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ministro Poletti

«Caro ministro Poletti, all’estero non l’avrebbero mai assunta»

di Andrea Casadio

“Se centomila giovani se ne sono andati dall’Italia, non è che qui sono rimasti 60 milioni di ‘pistola’. Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. Quando ho letto queste parole pronunciate dall’improvvido ministro del Lavoro Giuliano Poletti, ho provato una rabbia e una delusione profonda. Per tre motivi: perché sono un ex-cervello in fuga (ho lavorato per anni alla Columbia University di New York come neuroscienziato, scappando dall’Università italiana), perché ora sono un giornalista e in quanto tale mi occupo di dati e delle storie delle persone, e perché sono uno di sinistra, un progressista.

Poletti, compagno Poletti, ma come si fa a dire una boiata del genere? E non me ne frega nulla delle sue precisazioni tardive. Provi solo un secondo ad immaginare di avere di fronte un ragazzo che è dovuto scappare a Londra a fare il cameriere o il pizzaiolo per trovare un lavoro decente, o uno come me che è fuggito a fare ricerca alla Columbia University di New York perché di lavorare come ricercatore a 1000 euro al mese fino ai cinquant’anni non ne avevo nessuna voglia. Preferisce non averci tra i piedi? Forse ha ragione, perché se l’avessi davanti, io le vorrei porre alcune domande, il pizzaiolo forse le darebbe una randellata in testa con la pala per le margherite.

Caro ministro, ma lei conosce l’Italia, studia, si applica? Credo di no. Guardi questa tabella.

In Italia si laurea solo il 20 per cento della popolazione, meno della metà dei Paesi civili. Oltretutto, chi ha una laurea in Italia è costretto spesso a fare un lavoro che non c’entra niente coi suoi studi. Conosco una marea di giovani che sono laureati in Lettere e lavorano in un call center a 300 euro al mese, o in Legge che fanno i camerieri. Tra i miei amici statunitensi, tutti hanno un lavoro adeguato al loro corso di studi: chi ha la laurea in Ingegneria fa l’ingegnere, chi ha la laurea in Cinema lavora nel cinema, ecc.

Ministro, guardi i dati e mi spieghi, per favore. Da noi si laurea la metà o un terzo dei giovani che si laureano in Gran Bretagna o negli Usa. Lo capisce che se già il misero 20 per cento dei laureati non trova lavoro intellettuale vuol dire che in Italia i posti di lavoro per un lavoro intellettuale non ci sono? Quindi, il problema non è che ci sono troppi laureati (no, sono troppo pochi), è che il mercato del lavoro intellettuale non offre sbocchi, e per questo un giovane laureato è costretto a fuggire all’estero. In altre parole, siamo diventati un paese dove c’è bisogno solo di meccanici, contadini e pastori. Ma per fare quello ci sono già i marocchini, i nigeriani e i rumeni che paghiamo 3 o 4 euro l’ora, magari con i voucher o addirittura in nero. Cioè siamo diventati un paese retrogrado, di azienda manifatturiera, agricoltura e pastorizia, come il Bangladesh o la Colombia. Niente di male, ovviamente, ma basta saperlo.

Lo sa, caro ministro, che negli Usa il 50 per cento dei ragazzi si laurea e la disoccupazione giovanile è al 4 per cento, mentre da noi si laurea il 20 per cento, ma la disoccupazione giovanile è al 36 per cento?

E con il lavoro manuale non siamo messi meglio. Forse, caro ministro, doveva venire con me a Monfalcone, davanti ai cancelli della Fincantieri. Doveva incontrare l’operaio Giampaolo, 29 anni di lavoro sulle spalle, che in lacrime, mentre fiumane di lavoratori uscivano dalla fabbrica, mi ha confessato: “Questa sinistra non mi rappresenta più. Cos’è la sinistra oggi? Guarda: questi operai, oggi ci sono, domani non ci sono più. Chi ci pensa a noi?”. E mi ha spiegato che solo 850 – dei 10.000 operai di Monfalcone – sono assunti a tempo indeterminato direttamente da Fincantieri, mentre tutti gli altri lavorano in ditte terziste che ti assumono con i voucher o con contratti di un giorno, una settimana o un mese (la famosa flessibilità) per paghe da fame di 800-1000 euro al mese. Solo i tanti bengalesi, rumeni o croati possono accettare questi salari da fame, perché vivono in dieci in un appartamento o scappano appena possono a casa loro, oltre-confine. Per questo, molti ragazzi italiani fuggono da Monfalcone e vanno all’estero. E nel resto d’Italia è lo stesso.

In Italia, caro ministro, la scuola è fallita e il sistema lavoro fa ancora più schifo, lo sa? No, forse non lo sa. Perché ho come l’impressione che lei il mercato del lavoro non lo ha mai dovuto affrontare davvero. Guardi, questo è il suo scarno curriculum.

Niente laurea, lei è un perito agrario, ma mica è un problema, siamo abituati ai ministri non laureati. Ehi, non fraintenda: è perfino superfluo dire che io apprezzo e ammiro chiunque, laureato e non laureato. Don’t judge a book from its cover, direbbero all’estero. Capisce cosa vuol dire? Lo sa l’inglese? Credo di no. Mi pare di capire dal suo curriculum che il suo cursus honorum si è svolto tutto tra le protettive e accoglienti braccia del partitone emiliano, quello di sinistra, quello che pensava ai giovani e ai lavoratori. Forse lei non ha mai dovuto emigrare per trovare lavoro, non ha mai dovuto imparare in fretta una lingua straniera perché se non capiva le ordinazioni la licenziavano, non ha mai dovuto sottoporsi all’esame di una decina di spietati professori anglosassoni che valutavano i tuoi lavori scientifici con il crivello e poi ti dicevano di preparare una lezione in inglese in due ore.

Ecco, a uno come me, a uno come il mio amico Ottavio – che ora è professore alla Columbia University -, o al mio amico Giancarlo – che era lavapiatti e ora ha una catena di ristoranti e fa le tagliatelle più buone di New York, lei ha detto che: “E’ bene che stiano dove sono andati, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. Che rispetto per i lavoratori, proprio da illuminato uomo di sinistra.

Sa cosa penso? Che uno come lei, per dire, alla Columbia University di New York (Usa) dove ho lavorato io, non l’avrebbero mai preso, e neanche al Ristorante Ribalta di New York, guarda caso. Caro compagno Poletti, ma non è che le brucia perché col suo curriculum le è già andata grassa che l’hanno preso alla Legacoop di Budrio (Italy) e poi è persino diventato ministro?