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Il Morisi che è in noi

È un confine sottile, che risulta stretto perché richiede onestà intellettuale, lealtà e educazione alla complessità. Tutta roba che già va pochissimo di moda nella vita quotidiana, figurarsi nella politica, dove l’iperbole è l’unico strumento per posizionarsi e esistere. Il caso Morisi (meglio, il caso di come questi hanno forgiato il caso Morisi) è la fotografia perfetta della tossicità del dibattito politico italiano. Dentro c’è tutto, una ratatouille di guardoni, garantisti pelosi, benpensanti bencattolici, minimizzatori per convenienza, carnefici che vorrebbero fare le vittime e vittime che diventano di carnefici (e questo ci starebbe pure, perché la vendetta è la reazione più onesta in questo marasma di ipocrisia).

Punto iniziale: il signor Luca Morisi non era un tecnico che lavorava per Salvini, ma era un consigliere che lavorava con Salvini, portandosi dietro la delega sulla comunicazione. La sua ipocrisia svelata è un fatto politico, con buona pace del leader leghista che è laureato in sputtanamento all’università della vita. Chi è venuto a dirci che non avremmo dovuto scrivere che il padre della Bestia fosse nel privato l’esatto obiettivo della sua bile social e che abbracciasse gli stessi comportamenti che così disumanamente additava è semplicemente qualcuno che vorrebbe convincerci che esista il diritto di fare i moralisti senza avere morale. Una cagata pazzesca, direbbe Fantozzi. Se Morisi fosse stato collegabile alla sinistra (e per la Bestia sono di sinistra tutti quelli che non sbavano sulle scarpe di Salvini) oggi il web sarebbe invaso di neologismi aguzzi sulle sue abitudini sessuali, sulle sue dipendenze e sulla nazionalità dei suoi amanti. Capiamoci bene: questi sono gli stessi che hanno portato una bambola gonfiabile sul palco presentandola come Laura Boldrini. Sono gli stessi che hanno dato in pasto minorenni sui social (ve lo ricordate il figlio di Selvaggia Lucarelli?). Sono gli stessi che hanno trasformato gente comune (senza nessun ruolo pubblico) in nemici pubblici per settimane. Se esistesse un dio del senso del limite, a Salvini che parla di diritto alla privacy avrebbe seccato la lingua, avrebbe incendiato il dito attaccato al citofono mentre stanava presunti spacciatori in diretta nazionale.

L'errore più grande che è stato fatto nel giudicare il caso Morisi è aver usato gli stessi toni e metodi che avrebbe utilizzato lui
Luca Morisi e Matteo Salvini (Facebook)

Credere di demolire un partito usando un presunto reato significa non avere il senso delle proporzioni

Però il tema è che Morisi (e la Lega a strascico) aveva quest’insana abitudine di infilarsi nel letto degli altri, non è ciò che accadeva nel suo letto. E qui passiamo alla bestialità virale di questi giorni: credere di poter demolire politicamente un partito, usando un presunto reato come una presunta cessione di droga significa non avere il senso delle proporzioni. Che una boccetta di droga liquida sia un buon motivo per chiedere le dimissioni di Salvini è esattamente la sineddoche cretina che l’algoritmo della Bestia ha utilizzato per anni: se un nero infastidisce una vecchietta allora cacciamo tutti i neri. Se un islamico ruba un pollo allora arrestiamo tutti gli islamici. Se un Morisi si lascia andare a una serata al di fuori della nostra morale, allora cacciamo tutti i leghisti. La sentite come suona inefficace e stupida?


Mentre si srotolava la cronaca, diventando una lingua di voyeurismo mi sono anche detto che no, non saremmo stati capaci di scendere così in basso e invece è accaduto: la Bestia si è trasferita nei cosiddetti buoni che non hanno perso occasione di raccontarci particolari, che nulla avevano a che vedere né con il punto politico né con l’aspetto giudiziario. Le chat in cui Morisi e i suoi compagni di serata si raccontano le proprie preferenze sessuali sono uno stigma appiccicato alla notizie per solleticare gli stessi istinti che così bene ha sgrillettato Morisi. Questi l’hanno fatto con un eloquio più profumato, ma l’intento è esattamente identico. Entrare nelle mutande di Morisi per punirlo di essere entrato nelle nostre mutande è una legge del taglione. Ha quella consistenza lì, è il ladro lasciato in giro senza mano, è bestiale, appunto.

