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marzo

Fontana commemora ma dimentica

Ieri è stato un giorno dolorosissimo per Bergamo, in ricordo delle numerose morti accadute un anno fa in quella zona a causa del virus. Hanno partecipato tutte le più alte cariche dello Stato e tra loro svettava anche Attilio Fontana, presidente di Regione Lombardia.

In Italia c’è da sempre questo vizio di sperare che commemorare una tragedia sia il modo migliore per evitare la responsabilità di raccontarla. Forse andrebbe scritto anche che molti famigliari di vittime di Covid nella bergamasca proprio ieri hanno manifestato tutto il loro disappunto contro Regione Lombardia per i ritardi e gli errori nella gestione della pandemia (dalla “zona rossa” dichiarata solo dopo alcuni giorni, all’ospedale di Alzano chiuso e poi riaperto e molto altro).

Il modo migliore per commemorare delle vittime è costruire un sistema in grado di evitare che si ripetano quelle tragedie. Il prode Fontana con la sua truppa sta sbagliando tutto anche per quello che riguarda le vaccinazioni, nonostante il tuttofare Bertolaso. Alcuni consiglieri del M5s nell’ultima seduta del Consiglio regionale avrebbero voluto fargli notare alcuni punti ma gli è stato impedito di parlarne in aula.

Per comodità del presidente glieli mettiamo qui, nel caso voglia spiegarci qualcosa:

1) Il sistema di prenotazione gestito da Aria ha convocato molti anziani lontano da casa perché non aveva aggiornato i Cap dei comuni.

2) Anziani costretti a percorrere 200 km per farsi vaccinare.

3) Decine di migliaia di utenti over 80 sono rimasti senza notizie poiché non è arrivato alcun feedback della piattaforma.

4) Decine di migliaia di lombardi hanno finalmente ricevuto una convocazione e subito dopo una smentita con un successivo sms (tralasciamo l’orario di ricezione degli sms).

5) La campagna vaccinale per le persone più fragili è partita solo il 14 marzo (malati oncologici, pazienti affetti da malattia respiratori o cardiaca…) con settimane di ritardo rispetto agli annunci delle conferenza stampa.

6) La campagna per gli insegnanti è partita tardi perché nessuno nei mesi precedenti si era dato il pensiero di chiedere alle scuole gli elenchi degli insegnanti stessi. La campagna per gli insegnanti è partita tardi poiché mancavano gli elenchi completi dalle scuole (!).

7) Per gli insegnanti nessun feedback, dovranno controllare più volte al giorno la piattaforma.

8) Non tutti gli insegnanti riescono a controllare se è stato fissato un appuntamento poiché non hanno un fascicolo sanitario in Lombardia.

9) Per 3 giorni si sono iscritti alla piattaforma (attraverso un baco) anche cittadini che non rientrano nelle categorie per le quali sono aperte le vaccinazioni e adesso dovranno controllare tra gli iscritti, chi rientra nella lista dei 200mila insegnanti (sperando sia finalmente completa).

10) Ancora non terminata la vaccinazione nelle Rsa

11) Mancano vaccinazioni domiciliari di disabili allettati (diverso dai fragili).

12) Manca personale sanitario per vaccinare.

13) A Pavia i centri vaccinali sono vuoti perché le persone non ricevono la convocazione e gli operatori sanitari stessi non hanno nemmeno in mano gli elenchi.

14) 900 anziani in fila fuori dal Niguarda per vostri errori.

15) Gli atenei alla fine pesano sul Servizio sanitario regionale, sia l’organizzazione che la supervisione resta a carico del SSR, in particolare del Pio Albergo Trivulzio che, oltre a dedicare posti a disposizione per gli universitari, avrebbe addirittura predisposto una piattaforma informatica dedicata.

16) Dosi di vaccino buttate, sprechi assurdi per incapacità di inviare sms.

17) Sono state almeno 4, in differenti conferenze stampa, le presentazioni del piano vaccinale, con altrettante modifiche e promesse irrealizzabili alla popolazione.

Fontana commemora ma dimentica. Fontana commemora ma non risponde.

Buon venerdì.

