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Maddalena

L’inessenzialità della scuola

Fra pochi giorni in Italia gli studenti sarebbero dovuti tornare in classe. Ma non accadrà. Tra Regioni che procedono in ordine sparso, ritardi nel potenziamento dei trasporti, assenza di visione della politica

Ora ci sono anche i numeri: nel periodo tra il 31 agosto e il 27 dicembre 2020, il sistema di monitoraggio dell’Iss, l’Istituto superiore di sanità, «ha rilevato 3.173 focolai in ambito scolastico, che rappresentano il 2% del totale dei focolai segnalati a livello nazionale». Lo dice il report Apertura delle scuole e andamento dei casi confermati di Sars-Cov-2: la situazione in Italia.

Solo il 2% dei focolai hanno origine in ambito scolastico. Ma il report fissa anche un altro punto: Le scuole non rappresentano i primi tre contesti di trasmissione in Italia, che sono nell’ordine il contesto familiare/domiciliare, sanitario assistenziale e lavorativo».

Fra pochi giorni si dovrebbe tornare a scuola ma non si tornerà, le decisioni verranno prese a macchia di leopardo, i presidenti di Regione ci ricameranno sopra un po’ di retorica elettorale e si ricomincia di nuovo. Si è parlato moltissimo della capacità di osservare il contagio, di convivere con il virus, di conoscere e controllare tutte le variabili in campo ma per le scuole ci si affida alle tifoserie in campo senza che si riesca a studiare un piano complessivo, qualcosa di più dei banchi con le rotelle e le finestre aperte. Sui trasporti si è perennemente in ritardo, sulle precauzioni in classe bene o male si è riusciti a fare qualcosa mentre non si è mai parlato seriamente di risolvere il problema della ventilazione. Ora vi diranno che è tardi. Eppure non sarebbe stato tardi pensarci in tempo, eppure non sappiamo quanto ancora questo elastico di aperture e di chiusure durerà.

Ieri Maddalena Gissi della Cisl Scuola ha rilasciato una dichiarazione che merita attenzione: «Continuiamo a leggere notizie giornalistiche ma con il Ministero non c’è nessun tipo di confronto. I dirigenti scolastici sono stremati; continuano a fare e rifare orari per le attività didattiche in presenza al 50%. Le famiglie sono confuse, i docenti si stanno reinventando modalità didattiche per tenere insieme i gruppi classe e quelli in Ddi (Didattica digitale integrata, ndr). Non è ancora chiaro se alle Regioni sono arrivate le risorse per ampliare la mobilità con mezzi aggiuntivi. In alcuni casi non vengono investiti i finanziamenti assegnati nei mesi scorsi per ritardi burocratici. Ci preoccupa tanto la disomogeneità delle soluzioni».

La Cgil fa notare che «attualmente siamo di fronte a contesti e realtà fortemente differenziate, non solo tra territorio e territorio, ma anche tra scuola e scuola, ecco perché sono necessari monitoraggi e strumenti flessibili finalizzati a fornire le giuste risposte alla varietà delle situazioni, valorizzando l’autonomia delle istituzioni scolastiche e fornendo le risorse necessarie».

Molti esperti temono la riapertura. Qualcuno sommessamente fa notare che l’Italia è uno dei Paesi che più di tutti ha penalizzato le scuole con la chiusura. Qualche virologo propone che vengano usati i tamponi regolarmente (accade nelle fabbriche, del resto, no?) ma niente.

Una cosa è certa: la frammentazione del dibattito indica chiaramente che no, la scuola non è una priorità come lo è stata l’apertura dei grandi magazzini sotto le feste di Natale. La scuola evidentemente non è un servizio essenziale. E, badate bene, non si tratta di chiedere un dissennato rientro in classe fregandosene della pandemia e della salute ma si tratta ancora una volta di sottolineare come la sicurezza in classe sia un argomento da affrontare sempre e solo qualche ora prima della prevista riapertura. Come accade ora.

L’altro ieri il professore di matematica Riccardo Giannitrapani ha condensato benissimo il concetto: «La gestione della scuola in questi mesi ha un grande valore didattico: insegna a ragazzi e ragazze che il cosiddetto mondo adulto può essere inadeguato. Una preziosa lezione sul fallimento».

