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L’Egitto, Regeni e le bugie di Guerini

«In seguito all’omicidio di Regeni la Difesa, in completa sintonia e raccordo con le altre amministrazioni dello Stato, in primis con il ministero per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale, ha prontamente diradato il complesso delle relazioni bilaterali con l’omologo comparto egiziano»: sono le parole del ministro alla Difesa Lorenzo Guerini alla commissione d’inchiesta parlamentare sulla morte di Giulio Regeni, pronunciate lo scorso 28 luglio. In fondo, se ci pensate bene, è la posizione di tutti i governi che provano a fare passare l’idea di un raffreddamento dei rapporti con al-Sisi (che sarebbe il minimo, visto quello che è accaduto).

Peccato che sia falso. Il bravissimo giornalista Antonio Mazzeo mette in fila tutto ciò che è accaduto tra Italia e Egitto dopo la morte di Regeni ed è un elenco che fa spavento e che grida vendetta. Una vergogna.

Nel 2016, l’anno della morte di Regeni, la Polizia italiana ha addestrato in diversi centri i poliziotti di al-Sisi oltre a spedire in Egitto un migliaio di computer e di apparecchi.

Nel gennaio 2018 l’Italia spediva in Egitto 4 elicotteri AugustaWestland già in uso alla Polizia di Stato e il ministero dell’Interno cofinanziava al Cairo un progetto di “formazione nel settore del controllo delle frontiere e della gestione dei flussi migratori”.

Dal 13 al 16 novembre 2017, una delegazione del Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto ha fatto visita ufficiale per incontrare la Guardia costiera egiziana.

Il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto si è recato nuovamente in visita ad Alessandria d’Egitto dal 25 al 27 giugno 2018. Alcuni giorni dopo la conclusione della visita ufficiale in Egitto, l’allora ministra della Difesa, Elisabetta Trenta (M5s), s’incontrava a Roma con l’Ambasciatore della Repubblica araba d’Egitto, Hisham Mohamed Moustafa Badr. «L’Italia reputa l’Egitto un partner ineludibile nel Mediterraneo, affinché quest’area raggiunga un assetto stabile, pacifico e libero dalla presenza terroristica», dichiarava la ministra.

Il 13 agosto 2018 era la nuova fregata multimissione (Fremm) “Carlo Margottini” della Marina militare a recarsi ad Alessandria d’Egitto per svolgere con la Marina egiziana “un breve ma intenso addestramento, che ha permesso al personale delle due fregate di misurarsi in un contesto multinazionale”.

La prima delle due fregata multimissione ordinate dall’Egitto è stata consegnata a fine dicembre 2020 dopo due mesi di intense attività addestrative dei militari egiziani a La Spezia, condotte dal personale della Marina italiana e Fincantieri.

Il 22 novembre 2018 una delegazione della Forza aerea egiziana, accompagnata da rappresentanti del gruppo militare-industriale Leonardo S.p.a., si recava in visita al 61° Stormo e alla Scuola internazionale di volo con sede nell’aeroporto di Galatina (Lecce).

«Italia ed Egitto hanno completato nel 2019 un programma congiunto per l’individuazione degli effetti dell’esposizione alle radiazioni in caso di un’emergenza nucleare e delle contro-misure e dei trattamenti che possono essere predisposti», rivela un recentissimo dossier dello Science for peace and security programme della Nato.

A Roma dal 25 al 27 maggio 2016 si è tenuto un meeting in ambito nucleare-chimico-batteriologico tra Italia e Egitto tenuto segreto e rivelato da un dossier della Nato.

Questi sono gli incontri ufficiali, poi ci sono i soldi di cui abbiamo scritto. E poi volendo c’è anche il giochetto squallido sull’ambasciatore italiano: si minaccia di ritirarlo, poi sì, poi no.

Ora, vedendo tutti questi episodi (e sono quelli conosciuti) messi uno dopo l’altro davvero vi pare che siano rapporti “freddi”? Davvero nessuno ha un dito da alzare sulle parole di Guerini?

Buon venerdì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Alla vigilia di Natale, nel silenzio generale, l’Italia ha consegnato una nave militare all’Egitto. Con buona pace di Regeni

Questa volta niente cerimonia strombazzata con foto d’ordinanza e saluto militare. Lo scorso 23 dicembre, presso i cantieri di Muggiano, a La Spezia, mentre tutta l’Italia si affrettava per gli ultimi acquisti di Natale e il governo si concentrava su zone arancioni che sarebbero diventare rosse, Fincantieri ha consegnato agli ufficiali della Marina Militare dell’Egitto la fregata multiruolo Fremm Spartaco Schergat, ora ribattezzata “al-Galala”.

Se cercate in giro non troverete nessun comunicato, niente di niente: l’imbarazzo del governo è evidente e la morte di Giulio Regeni, con l’assurda carcerazione di Patrick Zaki, pesa come un macigno.

La consegna è solo il primo passo della vendita di due fregate Fremì all’Egitto di Al-Sisi che avrebbero dovuto essere destinate originariamente alla Marina Militare italiana e che invece sono state vendute all’Egitto senza nessuna comunicazione ufficiale al Parlamento.

La Rete Italiana Pace e Disarmo parla di una vendita “inammissibile” tenendo conto che è avvenuta “senza alcun dibattito in Parlamento in chiara violazione della legge 185 del 1990”. La legge infatti regolamenta le esportazioni militari e prevede il divieto “verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere”.