(nella foto da destra il presidente Fontana con il presidente del Consiglio Draghi e il sindaco di Bergamo Gori, da un video della cerimonia a Bergamo in ricordo delle vittime della pandemia)

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Ci sono anche buone notizie

Ieri la neo ministra della Giustizia Marta Cartabia è stata audita dalla commissione Giustizia della Camera sulle linee programmatiche del suo dicastero e si è avuta la netta sensazione di ascoltare finalmente parole nuove rispetto a certa giustizia turboferoce che abbiamo visto negli ultimi anni. Certo, dirà qualcuno, siamo solo alle parole ma le buone parole sono il preludio migliore per le augurabili buone azioni e mentre monta un certo cattivismo che vorrebbe “il carcere a vita” per qualcuno che viene processato direttamente sui social ascoltare un ritorno alla ragionevole umanità non può che essere una buona notizia.

La ministra ha chiarito che è impensabile pensare a una “riforma del sistema” vista l’enormemente larga maggioranza che sostiene questo governo (che sulla giustizia come su molti altri temi ha idee praticamente opposte) ma ha ribadito che vanno messi in campo «tutti gli sforzi tesi ad assicurare una più compiuta attuazione della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali». Cartabia ha anche parlato della «necessità che l’avvio delle indagini sia sempre condotto con il dovuto riserbo, lontano dagli strumenti mediatici per una effettiva tutela della presunzione di non colpevolezza, uno dei cardini del nostro sistema costituzionale».

Finalmente si sente anche una ministra che ha il coraggio di dichiarare «opportuna una seria riflessione sul sistema sanzionatorio penale che, assecondando una linea di pensiero che sempre più si sta facendo strada a livello internazionale, ci orienti verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato». Con un parallelo la ministra ricorda in audizione ala Camera che «la certezza della pena non è la certezza del carcere, che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocato quale extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere, già quali pene principali. Un impegno che intendo assumere è di intraprendere ogni azione utile per restituire effettività alle pene pecuniarie, che in larga parte oggi, quando vengono inflitte, non sono eseguite. In prospettiva di riforma sarà opportuno dedicare una riflessione anche alle misure sospensive e di probation, nonché alle pene sostitutive delle pene detentive brevi, che pure scontano ampi margini di ineffettività, con l’eccezione del lavoro di pubblica utilità».

Erano anni che non si sentivano parole così, pensateci.

(Ah, per tutti quelli che ci faranno notare che proprio qui sul Buongiorno abbiamo criticato aspramente Cartabia per le sue posizioni oscurantiste sui matrimoni gay e per la sua vicinanza a Cl: sì, lo pensiamo ancora. Ma nel nostro patto con i lettori ci eravamo ripromessi di giudicare i fatti, passo dopo passo. E passare dal giustizialismo a un’ipotesi di giustizia giusta è una buona notizia)

Buon martedì.

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A pochi metri dalla solita manfrina

Che Matteo Salvini sia terribilmente scomodo in questo governo allargato è un’evidenza negata solo da quelli che per convenienza hanno voluto rivenderci la svolta del leader leghista, tanto per magnificare preventivamente le doti di Draghi nel mondare salvificamente una politica che invece (purtroppo) rimane sempre uguale a se stessa. Che la base di Salvini sia in subbuglio, soprattutto quella più estrema ai limiti del negazionismo che ha accarezzato di sponda in tutti i mesi di questa pandemia è un fatto che basta verificare scorrendo i commenti ai suoi post su uno qualsiasi dei social che il segretario leghista utilizza con veemente frequenza. Anche i molti imprenditori che confidavano in lui per un fulmineo ritorno alle aperture e a una presunta normalità (perfino sfidando i ragionevoli rischi del virus) sono parecchio incazzati.

A questo aggiungeteci che all’interno del partito Salvini comincia a perdere appoggi importanti e a soffrire figure come quella di Giorgetti che viene considerato molto più affidabile dai ceti produttivi del nord, senza dimenticare Zaia che da tempo aspetta solo il momento giusto per provare a tirare la sua zampata e prendersi il partito. Se non bastasse là fuori c’è anche Giorgia Meloni che nella più comoda posizione di oppositrice al governo ha le mani libere per sparare a palle incatenate contro le decisioni di Draghi e dei ministri senza doversi prendere la responsabilità di proporre per forza delle alternative.

