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mio padre in una scatola da scarpe

Il romanzo civile di Giulio Cavalli e le scelte che sono scelte (di Salvo Ognibene)

12122542_868262876576517_1348074369069251953_nQui ci sono le guardie e i ladri, bianco e nero, abitare in mezzo non è possibile. Può succedere che tu non te ne accorga, ma sei già o sporco di bianco o sporco di nero.” E’ la quarta di copertina di “Mio padre in una scatola di scarpe” di Giulio Cavalli edito da Rizzoli. Un “romanzo civile” che a tratti ricorda “passione di Michele” di Giuseppe Fava. La narrazione, il ritmo delle parole, la scrittura elegante e mai banale sono solo alcuni dei punti di contatto. Poi sì, il nome del protagonista è uguale per entrambi ma la similitudine esiste nel ricordo di chi scrive e che a tratti si manifesta nelle pagine del libro. Michele Landa è il nome del protagonista. Un nome, che potrebbe essere anche un altro, se all’origine della storia narrata con il solito piglio da cantastorie da Giulio Cavalli, non vi fosse la realtà. Quella di tutti i giorni e quella vissuta da una persona perbene che vuole godersi la pensione, la famiglia e l’orto di casa, a Mondragone. Quella vita che ti toglie gli amici, che cambiano o volano via, e che ti regala la dolcezza di una compagna e di una famiglia normale.

Da metà libro in poi le pagine tengono attaccato il lettore senza lasciarsi mollare mai. Cresce l’attenzione, i nomi iniziano ad avere un volto e sale anche il magone su per la pancia. E’ vivo e te lo porti dentro. Una brutta storia che regala bellezza e scelte che sono scelte. Cavalli racconta di un paese indifeso, dove perfino la Stato ha i colori ingrigiti di Mondragone, ricordandoci che le urla e i grandi gesti non fanno la rivoluzione ma che basta poco, pochissimo, interessandoci di quello che avviene anche fuori del giardino di casa per cambiare una piccola città o un grande paese.

Qui per acquistare il libro

https://www.giuliocavalli.net/bottega/?product=mio-padre-in-una-scatola-da-scarpe

Com’è bella Mondragone che abbraccia i Landa

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Se non ci siete stati non si riesce a raccontare ma avreste dovuto com’era bella Mondragone che abbracciava con gli occhi, con l’ascolto, con il battere di mani e con il cuore i figli di Michele Landa, che stavano seduto seminascosti tra le prime file di una sala strapiena come se all’improvviso la memoria fosse diventata davvero pop.

‘Mio padre in una scatola da scarpe’ è arrivato a Mondragone, o forse ci è tornato visto che proprio da lì nasce la storia di Michele Landa, guardia giurata prossima alla pensione con un culto per la famiglia e per la libertà. Presentare il romanzo a Mondragone non significava banalmente raccontare un libro, presentare il romanzo a Mondragone era solo il pretesto perché la città guardasse negli occhi Angela Landa e i suoi fratelli e vedere l’effetto che fa.

E l’effetto, davvero, è stato quello di una storia che si è fatta viva, presente, comune.

Io, nel mio piccolo posso solo ringraziare il lavoro meraviglioso di insegnanti, cittadini e di Libera che hanno organizzato un abbraccio così rumoroso.

Ora si riparte.

‘Per i diritti umani’ su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

(L’articolo originale è qui)

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Uscito per Rizzoli l’ultimo lavoro letterario di Giulio Cavalli scrittore e attore, da sempre impegnato sui temi civili e sulla legalità, Mio padre in una scatola da scarpe è un romanzo che parla, forse, anche un po’ dell’autore stesso, capace sempre di dire No alla cultura mafiosa, in grado di pagare un prezzo alto per i valori della giustizia e della vita.
“Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita. Ma a Mondragone serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani”.
Tornano, nel libro, le parole degli spettacoli teatrali che Cavalli porta in scena: omertà, paura, ribellione, violenza, rispetto, verità”: parole e concetti da approfondire; alcuni da cancellare, altri da insegnare, con l’esempio e la Cultura.

L’Associazione per i Diritti Umani ha rivolto alcune domande a Giulio Cavalli e lo ringrazia per la disponibilità.

E’ la storia di un uomo comune, diventato eroe, e della sua famiglia: quanto è importante raccontare storie (a teatro, in letteratura) a sfondo civile?

Io credo che sia importante raccontare storie credibili e scrivo credibili nel senso più ampio del termine ovvero abbiamo bisogno di storie che insegnino l’eroismo che sta nei tanti piccoli gesti quotidiani che sono famigliari a molti. Questo romanzo non vuole celebrare Michele Landa, che altro non è che un uomo vicino alla pensione con la cura della propria famiglia, ma prova a fare intendere quanti “profughi stanziali” si ritrovano a combattere in ambienti non facili. Ognuno secondo le proprie capacità, le proprie possibilità e le proprie attitudini. Credo che ultimamente abbiamo commesso l’errore di cercare l’iperbole mentre sotto gli occhi, tutti i giorni, abbiamo quotidiani esempi di resistenza

Qual è l’Italia che lei racconta?

