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Conte massacrato perché “non si discuteva del Recovery”. Ma il piano di Draghi nessuno l’ha visto

Eravamo in ritardo già due mesi fa, quasi tre. Lo dicevano a gran voce tutti, lo ribattevano i giornali, lo dicevano quasi tutti i partiti e i renziani ci avevano detto che la mancata discussione del Pnrr “con un dibattito aperto e franco in Parlamento” era uno dei principali motivi della crisi di governo.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, lo strumento per rispondere alla crisi pandemica provocata dal Covid-19: il piano va presentato il prossimo 30 aprile, tra pochi giorni, ma non l’ha ancora visto nessuno.

I sindacati che hanno incontrato ieri Draghi hanno raccontato di non avere visto nulla di scritto, nonostante si siano presentati pieni di speranze. “Noi riconosciamo solo a Omero la possibilità di una descrizione orale” ha detto ieri Pierpaolo Bombardieri, segretario della Uil, ma qui tocca fidarsi delle buone intenzioni, visto che anche gli stessi partiti non hanno ancora visto nulla.

Ieri c’è stato l’ultimo incontro con le forze politiche, la delegazione di Leu, e anche in quel caso nulla di scritto. Perfino Carlo Bonomi, presidente di Confindustria sempre piuttosto tenero con Draghi, ha dovuto specificare che si riserva una valutazione “perché non è stato visto alcun documento”.

Ultima versione del piano? Quella del 12 gennaio, ritenuta “insufficiente” dagli stessi partiti che ora si sono meravigliosamente ammansiti. 34 associazioni tra cui Libera, Transparency International Italia, Lipu, Cittadinanzattiva, Cittadini reattivi, Re-Act, Fondazione Etica hanno scritto una lettera ai Ministri Franco, Giovannini, Colao, Cingolani e al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Garofoli per chiedere di pubblicare con urgenza le bozze del piano: “A pochi giorni dalla data che sancisce l’obbligo di consegna di Piano definitivo a Bruxelles e in previsione di una spesa pari a 220 miliardi di euro di risorse comunitarie e nazionali, ci è ancora impossibile pronunciarci sui contenuti del PNRR perché l’ultima bozza non è stata resa disponibile”, scrivono.

In Parlamento probabilmente verranno fatte delle “comunicazioni”, sottoposte al voto, che saranno molto generiche. E pensare che fino a qualche giorno fa si pensava semplicemente a delle “informative”. “Sarebbe utile leggere il piano” dicono tutti composti in Parlamento quelli che prima si strappavano i capelli e intanto sperano che non si colga l’incoerenza. Un altro punto nella lista delle urgenze che si sono spente.

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“Avete superato la capienza della nave poiché salvate troppe persone dalla morte”, l’assurdo motivo con cui la Guardia costiera blocca la Sea Watch

Di questa storia, fidatevi, ne leggerete poco in giro perché l’anestesia istituzionale sul tema degli immigrati è roba che ci trasciniamo dal governo giallorosso e che non accenna a modificarsi. Dopo il primo governo con Conte alla presidenza del Consiglio e Salvini a urlare nelle vesti di ministro, l’atteggiamento dello Stato nei confronti delle Ong si è modificato nella forma ma non nei contenuti: dalla prosopopea dei porti chiusi rilanciata dappertutto si è passati a un ostruzionismo verso le navi di soccorso nel Mediterraneo che si è avvalso di carte bollate e di un po’ di insana burocrazia, senza dirlo troppo in giro. Nella desertificazione del Mediterraneo la ministra Lamorgese è riuscita ad ottenere risultati addirittura migliori di Salvini pur mantenendo le carte a posto e, chissà perché, apparendo perfino più “umana” del predecessore.

L’ultima penosa scena è accaduta porto di Augusta, domenica mattina, quando l’Ufficio di sanità marittima e di frontiera ha autorizzato la nave Sea-Watch 3 a lasciare il porto dopo la quarantena di 16 giorni. Era tutto pronto per ripartire ma due ufficiali della Guardia costiera hanno voluto effettuare un’ispezione straordinaria (che nonostante il nome è diventata di sconcertante ordinarietà per le navi delle Ong) contestando due mancate comunicazioni di arrivo in porto, la mancata sicurezza sul conferimento dei rifiuti, uno sversamento dei olio da una gru e soprattutto l’incredibile accusa di avere salvato “troppe” persone: i 363 naufraghi salvati dalle onde dalla nave hanno portato al superamento della capienza della nave. Sì, avete letto bene: per non irretire i burocrati della Guardia costiera evidentemente bisognava salvarne meno, contare i salvati fino al numero massimo consentito e poi lasciare gli altri in balia delle onde. Forse sarebbero morti, è vero, ma almeno sarebbe stato tutto meravigliosamente regolare.