E che farà Salvini? Tornerà a essere il solito Salvini. Anzi, ha già cominciato. Nella distrazione generale ha cominciato a spargere un po’ di messaggi di odio e di razzismo: l’8 marzo ha commentato la notizia del referendum in Svizzera sul burqa mischiando un po’ le carte e parlando di «una decisione dei cittadini a difesa dei valori della civiltà occidentale ed europea, contro ogni violenza, discriminazione e sopraffazione»; lo stesso giorno ha scritto che «serve più rigore nel controllo degli sbarchi, anche alla luce del recente allarme dei Servizi di intelligence sui rischi di infiltrazione terroristica: i confini dell’Italia sono confini europei»; il 9 marzo è tornato ai fasti di un tempo annunciando l’intenzione di «confrontarmi al più presto con il Presidente Draghi e il ministro Lamorgese per trovare soluzioni. L’Italia soprattutto in pandemia – e con molti cittadini costretti a casa – non può permettersi sbarchi a raffica, clandestini a spasso e illegalità»; ieri è partito con le solite menzogne sbraitando «che il traffico di esseri umani sia un business per la malavita organizzata e che alcune Ong siano complici era una mia convinzione ed ora lo è anche di diverse procure» e dicendo chiaramente «continuo a pensare che, anche in un momento di pandemia, tornare a difendere i confini sia una necessità».

Come al solito, quando si trova in difficoltà, estrae dal cilindro migranti e confini che gli hanno fruttato tanta fortuna. Solo che il difficile momento nazionale (e la conformazione di questo governo) renderanno ancora più difficile la sua propaganda e allora urlerà ancora più forte, ancora più feroce, ancora più violento. E tornerà il solito Salvini, la sua conversione si dimostrerà una semplice posa e si ricomincia tutto da capo.

Segnatevelo.

Buon venerdì.

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Commissariate la Lombardia

La sentite intorno quest’aria tutta concorde? Sembra una pacificazione e invece è lo stallo che si crea quando partiti e poteri si allineano, lo fanno spesso in nome di una non meglio precisata “unità nazionale”, quando tutti insieme si deve uscire da una “crisi” e questa volta funziona perfettamente in nome dell’epidemia. Accade che partiti lontanissimi tra loro si trovino seduti nello stesso governo, quelli che si erano sputati addosso fino a qualche minuto prima e quelli che hanno spergiurato un milione di volte “mai con quelli là” e accade che anche l’osservazione di ciò che non funziona improvvisamente si ottunda.

La Lombardia, ad esempio. La campagna delle vaccinazioni anti Covid in Lombardia è una drammatica sequela di errori e di ritardi, di incomprensibili scelte e di gravi inadempienze. Qualcosa che grida vendetta ma che soprattutto meriterebbe un dibattito politico nazionale, una parola, un ammonimento, almeno uno sprono, qualcosa qualsiasi.

In Lombardia accade che alcune persone che non hanno diritto al vaccino riescano a prenotarlo e a farlo tranquillamente per un link del sistema regionale che presenta un’evidente falla. L’ha scoperto Radio Popolare e lo confermano lombardi che raccontano di averlo ricevuto nei gruppi di watshapp. «Ho fissato l’orario – racconta una testimone – e dopo dieci minuti ho avuto la mail di conferma per andare lunedì 8 marzo alle 12.05 all’ospedale militare di Baggio. Non ci credevo fino in fondo, ma quando sono arrivata lì incredibilmente ho verificato che ero davvero in lista». I direttori sociosanitari dicono che non hanno nessun modo per controllare le liste che sarebbero tutte in mano all’Asst. Tutto bene, insomma.

Il magico software regionale tra l’altro convoca i cittadini (vale la pena ricordare: quasi tutti anziani) con un preavviso di poche ore, la sera precedente. Alcuni sono costretti a fare chilometri e chilometri nonostante abbiano punti vaccinali molto più vicini. Alcuni addirittura hanno ricevuto invece due messaggi: «Ho ricevuto la convocazione dopo pochissimi giorni dall’iscrizione – racconta Maria Grazia alla consigliera regionale (Lombardi Civici Europeisti) Elisabetta Strada – ahimè però ho ricevuto due sms, a distanza di qualche ora, il primo mi convocava in piazza Principessa Clotilde alle ore 11 e il secondo ad Affori alle 16. Non sapevo quale dei due messaggi fosse corretto e al numero verde mi hanno risposto che non lo sapevano nemmeno loro. Sono andata dove mi era più comodo». Ovvio che se la gente non si presenta all’appuntamento i vaccini poi a fine giornata vadano buttati. In Regione giacciono interrogazioni che chiedono conto di quante dosi siano state sprecate finora: nessuna risposta, ovviamente.

All’8 marzo su oltre 720mila over 80 lombardi circa 575mila hanno aderito alla campagna e ne sono stati vaccinati 150mila. Dei 140mila che non hanno aderito non si sa nulla: non sono riusciti a prenotarsi? Non sono informati? Rifiutano il vaccino?