Del resto lo scorso 16 dicembre anche il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che denuncia l’aumento delle esecuzioni in Egitto, il ricorso alla pena capitale e le sistematiche violazioni di libertà. Proprio in quella risoluzione si esortano gli Stati membri dell’Ue a sospendere la vendita di armi all’Egitto.

Consiglio evidentemente inascoltato, se è vero che (lo dice Rete Italiana Pace e Disarmo) le forniture ipotizzate sono “di altre quattro fregate, 20 pattugliatori, unitamente a 24 caccia multiruolo Eurofighter e 20 aerei addestratori M346 ed altro materiale militare del valore tra i 9 e gli 11 miliardi di euro”.

Sullo sfondo risuonano le parole di indignazione del ministro Di Maio (“l’Italia è un Paese fondatore dell’Ue e sul tema dei diritti umani non è concesso fare passi indietro”), del presidente Conte e del presidente della Camera Roberto Fico, che parlò di “attuare decisioni dure contro l’Egitto”.

Parole che vengono rovesciate a fiumi sui giornali e che poi scompaiono quando si tratta di consegnare il prossimo armamento. La verità e la giustizia, intanto, attendono.

Leggi anche: 1. La verità su Giulio Regeni è un diritto: l’Italia smetta subito di vendere armi all’Egitto (di Alessandro Di Battista) / 2. Tutti a restituire la Legion d’Onore. Bene, ma l’Italia è ben peggio di Macron se non ferma la vendita delle armi all’Egitto (di G. Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Ora tocca a noi

Nel Castello di Rio Maggiore (SP) abbiamo messo in moto il nostro “modo”. Che non punta a diventare eclatante e fascinoso ma è costruito con le persone, le pratiche e le idee sui territori. Almeno per provare a prendere le distanze dai (troppi) movimenti che sono scendiletto di partito o comitati elettorali camuffati per il prossimo salto prima di fine mandato. Perché la richiesta che ci arriva è soprattutto di serietà, di spegnere questa arroganza di volere essere sempre parte di tutto in attesa che cada addosso una leadership e soprattutto di parlare di soluzioni. E di un pensiero che diventi collettivo piuttosto che un cognome per i prossimi santini elettorali. Perché in un momento in cui servirebbe una responsabile riflessione nel centrosinistra succede che le lepri sono già in corsa verso il traguardo e qualcuno si mette in scia per un posto buono; e così si vedono in giro gli abbracci di neoliberisti giovani e democratici con politici sulla cresta che invocano il default. In una sconnessione che accetta il dogma berlusconiano per cui la ricetta giusta è semplicemente una credibile miscela di facce. Adesso tocca a noi, ci mettiamo in marcia. Qui la cronaca della giornata:



La Spezia
. L’incontro pubblico avvenuto ieri nel Castello di Riomaggiore tra alcuni esponenti del coordinamento spezzino di SEL ed il Consigliere Regionale lombardo Giulio Cavalli, oltre a rinsaldare un forte rapporto di amicizia, ha gettato i presupposti per rilanciare un nuovo approccio culturale al problema della crisi economica, sociale e politica che affligge il nostro paese.
SEL intende parlare agli indignati, a coloro che sono stati trascesi dalla verticalizzazione dei processi sociali, scavalcati dagli apparati economici che hanno deformato e manipolato l’autonomia della politica e dei suoi contenuti. “Sottolineiamo che la nostra identità è riconducibile a ragionamenti etici, idee e programmi sviluppati attraverso la costante partecipazione dei cittadini” – spiega Nicola De Benedetto, membro del coordinamento provinciale del partito di Nichi Vendola. “Non ci sarà dunque possibile, in nessun contesto e in nessuna forma, accettare l’imposizione di dialettiche personalistiche o di sterili manovre d’apparato, poiché abbiamo sinceramente ritenuto di doverne necessariamente prescindere dal momento in cui abbiamo iniziato il nostro discorso politico, rivolto unicamente al raggiungimento del bene comune, alla costruzione di una nuova visione sociale e al futuro delle nuove generazioni”.
“Crediamo di poter esercitare all’interno della coalizione di centro-sinistra un ruolo centrale nel processo di trasformazione del linguaggio politico e di delineazione di una nuova idealità, nel convincimento che l’intransigenza con cui declineremo i presupposti della nostra alleanza possa dissuadere dal voler preservare logiche strumentali ormai chiaramente estranee alla dignità del discorso politico”.
“Siamo convinti che nel centro-sinistra ci siano sufficienti intelligenze per comprendere che occorra fermarsi un momento e riflettere. In questo momento storico alcune abitudini, stratificate per via dell’automatica cristallizzazione di meccanismi politicamente inaccettabili, vanno superate con uno slancio ideale rivolto all’esplicita richiesta di aiuto che proviene dalla società civile”.
“Ripartiamo dalle idee e dalla coerenza che si rendono oggi necessarie per governare una società resa culturalmente ed economicamente vulnerabile da un liberismo cieco, postmoderno ed incautamente relativista che la politica ha ampiamente sottovalutato.
Torniamo ai valori e alla capacità di sognare di poter cambiare le cose. Soltanto così parleremo alle piazze che stanno disperatamente chiedendo risposte”.