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Concorso in spostamenti pericolosi

I sindacati della scuola avevano chiesto che il concorso straordinario venisse sospeso, ma la ministra Azzolina si è opposta. Costringendo gli insegnanti a spostarsi nei giorni in cui tutti dicono che non bisognerebbe farlo

Mi scrive Alessandra:

«Si parla tanto della inopportunità del concorso stesso in piena pandemia, ma la ministra ormai abbiamo capito che non lo sposterebbe nemmeno se venisse uno tsunami combinato Adriatico-Tirreno o se un meteorite si abbattesse su Roma. E vabbè. Quello di cui non si parla è l’estrema superficialità con cui sono stati fatti gli abbinamenti candidati-sedi concorsuali, che obbligheranno 64mila persone a girare come trottole per l’Italia. E non parlo solo di chi dovrà spostarsi di regione perché nella sua il concorso non si svolge (dalla Sardegna al Lazio, dalla Sicilia alla Campania; dico: la Campania), ma di chi dovrà viaggiare anche se una sede concorsuale l’avrebbe sotto casa. Io sono stata destinata a Firenze, quindi prenderò un treno e poi un autobus, mentre con la bici sarei potuta arrivare tranquilla tranquilla (e sicura sicura, nell’ottica del contagio) all’Itc di Piombino. Dove invece nello stesso giorno sono attesi una quindicina di altri candidati, alcuni dei quali vivono a Firenze, magari vicino alla scuola dove farò io la prova».

Sul maxi concorso per la scuola che è iniziato proprio in questi giorni in effetti c’è qualcosa che andrebbe registrato e messo a posto. I sindacati hanno chiesto a lungo che il concorso venisse sospeso ma la ministra Azzolina ha adottato la tecnica della fermezza. Certo questi spostamenti proprio nei giorni in cui tutti dicono che non bisogna spostarsi sollevano più di qualche dubbio. «Si apre nel caos. Ci sarà una miriade di contenziosi, se non permettiamo agli insegnanti trovare una via di uscita con una prova suppletiva», dice Maddalena Gissi (Cisl).

E in effetti non si capisce cosa accadrà per quelli che per motivi di positività al Covid, di isolamento o quarantena non potranno partecipare alle prove. Il caso limite, ad esempio, è a Arzano, in Campania, che da giorni è zona rossa (quindi è vietato entrare e uscire) e proprio ad Arzano c’è una sede per gli esami. Che si fa? Qualcuno chiede una prova suppletiva ma la ministra ha chiarito che il parere della Funzione pubblica è stato negativo. Niente da fare? Sarà lunga, molto lunga perché i ricorsi saranno moltissimi. Secondo quanto riferisce l’Adnkronos il Tar del Lazio si è espresso già sulla richiesta di una docente che non potrà essere presente alle prove perché bloccata dall’emergenza sanitaria aprendo al diritto di avere una sessione suppletiva. Si attende la sentenza il 17 novembre.

Poi c’è la questione politica: l’opposizione si oppone (e vabbè) ma anche il Partito democratico ha espresso seri dubbi. Curioso il caso del Movimento 5 stelle che al governo parla di “strumentalizzazioni politiche” sul concorso mentre in Lombardia vota con la Lega una mozione per sospendere il concorso.

Una cosa è certa: “mischiare” le persone in giro per l’Italia non è una buona idea. Proprio no.

Buon venerdì.

Per approfondire il tema, leggi l’articolo di Donatella Coccoli su Left del 23-29 ottobre 2020

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Perché a Napoli la camorra spara agli ambulanti. Spiegato bene.