Poi ci sono gli errori di gestione degli spazi: ad Antegnate, provincia di Bergamo, è stato previsto un punto vaccinale nel centro commerciale del paese. Per un errore di pianificazione domenica 28 febbraio c’erano in coda quasi duemila persone. Sempre anziani, ovviamente assembrati. A Chiuduno, sempre nella bergamasca, il punto vaccinale è invece in un centro congressi che potrebbe gestire 2600 vaccinazioni al giorno e si viaggia a un ritmo di 800.

Perfino Bertolaso ha dovuto ammetterlo: «Il sistema delle vaccinazioni degli over 80 continua a funzionare male, a creare equivoci, ritardi», ha dichiarato. Addirittura Salvini: «Problemi nella campagna vaccinale della Lombardia? Se qualcuno ha sbagliato paga, e quindi anche della macchina tecnica di Regione Lombardia evidentemente c’è qualcuno che non è all’altezza del compito richiesto». Ora la Regione Lombardia ha deciso di appoggiarsi al portale delle Poste, scaricando di fatto il gestore Aria, un carrozzone voluto da Fontana e soci per “guidare la trasformazione digitale della Lombardia”. Ottimo, eh?

Stiamo parlando della regione che ha collezionato un terzo dei morti per Covid di tutta Italia, della regione che ancora oggi sta vedendo i suoi dati peggiorare più di tutti. Serve una testimonianza? Eccomi qui: padre dializzato, invalido al 100%, ovviamente ultraottantenne e per ora l’unico segno di vita è un sms di scuse per il ritardo.

Tutto questo dopo un anno di sfaceli politici e organizzativi. Ma davvero, ma cosa serve di più per commissariare la Lombardia?

Buon mercoledì.

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A volte ritorna

Siamo passati dall’avere un governo con il centrosinistra e il M5s all’avere 2/3 di centrodestra al governo con figure apicali nei ministeri e tra i sottosegretari. E Salvini che si muove di nuovo da capo politico concedendo all’alleata Giorgia Meloni di avere mano libera nel bombardare dalla comoda posizione dell’opposizione

C’è in giro una barzelletta spassosissima eppure tragica, fomentata soprattutto dagli ultrà renziani, per cui nel “capolavoro” del governo Draghi rientrerebbe anche l’avere danneggiato o comunque tarpato Matteo Salvini e il suo partito. È la barzelletta di riserva che arriva subito dopo “il governo dei migliori”, un’altra enorme bugia che è stata utilizzata giusto il tempo di leggere con un certo affanno la lista dei ministri e soprattutto dei viceministri e soprattutto dei sottosegretari: non potendo più insistere sulla qualità dei componenti di governo, sarebbe stato troppo persino per loro, il nuovo messaggio da veicolare in massa è quello di un Salvini che uscirebbe “depotenziato” da questo governo per chissà quali strani alchimie. La politica però, per la fortuna di chi si ritrova a commentarla, è fatta di numeri e quegli stessi numeri dicono che (ma dai?) la Lega di Salvini in questi primi di giorni abbia già cominciato ad aumentare i consensi. Allora forse converrebbe fare qualche passo indietro, alla caduta del primo governo Conte, quando Salvini e i suoi fans imperversavano su tutti i giornali (e alle direzioni dei telegiornali) rimanendo al centro del dibattito praticamente su qualsiasi punto politico si sollevasse quotidianamente. Erano i tempi in cui sembrava praticamente impossibile riuscire ad abbattere il muro della Bestia leghista sui social network e in cui Salvini dettava l’agenda politica ad ogni passo, perfino pubblicando foto con l’ultimo piatto del suo ultimo pranzo. Forse converrebbe ripartire da quel periodo per rendersi conto che gli errori successivi del leader leghista, a partire dalle sue presuntuose follie nell’estate del Papeete, hanno permesso al Paese di uscire dal terrificante reality show in cui era caduto e di ripristinare perlomeno una discussione politica che fosse qualcosa di più alto dell’odio sparso contro i fragili, che fossero migranti o qualsiasi altra categoria.

