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Michael Moore: cinque cose da fare per limitare i danni dopo Trump

(che poi anche qui da noi, non farebbero male)

di Michael Moore

Punto uno: Partito democratico al popolo. C’è bisogno di un cambiamento dopo il pesantissimo fallimento ed è necessario restituire il Partito Democratico al popolo

Punto due: annientare chi ha fatto previsioni sbagliate. Moore se la prende con i ‘profeti’, giornalisti ed esperti di sondaggi che nei mesi scorsi, fino alla chiusura delle urne, hanno dato per vittoriosa Clinton e che anche nei prossimi tempi inventeranno storie, invitando all’unità.

Punto tre: resti solo chi vuole combattere. C’è posto, per Moore, in questo momento, solo per chi non ha intenzione di abbassare la testa: è un invito ai membri democratici del Congresso ad opporsi contro il ‘pericolo’ del nuovo presidente.

Punto quattro: riprendersi dallo shock. Non serve più dirsi sconvolti per il verdetto. Se le urne hanno dato questo risultato è perché c’è stata poca attenzione a quella parte di popolazione disperata che ha dato sfogo alla rabbia. La vittoria di Trump, sostiene Moore, è colpa anche dei media che lo hanno creato come personaggio.

Punto cinque: “Hillary ha vinto il voto popolare”. Un invito a tutti a ricordare che la candidata democratica “ha vinto il voto popolare”. Il risultato del voto è legato a un sistema elettorale che non rispecchia la volontà dei cittadini. La maggior parte di loro avrebbe voluto Clinton alla Casa Bianca e crede in posizioni ‘liberali’.

E se semplicemente non ci avessimo capito un cazzo?

C’è tempo oggi per le analisi. E c’è tempo per scriverne. Però la domanda è questa, davvero: se non ci avessimo capito un cazzo? E forse vale la pena rileggere un articolo, addirittura di luglio, di Michael Moore.

Ecco i cinque motivi per cui Trump vincerà (di M. Moore):

1. La “matematica” del Midwest. Ovvero, benvenuti nella Brexit della Rust Belt. Credo che Trump concentrerà buona parte della sua attenzione sui quattro stati blu della cosiddetta “Rust Belt” a nord dei Grandi Laghi: Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin. Quattro stati tradizionalmente democratici che hanno eletto governatori repubblicani dal 2010 (solo la Pessylvania, adesso, ha finalmente eletto un democratico). In Michigan, alle primarie di Marzo, sono stati di più i voti per i Repubblicani (1,32 milioni), rispetto a quelli riservati ai Democratici (1,19 milioni). Trump è avanti ad Hillary negli ultimi sondaggi in Pennsylvania mentre ha pareggiato in Ohio. Pareggiato? Come può la corsa essere così ravvicinata dopo tutto quello che Trump ha detto e fatto? Be’ forse perché ha detto (correttamente) che il sostegno dei Clinton al NAFTA ha contribuito a distruggere gli stati industriali dell’Upper Midwest.

Trump colpirà Clinton su questo punto e sul supporto che Hillary ha accordato al TPP e ad altre politiche commerciali che hanno sontuosamente fottuto gli abitanti di questi 4 stati. Durante le primarie in Michigan Trump, all’ombra di una fabbrica Ford, ha minacciato l’azienda che se, avesse portato avanti il piano di chiudere la fabbrica e trasferirla in Messico, lui avrebbe applicato una tariffa del 35% su ogni vettura fabbricata in Messico e rispedita agli Stati Uniti. È stata musica per le orecchie degli operai del Michigan. Inoltre, quando Trump ha minacciato i vertici della Apple che li avrebbe costretti a fermare la produzione di iPhone in China, per trasferirla esclusivamente in America, be’ i cuori sono andati in estasi e Donald ne è uscito trionfante, una vittoria che sarebbe dovuta andare al governatore vicino, John Kasich.

