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‘Ndrangheta: preso il vigliacchetto latitante Rocco Barbaro

(ne scrive Lucio Musolino per Il Fatto Quotidiano)

Per la latitanza aveva scelto la Calabria e, in particolare, la sua Platì considerata “culla” della ndrangheta. È stato arrestato intono alle 13 il boss Rocco Barbaro, 52 anni (nella foto), ricercato dal 2015 e che a breve sarebbe stato inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi d’Italia. Secondo la Procura di Milano, Rocco Barbaro è l’attuale referente Lombardo delle cosche calabresi.

I carabinieri del gruppo Locri lo hanno scovato all’interno dell’abitazione di una delle figlie. Conosciuto con i soprannomi di “u Sparitu” e “u Castanu“, Rocco Barbaro era ricercato perché destinatario di un’ordinanza di arresto per associazione mafiosa emessa dal gip di Milano su richiesta della Direzione distrettuale antimafia.

I fatti contestati si sarebbero consumati tra il maggio 2013 e il gennaio 2014, quando il boss, secondo l’accusa, è stato intermediario della cessione della proprietà di un bar nel capoluogo lombardo. L’accusa per “U Sparitu” è intestazione fittizia a una terza persona, in quanto la precedente gestione del bar aveva contratto numerosi debiti, in particolare con i Monopoli di Stato.

Oltre alla compravendita dell’esercizio commerciale, Rocco Barbaro avrebbe gestito in modo occulto il bar controllando in tutto e per tutto l’operato del nuovo titolare, anch’egli originario di Platì.

Già due volte latitante (nel 2003 è stato arrestato sempre a Platì), Rocco Barbaro è figlio del patriarca Francesco e fratello di Giuseppe considerato il “re” dei rapimenti. Da anni si era trasferito in Lombardia, a Buccinasco, alle porte di Milano, dove il clan Barbaro ha numerosi interessi soprattutto nel traffico di droga.

Ritratto di Concetto Bonaccorsi “u carateddu”: il latitante di mafia arrestato (in Toscana, eh)

Si è conclusa in provincia di Pistoia la latitanza di Concetto Bonaccorsi di 56 anni, inteso “‘u carateddu”, ritenuto il capo dell’omonima cosca di Catania.

E’ stato scovato nell’appartamento di una villetta del paese.Lo cercavano dal 26 settembre dello scorso anno quando, dopo un permesso premio di tre giorni, il boss catanese Concetto Bonaccorsi, 56 anni, capo della cosca mafiosa dei «Carateddi» alleata con il clan Cappello, non fece più rientro nel carcere di Secondigliano, in Campania. Una decina di giorni fa, gli agenti della Squadra mobile di Catania hanno capito che quella coppia di cinquantenni che stava al primo piano di una palazzina in una frazione di Massa e Cozzile, nella zona di Montecatini, nel Pistoiese, poteva essere quella giusta.

Un gruppo di agenti catanesi si è così trasferito nel Pistoiese e ieri pomeriggio alcuni di loro hanno notato al balcone di quella casa una donna che assomigliava molto alla moglie del boss che, difatti, un’ora dopo è spuntato sullo stesso balcone per accendere un barbecue. La palazzina è stata circondata con l’aiuto della polizia di Pistoia e il boss ergastolano è stato arrestato.

In carcere vi era finito dopo l’ordine di esecuzione emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Milano dovendo espiare la pena dell’ergastolo per il reato di omicidio aggravato, associazione per delinquere di stampo mafioso ed associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.

Concetto Bonaccorsi è lo storico capo bastone dell’omonima famiglia, intesa “Carateddi”, dell’organizzazione Cappello – Bonaccorsi. Di lui si ricorda l’arresto avvenuto quando aveva trent’anni. Nel giorno del suo matrimonio i carabinieri gli diedero solo il tempo di pronunciare il fatidico sì, poi lo ammanettarono e sotto gli occhi della sposa lo portarono. Niente viaggio di nozze per Concetto Bonaccorsi nel 1991, già allora ritenuto dagli investigatori il capo di una frangia del clan dei Cursoti, una delle famiglie mafiose più potenti di Catania. Bonaccorsi da anni si era trasferito a Torino, in Sicilia tornava assai raramente. Il giorno delle nozze aveva dato appuntamento ad amici e parenti davanti al municipio di Valverde: alle 13 in punto avrebbe sposato Concetta Valenti, 25 anni, anche lei siciliana trapiantata in Piemonte. Bonaccorsi per quell’arresto del 1991 era accusato di avere ucciso a Torino due ladri d’ auto colpevoli di avergli rubato qualche giorno prima la sua vettura, una Fiat Uno turbo. In Piemonte Bonaccorsi secondo gli investigatori avrebbe guidato un clan affiliato ai Cursoti dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti e alle estorsioni.

