirata affezione, alla riunione preparatoria in cui si è convenuto giustamente di celebrare il rito pagano davanti ad una scuola: non c’è niente di meglio della lungimiranza di chi, al contrario dell’Islam, decide di star bene lontano dai giovani per evitare pericolose derive di emulazione. Avranno sicuramente scelto il cortile di una scuola per essere certi che fossero tutti dentro. Nessun punto d’osservazione migliore, si saranno detti:«se dobbiamo stare lontani da qualcuno basta tenere d’occhio la porta da cui potrebbe uscire», avranno pensato.

(continua qui)

Avviso agli ignoranti: quello che credete di sapere sul Corano è falso

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È il giochino del momento: se non sai cosa scrivere, cliccare o millantare in pausa pranzo basta citare a caso qualche fantomatico passo del Corano. L’importante ovviamente è non averlo mai letto, scambiando la Fallaci per Allah oppure il titolo di Libero come un passo di testo sacro. Insieme all’islamofobia si è sviluppata una moderna tendenza a discettare su tutte le beghe di Allah ce il Corano è l’argomento “cool” da sfoggiare durante l’aperitivo. Dal nord al sud. Bianchi e neri. E non conta saperne: conta solo essere tutti d’accordo. Come nelle dittature culturali così comode per gli ignoranti.

Così noi profondamente cattolici (e in gran parte ignoranti anche ovviamente dei sanguinosi passaggi del terribile, vendicativo e geloso Dio che sta dentro l’Antico testamento) non abbiamo avuto nemmeno voglia di ascoltare le voci di chi ha provato a dirci che le cose non sono sempre banalmente quello che sembrano. Le manifestazioni in tutta Italia delle comunità islamiche che hanno voluto prendere le distanze dal terrorismo sono state semplicemente vissute come un atto dovuto. Bene così. Eppure il messaggio era molto di più di un semplice scendere in piazza.

L’Islam condanna il terrorismo
L’Islam condanna il terrorismo, l’uso della violenza e della forza in maniera ingiustificata. Nel Corano [16.90] si dice: “In verità Dio ordina la giustizia, la bontà, e di dare aiuto ai parenti; mentre vieta tutte le azioni malvagie, ciò che è riprovevole e ogni tipo d’oppressione. Egli vi ammonisce affinché ne possiate trarre un monito”.

Capita di sentire e leggere che l’Islam comunque terrebbe verso il terrorismo una posizione ambigua eppure basterebbe una veloce ricerca in rete per trovare il pensiero dei leader a riguardo. Ad esempio ‘Abd al-‘Aziz Al al-Sheykh, mufti dell’Arabia Saudita, che già in occasione degli attentati delle torri gemelle nel 2001 disse: “Questi atti accaduti negli Stati Uniti d’America, e qualsiasi cosa di simile come il dirottamento di aerei, il prendere gente in ostaggio o ucciderla non sono altro che una manifestazione d’ingiustizia, oppressione e tirannia che l’Islam non permette né approva. Anzi sono chiaramente proibiti e sono annoverati fra i peccati più gravi”.

L’Islam condanna ogni forma di estremismo
Si dice che gli islamici sono tutti integralisti. Tutti estremisti, si dice. Una delle voci considerate più sagge dall’Islam, ‘Abd al-‘Aziz bin Bez, siamo nel secolo scorso, disse: “L’estremismo è il prendersi delle concessioni per le quali non c’è fondamento né verità. Invece il terrorismo è la trasgressione perpetrata ai danni delle persone colpendole e uccidendole senza avere alcun tipo di argomentazione: piuttosto a causa dell’ignoranza e della mancanza di discernimento. I terroristi sono coloro che uccidono le persone ingiustamente , senza avere alcun tipo di prova dalla Legge di dio che possa avvalorare le loro azioni”.

Nel Corano, tanto per rimanere sul tema più caldo si legge [4:171]: “O Gente della Scrittura! Non eccedete nella vostra Religione”.

E il Profeta Mohammed insegnò: “State attenti al superare il giusto limite nella religione poiché ciò che portò alla distruzione di coloro che vennero prima di voi fu l’eccesso nella religione.”

(continua qui)

Rispondere al terrorismo con il coraggio di avere paura, restando umani

ATTO-DI-GUERRA-BREAKING

L’attacco dell’integralismo islamico è una trappola: provano ad accendere la bestialità di una contrapposizione sul campo dell’odio. L’ISIS vince ogni volta che diventa “normale” sdoganare l’odio e la violenza. Non è solo terrorismo, questa è la strategia dell’odio che vorrebbe infettarci, spingerci lì dove la civiltà è sconfitta dal pelo e dai denti di chi insegue il sangue. Se perdiamo l’equilibrio di una civiltà democratica loro avranno vinto: diventare come loro sarebbe il modo migliore per legittimarli.

La semplificazione del “noi contro loro” è il fine di questo attacco organizzato nel cuore d’Europa. Ogni volta che avremo paura di compiere un’azione normale (una sera a teatro, un pomeriggio allo stadio) i terroristi saranno riusciti ad infilarsi nelle corde delle nostre giornate e la nostra inquietudine sarà il loro vessillo.