(Lo racconta un ex ambulante, Amadou, intervistato (qui) da Fabrizio Geremicca)

«Gli estorsori si mangiano la mucca, il latte e il burro di latte». Amadou, 52 anni, senegalese di Dakar, usa un proverbio del suo paese e la pronuncia in francese per sintetizzare il dramma degli ambulanti della Maddalena – immigrati ed italiani – taglieggiati dalla camorra. Vicenda che si trascina da anni e che è ritornata di attualità dopo la spedizione punitiva contro un senegalese di mercoledì scorso a mezzogiorno, durante la quale sono rimasti feriti da colpi di pistola tre migranti ed una bimba di dieci anni che passeggiava insieme a suo padre. Amadou accetta di raccontare la realtà del racket grazie ai buoni uffici di Gianluca Petruzzo, il referente campano dell’associazione 3 febbraio, da tempo in prima linea nella difesa dei migranti. Proprio Petruzzo lancia un appello alla mobilitazione a favore degli ambulanti: «I fratelli immigrati che hanno avuto il coraggio di ribellarsi e di non sottostare al pizzo non devono essere lasciati da soli. La città deve stringersi al loro fianco».

Amadou, cosa intende dire con l’espressione che ha usato poco fa?

«La camorra lucra su noi ambulanti tre volte. La prima quando ci vende la merce all’ingrosso che noi poi esponiamo sulle bancarelle. La seconda quando ci impone il pizzo. La terza quando ci costringe ad acquistare a prezzi assurdi le buste per la mercanzia».

Cominciamo dal pizzo. Quanto pagano gli ambulanti della Maddalena?
«Le bancarelle più grandi 150 euro a settimana. Quelle più piccole 80».

Subiscono solo i migranti?

«No, tutti. Italiani ed immigrati».

Come avviene la richiesta estorsiva?
«Passano due o tre persone e dicono al venditore che dovrà pagare la cifra stabilita».

Minacciano?
«Non serve. Si presentano come i referenti del clan e raramente incontrano resistenza. Quando accade, come mercoledì, passano a vie di fatto. Il mio connazionale ferito è a Napoli da poco e non riusciva proprio a capire perché avrebbe dovuto pagare il racket. Non fa parte della nostra mentalità. Gli ambulanti più anziani si sono adattati. Lui no».

Centocinquanta euro a settimana non è poco. Quanto guadagna un ambulante?
«Raramente supera 800 euro al mese. Accade spesso che per pagare la camorra non si riesca a dare i soldi al proprietario di casa».

Lei prima accennava ad una vicenda di buste. Può spiegare cosa accade?
«Gli stessi personaggi che incassano il pizzo impongono agli ambulanti di comperare le buste nelle quali mettere la mercanzia. Estorcono dieci euro per tre buste, laddove una confezione di 50 non costerebbe più di sette euro. Se il pizzo è per tutti, quello delle buste è un trattamento riservato agli ambulanti immigrati. Analogamente non è raro che gli estorsori pretendano di prendere qualcosa dalla bancarella dei migranti e di non pagare».

Gli ambulanti della Maddalena dove acquistano la merce che poi rivendono?
«I grossisti sono personaggi noti della zona. Consegnano la merce ed il saldo avviene dopo una settimana o una decina di giorni. Se nel frattempo l’ambulante ha guadagnato abbastanza per pagare la mercanzia, tutto bene. Se non ci è riuscito, magari perché ha subito il sequestro della bancarella dai vigili urbani, per sdebitarsi deve chiedere soldi in prestito agli altri immigrati, altrimenti sono guai».

Dove sono i depositi della merce che acquistate ed esponete?
«Non li vediamo mai. I grossisti ci danno appuntamento in un punto del quartiere che cambia sempre e ci consegnano la mercanzia stabilita».

Quanto guadagna un migrante sui capi che vende?
«Una borsa comprata all’ingrosso a 10 euro ne frutta 12,50. Una cinta che l’ambulante paga 3,50 euro è venduta a 5 euro. Un paio di scarpe all’ingrosso ci costa 15 euro e lo rivendiamo per 20 euro».

Quanti sono i migranti alla Maddalena?
«Ne sono rimasti una cinquantina, tutti abusivi. Tunisini, marocchini, senegalesi, algerini. Tanti sono andati via proprio per questa faccenda del pizzo. C’è chi ha preferito tornare in Africa e qualcuno è riuscito perfino a scappare senza saldare il conto dell’ultima partita di merce acquistata».

Lei oggi vende ancora per strada?
«No, sono riuscito a tirarmi fuori da questo inferno. Lavoro come lavapiatti in un ristorante. Guadagno 800 euro al mese».