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lea garofalo

Il solstizio d’estate è in viale Montello, a Milano, dietro al sorriso di Lea e Denise

MILANO – Blitz delle forze dell’ordine giovedì mattina in viale Montello 6, lo stabile tristemente noto come il «fortino delle cosche». Dopo quarant’anni, finalmente è stata espugnata la più longeva roccaforte di spaccio e racket di Milano, creata dalla famiglia Cosco, coinvolta nel caso di Lea Garofalo, la donna sciolta nell’acido. Strada chiusa al traffico, impiegati una settantina di uomini delle forze dell’ordine tra polizia e carabinieri per liberare l’edificio. (il Corriere ne parla qui)

Chi passa di qui lo sa bene, su Lea Garofalo e il clan Cosco ci abbiamo lasciato una pezzo di lavoro e di cuore (qui tutti i post). E sulla loro ingombrante presenza in viale Montello un pezzo di Milano aveva già preteso una soluzione senza mediazioni. Per questo è una buona notizia. Ed è il solstizio d’estate più bello che potessimo augurarci in questo sole milanese.

Ilaria racconta Denise

Ilaria Ramoni, la brava e coraggiosa avvocatessa che ha seguito tutte le udienze del processo Lea Garofalo al fianco della figlia Denise, rilascia un’intervista su quello che è stato, cos’è e cosa sarà. E dice parole importanti.

Uno degli aspetti più particolari di questo processo è stato il clima che si è venuto a creare fuori e dentro l’aula. Tante persone, giovani e meno giovani, che hanno deciso di stare accanto a Denise e alla sua scelta. In modo discreto e responsabile. Tra questi, i ragazzi del Presidio giovani di Libera Milano dedicato a Lea Garofalo hanno deciso di starle vicino in aula durante le sue testimonianze. Mentre seguivano il processo e Denise era coperta da un paravento che non la rendesse riconoscibile, i ragazzi hanno scritto le loro impressioni, emozioni e vicinanza a Denise su dei bigliettini. Che poi noi avvocati le facevamo avere. Un piccolo gesto ma molto importante credo anche per i ragazzi. Denise ha conserva tutti quei messaggi. Ha ricevuto forza e coraggio. E me ne ha anche trasmessa molta.

Il resto qui.

Quanto è opportuno tollerare?

(editoriale scritto per I SICILIANI, il numero di marzo è  scaricabile qui)

Abbiamo perso l’esercizio del senso dell’opportunità. L’abbiamo lasciata in qualche vecchio cassetto o forse l’abbiamo sempre lì appoggiata sulla solita mensola ma ci siamo dimenticati come si usa, abbiamo perso le istruzioni. Gli ultimi arresti e le cicliche maxi operazioni hanno soffiato sull’indignazione e su  un molle senso di allarme generale sulle mafie ma in qualche caso sembrano avere dato inizio ad un’erezione passeggera.
In Lombardia c’è in agenda un’iniziativa antimafia al giorno: è una bella abitudine di questi tempi, roba da fregarsi le mani rispetto ai prefetti che ne negano l’esistenza o ai sindaci che balbettano imbarazzati parlando flebilmente di presunte, possibili, circostanziate possibilità di infiltrazioni future.
Eppure le mafie qui su sono una cosa a sé: un mostro un po’ peloso che ha bisogno di essere raccontato perché faccia meno paura. E mentre ci si convince di compierne l’analisi si finisce per sublimarlo, così la pulsione aggressiva sparisce e la criminalità organizzata diventa un buon tema per le disquisizioni padanamente saccenti davanti al thé.
Quando qualcuno alza la voce e tira fuori questa vecchia storia dell’opportunità invece viene zittito come si zittiscono i molestatori. L’opportunità – ci dicono – è sancita dalla magistratura, niente tribunali del popolo – inorridiscono, sono sensibili – e niente teoremi! E così il senso di opportunità e del limite del tollerabile diventa il chiodo fisso di pochi rimestatori torbidi e esce dal dibattito pubblico. Senza nemmeno essere arrivato al tavolino del thé.
Oggi la Lombardia è ferita dalla ‘ndrangheta, ossessionata dall’avere i boss sullo stesso pianerottolo ma analfabeta: analfabeta nei modi, nei tempi, nelle meccaniche delle collusioni e nel coraggio. Celebra l’avvocato Ambrosoli ammazzato dal sicario di Sindona ma non invita il figlio Ambrosoli alla commemorazione del padre: si è permesso di raccontare che l’opportunità di una Regione con più indagati che idee ed è stato inopportuno. Lui. Bisogna parlarne ma non superare il confine, contenersi in una buona educazione che si limiti per i più coraggiosi a riportare le notizie giudiziarie. Bisogna imparare in fretta il bon ton dell’antimafia lombarda come la vorrebbe la politica: tanti boss, qualche morto ammazzato per rendere truce la scenografia e al massimo qualche assessore di un paesino piccolo piccolo. Non un centimetro in più.
Diceva Paolo Borsellino che la mafia ha bisogno della politica e bisogna riconoscerne le zone d’ombra ma si è dimenticato di fare l’appello di chi si fosse reso disponibile a farlo. Poi non è importante che il riciclaggio giù al nord, la corruzione e la privatizzazione incessante delle regole siano il giaciglio perfetto per l’onnivora ‘ndrangheta che ridisegna le economie e i territori, sembra che non sia importante che le ultime indagini ci dicano che  la merda sotto terra per qualche centesimo al chilo sia sotto le autostrade che porteranno a Expo, non importa che Lea Garofalo sia stata uccisa in pieno giorno in centro a Milano o che brucino i beni confiscati: la mafia qui è un alieno atterrato tra i civili. Ma i civili sono innocenti. Altrimenti che civili padani sarebbero?

