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morti

Uno ogni 73

Il bilancio dei migranti o rifugiati morti o dispersi nel Mediterraneo dall’inizio del 2016 mentre tentavano di giungere in Europa è salito a 4.901, secondo gli ultimi dati resi noti oggi a Ginevra dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). A pochi giorni dalla fine del 2016, il dato di 4.901 decessi è nettamente superiore ai 3.777 decessi segnalati per tutto l’anno scorso. Il tasso di mortalità nel 2016 è inoltre di gran lunga superiore a quello del 2015. Quest’anno un migrante è morto per ogni 73 migranti giunti via mare. Nel 2015 la cifra era di un decesso per 267 arrivi, sottolinea l’Oim in una nota.

(ansa)

Morire di carcere

Riguardo il reato di tortura e la dignità di un popolo che si misura dallo stato delle sue carceri vale la pena guardare la prima parte dell’inchiesta di Antonio Crispino per il Corriere della Sera. Perché il tema carceri è uno di quelli che non interessa a nessuno finché non abbiamo la sensazione che ci possa mai toccare da vicino mentre si pontifica sulle pene nei salotti televisivi. La riforma che ci si aspetta è invece politicissima e spetta proprio alla politica:

 

Il tifone menzognero

Scrive Silvestro Montanaro:

Più di diecimila morti a causa di uno spaventoso tifone nelle Filippine. Il racconto della gran parte dei media si ferma a questo. Punta il dito sulla violenza assassina della tempesta. E a me viene una gran rabbia, un gran senso di nausea per questo modo superficiale, menzognero ed offensivo di raccontare le cose. Mi è capitato di esser presente nel corso di terribili tempeste. Ero in albergo. Le ho viste dalla finestra, assolutamente al sicuro. A morire, in assoluta maggioranza, erano e sono quelli che non possono mettersi al sicuro. Nelle Filippine ci sono baraccopoli immense. Poveri pali e tetti di cartone. Ci vivono milioni di esseri umani. Indifesi. Anche quando c’è il sole. Muoiono i poveri sotto l’unica tempesta assassina che io conosca. L’ingiustizia.

Non siamo nemmeno all’altezza dei nostri morti

img1024-700_dettaglio2_Lampedusa-tragediaLa strage di Lampedusa non sanguina oggi, no. Sanguinerà domani sera, forse, e sicuramente dopodomani quando verrà archiviata tra le morti straniere in patria e riempirà il faldone delle cose da dimenticare subito dopo l’erezione fisica dovuta all’indignazione.

Piangere oggi le vittime di Lampedusa è un diritto di chi ha il giusto sentore delle sevizie dei CIE, di chi non scambia lo schiavismo per libera prostituzione, di chi giudica un morto perché è morto e non dove è nato o, ad esempio, di chi ha il mirabolante coraggio di inserire tra le cifre del femminicidio quelle ragazzine puttanelle che rimangono ammazzate ai bordi delle strade tra i profilattici usati e il bidone incendiato per scaldarsi.

Piangiamo lacrime italiane per gli italiani, lacrime non comunitarie per gli extracomunitari e lacrime da pasto per i profughi: diversifichiamo il dolore con una pratica del lutto che, nemmeno lei, riesce a non essere federalista e democratica.

Mio nonno si chiamava Gregorio, Gregorio Cavalli, detto Gigeto per quell’abitudine veneta di smitizzare per diluire la fatica di vivere, e si era trasferito in America per lavorare prima al canale di Panama e poi aprire un bar americano come si vedono i bar americani nei film americani. Quando è tornato a Carpanè (Carpanè Valstagna) per tutti era “l’americano” e si è comprato anche una bella casa: con nonna e poi mio padre e i suoi fratelli. Quando era tornato a casa mio nonno Gigeto aveva perso un braccio. Nei racconti epici del bar giù a Carpanè si raccontava di Greogorio Cavalli l’Americano che aveva lasciato un braccio sotto la ruota di un carro. Lì, in America, probabilmente, avevano scritto che “un italiano ha perso un braccio sul lavoro” e tutti a dire che guarda questi italiani che lavorano come muli, disposti a tutto per un tozzo di pane, e forse chissà che giri loschi aveva l’italiano e magari vuoi che sia stata una vendetta. Una cosa così.

