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massimo bray

Cosa succede a sinistra. A Roma. Da quello che vedo.

Se si dovesse appoggiare l’orecchio sul muro della stanza delle trattativa a sinistra di Giachetti (Giachetti incluso) per le prossime elezioni amministrative romane si avrebbe l’onore di assistere ad uno dei più avvincenti radiodrammi degli ultimi anni. L’unica differenza è che qui pare che si complotti a come perdere e peggiorare la situazione ad ogni passo.

Ne ho scritto qui oppure cliccando sul caos qui sotto.

caos
El Caos de Nick Blinko

Bray ha detto no

roma

Massimo Bray ha detto no. Non si candiderà sindaco a Roma. Noi ci abbiamo provato, abbiamo cercato di sciogliere i nodi e le riserve che si presentavano. Mi spiace ma sono molto contento di averci provato. Roma ha bisogno di passione. Di tutti.

#unafirmaperBray

«Roma non ha bisogno di un altro candidato: Roma ha bisogno di un diverso respiro, di ricominciare ad emozionarsi per le sue bellezze e intelligenze, di chiudere con i tatticismi e le zuffe di partito, di svoltare dal mafiacapitalismo per riportare la città e la politica lì all’altezza della cultura che contiene.

Queste prossime elezioni amministrative possono (e devono) essere una svolta culturale e noi riteniamo che Massimo Bray possa essere la scintilla di questo cambiamento collettivo. Per questo gli chiediamo di considerare l’entusiasmo del progetto che è pronto ad accendersi con lui.»

Inizia così l’appello lanciato per convincere Massimo Bray ad ascoltare le molte voci che lo vorrebbero candidato. Io l’ho firmato. Si può leggere e firmare qui.

Cosa succede su Roma?

campidoglio-roma

Lo scrivo qui. Al riparo. Nel mio blog. Così non si scomodano strane dietrologie, anche se devo ammettere che mi fanno volare via dal ridere le dietrologie. Ho già scritto che ritengo Massimo Bray un ottimo candidato per Roma (alcuni dei motivi lo ho elencati qui) e sono convinto che su lui potrebbe convergere questa sinistra che sembra non convergere mai (anche se ho più di un dubbio che non lo voglia davvero, ma ci torneremo). Insomma Bray potrebbe essere il candidato di Sinistra Italiana (ovviamente con Fassina al suo fianco), di Possibile e di tutto un pezzo di Roma che sicuramente non nutre grandi aspettative per Giachetti e il PD. Io Bray me lo immagino seduto in mezzo a questi due poli (Civati da una parte e Fratoianni e Fassina dall’altra) che potrebbero per una volta avere un obiettivo in comune. Poi stasera mi capita di leggere un’agenzia di stampa, questa:

« (ANSA) – ROMA, 09 MAR – Ignazio Marino, a quanto si apprende, questa sera ha incontrato Stefano Fassina, attuale candidato di Sinistra Italiana al Campidoglio, e Nicola FRATOIANNI. Obiettivo: trovare una candidatura ampia e unitaria per il Campidoglio. Slittato l’incontro con l’ex ministro Bray previsto per oggi, i due dovrebbero vedersi o sentirsi nei prossimi giorni, con lo stesso obiettivo.»

E mi sfugge qualcosa. Perché (se non ricordo male) Fratoianni fu quello che di Marino chiese le dimissioni (leggete qui) e Marino fu quello che fece fuori Sel dalla giunta capitolina per accontentare Orfini.

Insomma, mi manca un pezzo. No?

La cultura dentro le dimissioni dal Parlamento

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Massimo Bray

Massimo Bray si è dimesso da parlamentare. Si è dimesso per scelta propria, lo scrive lui stesso, perché si ritiene più utile in un altro ruolo professionale e perché, scrive, “rispettare lo Stato e le Istituzioni significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre come obiettivo il bene della comunità. Ecco perché vivo con sofferenza questa scelta, ma sono nello stesso tempo convinto che siano molti i luoghi in cui si possa dare un contributo alla vita democratica del nostro Paese”.