Da Green Bay a Pittsburgh, questa America, amici miei , è come il centro dell’Inghilterra: al verde, depresso, in difficoltà, le ciminiere che punteggiano la campagna con la carcassa di quella che chiamiamo Middle Class. Lavoratori arrabbiati, amareggiati, ingannati dall’effetto a cascata di Reagan ed abbandonati dai Democratici che ancora cercano di predicare bene ma, in realtà, non vedono l’ora di flirtare con un lobbista della Goldman Sachs che firmerà un gran bell’assegno prima di uscire dalla stanza. Quello che è successo nel Regno Unito con la Brexit succederà anche qui. Elmer Gantry rivive nelle vesti di Boris Johnson e dice qualunque cazzata riesca ad inventarsi per convincere le masse che questa è loro occasione! L’occasione per opporsi a tutti loro, quelli che hanno distrutto il loro Sogno Americano! E ora l’Outsider, Donald Trump, è arrivato a dare una ripulita. Non dovete essere d’accordo con lui! Non deve nemmeno piacervi! È la vostra Molotov personale da lanciare ai bastardi che vi hanno fatto questo! Mandate un messaggio ! TRUMP è il vostro messaggero!

Ed ecco che arriva la matematica. Nel 2012, Mitt Romney è stato sconfitto per 64 voti. Sommate i voti espressi da Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin. Fa 64. Tutto quello che Trump deve fare per vincere è conquistare il supporto degli stati tradizionalmente rossi dall’Idaho alla Georgia (che non voteranno mai per la Clinton), poi avrà soltanto bisogno dei quattro stati della Rust Belt. Non ha bisogno della Florida, non ha bisogno del Colorado o della Virginia. Solo Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin. E questo lo farà arrivare in cima. Ecco cosa succederà a Novembre.

2. L’ultimo baluardo del furioso uomo bianco. La nostra era patriarcale, durata 240 anni, sta arrivando alla fine. Una donna sta per prendere il sopravvento! Com’è successo? Sotto i nostri occhi. Ci sono stati segnali d’allarme, ma li abbiamo ignorati. Nixon, il traditore, che ci ha imposto il Titolo IX, legge che stabilisce pari opportunità nei programmi scolastici sportivi. Poi hanno lasciato che le donne guidassero jet commerciali. Prima che ce ne rendissimo conto, Beyoncé prendeva d’assalto il campo del Super Bowl (il nostro gioco) con un esercito di Donne nere, col pugno alzato, a dichiarare che la nostra supremazia è finita. Ah, l’umanità.

Questa era una rapida sbirciatina nella mente dell’Uomo Bianco, specie in via di estinzione. C’è la sensazione che il potere gli sia scivolato dalle mani, che il suo modus agendi non sia più seguito. Questo mostro, la “Feminazi”, quella che Trump ha definito una “cosa debordante sangue dagli occhi e non solo” ci ha sconfitti. Ed ora dopo aver sopportato per otto anni un uomo nero che ci diceva cosa fare, dovremmo rilassarci e prepararci ad accogliere i prossimi otto anni con una donna a farla da padrone? Dopodiché, per i successivi otto anni ci sarà un gay alla Casa Bianca! Poi toccherà ai transgender! Vedete che piega abbiamo preso. Finiremo col riconoscere i diritti umani anche agli animali ed un fottuto criceto guiderà il paese. Tutto questo deve finire.

3. Il problema Hillary. Possiamo parlare onestamente, almeno tra noi? E prima di farlo, lasciate che lo dica, mi piace davvero Hillary e credo che le sia stata attribuita una cattiva reputazione che non merita. Ma dopo il voto per la guerra in Iraq, ho promesso che non avrei mai votato per lei un’alra volta. Fino ad oggi, non sono venuto meno alla promessa. Ma, per impedire ad un protofascista di diventare il nostro “comandante supremo” infrangerò la promessa. Putroppo, credo che la Clinton troverà il modo di coinvolgerci in una qualche azione militare. È un falco, alla destra di Obama. Ma il dito da psicopatico di Trump è pronto a premere Il Bottone. Questo è quanto.