Puntuale come sempre è arrivata anche la contestazione kafkiana di non possedere la certificazione per svolgere una regolare attività di salvataggio: anche questa è una scena che si continua a ripetere e tutte le volte tocca riscrivere e ricordare che non esista nessun tipo di certificazione né nell’ordinamento italiano e tantomeno nell’ordinamento tedesco a cui la Sea-Watch 3 fa riferimento battendo bandiera tedesca. Come nelle commedia all’italiana dove ci sono vigili che chiedono documenti che non esistono così succede nei nostri porti. Peccato che non faccia ridere nessuno e che intanto la gente continui a morire.

Tra le carte del controllo si scorge anche un’altra gravissima irregolarità che deve avere allarmato i solerti ispettori: un tubo di gomma intralciava un’uscita di sicurezza della sala macchine e anche se è bastato dargli un colpo con un piede per rimetterlo a posto, il grave delitto è stato prontamente verbalizzato. Diciotto irregolarità in tutto che ovviamente complicano il ritorno in mare. Per quanto riguarda la mancata certificazione Sar da parte dello stato di bandiera il Tar di Palermo in realtà si è già pronunciato sospendendo il freno di un’altra nave (la Sea-Watch 4) ma evidentemente le sentenze contano solo se tornano utili.

È il sottile gioco della burocrazia usata come clava che il governo Draghi perpetua in perfetta continuità con il governo precedente, con la ministra Lamorgese in testa ma anche con la collaborazione (anche questa sempre poco raccontata) del ministero della Salute (guidato da Roberto Speranza che con il suo partito dell’accoglienza ne fa pure un vanto) che mette tutte le navi delle Ong in quarantena a differenza di ciò che accade con le navi commerciali (anche quando queste ultime compiono salvataggi con migranti perfino positivi) e del ministero dei Trasporti che ha la responsabilità delle ispezioni della Guardia costiera. A proposito: ministro dei Trasporti è proprio quel Enrico Giovannini che fino a poco tempo fa sedeva nel direttivo di una Ong (Save The Children) e chissà che lui, almeno lui, non abbia qualcosa da dire.

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De Luca vi fa ridere? La sua violenza verbale fa male alla sinistra ed è un regalo a Salvini

Sì, fa un sacco ridere Vincenzo De Luca e tutta la rete è inondata dei suoi video che ormai funzionano come passatempo e sfogatoio. Quello in cui definisce più volte “Neanderthal” Salvini e lo apostrofa con “ha la faccia come il suo fondo schiena per altro usurato” ha fatto il giro del mondo. Bravo De Luca: ottimi tempi teatrali, ottima mimica del disgusto, ottima finzione di non essere volgare pur riuscendo a essere volgare e tutta quella posa da attore consumato di chi sa benissimo che la sua conferenza stampa è il cartoccio in cui infilarci quel minuto buono per essere ritagliato e diventare terribilmente popolare.

Dall’altra parte quell’altro, Salvini, ovviamente si butta nel fango e risponde colpo su colpo, la guerra di bassezze è il suo habitat naturale, l’ha reinventato lui in questi ultimi anni di social come ring e quindi non serve nemmeno citare il fatto che l’ex ministro dell’interno contrapponendo i “napoletani” agli “italiani” e a suo seguito Giorgia Meloni che risponde con un agguerittisimo “vispa Teresa” ai danni di De Luca. Sì, fa un sacco ridere da fuori vedere questi leader che si comportano come la gente della strada (che è la formula magica con cui in questi anni si giustifica la merda verbale che siamo costretti a sopportare) ma se gratti sotto sotto ai siparietti di De Luca, se gli togli i suoi “cinghialoni” e i “lanciafiamme” che vorrebbe usare per difendersi dal virus (con le solite iperboli guerresche di matrice trumpiana che solleticano meravigliosamente gli intestini degli incazzati), scopri che al di là della simpatia manca la politica.

Che manchi la politica, pensandoci bene, è anche uno degli aspetti secondari: intossicare e abbassare il livello di ecologia lessicale significa soprattutto costruire l’ambiente perfetto perché certa politica continui a essere così bassa, così fetida, così vuota da continuare a allevare tutto il veleno che continua a colarci addosso. De Luca è il prototipo perfetto di nemico di Salvini perché Salvini continui a esistere e prosperare e soprattutto perché il salvinismo possa trovare sfogo in tutte le sue diverse declinazioni (più forbito quello di De Luca, più crasso quello di Matteo) annullando di fatto il dibattito leale e pulito che dovrebbe concorrere a migliorare la vita dei cittadini, al di là degli slogan. E quindi un bravo a De Luca, lanciato nella sua seconda carriera di influencer. Chissà se si rende conto di quanto costino in termini di vivibilità del dibattito politico le sue bravate lessicali.

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