In un Repubblica parlamentare (almeno sulla carta) le dimissioni di un uomo di cultura e di impegno come Massimo Bray dal Parlamento poiché si reputa “politicamente” più conforme in un altro ruolo dovrebbero aprire un dibattito. Ma un dibattito mica da talk show pomeridiano, piuttosto un esame di coscienza su un Parlamento che non solo viene svuotato delle sue funzioni dall’abuso dei decreti o di voti di fiducia ma anche un Parlamento che fallisce il proprio obiettivo sociale e culturale: i nostri nonni avevano immaginato quell’assemblea come la sintesi di rappresentanza del popolo (nei suoi spigoli migliori) e invece succede che Bray (ma non solo lui) si senta non rappresentativo. Anzi, per assurdo, il fatto che non si senta rappresentativo lo avvicina moltissimo al sentire comune di questo tempo quindi, abbandona un Parlamento che è già stato abbandonato da una maggioranza invisibile, diventandone involontariamente (forse) perfetto interprete.

L’abitabilità del Parlamento, decaduto in votificio senza voce in cui si riesce a farsi notare alzando i toni, spettacolarizzando gli interventi o piallando i contenuti credo che sia il termometro dello stato di cultura della democrazia nel nostro Paese. E c’è il gelo.

Reggia di Carditello e le minacce di cui nessuno parla

L’articolo di Stefania Battistini:

Reale_tenuta_di_Carditello_2010-2Due minacce di morte. Due lettere anonime, nello stesso giorno, inviate allo stesso giornale, Il Mattino di Napoli. Indirizzate all’ex ministro Massimo Bray e alla giornalista Nadia Verdile (nella foto). Le due persone che più di tutti, in questi mesi di silenzio mediatico, hanno combattuto per far tornare la Reggia di Carditello, nel casertano, un bene comune. Secondo la mentalità mafiosa, non deve esserci un presidio dello Stato sulla strada che da San Tammaro porta a Casal di Principe. Sulla via dell’eco-mafia, in Terra dei Fuochi.

È l’ennesima intimidazione a Massimo Bray, che da ministro fece acquisire la Reggia dal Dicastero dei Beni Culturali. Insulti e una croce che parla di condanna a morte. Era già accaduto quando, dopo la caduta del governo Letta, Bray – non più da ministro, ma da appassionato uomo di cultura – aveva continuato a combattere per non far morire il progetto Carditello. Scritto su un foglio, infilato nel suo zaino in circostanze non ancora chiare, un messaggio esplicito: “Non avvicinarti più a Carditello, o sei morto”. Da allora Bray vive sotto scorta, nel silenzio quasi generale della stampa.

L’ex ministro dà fastidio perché con tenacia non smette di battersi affinché si crei una Fondazione, strumento con cui governare la nuova vita della residenza borbonica e riaprirla presto al pubblico. Evidentemente non piace l’idea che, a pochi chilometri dalla terra dei Casalesi, ci sia un luogo della cultura che attiri un via vai di persone.

La stessa ragione per cui è stata minacciata anche la giornalista de Il Mattino, Nadia Verdile, che sulla Reggia ha scritto un libro appassionato e che, in questi mesi, ha denunciato sul suo giornale i continui ritardi sulla Fondazione. “Io sono convinta che il problema sia proprio questo – dice oggi – L’unica cosa rimasta da fare per dare un senso all’acquisto fatto dallo Stato è costituire la Fondazione. Senza questa, Carditello rimane un contenitore vuoto, una bella scatola restaurata. E quelle zone continuano a non avere la presenza né dello Stato, né delle persone”. E così, chi ha bisogno di vivere isolato, libero di poter sversare rifiuti e veleni, continua ad agire indisturbato.