Il secondo governo Conte in fondo nasce proprio con quella missione: Partito democratico, Leu e persino Renzi hanno accettato la mediazione di un governo che sicuramente non è mai stato il governo dei sogni per riuscire ad arginare una decadenza umanitaria e una tossicità del dibattito che ha partorito obbrobri giuridici (a partire dai cosiddetti decreti Sicurezza) che hanno riportato indietro il Paese di decenni. Ora, al di là delle speranze politiche che qualcuno può riporre nella figura di Mario Draghi nuovo presidente del Consiglio, è un fatto sotto gli occhi di tutti che non solo Salvini sia prepotentemente rientrato nella compagine di governo e quindi nell’alveo della visibilità che governare concede, ma che addirittura ci sia riuscito non rompendo l’alleanza di centrodestra di cui continua a proporsi come capo politico, per di più concedendo alla sua alleata Giorgia Meloni di avere mano libera nel bombardare il governo dalla comoda posizione dell’opposizione e quindi presumibilmente riuscendo anche a “mantenere” i malpancisti. Per questo…

L’articolo prosegue su Left del 5-11 marzo 2021

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La strage degli invisibili, il freddo uccide 25 senza tetto

Ci sono vite che non si incrociano, che non hanno voce da alzare, che scivolano fuori dal dibattito politico perché vengono considerate poca roba, che non spostano molti voti, che si affievoliscono. Quando l’11 marzo dell’anno scorso per motivi di sicurezza nazionale, con lo spettro del virus che incombeva, il primo di una lunga serie di Dpcm lanciava l’appello #iorestoacasa per più di 55mila persone quel consiglio non era perseguibile: una casa non l’avevano. Sono vite precarie che ciondolano tra problemi di salute, fragilità relazionali e condizioni di vita assai difficile, sono il percolato di una paradigma sociale in cui se ti lasci andare finisci schiantato senza nessuna rete di protezione.

La pandemia non è uguale per tutti e non è nemmeno l’occasione per romanticizzare la solitudine nonostante più di qualcuno abbia provato a inquinare lo sguardo: la pandemia ha reso i poveri ancora più poveri, i precari ancora più schiacciati e ha annientato quelli che non avevano niente e ora insieme al peso del niente si portano anche la paura o le conseguenze del virus: «È stata un acceleratore per la costruzione di risposte e soluzioni organizzative, ma rimane il fatto che vi sono case vuote e tante persone in strada. Dare una casa a queste persone significa salvare la loro esistenza, significa dare loro forza e coraggio per riprendere in mano la propria vita, riallacciare relazioni ed affetti, reinserirle nel tessuto sociale», spiega la Fio.Psd (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora) che con Iref (istituto di ricerche educative e formative) e in collaborazione con la Caritas ha redatto un report sulla situazione dei senza tetto in Italia lo scorso 26 novembre e che ora lancia un appello al Governo e al ministro Orlando per chiedere di agire subito. «Non dimentichiamoci degli ultimi!», dice Cristina Avonto, presidente della Fio.Psd, ricordando come con le temperature sotto zero siano già 25 i morti in strada.

L’organizzazione ricorda che l’Housing First (l’opportunità di entrare in un appartamento autonomo “senza passare dal dormitorio” godendo dell’accompagnamento di una equipe di operatori sociali direttamente in casa) costa in media 26 euro al giorno rispetto ai 30 euro giornalieri dei dormitori e i beneficiari vedono garantiti i loro diritti fondamentali: casa, residenza, lavoro e reddito. Le ricerche raccontano che in 8 casi su 10 la persona esce dall’isolamento, stabilizza il proprio benessere psico-fisico, si prende cura della propria salute, si impegna in attività di training e occupazioni di svago e in molti casi riprende i legami con familiari e amici. Sono storie di riscatto che ridisegnano il prodotto interno lordo della dignità di un Paese.

C’è Gian Maria, ad esempio, che per strada ci ha vissuto per cinque anni perché il suo orgoglio l’aveva sempre spinto a non chiedere aiuto ai dormitori pubblici. Gian Maria ha perso il lavoro, ha perso la casa ed è sopravvissuto fra i vagoni di un binario abbandonato frequentando le mense cittadine finché un suo compagno una notte non gli morì di fianco. Quando gli offrirono una casa la rifiutò, pretendeva un lavoro: «E come me la pago una casa se non ho un lavoro?», disse ai volontari. A 59 anni ora Gian Maria, che si sentiva a capo di un manipolo di soldati traditi dallo Stato, ha ricominciato piano piano a reinserirsi, ad affidarsi alle cure di uno psichiatra, a occuparsi di tutti i documenti che smettono di renderlo invisibile, ad appoggiarsi al reddito di cittadinanza e ora ha l’occasione di un lavoro.