La storia criminale di Concetto Bonaccorsi «Carateddu» è la storia di un pezzo importante della mafia catanese e della guerra tra clan che agli inizi degli anni ’90 faceva cento e più morti ammazzati ogni anno. Lui, anche con il fratello Ignazio, spesso protagonista di gesti efferati, fughe clamorose, latitanze; e omicidi incredibili come quello del 1993 a Cassolnovo, in provincia di Pavia: uccise Marco De Zorzi dentro l’ascensore del palazzo in cui la vittima abitava ma fu arrestato subito perchè l’ascensore si bloccò e lui vi restò chiuso dentro.

La sua vita è stata un alternarsi di ingressi e uscite dalle carceri di mezza Italia. Al fianco sempre lei, la donna che riuscì a sposare quello stesso giorno di estate in cui lo arrestarono per la prima volta.

Nel maggio del 1996 a Concetto Bonaccorsi è arrivato il faldone dell’ordinanza di custodia cautelare dell’inchiesta Cuspide. Fu accusato, insieme a oltre 50 persone, di associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio ed altri reati. Nel 2000 con sentenza della Corte di Assise d’Appello di Catania è stato condannato alla pena dell’ergastolo in ordine ai reati di omicidio e detenzione e porto illegale di armi da fuoco. Reati che sono stati commessi nel 1991.

Concetto Bonaccorsi è stato imputato, insieme a Jimmy Miano, capo dei Cursoti Milanesi ormai deceduto da tempo, e Carmelo Caldariera “Melo mezzalingua” per aver ucciso il 18 gennaio 1991 Angelo Barbera, all’epoca reggente dei Cursoti. Inoltre Bonaccorsi è stato accusato de ferimento di Gaetano Palici e Mario Angiolini, colpiti con fucili mitragliatori (marca Uzi), a pompa e una pistola calibro 357. A febbraio del 1997 è stato condannato dalla Corte di Assise d’Appello di Catania alla pena di 8 anni di carcere per mafia. Nel 2001, la Corte d’Assise di Milano gli ha inflitto una condanna a 30 anni per l’omicidio di Angelo Maccarrone, ucciso il 18 dicembre 1990 a Milano.

Nel 2009 la Squadra Mobile di Catania ha eseguito il blitz antimafia “Revenge” che ha decapitato la cupola e le squadre militari della cosca Carateddi. Concetto Bonaccorsi è stato tra i destinatari dell’ordinanza.

(fonte)

Arrestato dopo 20 anni il boss Perrone, tradito dal suo profilo facebook

Incastrato dal profilo Facebook dopo 20 anni di latitanza. È stato arrestato venerdì sera all’aeroporto di Fiumicino a Roma Giulio Perrone, 65 anni, latitante dal 1998: deve scontare una condanna definitiva a 22 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga. Era nella lista dei latitanti più ricercati d’Italia. Attraverso Facebook è stata scoperta la sua falsa identità, Saverio Garcia Galiero (quest’ultimo era il vero cognome della madre) con cui viveva a Tampico, in Messico, dove si era ricostruito una vita nell’anonimato, con una nuova moglie e figli messicani. Fermato ed espulso dalle autorità locali, è arrivato così a Roma per scontare la sua pena.

Di Perrone, nato a Gragnano in provincia di Napoli, si erano perse le tracce già nel1994. All’epoca dei fatti era considerato un elemento di spicco della criminalità organizzata attiva nell’importazione di consistenti quantitativi di droga, come la cocaina, dalla Germania. La merce trasportata in Italia veniva poi ceduta a più committenti appartenenti a importanti cartelli camorristici del napoletano, tra cui i clan Mazzarella, Formicola, Polverino, Tolomelli. Perrone era stato arrestato il 13 gennaio 1993 insieme alla moglie e a un’altra persona, mentre stava portando in Italia oltre 16 chilogrammi di cocaina destinati alla vendita al dettaglio da parte delle famiglie camorristiche.