Oggi a Lampedusa sono morti centinaia di nonni Gigeto che non hanno nemmeno avuto l’occasione di essere epici nel proprio bar dopo essere stati servi in terra straniera. Oggi a Lampedusa sono morti di adrenalina, vomito, placenta e sangue dei morti che muoiono tutto il giorno e solo oggi faranno un po’ più di rumore perché hanno superato i chili di cadaveri ammessi per la normalità del lutto quotidiano.

Le discussioni politiche sono state strumentali alle persone piccolissime che gareggiano in propaganda. Le morti invece no, le morti, mannaggia dio, sono sempre altissime nonostante i colori e le provenienze. E noi sempre immaturi vivi davanti ai morti. Adolescenti di fronte ad ogni sentimento che sia più del tifo o dell’odio.

Cadaveri in spiaggia

Il viaggiare per profitto viene incoraggiato; il viaggiare per sopravvivenza viene condannato, con grande gioia dei trafficanti di “immigrati illegali” e a dispetto di occasionali ed effimere ondate di orrore e indignazione provocate dalla vista di “emigranti economici” finiti soffocati o annegati nel vano tentativo di raggiungere la terra in grado di sfamarli.

Zygmunt BaumanLa società sotto assedio, 2002

Immigrazione: 6 morti a Catania, annegati durante lo sbarco

La dignità dei morti sul lavoro

Mi scrive Claudio Messora:

L’Inail è l’Istituto Nazionale per gli Infortuni sul Lavoro. E’ una forma di assicurazione pagata da tutti per tutelare quelli che secondo l’Articolo 1 della Costituzione sono i pilastri del nostro Paese: i lavoratori. La pagano gli imprenditori, ma ogni costo aggiuntivo sulle aziende ricade inevitabilmente anche sulle buste paga, dunque la paghiamo tutti. L’Inail ha accumulato un tesoretto enorme. Nella tesoreria di Stato, depositati su un conto infruttifero, sono parcheggiati oltre 17 miliardi. Che lo Stato può utilizzare a suo piacimento se ha la necessità di far slittare qualche asta sui titoli.

Nel frattempo, mentre chi specula sul debito pubblico viene garantito dallo Stato – e questo nonostante il rischio sul deprezzamento del suo investimento sia già stato abbondantemente liquidato attraverso la pretesa di rendimenti da favola -, se un operaio muore non prende un soldo. Matteo, scomparso lo scorso 5 marzo mentre montava il palco di Laura Pausini, a Reggio Calabria, vale 1936,80 euro: il contributo funerario pagato dall’Inail a sua madre. Di più non si poteva fare, perché i genitori di Matteo non risultavano da lui mantenuti. Il “Testo Unico Assicurazione Obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali” è del 1965, ma nel frattempo l’Italia è cambiata. Anzi: tutto il mondo è cambiato. Le leggi si fanno per i cittadini reali, non per quelli immaginari. Se il Paese che paga è composto in buona parte da famiglie di fatto (che spesso sono più salde dei matrimoni la cui durata media non supera i 10/15 anni), la legge che vincola i risarcimenti, e le tabelle che stabiliscono le rendite da corrispondere alle vittime e alle loro famiglie, devono essere aggiornate. Un lavoratore che perda un piede sul luogo di lavoro prende, se gli va bene, 400 euro al mese. 400 schiaffi, mentre i 17 miliardi accumulati dalla sua assicurazione servono a pagare gli errori della politica e a tutelare i rendimenti di chi ha investito. Ma l’Italia è una Repubblica fondata sul Lavoro, non su Bot e Cct. Il rischio non lo prescrive il dottore, ma lavorare sì! Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, ha lanciato una petizione per chiedere al governo di occuparsi di aggiornare il Testo Unico, e per chiedere che il tesoretto dell’Inail venga utilizzato per dare una vita dignitosa a tutte le vittime di incidenti sul lavoro e alle loro famiglie, che oggi ricevono rendite vergognose.

Per firmare, clicca qui: NON DERUBATE I MORTI!