L’Italia dove la prevaricazione è sistematica, il bullismo è considerato un dovere per condire la credibilità dei potenti e dove un continuo logorio della democrazia ha portato a farci credere che alcuni nostri diritti siano dei privilegi. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un graduale disfacimento del pieno significato dell’essere buoni, tanto che oggi è considerato un difetto, una debolezza. In realtà spesso essere buoni significa avere la forza di stare ostinatamente controcorrente e Michele, con i suoi figli, è la personificazione di questo sforzo strenuo e continuo.

Ci parla del progetto legato al suo libro?

Andando in giro per scuole e librerie abbiamo scoperto che il romanzo risulta molto utile anche per discutere di bullismo e prepotenza. In realtà il progetto con le scuole è tutto merito di Ivano Zoppi e la sua ONLUS Pepita che hanno avuto il merito di trasformare il libro in un’occasione per chiedere di alzare la voce contro i soprusi. Un libro, appena uscito in libreria, smette di essere del suo autore e anche questa iniziativa l’ho vissuta con l’emozione di uno spettatore privilegiato. Sono molto contento che finalmente si riesca a dare una declinazione quotidiana ad un fenomeno (quello mafioso) che troppo spesso ha bisogno di eroi per poter essere raccontato.

Spesso le persone oneste vengono lasciate sole dalle istituzioni e, per questo, molte di loro hanno perso la vita, seguendo l’etica e la legge…Oggi in che direzione si sta muovendo lo Stato italiano in termini di lotta alle mafie?

Si da sempre molto poco. L’Italia è il Paese più evoluto sul fronte antimafia perché è anche il laboratorio più estremo delle mafie ma sono convinto che al netto della retorica ancora oggi si faccia troppo poco e troppo spesso male. Pensiamo, solo per citare un esempio, ai testimoni di giustizia che non sono altro che normali, semplici cittadini a cui “è capitata l’occasione di essere giusti”. dovrebbero essere trattati dallo Stato con tutta la cautela e la gratitudine per chi decide di alzare la testa e invece sono pressoché quotidiane le notizie di difficoltà ambientali, economiche e di sicurezza di chi ha deciso di denunciare. La strada è lunga e in più il movimento antimafia sembra vivere anche un pericoloso periodo di appannamento.

Come possiamo educare i giovani alla cultura della legalità?

Primo: facendo in modo che essere corretti e rispettare la legge sia conveniente. E questo è un dovere della politica. Poi abbiamo bisogno di riportare il senso di legalità al senso di solidarietà, cittadinanza attiva, responsabilità e giustizia. Qui non si tratta solo di insegnare le leggi ma riuscire a far cogliere il senso alto che sta dietro alle basi della democrazia. E finché non riusciremo a raccontare la legge come un’opportunità piuttosto che un limite credo che faremo molta fatica a trovare un vocabolario che funzioni.

La lealtà di fare quel che si può

Schermata 2015-12-10 alle 22.28.07Il Piemonte dell’interno tra Fossano, Savigliano e Racconigi è un paesaggio che sembra disegnato apposta per il treno. Forse sarà che da quelle parti la ferrovia è antica come sono antiche le cose che dai per scontate, come la chiesa o la piazza e alla fine anche la stazione. E stamattina, mentre filavo tra quel Piemonte che sembra un plastico di trenini a grandezza naturale, ripensavo all’incontro avuto con le scuole nel teatro di Savigliano, mentre ragionavamo su quanto sia forte la parola che riesce addirittura a portarsi in spalla per l’Italia quella storia di Michele Landa che pensavano, forse, qualcuno, di avere bruciato insieme a lui e alla sua auto. E quando abbiamo deciso insieme, più i ragazzi di me, che forse davvero dovremmo cominciare ad imparare a fare pace con tutti quelli che fanno quel che possono, che dovremmo cominciare a pensare anche al diritto di avere paura oltre che pretendere eroismi in ogni dove ho visto una voglia, una pulizia che mi ha fatto credere che ogni incontro con loro per me è un fiore. Ecco, i ragazzi stamattina avevano una comprensione, una voglia di solidarietà che mi ha lasciato ottimismo. E me ne sono ripartito felice.

Così. Volevo dirvelo.