«Peppe ‘o Guaglione» latitava in spiaggia

Vacanze nostrane:

236124ac44ed0cf21e7821cd788f6b78-klAG-U1060824687726AXH-700x394@LaStampa.itPreso Giuseppe Ammendola, il reggente del clan camorristico Contini-Licciardi. Il boss era inserito nell’elenco dei 100 ricercati più pericolosi. Latitante dal 2012 Amendola è stato arrestato dagli uomini dello Sco e dalle squadre mobili di Roma e Napoli sulla spiaggia di Torvajanica.
Soprannominato «Peppe ‘o Guaglione», aveva affittato un appartamento per poi farsi raggiungere dalla famiglia. La polizia, coordinata dal vicequestore Fausto Lamparelli, lo hanno fermato in spiaggia. Ammendola, disarmato, non ha opposto resistenza. Non c’erano armi nell’appartamento in affitto. Sul suo capo pendevano due ordinanze di custodia cautelare. Dovrà rispondere di estorsione aggravata dal metodo mafioso, associazione per delinquere di stampo mafioso e riciclaggio. A seguito dell’arresto di Patrizio Bosti e di Paolo Di Mauro, Ammendola era divenuto il reggente del clan Contini, radicato nel rione Vasto ed in alcuni centrale quartieri della città. Il clan Contini è alleato con i Licciardi ed i Mallardo nel cartello dell’Alleanza di Secondigliano.

‘Ndrangheta: preso (a Roma) Domenico Mollica

E’ stato arrestato il latitante Domenico Antonio Mollica, terzo nella lista del giudice per le indagini preliminari del tribunale di roma a dover finire in carcere per i reati di intestazione fittizia di beni aggravata dal metodo mafioso, commessi per favorire la ‘ndrangheta operante nella capitale per il controllo delle attività illecite sul territorio. Mollica, 47 anni, era sfuggito all’esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale lo scorso 9 gennaio quando, nell’ambito dell’operazione “fiore calabro” coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di roma, erano stati arrestati placido scriva e domenico morabito. I poliziotti che bussarono alla sua porta non lo trovarono in casa lo scorso 9 gennaio. la latitanza di mollica è però durata meno di venti giorni. gli agenti della squadra mobile di roma, convinti della presenza di mollica nella sua abitazione, hanno chiesto la collaborazione dei vigili del fuoco per esplorare eventuali intercapedini della palazzina terra- cielo. la presenza di prese d’aria esterne ha indotto gli inquirenti ad abbattere il solaio; al secondo colpo di mazza, dalla soffitta si è sentita una voce dire “scendo, scendo”. L’accesso al sottotetto era camuffato all’interno di un armadio a muro, il cui pannello superiore scorrevole ha rivelato l’esistenza di una botola dalla quale il ricercato, calandosi da una corda attaccata all’architrave del tetto, è uscito. Il sottotetto ha rivelato la presenza di un locale, scaldato dalla canna fumaria, dove era presente un giaciglio, acqua, documenti e un santino ritraente la Madonna di Polsi.

(clic)

Caccia al latitante: preso Giuseppe Pantano

Pantano-Giuseppe-cl.19621I Carabinieri hanno arrestato il latitante Giuseppe Pantano, 53 anni. L’uomo, originario di San Ferdinando (Rc), si nascondeva all’interno di un appartamento in un popoloso quartiere di Palmi (Rc). Ricercato in seguito a un provvedimento di fermo emesso dalla locale Procura della Repubblica per il reato di detenzione e porto illegale di arma da fuoco, nell’ottobre del 2014 Pantano, che era già irreperibile, è stato destinatario di un altro provvedimento di fermo della Procura della Repubblica Dda di Reggio Calabria in quanto ritenuto affiliato alla cosca della ‘ndrangheta operante a San Ferdinando (operazione “Eclissi”).

Nel corso dell’operazione è stato arrestato, per favoreggiamento, un giovane, Cristian Scarcella, 28 anni, rintracciato all’interno dell’abitazione assieme al latitante. Le indagini che hanno portato all’arresto sono state coordinate dalla Procura della Repubblica di Palmi e dalla Dda di Reggio Calabria.

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Facce intelligenti (e paurose) di boss acciuffati

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I carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Caserta, guidati dal tenente colonnello Alfonso Pannone, hanno proceduto, la scorsa notte, a seguito di un’articolata e complessa attività d’indagine, alla cattura del latitante Gaetano Cerci (in foto), 49 anni, residente a Casal di Principe.

L’uomo, già pluripregiudicato, era stato precedentemente, lo scorso 24 luglio, destinatario di un’ordinanza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per il reato di estorsione in concorso con altri tre soggetti, Mirco Feola, Adamo Filippella e Francesco Fiorinelli.