Accettiamo la realtà dei fatti: il nostro problema principale non è Trump, è Hillary. È incredibilmente impopolare: quasi il 70% degli eletteori pensa che sia disonesta e inaffidabile. Rappresentante della vecchia politica, che non crede a niente se non alle cose utili a farsi eleggere. Ecco perché il momento prima si oppone al matrimonio gay e quello dopo ne celebra uno. Tra i suoi principali detrattori ci sono le giovani donne: questo deve far male condiderando i sacrifici e le battaglie che Hillary, e altre donne della sua generazione, hanno sopportato per far sì che le esponenti di questa nuova generazione non fossero più costrette a sentire le Barbara Bush del mondo dire loro di chiudere il becco e andare a sfornare biscotti. Ma i ragazzi non la amano, e non passa giorno senza che un millennial non mi dica che non voterà per lei. Nessun democratico, e di certo nessun indipendente, si sveglierà l’8 Novembre e vorrà precipitarsi a votare per Hillary, come invece hanno fatto il giorno dell’elelezione di Obama o quando Bernie ha corso per le primarie. Non c’è entusiasmo. Dal momento che questa elezione si riduce ad una cosa sola (chi tira più persone fuori di casa e le conduce ai seggi), Trump adesso è in testa.

4. “Il voto depresso” degli elettori di Sanders. Smettetela di preoccuparvi che i sostenitori di Bernie non voteranno per la Clinton. Voteremo per lei. I sondaggi già mostrano che ci saranno più elettori di Sanders pronti a votare Clinton quest’anno, rispetto al numero degli elettori di Hillary alle primarie del 2008, che allora votarono per Obama. Non è questo il problema. L’allarme dovrebbe scattare perché quando il sostenitore medio di Bernie si recherà alle urne quel giorno per votare, seppur con riluttanza, per Hillary, esprimerà il cosiddetto “voto depresso”: significa che l’elettore non porta con sé a votare altre 5 persone. Non svolge attività di volontariato nel mese precedente alle elezioni. Non parla in toni entusiastici quando gli/le chiedono perché voterà per Hillary. Un elettore depresso. Perché, quando sei giovane, la tua tollerenza verso gli ipocriti e le stronzate è pari a zero. Ritornando all’era Clinton/Bush, per loro è come dover improvvisamente pagare per la musica, o usare MySpace o portarsi in giro uno di quei cellulari giganteschi.

Non voteranno per Trump, qualcuno voterà il terzo partito, molti se ne staranno a casa. Hillary Clinton dovrà fare qualcosa per fornire loro una valida ragione per sostenerela: e scegliere un ragazzo bianco, moderato, insipido e centrista come candidato alla vicepresidenza non è proprio la mossa vincente per dire ai millennial che il loro voto è importate. Avere due donne come candidate, quella sarebbe stata un’idea entusiasmante. Ma Hillary ha avuto paura e ha deciso di andare sul sicuro. E questo è solo uno degli esempi del modo in cui si sta alienando il favore dei più giovani.

5. L’effetto Jesse Ventura. Per non ignorare la capacità dell’elettorato di essere malizioso e non sottovalutare il fatto che milioni di elettori si considerano “ribelli segreti” una volta chiusa la tenda e rimasti soli nella cabina elettorale. È uno dei pochi luoghi della società dove non ci sono telecamere di sicurezza, nessun registratore, non ci sono coniugi, bambini, capi, poliziotti, non c’è neanche un limite di tempo. Puoi prenderti tutto il tempo che vuoi lì dentro e nessuno può farti nulla. Puoi premere il bottone e votare una linea di partito, oppure scrivere Mickey Mouse e Donald Duck. Non ci sono regole. E per questo, e per la rabbia che molti sentono verso un sistema politico corrotto, milioni di persone voteranno per Trump: non perché siano d’accordo con lui, non perché ne adorino il fanatismo e l’ego, ma solo perché possono farlo.

Solo perché manderebbe tutto all’aria e farebbe arrabbiare mamma e papà. Un po’ come quando osservi le cascate del Niagara e ti chiedi, per un attimo, come sarebbe oltrepassare quel limite. A tantissime persone piacerebbe interpretare il ruolo del burattinaio e “gettarsi nel vuoto” per Trump, solo per vedere cosa potrebbe succedere. Ricordate quando, negli anni ’90, gli abitanti del Minnesota hanno eletto come governatore un wrestler professionista? Non l’hanno fatto perché sono stupidi, né perché pensavano che Jesse Ventura fosse un grande statista o un fine intellettuale politico. Lo hanno fatto solo perché potevano.