Arrivare puliti a sera

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Ero molto piccolo quando ho iniziato a suonare il pianoforte. Mica solo giovane, piccolo che allargando la mano fino a che il tiro non mi arrivasse su dal collo e poi in bocca era una mano troppo breve per ambire all’ottava. Corta. Quindi mi esercitavo in quelle scale muscolari di autori dal nome duro come la musica che scrivevano (mi ricordo il Beyer, non avevo forse sei anni) e il suono era semplicemente il rumore di rimbalzo di una ginnastica fatta sulle note. Di continuo. Il limite fisico non importava a nessuno. Avrei potuto anche avere una mano sola ma mi dicevano che attraverso l’esercizio sarei riuscito comunque ad avere un buon suono. Qualcosa che si avvicini ad una melodia. La musica di quegli esercizi era un martello pneumatico su spartito, note che rimandavano alle lime o alla malta, con quello stesso odore che poi risentivo quando pensavo a che testa capiente avrebbe potuto essere capace di immaginare una casa, tutta intera, e sapere già prima di iniziare esattamente dove appoggiarla. Ecco, il mio pianoforte a casa, dopo scuola e nelle ore che per forza dovevo rubare anche al gioco, era il mio cantiere sempre aperto, in sala, dritto che mi aspettava. E mi ricordo la sensazione, si accendeva senza avviso, di riuscire a suonare una scala come non mi era mai riuscita prima, come se in fondo le dita fossero nate capaci di farla per poi dimenticarselo e, tutto d’un colpo, se ne fossero ricordate come ti ricordi quei momenti che nemmeno gli anni sono riusciti ad annegare. Quando succedeva che un ostacolo fosse diventato liscio, agevole, io lo toglievo dall’elenco delle incombenze e con mielosissima soddisfazione lo appoggiavo nel cestino dei bordi superati, delle cose fatte, dei nodi sciolti.

Ecco, mi ricordo, quando alla sera mi capitava di superare una pagina d’esercizio al pianoforte, di poterla girare e tenerla indietro insieme alle cose già fatte, mi ricordo che alla sera mi sentivo pulito. Anche se avevo sudato tutto il pomeriggio ridendo senza fiato  dentro una partita tra scarsi o anche se avevo la tristezza di un litigio, o una sgridata che non ero riuscito a digerire o una domanda senza risposta. Si arrivava puliti a sera. Puliti. E poi tutto il resto degli anni ho sempre cercato quella pulizia lì, nonostante il giorno passato. E quando ho scritto ‘Mio padre in una scatola da scarpe’ l’ho scritto per raccontare che ci sono persone che nonostante tutto l’intorno, ci invecchiano puliti, ci arrivano anziani, puliti, anche se è sera.

“Legalità contro omertà da Mondragone a Milano”: una recensione di ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

(recensione da la Provincia di Cremona)

Schermata 2015-11-29 alle 09.44.19«Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita. Ma a Mondragone serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani». Giulio Cavalli queste cose le conosce bene. La promozione della cultura della legalità contro quella mafiosa è il suo pane da attore, autore e da (ex) politico. Tanto da portarlo, dal 2007, a vivere sotto scorta. Una vita dura, con pochi compromessi, che si riflette nel suo ultimo libro: ‘Mio padre in una scatola da scarpe – Capita a tutti l’occasione di essere giusti’. Cavalli sa cosa vuol dire pagare per un’idea. Quella che non si deve cedere mai, perché un passo dopo l’altro dalla comodità di una posizione un pò sonnolente si passa al compromesso irreversibile. Lui, invece, prima a teatro, poi sulle pagine dei suoi due libri, infine dai banchi del consiglio regionale, ha tenuto il punto. Anche quando nell’agosto 2013 il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura ha raccontato il progetto per farlo uccidere organizzato dalla cosca ’ndranghetista De Stefano-Tegano.

Da allora la sua vita è irrimediabilmente cambiata, sorretta anche dalla sua compagna, Miriana Trevisan. ‘Mio padre in una scatola di scarpe’ non è solo un romanzo, è un progetto: «Ispirato alla vera storia della famiglia Landa – racconta l’autore – il romanzo girerà l’Italia in un reading teatrale (…) Se mi avessero chiesto un romanzo civile, ecco, io, avrei scritto questo libro qui». Anche perché non si nasconde che con questo libro Cavalli spera di dare un contributo alla riapertura del caso – il cadavere di Michele Landa, guardia giurata, venne trovato in un’auto bruciata nel settembre del 2006 – ancora senza colpevoli. Cavalli racconta un’Italia dimenticata e indifesa, in un Sud con l’acqua alla gola, quando non senza del tutto, che forse non assomiglia alla città dell’Expo, ma alla Milano delle intimidazioni agli imprenditori in provincia, al racket degli alloggi popolari, al business ‘calabrese’ del movimento terra, ai piccoli negozi incendiati, alle riunioni di affiliazioni nei ristoranti comprati con i soldi riciclati, ai comuni sciolti per mafia, alle operazioni ‘Infinito’ e ‘Insubria’. ‘Non è un libro poliziesco. È un libro sulla cultura dell’illegalità, sull’abbandono delle tante persone perbene.