Fu poi scarcerato l’11 agosto scorso dal Tribunale del Riesame. Il giorno seguente, sulla base del fondato pericolo della reiterazione dei reati imputati, fu emessa una nuova ordinanza cautelare in carcere dal gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e da allora Cerci ha iniziato la sua latitanza, conclusasi però la notte scorsa nei pressi della stazione ferroviaria di Salerno.

Il latitante è stato bloccato a bordo di un treno proveniente dal nord Italia.  La scelta della destinazione salernitana da parte di Cerci era proprio finalizzata ad eludere i controlli e la cattura. Cerci, ritenuto affiliato alla fazione Bidognetti del clan dei casalesi, secondo gli investigatori ha da sempre fornito la sua collaborazione al sodalizio criminale occupandosi quasi prevalentemente della delicata questione dello smaltimento e stoccaggio dei rifiuti.

Latitante a Milano

Ovvero Milano come luogo sicuro per la latitanza di un ‘ndranghetista, per intendersi.

Si era rifugiato nel Milanese, ma la polizia è riuscita a rintracciarlo. La Squadra mobile di Catanzaro ha arrestato, in una località dell’hinterland milanese, un latitante, Vincenzo Vitale, di 40 anni, considerato un esponente di spicco della cosca Gallace-Gallelli della ‘ndrangheta, che ha la sua base operativa a Guardavalle, lungo la fascia jonica catanzarese.

Vitale era ricercato da un anno dopo che era sfuggito all’arresto nell’ambito dell’operazione “Free Boat” che aveva portato alla cattura di esponenti di spicco e affiliati della cosca di Guardavalle, accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso ed estorsione.

Nella stessa operazione, alla quale ha partecipato la Squadra mobile di Milano, è stato arrestato anche un presunto fiancheggiatore di Vitale, accusato di avere favorito la sua latitanza in Lombardia.

Arrestato a Crotone Silvio Farao

zcVYnplgPUxWn5n4Wlam3vJ59lEUDl7NDVIe2ZCfgtc=--I carabinieri del Comando provinciale di Crotone hanno arrestato il boss latitante Silvio Farao, ritenuto il capo dell’omonima famiglia operante a Cirò, il cui nome era inserito nell’elenco dei ricercati più pericolosi d’Italia. Latitante dal 2008, Farao era stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado.

Farao, 66 anni, è stato individuato e arrestato in un’abitazione rurale situata in piena campagna nel territorio di Cariati, comune del cosentino al confine con la provincia di Crotone. Quando i carabinieri del Comando provinciale di Crotone hanno fatto irruzione, il latitante si è arreso senza opporre resistenza. Farao era latitante dal novembre del 2008 quando evase dagli arresti domiciliari ai quali era stato posto pochi giorni prima, dopo essere stato arrestato al termine di un altro periodo di latitanza.

L’uomo era stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado per l’omicidio di Mario Mirabile, ucciso a Corigliano Calabro (Cosenza) nel 1990 ed è ritenuto dagli investigatori un capomafia di grosso spessore criminale. In attesa che la sentenza di condanna diventasse definitiva, a Farao era stata imposta la sorveglianza speciale. Dopo ripetute violazioni, la Procura di Crotone aveva chiesto e ottenuto, come aggravamento della misura, gli arresti domiciliari.

Il 7 settembre 2007, però, il boss era fuggito una prima volta per essere arrestato il 4 novembre 2008. All’epoca furono disposti nuovamente i domiciliari, in quanto gli veniva contestata solo la violazione degli obblighi della sorveglianza speciale in attesa della definizione del processo per omicidio.

Guarda un po’ dove stava Carmelo Bruzzese

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Carmelo Bruzzese

Era latitante dall’operazione Crimine, lontano 2010, quando anche la Lombardia ha scoperto di essere terra di mafia (ma non se ne sono accorti tutti nemmeno ora).

Partecipò ad alcune delle più importanti riunioni che portarono alla nomina del capo Domenico Oppedisano, agendo in stretto raccordo con il sidernese Giuseppe Commisso (ù Mastro) e con Rocco Aquino, quest’ultimo capo ‘locale’ di Marina di Gioiosa Jonica (Reggio Calabria), anche lui fuggito alla cattura e poi arrestato dai carabinieri il 10 febbraio 2012, così come i suoi due fratelli, latitanti, Giuseppe e Domenico Aquino, arrestati sempre a Marina di Gioiosa il 31 luglio e il 14 settembre dello stesso anno.

Era un importante uomo di raccordo tra la Calabria e il Piemonte e la Lombardia (appunto). E latitava in Canada. Antonio Nicaso prova a dircelo da anni, del resto.