C’è Anita che dopo la fine di una relazione si è ritrovata a chiedere ospitalità in un dormitorio e che ha vissuto una convivenza difficile con altre 6 donne. Trovare una casa ha avuto un effetto sorprendente: un crollo degli elementi di tensione e conflitto e una gioia incontenibile per la novità di un luogo da sentire come “casa propria”. Adesso ha un lavoro, la residenza e può incontrare a casa i suoi figli. Ci sono i racconti di chi ha vissuto l’angoscia della pandemia moltiplicata dall’essere per strada. Antonio racconta: «Uscivamo la mattina e non sapevamo dove andare, per evitare di incontrare la polizia, vagavamo per la strada in metro. Ci sentivamo braccati, evitavamo di fermarci perché altrimenti ci davano degli appestati. Vedere il panorama di una città vuota, senza auto e né persone, solo gabbiani».

«Troppe persone che da anni sono bloccate nel circuito dei servizi rendono evidente che il sistema è inefficace per fronteggiare le crisi – dice Giuseppe Dardes, coordinatore della Community italiana dell’Housing First -. Non possiamo sprecare questa opportunità. Persona al centro e responsabilità diffusa nella comunità: questi sono i due fattori chiave dell’efficacia di Housing First sia nell’esperienza italiana sia in quella della rete internazionale a cui Fio.Psd aderisce. Crediamo che si possa e si debba ripartire da qui per una nuova stagione della programmazione degli interventi per il contrasto alla grave emarginazione adulta».

La pandemia sta bloccando e scoraggiando gli ingressi nei ricoveri caritativi notturni, rendendoli anche più complicati per l’obbligo di eseguire il tampone. Tra i morti congelati e soli che riempiono qualche riga di giornali c’è anche Mario, 58 anni, deceduto il 6 gennaio vicino alla stazione Termini, a Roma. A pochi passi da lui c’era un albergo, vuoto per l’emergenza Covid. È la foto perfetta di un accoglienza possibile che viene respinta e lasciata sul marciapiede.

L’articolo La strage degli invisibili, il freddo uccide 25 senza tetto proviene da Il Riformista.

Fonte

Fingeranno sempre di passare lì per caso

Il governo ha deciso di chiudere le piste da sci sulla base dei dati del Cts sui contagi. Apriti cielo. Da Salvini a Zingaretti si levano voci sdegnate. E a parlare così sono i politici di quegli stessi partiti che hanno ministri nell’esecutivo Draghi. Ecco cosa c’e dietro il “governo dei sogni”

Giornata interessante, quella di ieri. Giornata significativa anche per quelli che da qualche giorno sospirano petali di rosa sognanti per un Draghi taumaturgo che avrebbe il potere di cancellare i partiti, la politica, la mediocrità di certi leader e soprattutto i normali meccanismi democratici di un Parlamento.

Accade che il governo decida di chiudere le piste da sci che invece avrebbero dovuto aprire. Accade che lo faccia all’ultimo momento: l’ultimo momento del resto è il primo momento utile con i nuovi dati che arrivano dal Comitato tecnico scientifico e volendo ben vedere anche il primo giorno utile da un governo che è naufragato per regalarci il governo dei sogni, il governo dei migliori, il governo che avrebbe cambiato tutto. Accade che di fronte i dati dei nuovi contagi (perché la curva non si abbassa più e anzi in modo preoccupante tende a rialzarsi probabilmente a causa delle varianti del virus) si decide di tenere chiuse le piste sciistiche. Apriti cielo: ogni volta che qualcuno tocca un settore qualsiasi ovviamente (e giustamente) si levano voci sdegnate. Ma badate bene, qui non si tratta delle voci dei lavoratori, che si sono ritrovati nella pessima situazione di dover cancellare una riapertura programmata che è costata organizzazione, soldi, fatica e che inevitabilmente costa moltissimo in termini economici e di spirito. No, qui si levano le voci sdegnate dei politici.