Le minacce, i Cosco e Lea Garofalo: il dito e la luna

Voglio spendere un secondo per ringraziarvi tutti. Per la vicinanza di Nichi, Giuliano, Chiara, Stefano, Pippo, Sonia e tutti gli altri rappresentanti delle istituzioni. Ora raccogliamo le idee e ripartiamo con il nostro lavoro cercando sempre di essere seri e con impegno ordinario. Ci fermiamo per raccogliere i pezzi perché questi ultimi mesi sono stati i più difficili di questi anni anomali. Non guardiamo il dito: il processo Garofalo è stato coltivato dai tanti giovani della Milano migliore. Godiamoci la luna. Quello che importa di questo processo è che da un fatto privato è diventato un evento pubblico grazie a molti giovani. Per ora, quello che mi sentivo in dovere di dire l’ha scritto bene Il Fatto Quotidiano nell’intervista che incollo qui. Buone giornate.

Le minacce dai Cosco prima degli ergastoli Cavalli: “La città non può più tollerare”

I fratelli accusati di aver ucciso e sciolto nell’acido Lea Garofalo poco prima del verdetto hanno gridato allo scrittore e attore: “Perché scrivi che siamo mafiosi? Sei un cornuto e un infame”. Lui risponde: “Quello che importa di questo processo è che da un fatto privato è diventato a un evento pubblico grazie a molti giovani”

“In gioco non c’è la solidarietà a me, ma capire che una città  può farsi carico di un processo. Questo è successo in questo processo grazie ad alcuni giovani e di questo dobbiamo ringraziarli. Dall’altra parte c’è un atteggiamento di impunità che questa città non può più tollerare”. Le minacce e gli insulti ricevuti da Carlo Cosco, pochi minuti prima che questi fosse condannato all’ergastolo per l’omicidio della compagna, non intaccano neanche un po’ il pensiero di Giulio Cavalli. L’attore, scrittore e consigliere regionale di Sinistra e Libertà in Lombardia, ieri si è presentato in tribunale a Milano per ascoltare il verdetto. Oltre a lui il presidente di “Libera”, don Luigi Ciotti e del sociologo Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto, ucciso dalla mafia e che da trent’anni denuncia la presenza dei clan al nord. Ma anche i giovani ai quali si riferisce Cavalli: i ragazzi di Libera che hanno spesso seguito le udienze del processo e gli studenti universitari di Dalla Chiesa.