A guardare indietro, era stato minacciato di morte anche Tommaso Cestrone, che per primo aveva scoperto e difeso Carditello. Lui, pastore, come volontario della Protezione Civile, aveva iniziato a fare la gurdiania alla Reggia dopo i furti. Per lui era diventata un’ossessione personale, tanto da passare lì tutte le notti, dentro una roulotte. Ogni giorno su Facebook denunciava i roghi tossici e il continuo sversamento di rifiuti fuori dal real sito. Gli avevano buttato una bomba carta a casa e incendiato la roulotte. In un’intervista a RaiTre aveva detto: “Mi devono ammazzare, per mandarmi via da qui”. È morto, 20 giorni dopo, la notte di Natale. Per un infarto. Eppure – nonostante le minacce subite – non è mai stata disposta un’autopsia. Tommaso, il nostro Angelo di Carditello, è morto per attacco cardiaco, come dice il medico legale, ma in questo territorio avvelenato sarebbe stato meglio averne la certezza.

“Siamo stati lasciati soli in questa battaglia – denuncia oggi Nadia Verdile – come se fosse una questione inter nos. Un fatto campano. Invece è un fatto dell’Italia intera”. Per questo ora c’è bisogno di una risposta compatta e unita in difesa di Massimo Bray e a Nadia Verdile, che in questi mesi – da soli, senza nessun sostegno da parte dei media nazionali – hanno combattuto una battaglia che non può essere personale. “Non mi fermeranno – dice Bray – continuerò a combattere per questo territorio così ricco di bellezze. Non mi faccio spaventare”. Ma ora è dovere di tutti i professionisti dell’informazione non far calare il silenzio sulla Reggia di Carditello, splendore Settecentesco che affaccia sulla discarica di Maruzella (sì, quella aperta durante l’emergenza rifiuti del 2009, con la promessa di chiuderla al più presto e, poi, invece, raddoppiata) e che guarda verso Casal di Principe. Ancora oggi contornata dai rifiuti e sorvolata dai gabbiani delle discariche legali. E deve passare un messaggio chiaro: quel luogo deve essere un presidio dello Stato, deve aprire ai cittadini, ai turisti, agli studiosi. E deve dare lavoro pulito.

Il partito della fiducia

Massimo Bray (uno dei Ministri di cui avremmo bisogno) riprende sul suo sito il tema della (s)fiducia nella politica. Il partito della fiducia è una minoranza ben più piccola del computo totale dei votanti. già misero, in cui stanno anche i professionisti delle prebende e dei personalissimi stretti ritorni economici. Raramente ci capita e ci succede di sentire in ambito politico una fiducia “etimologica”, cioè qualcuno che speri che si realizzino i progetti in cui crede, in un momento dove anche il meno peggio può raggiungere percentuali a due cifre. Per questo la ricostruzione di un’area politica che “faccia” la sinistra non può che passare attraverso la ricostruzione di un modello di cittadinanza profondamente diverso nel curare le proprie speranze senza svenderle a nessuno, senza nomi, senza salvatori ma semplicemente (e non è per niente semplice) aderenti ad un progetto. Come scrive Bray:

La fiducia si basa principalmente – e naturalmente – sulla percezione di una possibile realizzazione delle aspettative: l’unico genere di società in grado di rendere felici i suoi cittadini è la repubblica virtuosa, la res pubblica ciceroniana, nella quale tutte le leggi sono rivolte al bene pubblico e i governanti agiscono nell’interesse del popolo. La repubblica ‘virtuosa’ è tale in quanto edificata su una serie di valori condivisi e rispettati. Il rischio insito in una perdita di fiducia, dunque, è quello di rendere difficile, o anche impossibile, come accennavo prima, quei processi di identificazione dei rappresentati con i rappresentanti che sono stati da loro direttamente o indirettamente delegati a gestire la cosa pubblica; di rendere difficile o impossibile che le forze positive che vengono, per così dire, dal basso, vale a dire dall’impegno individuale e collettivo dei singoli e dei gruppi, possano incontrarsi con le responsabilità di chi ha il compito istituzionale di gestire l’ambito pubblico nell’interesse della comunità.