«I ministri hanno la nostra fiducia. ma serve cambiare qualche tecnico – ha avvertito Salvini – La comunità scientifica è piena di persone in gamba». Il presidente di Regione Lombardia, il leghista Fontana dice: «Trovo assurdo apprendere dalle agenzie di stampa la decisione del ministro della Salute di non riaprire gli impianti sciistici a poche ore dalla scadenza dei divieti fin qui in essere, sapendo che il Cts aveva a disposizione i dati da martedì, salvo poi riunirsi solo sabato». «Sono allibito da questa decisione che giunge a poche ore dalla riapertura», dice il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio. Piste da sci aperte in Friuli Venezia Giulia dal 19 febbraio anche per gli sciatori amatoriali. Il governatore Massimiliano Fedriga ha firmato l’ordinanza urgente n. 4/2021 con cui apre anche agli sciatori amatoriali, a decorrere dal 19 febbraio e fino al 5 marzo, gli impianti nelle stazioni e nei comprensori sciistici. «Per noi viene prima di tutto la salute dei cittadini ma è raccapricciante e imbarazzante vedere un’ordinanza che proroga la chiusura degli impianti da sci pubblicata 4 ore prima di mezzanotte», dice il presidente veneto Luca Zaia. Ma badate bene, non è mica solo la Lega: «Il danno per l’economia dello #sci e della #montagna è davvero immenso. Il Governo si adoperi subito per indennizzi e ristori a chi è stato colpito. Questa è la priorità assoluta», spara il segretario del Pd Zingaretti. «Non posso non esprimere stupore e sconcerto, anche a nome delle altre Regioni, per la decisione di bloccare la riapertura degli impianti sciistici a poche ore dalla annunciata e condivisa ripartenza», dice il presidente dell’Emilia-Romagna e della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini. Italia Viva (figurarsi) chiede “un cambio di passo”. E via così.

Tant’è che a un certo punto si diffonde l’opinione che la decisione sia stata presa dal ministro Speranza, da solo rinchiuso nella sua stanzetta e che loro non ne sapessero niente. Peccato che a metà giornata Palazzo Chigi (quindi Draghi) fa sapere all’Agi che la decisione sugli impianti sciistici è stata adottata in base alle informazioni fornite dal Cts e condivisa dal governo e dal presidente del Consiglio Mario Draghi. Cioè la decisione è stata discussa con tutti i ministri e quindi si presume che i ministri abbiano avvisato i segretari del proprio partito e quindi si presume che sia tutta una posa, una finta sorpresa, un giochetto facile facile: questi fingeranno sempre di essere presi alla sprovvista perché appoggeranno il governo nella comoda posizione di chi comunque si sente un battitore libero. E continueranno a sparare cannonate perché Draghi potrà (forse) riuscire a tenere a bada i ministri e non i partiti, com’è normale che sia.

Ora capite perché la favola del “governo tecnico” è una bufala? Questi continueranno a fingere di passare di lì per caso, in Consiglio dei ministri, rimanendo stupiti tutte le volte, ognuno per proprio tornaconto elettorale. Il “governo dei sogni” è un governo che ha messo sul palcoscenico tutte le mediocrità, nessuna esclusa, e che rende facilissima la vita agli “oppositori interni”, quelli che sfasciano tutto per sentirsi vivi. Un capolavoro, insomma.

Buon martedì.

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Gazebo e mascherine inutili: gli sprechi (milionari) di Arcuri, che ora dovrà risponderne davanti a Draghi

Immaginatevi la scena: di fronte al compito Draghi, da sempre abituato al nocciolo delle questioni e al loro funzionamento, il super turbo commissario Domenico Arcuri sfoglia l’album delle figurine con i suoi bei gazebo a forma di primule dove doveva partire di grancassa il piano vaccinale anti Covid che invece è già iniziato.

Mentre gli racconterà dell’effetto petaloso della sua grande idea forse sarà la volta buona che qualcuno finalmente si renda conto dell’enorme e pericoloso spreco di un padiglione che costerà circa 400mila euro e a questa modica cifra è in grado di fare 6 vaccinazioni alla volta e quindi impiegare tre mesi per vaccinare meno di 30mila persone, un piccolo centro di provincia, spendendo “solo” 10 volte tanto rispetto a un punto vaccini di analoga portata nella sala civica, in quella parrocchiale, nella palestra, sotto la tenda degli alpini e via dicendo. Chissà che Draghi non si accorga anche che il commissario Arcuri ha in testa di ordinarne “fino a 1.200”, dice così il bando, per una cifra mostruosa che si aggira sul mezzo miliardo di euro, sempre per quella vecchia storia della credibilità verso l’Europa su come spendiamo i nostri soldi.

E a proposito di soldi spesi chissà se Arcuri risponderà almeno a Draghi, visto che non lo fa con noi giornalisti, di quelle mascherine cinesi acquistate lo scorso 11 settembre (molti mesi dopo l’inizio della pandemia, quindi con tutto il tempo per compiere la scelta migliore) dalla società olandese YQT Health Care B.V. (con un solo dipendente, costituitasi a marzo dell’anno scorso): 105 milioni di euro per 100 milioni di mascherine, 1,05 euro a mascherina, mentre l’azienda ospedaliera «Ospedali riuniti Marche Nord» di Pesaro ne ha comprate 2 milioni riuscendo a pagarle 37 centesimi l’una (umiliando le presunte capacità commerciali del nostro commissario) o addirittura il Gruppo San Donato che è riuscito a comprale prodotte in Italia a 0,91 centesimi l’una.