Il Minnesota è uno degli stati più intelligenti del paese. È anche pieno di persone con un senso dell’umorismo un po’ tetro: votare per Ventura era il loro scherzo ad un sistema politico malato. La stessa cosa succederà con Trump.

Mentre tornavo in albergo, dopo aver partecipato allo speciale di Bill Maher sulla Convention repubblicana andata in onda sulla HBO, sono stato fermato da un uomo. “Mike”, ha detto. “Dobbiamo votare per Trump. Dobbiamo stravolgere un po’ le cose”. Ed è finita lì. Per lui quella motivazione era sufficiente. “Stravolgere le cose”. Il Presidente Trump lo farebbe sul serio. E ad una buona fetta dell’elettorato piacerebbe tanto sedere in tribuna e godersi il reality show.

Michael Moore scrive a Donald Trump

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Caro Donald Trump,

forse ricorderà (è molto probabile dal momento che ha “una memoria di ferro”), che ci incontrammo nel novembre del 1998 dietro le quinte di un programma televisivo pomeridiano al quale fummo invitati. Tuttavia, un attimo prima di andare in onda, un produttore mi chiamò in disparte per dirmi che lei si sentiva un po’ “agitato” di apparire in onda con me. Mi ha detto che lei non voleva essere “fatto a pezzi” e voleva che l’assicurassi che non mi sarei scagliato contro di lei. “Non penserà mica che voglia aggredirlo e metterlo alle strette?”, chiesi perplesso. “No – rispose la produttrice – È solo un po’ nervoso”. “Eh? Non l’ho mai incontrato prima d’ora. Non ha alcun motivo di essere teso”, dissi. “Non so nemmeno molto sul suo conto, oltre il fatto che gli piace ribattezzare le cose sul suo nome. Se vuole posso parlarci io”. Come ricorderà, è quello che feci. Mi avvicinai e mi presentai. “La produttrice mi ha detto che è preoccupato per quello che potrei dire o fare durante il programma. Senza offesa, ma la conosco a malapena. Sono del Michigan. La prego di non preoccuparsi, andremo d’accordo!”.

Sembrava sollevato, poi si avvicinò a me e mi disse: “Non volevo avere rogne e volevo solo assicurarmi che noi due potessimo andare d’accordo, che non mi prendesse di mira per qualche assurdo motivo”. “Prenderla di mira”? Ho pensato, ma dove siamo, in terza elementare? Sono rimasto sconvolto da come un sedicente uomo duro del Queens si trasformasse in un gattino spaventato.Siamo andati in onda e non è successo nulla di sconveniente. Non le ho tirato i capelli, non le ho messo la gomma da masticare sulla sedia. “Che inetto”, pensai mentre lasciavo gli studi televisivi.

Eccoci qui nel 2015 e, come tante altre persone bianche arrabbiate, lei è spaventato da uno spauracchio; uno spauracchio costituito da tutti i musulmani. Non solo quelli che hanno ucciso, ma tutti i mussulmani. Fortunatamente, Donald, lei e i suoi sostenitori non assomigliate più al volto degli Stati Uniti moderni. Non siamo una nazione di bianchi arrabbiati. Ecco un dato statistico che le farà rizzare i capelli: l’ottantuno percento di coloro che andranno alle urne l’anno prossimo per eleggere il presidente è costituito da donne, cittadini di colore, ragazzi tra i 18 e i 35 anni. Ovvero, né da persone come lei, né da coloro che la vorrebbero a capo del Paese. Per questo, in preda alla disperazione e alla follia, può anche proporre il divieto d’accesso in questo Paese a tutti i musulmani. Sono cresciuto con l’idea che siamo tutti fratelli e sorelle, senza distinzione di razza, credo o colore della pelle, il che significa che, se deve essere imposto un divieto ai musulmani, lo stesso divieto deve essere imposto a me e a chiunque altro. Siamo tutti musulmani.