Quando il dibattito si fa basso, si creano fazioni estreme che riescono ad avere specularmente torto

E così stare in mezzo diventa difficile. Quando il dibattito si fa basso quasi sempre si creano due fazioni estreme che riescono nella mirabile impresa di avere specularmente torto. Quindi ci si prova a sgolare che no, che il caso Morisi non è un fatto che deve stare fuori dalla politica. Ma anche che no, che la descrizione pelosa delle sue azioni, che svelano la sua ipocrisia, non sono di interesse per il dibattito. In questo momento provare a dire una cosa del genere ovviamente riesce a renderti antipatico a entrambi. Non è una gran mossa di marketing giornalistico, insomma: i garantisti pelosi dicono che sei troppo poco garantista e i vendicatori della notte dicono che sei troppo molle. Poi ci sarebbe il presunto reato, che probabilmente non esiste nemmeno. E tutto si complica di più.

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Non Morisi: il problema di Salvini è Giorgetti

Il ministro dello Sviluppo economico del governo Draghi è uscito allo scoperto lanciando accuse circostanziate al suo segretario. Dalla scelta delle candidature per le comunali a Roma e Milano a quella per il Quirinale

Mentre si discute (giustamente) della mendacia di chi ha messo in piedi un’infernale macchina di odio contro gli stessi atteggiamenti che di nascosto in privato esercitava dentro la Lega e nel centrodestra sta accadendo qualcosa di più rilevante dal punto di vista politico. Sia chiaro: la questione Morisi pesa e peserà moltissimo su Salvini e sulla Lega, soprattutto a ridosso di elezioni amministrative che già difficilmente avrebbero potuto essere un trionfo ma mentre nelle ultime settimane si raccontava degli scontri interni nella Lega recuperando informazioni dai retroscena e da leghisti che hanno sempre voluto rimanere anonimi (anche su queste colonne, con buona pace di chi ci ha sbraitato contro accusandoci di inventarci le notizie) ormai Giorgetti (e con lui tutti quelli che sono sulla stessa linea) è uscito allo scoperto e ormai l’attacco a Matteo Salvini è ufficialmente partito.

In una lunga intervista a La Stampa il ministro dello Sviluppo economico nel governo Draghi e vicesegretario federale della Lega ha reso pubblici ragionamenti che da tempo fa in privato, lanciando accuse circostanziate al suo segretario. Giorgetti ci tiene a dire che è sbagliata la candidatura di Michetti per il centrodestra a Roma rivelando di preferire Calenda (che piace sempre molto a destra e sempre molto poco a sinistra, questo dovrebbe bastargli per tirare le sue conclusioni), confessa che a Milano il candidato Bernardo rischia addirittura di non arrivare al ballottaggio e prende le distanze precisando «i candidati non li ho scelti io che faccio il ministro e mi occupo d’altro».

L’affondo contro Salvini arriva però sul Quirinale. Mentre il leader (ancora per poco) leghista insiste sulla candidatura di Silvio Berlusconi Giorgetti precisa che Silvio ha «poche» possibilità e che Salvini rilancia la sua candidatura solo per «evitare di parlare di altre cose serie». Non male come inizio. Sul tema però poi Giorgetti decide di di schiacciare sull’acceleratore confessando che la partita per il presidente della Repubblica «a dire il vero farei ancora gestire» ad Umberto Bossi visto che «il 99% di quello che so l’ho imparato da lui». Chi sta dentro la Lega sa bene che proprio Salvini (consigliato da Morisi) aveva emesso l’ordine di non nominare mai il Senatur. Giorgetti aggiunge che né lui né Meloni voterebbero un Mattarella bis e che quindi preferirebbe Draghi anche se, dice Giorgetti, senza di lui a Palazzo Chigi i soldi in arrivo dall’Europa sarebbero destinati a fare una brutta fine. «Li butteranno via. Oppure non li sapranno spendere», dice Giorgetti stando ben attento ad usare il «loro», come a lasciare intendere che la sua permanenza al governo è legata a doppio filo a Draghi.

La notizia è enorme: Giorgetti ha cambiato passo e la strategia per logorare Salvini ormai avviene alla luce del sole. E con Giorgetti ci sono anche pezzi grossi come Zaia e Fedriga, tutta gente che a differenza del segretario ha ancora connessione con gli elettori e non verrà sfiorata dall’affare Morisi. Lunedì arriveranno i risultati per la Lega e (soprattutto al Sud) non saranno buoni. L’avanzata della linea di Giorgetti potrebbe mettere a rischio anche la leadership nel centrodestra di Giorgia Meloni. Il tema, insomma, è grosso.

Buon mercoledì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.