E chissà che magari Draghi riesca a sapere da Arcuri come sia successo che il bando del 27 luglio per l’acquisto di attrezzature e ventilatori ci abbia messo ben 5 mesi e mezzo ad arrivare alle aziende ospedaliere. E magari tanto che ci siamo si potrebbe avere anche qualche risposta sulla fornitura da 10 milioni di euro per l’acquisto di 157 milioni di siringhe di precisione «luer lock» su cui ha messo gli occhi anche la Corte dei Conti per capire se sia fondato il sospetto che avrebbero potuto essere comprate siringhe decisamente meno costose.

E poi c’è il ritardo di consegna dei famosi banchi a rotelle (perché, chissà, deve essere difficile prevedere che dei banchi servano entro la data d’inizio delle scuole) e poi ci sono i medici e gli infermieri per il vaccino (nelle famose primule) che sono stati reclutati male (con un bando andato deserto in prima battuta) e in ritardo. E chissà che senza più Conte finalmente ci si possa anche liberare di un commissario che sarebbe già stato licenziato mesi fa in una qualsiasi azienda che non fosse di Stato. Sempre a proposito di quella meritocrazia che viene sempre evocata quando riguarda gli altri.

L’articolo Gazebo e mascherine inutili: gli sprechi (milionari) di Arcuri, che ora dovrà risponderne davanti a Draghi proviene da Il Riformista.

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Altro che culla della democrazia: Londra abbandona in carcere in Iran una sua cittadina

Il ministro degli Esteri britannico, intervenendo sul caso di Nazanin Zaghari-Ratcliffe, ha affermato di non essere “legalmente obbligato a fornire assistenza” alla donna britannica-iraniana detenuta in Iran. Il Regno Unito, in sostanza, decide di abbandonare una propria cittadina all’estero, disinteressandosi di giustizia e di diritti. Proprio loro che del diritto e della democrazia si ergono a cultori in Occidente.

Era il 3 aprile del 2016 quando Nazanin Zaghari-Ratcliffe fu arrestata mentre stava lasciando l’Iran con sua figlia Gabriella, che aveva 22 mesi, per tornare nel Regno Unito dopo avere visitato la sua famiglia a Teheran.

Dopo essere stata detenuta per oltre cinque mesi, di cui i primi 45 giorni in isolamento e senza avere nessuna possibilità di mettersi in contatto nemmeno con il suo legale, la donna ha subito un processo che molti osservatori internazionali hanno definito profondamente iniquo ed è stata condannata a 5 anni di carcere per “appartenenza di un gruppo illegale”, riconosciuta colpevole di voler rovesciare il governo del Paese.

Nel 2016 l’Iran, vale la pena ricordarlo, ha detenuto arbitrariamente almeno 200 difensori dei diritti umani condannandoli a carcerazione e fustigazione.

Fino al momento del suo arresto Nazanin lavorava come project manager della Thomson Reuters Foundation, un ente non-profit che promuove il progresso socio-economico, il giornalismo indipendente e lo stato di diritto.

Nel corso di questi anni di detenzione le condizioni fisiche e psichiche della donna sono continuamente peggiorate, fino a rendere necessario il suo trasferimento dalla prigione di Evin al reparto psichiatrico dell’ospedale Imam Khomeini, nella capitale Teheran.

Nazanin ha intrapreso scioperi della fame e ha anche mostrato preoccupanti segnali di suicidio. La sua è una storia come quella di tanti attivisti dei diritti umani che si ritrovano ingiustamente oppressi in Iran, ma è anche una vicenda di pressioni diplomatiche dell’Iran nei confronti del Regno Unito.

A marzo di quest’anno Nazanin Zaghari-Ratcliffe è stata rilasciata con un permesso temporaneo, ospite in casa della madre con un braccialetto elettronico che non le permette di allontanarsi oltre i 300 metri e il governo iraniano aveva lasciato intendere una sua possibile liberazione.

Tutto invece precipita quando la donna è accusata di essere una spia: ora rischia un nuovo processo e una condanna fino a 16 anni. Il Regno Unito, dal canto suo, lascia intendere di volerla abbandonare al proprio destino.

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