Cosco e gli altri 5 imputati (poi tutti condannati all’ergastolo) lo hanno riconosciuto attraverso le sbarre delle gabbie dove erano chiusi in attesa del verdetto che li ha ritenuti colpevoli di aver torturato, ucciso e sciolto nell’acido una donna di 35 anni, Lea Garofalo, perché collaborava con la giustizia. In particolare è stato proprio Carlo Cosco, ex compagno della Garofalo, a realizzare che fosse Cavalli. Così ha rotto il silenzio del tribunale: “Perché scrivi sui libri che siamo mafiosi?” ha gridato. Poi la risposta, data però da uno dei fratelli di Cosco, pure lui a processo e pure lui condannato: “Scrivi perché sei un cornuto e un infame”. ”Io non l’avevo nemmeno capito cosa stava gridando – racconta Cavalli – Me l’ha detto la scorta. Ha urlato anche a Nando, anche se senza minacce”. “Mi ha colpito – continua – che sia stato proprio Cosco a fare una cosa del genere, perché è sempre stato il “gestore” della cella, ha sempre ricoperto questa funzione di capo, anche nella postura. Lo ha fatto anche ieri, tra l’altro cinque minuti prima di essere condannato all’egastolo”.

Quindi, lasciando perdere la solidarietà, “l’aspetto da sottolineare è l’atteggiamento di impunità di queste persone – spiega – che pensano, con un’aula piena di forze dell’ordine e quasi davanti a in giudice, di fare una cosa del genere. A livello personale, poi, ho scritto di Cosco, ma ho scritto anche di molti altri. In effetti ho trovato curioso che mi abbia riconosciuto subito, ma può essere legato al fatto che sono stato il promotore della borsa di studio per Denise”.

Denise Cosco è la figlia di Carlo Cosco e Lea Garofalo: nel processo concluso ieri si è costituita parte civile e ha ottenuto un risarcimento di 200mila euro. Regione Lombardia sosterrà le spese per gli studi di Denise dopo l’approvazione della mozione approvata in consiglio dopo essere stata presentata proprio da Cavalli.

A lui oggi sono arrivate le parole di sostegno di Nichi Vendola, il leader del suo partito: “Caro Giulio, stiano tranquilli i vigliacchi che dopo aver ucciso in modo bestiale e sciolta nell’acido Lea Garofalo, ora se la prendono con te minacciandoti ed insultandoti pesantemente”. “Lo devono sapere chiaramente questi vigliacchi che non sei solo – prosegue Vendola – Le persone oneste, del Nord e del Sud che in questi anni hanno lottato e lottano contro le mafie, sono una moltitudine immensa. Che nessuno di questi vigliacchi si permetta di alzare la voce o un solo dito. Sono certo che le istituzioni del nostro Paese impediranno ulteriori minacce nei tuoi confronti. Nella lotta alla criminalità organizzata e alle mafie lo Stato non può abbassare la guardia: nelle settimane scorseGiovanni Tizian, ieri Giulio Cavalli, e insieme a loro tanti altri giornalisti minacciati quotidianamente. Non possiamo permettere questo stato di cose. Ci auguriamo che dal ministero dell’Interno e dall’intero governo venga un impulso maggiore. A Giulio l’abbraccio piu’ fraterno di tutti i compagni e le compagne di Sinistra Ecologia Libertà”. Al consigliere e scrittore anche il messaggio dei blogger di enricoberlinguer.it: “Siamo tutti cornuti e infami”.

Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia definisce l’accaduto “vile e vergognoso”. “A Giulio – continua – la mia solidarietà per un attacco di stampo mafioso da parte di chi sa che, a Milano, la violenza criminale è stata sconfitta e che, nè adesso nè in futuro, potrà avere spazio alcuno e per questo è ancora più bramosa di vendetta nei confronti di chi tutti i giorni combatte la criminalità. Giulio non ha mai smesso di denunciare le infiltrazioni mafiose anche al Nord”. “Attacco mafioso violento e inqualificabile” dice il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. “Le minacce contro di lui – aggiunge – sono vergognose e devono essere stigmatizzate con forza da tutti”.

Cavalli incassa il sostegno, ma riporta al nodo vero della questione: “Sul processo Cosco è stato fatto un lavoro straordinario dei giovani e di Libera grazie al quale un processo che altrimenti sarebbe stato celebrato come per un fatto privato sia diventato un evento pubblico, di un’intera città. Di questo dobbiamo ringraziare questi giovani”.