Ho avuto già occasione di riflettere, in altre occasioni, su quello che è forse il dato che più mi ha colpito durante i dieci mesi nei quali ho ricoperto la carica di Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo: nei moltissimi incontri, nelle moltissime occasioni di dialogo e di ascolto, nelle numerose esperienze di conoscenza con tante realtà del nostro Paese che mi sono state offerte dal mio ruolo, mi sembra di aver colto soprattutto un forte bisogno di cambiamento, una forte richiesta di attenzione: quell’energia positiva che attraversa l’Italia alla quale accennavo prima, un’energia che rappresenta la parte migliore del Paese, un’energia che chiede un futuro differente, un’energia sulla quale siamo chiamati a costruire il nostro futuro. Perché questo sia possibile, tuttavia, è necessario ricostruire la fiducia; e per far questo occorre che cambi il modo di fare politica, occorre ripensare i modi, le forme, i contenuti dell’impegno della politica e delle istituzioni.

In questo senso, vale la pena tornare a riflettere su quella che può apparire, e indubbiamente è, una nozione ben nota, che tuttavia vorrei recuperare in chiave non soltanto critica, ma anche propositiva. La nozione è quella per la quale l’epoca in cui ci troviamo a vivere è caratterizzata dal predominio dell’apparire sull’essere: un fenomeno che pervade ogni aspetto della comunicazione e della vita associata, e che può essere sintetizzato, con riferimento più diretto alla vita politica, nel semplice assunto per il quale, mentre in passato un esponente politico ‘compariva’ perché si era guadagnato la notorietà con le proprie azioni rivolte alla difesa del bene pubblico, oggi viceversa si è famosi perché si compare, a prescindere da qualsiasi merito personale o da qualsiasi altra considerazione. Quando invece occorrerebbe forse sovvertire questo paradigma, rinunciando preventivamente ad apparire e concentrandosi esclusviamente sul ‘fare’. Non si tratta, si faccia attenzione, di un’istanza etica, o – in ogni caso – esclusivamente etica: la rinuncia all’apparire si lega anche, infatti, a un più diretto impegno per il bene comune, a una concezione dell’agire politico come servizio alla comunità, contrapposto ad ogni forma di sterile protagonismo. Mi piace ricordare a tale proposito come nello scrivere, nelle Origines, la storia di Roma dalla fondazione all’epoca a lui contemporanea, Catone sceglieva di non chiamare per nome i singoli condottieri, vale a dire i massimi protagonisti delle vicende da lui narrate: una scelta che potrà apparire oggi certamente estrema, ma con la quale egli intendeva opporsi al culto carismatico dei membri delle famiglie nobili, elaborando una concezione della storia di Roma come opera collettiva del suo popolo, e contrapponendo in tal modo al prestigio delle gentes quello della res publica. E mi piace ricordare anche, recuperando – con qualche cautela in più – un esempio a noi più distante dal punto di vista sia geografico che cronologico, quelle società primitive dell’America Meridionale descritte da Pierre Clastres, l’antropologo considerato da molti l’erede di Claude Lévi-Strauss, nel libro intitolato, significativamente, La società contro lo Stato: le società cosiddette ‘senza potere’, nelle quali il capo è al servizio della comunità, e non viceversa.

 

Per Villa Adriana succede anche che gli studenti scrivano al Ministro

La lettera degli studenti è pubblicata nel mio spazio per Il Fatto Quotidiano e racconta nella sua semplicità quanta passione politica ci sia da non disperdere nei confronti della bellezza e della sua salvaguardia:

Non ci fanno credere nel nostro Paese quei politici che hanno fatto della loro carica solo un mezzo per apparire e non hanno una statura intellettuale all’altezza del paese che dovrebbero curare. Ministro, ci perdoni questi voli pindarici ma non capita tutti i giorni di esprimere le proprie frustrazioni ad un personaggio tanto importante. Le rinnoviamo la nostra preoccupazione e speriamo vivamente che accolga il nostro invito a visitare insieme Tivoli, una volta città d’Arte, oramai città deturpata.

Pensa che regalo se arrivasse un’azione concreta e una risposta. La lettera completa è qui.