Così come siamo tutti messicani, siamo tutti cattolici ed ebrei, bianchi e neri e tutte le altre sfumature intermedie. Siamo tutti figli di Dio (o della natura o di qualsiasi altra cosa in cui creda), parte della famiglia umana e questo non può essere cambiato di una virgola per effetto di quello che dice o che fa. Se non le piacciono queste regole statunitensi, allora se ne può andare in castigo in uno dei suoi grattacieli a meditare su quello che ha detto. Poi ci lascia in pace, così eleggiamo un vero presidente, che sia forte e compassionevole allo stesso tempo, o abbastanza forte da non apparire lamentoso e spaventato da un tizio con un cappellino da baseball seduto accanto a lui sul divano di uno show televisivo.

Lei non è così forte, Donny, e sono contento di aver avuto modo di costatare la sua vera essenza tanti anni fa. Siamo tutti musulmani. Se ne faccia una ragione.

Distinti saluti,
Michael Moore

PS: chiedo a tutti di leggere questa lettera e di firmare la seguente dichiarazione: “Siamo tutti musulmani” e di condividere una foto con un cartello che dica “SIAMO TUTTI MUSULMANI” su Twitter, Facebook o Instagram utilizzando l’ hashtag #WeAreAllMuslim. Pubblicherò tutte le foto sul mio sito e poi gliele invierò, Sig. Trump. Si unisca a noi.

(Questo post è stato pubblicato per la prima volta su The Huffington Post U.S. ed è stato poi tradotto dall’inglese da Valentina Mecca)

Si parte dall’ignoranza, si arriva alla paura, si arriva all’odio, si passa alla violenza.

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Quando è caduto il muro di Berlino ed è finita la guerra fredda ero profondamente sollevato, perché credevo che tutta la grande corsa agli armamenti sarebbe finita, che la spesa militare sarebbe stata ridotta e che avremmo finalmente vissuto in un mondo di pace. E invece no, è stato trovato subito un altro nemico. Dato che una parte molto grande della nostra economia e della nostra struttura di potere era basata su quel processo—il complesso militare-industriale, ciò su cui Eisenhower ci aveva messi in guardia—la conseguenza è stata quella di finire in uno stato di guerra permanente. Dev’esserci sempre una nuova minaccia, un nuovo cattivo. Per cui il titolo, in un certo senso, è un attacco satirico a una cosa che esiste davvero. Perché ovviamente non appena un problema comincia a risolversi si inizia a parlare del problema successivo, di qualcos’altro contro cui dobbiamo prepararci e contro cui dobbiamo combattere, un altro nemico che ci vuole uccidere; la gente si spaventa molto facilmente, specialmente gli americani. Perché quando ti isoli, quando non ti apri e non cerchi di conoscere gli altri popoli e le altre culture—be’, l’ignoranza è l’ingrediente fondamentale della paura. E la paura è l’ingrediente fondamentale dell’odio. Questa è la ricetta. Si parte dall’ignoranza, si arriva alla paura, si arriva all’odio, si passa alla violenza. Bisogna soprattutto coltivare l’ignoranza, mantenere il popolo ignorante, così che ti creda quando gli dici che c’è un nuovo nemico da combattere.

(Michael Moore intervistato da Vice)

Perché, diciamolo, l’America crede negli omicidi.

“Certo, avere leggi più restrittive come in Giappone aiuterebbe, ma il Connecticut ne ha già una tra le più severe degli Stati Uniti. Immagino che avrebbe aiutato anche non aver chiuso l’ospedale psichiatrico di Newtown, nel 1995. Ma il padre dell’assassino ha abbastanza soldi per curare suo figlio. Abbiamo bisogno di leggi e cure psichiatriche. Ma anche questo non fermerà gli omicidi. Perché, diciamolo, l’America crede negli omicidi. Un paese che approva ufficialmente una terribile violenza (l’invasione dell’Iraq, i droni, la pena di morte) può sorprendersi quando un ragazzo di vent’anni fa lo stesso? Abbiamo creato l’America con un genocidio, l’abbiamo fatta crescere con gli schiavi. Gli spari continueranno: noi siamo questo. Perché queste cose succedono solo in America? La risposta è davanti a noi. E non sono le armi”. (Michael Moore qui)