Milano, presidio contro i fortini dei clan

Un elenco di novecento nomi, quelli delle vittime di mafia, letto a due passi da una delle enclavi della criminalità organizzata a Milano, lo stabile di viale Montello 6. L’iniziativa è dell’associazione Libera, che nella diciassettesima Giornata della memoria e dell’impegno antimafia ha raccolto i cittadini in un presidio a sostegno di Denise Cosco, la figlia ventenne di Lea Garofalo, rapita e sciolta nell’acido dopo aver deciso di testimoniare contro i Cosco, il clan che occupa lo stabile di viale Montello. Presenti all’iniziativa anche il sindaco Giuliano Pisapia e il consigliere regionale Giulio Cavalli (Sel), che ha ricordato la mozione votata ieri al Pirellone: “La Regione si farà carico degli studi di Denise Cosco”. “È molto significativo essere qui”, ha spiegato Ilaria Ramoni di Libera, anche avvocato di Denise Cosco, “ed è importante soprattutto che ci siano molti coetanei di Denise”. Ma nonostante la sentenza sull’omicidio di Lea Garofalo si avvicini, in viale Montello 6 i Cosco ci sono ancora. Più della metà dei 126 immobili dello stabile sono ancora occupati abusivamente. “Gli sfratti ci sono stati”, spiega il presidente della Commissione antimafia del Comune David Gentili, “ora la responsabilità è del prefetto” di Franz Baraggino

Regione Lombardia sosterrà gli studi della figlia di Lea Garofalo: Denise non sei sola

“Denise Cosco è la figlia di Lea Garofalo, rapita e sciolta nell’acido il 24 novembre del 2009 dai complici del marito ‘ndranghetista Carlo Cosco.

Da quando, con grande coraggio e dignità, si è costituita parte civile al processo contro il padre insieme alla nonna materna, alla zia e al Comune di Milano, Denise vive sotto protezione, condannata a sparire e a nascondersi per salvarsi.

E’ così che porta avanti la sua dignitosissima battaglia, in silenzio, lontana dall’antimafia televisiva per il grande pubblico.

Ed è per questo che ci rende orgogliosi aver ottenuto, con il voto unanime alla nostra mozione, un impegno concreto del Consiglio regionale sulla sua vicenda: Regione Lombardia, assicurandole almeno quella possibilità di studiare cui lei tiene così tanto, le restituisce un pezzettino di normalità.

Farsi carico in modo diretto delle vittime è la strada migliore per rivendicare la dignità e la civiltà delle istituzioni di fronte alle mafie.

Al di là dell’aspetto meramente economico di quello che sarà il sostegno regionale al percorso formativo di una giovane, coraggiosa testimone di giustizia, il vero significato di questo passaggio – come ha ben compreso la sorella di Lea, il cui ringraziamento ci commuove – è il messaggio fortemente simbolico: Denise non è sola”.

Milano, 20  marzo 2012

L’amico di Formigoni

Roberto Formigoni è molto teso, domani incontrerà il suo amico di facebook Alessandro Casillo, fresco vincitore di Sanremo giovani. Così domani (nel giorno dell’ennesima mozione di sfiducia al Presidente del Consiglio Davide Boni e una mozione “calda” contro l’Assessore alla sanità Bresciani) ha decido di dedicarsi alle cose importanti: incontrare il giovane cantante per premiarlo a Palazzo Lombardia. A lanciare l’iniziativa sono stati gli stessi Formigoni e Casillo su Facebook: «Caro Ale – ha scritto Formigoni lo scorso 2 marzo – che grande gioia per tutti noi che amiamo la canzone italiana la tua vittoria sul mitico palco dell’Ariston. È tutto vero: il pubblico di Sanremo ha premiato il tuo talento artistico e la tua capacità di trasmettere emozioni a 1000. Anche la rete ha contribuito a valorizzare le tue doti musicali. Per questa ragione ho pensato di farti un invito social tramite Facebook: mi piacerebbe consegnarti a Palazzo Lombardia, sede della nostra Regione, il premio al merito davanti agli amici che ci seguono con affetto e ammirazione sul web».