Restare umani non significa accettare inermi l’attacco. Restare umani, oggi, significa avere per la vita e per l’uomo tutto il rispetto di cui siamo capaci, non imbarbarirci, non accettare la liberalizzazione dell’odio e del sangue.

(l’articolo completo è qui)

“Il successo del terrorismo dipende dalle conseguenze che innesca”

L’editoriale particolarmente ispirato dell’amico Lorenzo Fazio:

No, non siamo in guerra, non siamo in guerra con nessuno. Invece, dopo quanto successo a Parigi, sembra che tutti diano per scontato che l’esercito della libertà e della democrazia sia già schierato  contro l’esercito del fondamentalismo sanguinario islamico. Siamo caduti in trappola. La parola guerra scappa di bocca a tutti, dal difensore più disciplinato dell’ordine occidentale all’opinionista più illuminato e aperto. Persino comici, vignettisti, attori, e chi con la libertà ci lavora, non rinuncia  a evocare quella parola. La guerra è data per inevitabile e necessaria, “fermare la barbarie” è l’unica missione per le nuove generazioni chiamate a “conquistare la pace”.

La circolare inviata dall’assessore all’istruzione della regione Veneto, Elena Donazzan, ai presidi delle scuole in cui si chiede ai musulmani di condannare i fatti di Parigi e di aderire ai valori occidentali, rivela il clima in cui siamo precipitati. Tutti gli stranieri sono potenziali nemici, devono dimostrare di non esserlo. In spregio a qualsiasi principio liberale.

Come editore che da diversi anni si batte contro le verità del potere e come tutti coloro che hanno a cuore la parola e il pensiero, credo che bisogna spezzare questo discorso sulla “guerra necessaria” in nome della libertà. Un contro senso che poggia sull’idea che solo noi siamo i buoni e che gli altri, loro, sono i cattivi, dimenticando tutti gli orrori e i morti che abbiamo provocato.  Se non riusciamo a sradicare questo pregiudizio andremo incontro a nuove tragedie. Il compito di noi editori che operiamo nel settore dell’informazione è cercare di smascherare tutte le falsità che ogni guerra comporta (ricordate i finti arsenali di Saddam?) e difendere a ogni costo la nostra libertà di critica, sempre, soprattutto  quando, in nome della sicurezza, lo Stato, attraverso la polizia, aumenta il suo potere repressivo, come accade dopo ogni evento terroristico.

Quanto accaduto a Parigi è un episodio e come tale va valutato, un episodio che poteva essere previsto, e che si somma ad altri episodi avvenuti in varie parti del mondo sempre a opera di integralisti islamici contro islamici non integralisti.  Non è una guerra. Non facciamoci vincere dall’isteria. Anche gli islamici sono vittime dei fondamentalisti, aiutiamoli, stiamogli vicino, non alimentiamo noi stessi il loro odio nei nostri confronti. Il bambino che sta per lanciare la bomba contro gli americani a Falluja, ritratto nel film American sniper di Clint Eastwood, nella vita reale potrebbe diventare un terrorista pronto a uccidere in nome di Allah.

Se seguiamo la strada della guerra ovunque nel mondo, aiuteremo solo i fabbricatori di armi, l’equilibrio fondato sul terrore e la paura, che porta a più repressione, all’innalzamento di nuove barriere e a minori libertà. Il dissenso è difficile da gestire, per il partito unico del capitale qualsiasi occasione è buona per limitarlo.  Già si parla di ristabilire le frontiere in Europa, Le Pen propone la pena di morte in Francia, Salvini approfitta per criminalizzare tutti gli islamici in Italia. Il partito della paura è il più forte di tutti, nessuno rinuncia ad arruolarvisi. Chi rimane fuori rimane solo. Bersaglio facile come Charlie Hebdo.

“Il successo del terrorismo dipende dalle conseguenze che innesca” scrive Simon Jenkins su “The Guardian”.  I terroristi non vogliono altro che questo: che diventiamo come loro. Che vinca la violenza e l’odio, in nome della libertà. Un paradosso atroce.

D’altra parte siamo campioni nel proclamare la libertà e negarla appena c’è qualcuno che la usa contro di noi. Non è un caso che la satira in Italia non esista quasi più. In casa nostra non c’è bisogno di fondamentalisti, la libertà ce la togliamo da soli.

direttore editoriale di Chiarelettere e membro del cda del Fatto quotidiano

Quelli che sì, ma…

img1024-700_dettaglio2_Copertina-del-Charlie-Hebdo-dopo-lattentato-ReutersIn questi anni ci siamo sentiti un po’ soli nel tentativo di respingere a colpi di matita gli insulti e le sottigliezze pseudo-intellettuali scagliate contro di noi e contro i nostri amici che difendevano la laicità: islamofobi, cristianofobi, provocatori, irresponsabili, attizzatori di fiamme, ve-la-siete-cercata… Sì, condanniamo il terrorismo, ma. Sì, minacciare i vignettisti di morte non va bene, ma. Sì, dare fuoco a un giornale è brutto, ma. Ne abbiamo sentite di tutti i colori. Spesso abbiamo cercato di riderci su, visto che è la cosa che ci riesce meglio. Adesso però ci piacerebbe molto ridere di altro. Perché stanno già ricominciando.

(Gerard Biard, Charlie Hebdo)