Domani in aula proponiamo di occuparsi di Denise Cosco, la figlia della testimone di giustizia Lea Garofalo uccisa a Milano, sciolta nell’acido come negli incubi peggiori. E Formigoni sta con Casillo.

Quando dici le priorità e le differenze.

Un 8 marzo di cambiamento

Dedicare l’8 marzo Giuseppina Pesce, Maria Concetta Cacciola e Lea Garofalo, come propone il Quotidiano la Calabria e riprende Vera Lamonica oggi su L’Unità, è un pensiero di lotta e di cambiamento. Perché la Storia ci ha insegnato che pretendere la normalità di una vita da madre e moglie diventa insostenibile in un sistema criminale che prevede l’assoggettamento e l’umiliazione delle donne come metodo di controllo delle relazioni. Dedicare una giornata nazionale a loro significa che il Paese chiarisce di essere intollerante al welfare mafioso. Non è una rivoluzione, ma ricordarlo non fa male. (E sui balconi ricordatevi lo striscione per Rossella Urru. Chiedetelo ai vostri sindaci)

Una ferita di nome Lea (Garofalo)

Carlo Cosco poco dopo ha deciso di parlare e, direttamente dalla cella, ha ricordato come in questo processo “noi vogliamo la verità su Garofalo Lea, mica su tutto”. A questa dichiarazione ne è seguita una dell’imputato Massimo Sabatino che, dal banco dei testimoni, ha letto una dichiarazione scritta in cui chiede che vengano ascoltate le registrazioni dei suoi interrogatori e non siano solo letti i verbali, poiché in esse sarebbe possibile rintracciare il suo animo spaventato. L’imputato ha asserito che gli sembrava “che si volesse dire a tutti costi delle cose su circostanze non vere durante gli interrogatori.” A Milano si svolge il processo sull’omicidio della collaboratrice di giustizia Lea Garofalo. Tutto sotto un sinistro silenzio come se nessuno volesse sapere per evitare di farsene carico. L’uccisione di Lea Garofalo mi ha sempre lasciato stordito e spaventato: stordito dall’efferatezza dell’omicidio e spaventato dalle risposte che un giorno dovremo dare alla figlia di Lea, Denise. Se noi siamo stati abbastanza vivi. I ragazzi di Stampo Antimafioso seguono tutte le udienze del processo. Vale la pena passarci.

Occupiamoci di Denise Cosco

“Per un serio percorso, non solo legislativo, ma di sensibilizzazione e alfabetizzazione sulle convergenze mafiose in Lombardia è necessario dimostrare il proprio impegno, la propria attenzione e la propria vicinanza ai buchi neri aperti dalla presenza della ‘ndrangheta. E in primis sono chiamate a farlo le istituzioni.

Il 24 novembre 2009 Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia, è stata rapita a Milano, torturata e sciolta nell’acido dai complici del marito ‘ndranghetista Carlo Cosco. Una vicenda terrificante che non ha risvolti solo giudiziari, ma anche profondamente umani.

Oggi sua figlia, Denise Cosco, combatte – e lo fa da mesi con grande dignità e inesauribile forza – il dolore per la perdita della madre e il peso delle deposizioni in Aula. Perché si è costituita parte civile al processo contro il padre, insieme alla nonna materna, alla sorella di Lea e al Comune di Milano. Lontanissima dai canoni dell’antimafia tutta telecamere e lustrini, come molti altri sconosciuti in Italia, porta avanti la sua battaglia sotto il programma di protezione per i testimoni di giustizia, con il bisogno di sparire per salvarsi.

Pensiamo che Regione Lombardia abbia il dovere e l’obbligo morale di esprimerle il proprio sostegno, con atti concreti. In tal senso, abbiamo presentato una mozione che impegna Formigoni e la Giunta a supportarla nel suo percorso di studi, anche attraverso la costituzione di un apposito fondo. Ora ci aspettiamo che venga al più presto discussa e votata all’unanimità.

I nostri figli ci chiederanno perché siamo stati così troppo poco vivi per permettere un omicidio tanto efferato. E ci chiederanno cosa abbiamo fatto per Denise, almeno per lei. Questo può essere un primo piccolo passo”.